mercoledì 3 settembre 2014

Intanto, smetto quando voglio!

 













Si sta diffondendo una nazional - costernazione a causa del fatto che non si sono subito visti gli effetti economici degli Ottanta euro di esenzione fiscale (per una parte dei lavoratori dipendenti) varati dal Governo Renzi. D’altro canto non passa giorno che i massimi rappresentati delle categorie economiche (industriali e commercianti in primis), ma anche dei lavoratori,  critichino il governo affermando, più o meno, che «ci vuole una scossa». Una parte della sinistra (centro sinistra e sinistra) è sicura che la scossa si possa dare solo sforando i limiti di spesa e aumentando il debito (è il vecchio deficit spending), senza tenere in minima considerazione quali sarebbero le conseguenze di un ulteriore deficit. Un’altra parte pensa ugualmente che la scossa si possa ottenere sforando moderatamente i limiti di spesa, avendo però il permesso dalla UE, ma dando in cambio le cosiddette riforme. È la politica che sta faticosamente portando avanti Renzi. Tralasciamo per carità di patria le scosse suggerite da Brunetta.  È probabile che tutte queste scosse finiranno soltanto per ammazzare il moribondo.

Quel che sta diventando chiaro in questi giorni è che le riforme (quelle indispensabili, su cui tutti dovrebbero essere d’accordo) incontrano ostacoli imprevisti in ogni dove, poiché sta emergendo che una parte consistente del Paese sta vivendo (qualcuno a malapena, qualcuno sguazzando), o sopravvivendo, proprio grazie a quanto dovrebbe essere drasticamente eliminato dalle riforme stesse. Le riforme che non costano vedono l’opposizione di tutti i piccoli e grandi difensori dei privilegi, che sono innumerevoli e mai scalfiti; le riforme che costano implicano l’impiego di risorse, le quali si  devono trovare attraverso i tagli della spesa, e i tagli della spesa trovano l’opposizione di tutti i piccoli e grandi profittatori che vivono di spesa pubblica improduttiva.

Siccome non solo il reddito della malavita (la bella novità!), ma anche i redditi dell’enorme numero di privilegiati e rosiconi che stanno in questo Paese entrano a far parte del PIL, è chiaro che una seria politica di riforme, eliminando i privilegiati e i rosiconi stessi, non potrà che contribuire ad abbassare la domanda interna e ad abbassare il PIL. E poi questa è tutta gente che vota. Renzi non può permettersi di fare una politica decisa di riforme perché sa benissimo che ha preso il voto anche da una bella schiera di costoro e non può deluderli tutto d’un colpo. Questo è il motivo per cui la lotta all’evasione fiscale sembra proprio passata in secondo piano e il taglio della spesa sta per fare la stessa fine.

Si dirà allora che nel Paese non ci sono solo privilegiati e rosiconi, i quali è giusto che finalmente siano stroncati e puniti, ma che c’è anche «la parte sana del Paese», sulla quale finalmente si dovrà puntare per investire nella ripresa. La parte sana del Paese, insomma costituirebbe la nostra riserva di combattimento, la nostra ultima ratio. Già, ma dove sta la parte sana del Paese? Va intanto osservato che la parte sana del Paese negli ultimi venti-trenta anni non ha fatto altro che dare da mangiare ai privilegiati e ai rosiconi. La parte sana del Paese è come se non ci fosse più, ce la siamo già consumata, è sfiancata, sfinita. Per questo, tra l’altro, non si spendono gli Ottanta euro. La parte sana del Paese è abituata a fare i conti in situazioni di penuria e di incertezza.

In questo periodo (venti-trenta anni) abbiamo visto un colossale trasferimento di ricchezza verso impieghi improduttivi e parassitari, abbiamo visto lo smantellamento dell’industria, lo smantellamento dello Stato e della Pubblica Amministrazione, abbiamo visto lobby grandi e piccole mettere le mani su qualunque posizione potesse consentire, appunto, una rendita di posizione. In tutto ciò i partiti hanno giocato la parte del leone. Abbiamo visto emeriti imbecilli fare carriera, arricchirsi, diventare «punti di riferimento», mentre abbiamo visto i migliori messi da parte, vituperati e zittiti. Le porcherie che sono venute a galla in questi ultimi anni sono solo una piccolissima parte di quelle che hanno ridotto il Paese in questo stato.

Gli imprenditori che adesso vogliono la scossa dove erano quando grazie alle collusioni con la politica aggiravano la concorrenza e facevano man bassa di sussidi pubblici? Dove erano i commercianti che approfittando dell’introduzione dell’euro raddoppiavano i prezzi da un giorno all’altro? Si pensi poi allo scandalo Alitalia, a Finmeccanica, alle lobby Cemento&Terremoti. Si pensi ai compensi faraonici dati a manager fallimentari. Magari di aziende privatizzate. Mentre ci cantavano le lodi della concorrenza, facevano di tutto per spegnere la concorrenza con le mazzette. I sindacati che adesso vogliono anche loro la scossa, dove erano, quando si doveva fare – venti o trenta anni fa – una seria riforma del mercato del lavoro e delle relazioni industriali?

Siamo un paese vecchio che esporta brillanti giovani cervelli (di cui non sa proprio cosa farsene) e importa (legalmente e illegalmente) manovalanza straniera a basso costo di tutti i tipi, mugugnando però contro «l’invasione degli stranieri». Abbiamo smantellato l’assistenza pubblica agli anziani e l’abbiamo sostituita con il vergognoso sistema coloniale delle «badanti». Siamo un paese di analfabeti di ritorno che non legge, non si informa e si beve come oro colato gli oracoli di gente come Bruno Vespa, Berlusconi o come quelli della ditta Grillo & Casaleggio. Siamo un paese di vecchi oligarchi che non vogliono mai mollare la poltrona e di almeno due o tre generazioni di giovani cui è stato servito solo la paghetta, qualche moda e/o consumo demenziale e qualche lavoro precario. Siamo un paese dove le cifre statistiche dell’occupazione femminile sono ridotte ai minimi termini.

Abbiamo messo alla ricerca scientifica gente come la Gelmini, quella del Tunnel dei neutrini, abbiamo magistrati che prescrivono per legge cure di praticoni, abbiamo tuttavia politici che discettano con autorevolezza su quando comincia e finisce la vita, su come deve essere fatta una famiglia, chi si può sposare e chi no, danno lezioni di etica e bioetica ai quattro venti. La riforma della Costituzione la dobbiamo discutere con un pregiudicato. Per riuscire a finire le opere pubbliche senza malversazioni le dobbiamo commissariare ai magistrati. Ognuno può moltiplicare questi esempi a suo piacimento.

Che ripresa si può fare in questo stato? Il problema fondamentale sembra proprio costituito da una totale mancanza di senso della realtà, da una sbronza collettiva per cui ormai si pensa che con la ricetta giusta, in quattro e quattr’otto, riusciamo a fare la ripresa. Basta trovare la scossa giusta e la ripresa ci sarà. Gli esperti di psicologia applicata dicono che c’è un meccanismo devastante che contribuisce a far sì che un soggetto cominci a provare una droga. Il meccanismo è quasi banale e può essere sintetizzato con il motto: «Intanto, smetto quando voglio!». Trasferito questo concetto sul piano collettivo e applicato al nostro argomento, dobbiamo onestamente riconoscere che sapevamo tutti che quello che (collettivamente) stavamo facendo era una colossale stupidaggine. Abbiamo scelto la classe politica più demenziale dell’occidente civile, abbiamo fatto finta di credere alle baggianate che ci venivano riversate ogni giorno da TV pubbliche e private, abbiamo creduto allo slogan «A casa mia faccio quello che mi pare!». Lo sapevamo bene che, accompagnandoci a certi figuri, saremmo diventati come loro. Abbiamo creduto alla facile promessa delle scorciatoie, delle facili carriere, dei facili guadagni. Sapevamo che certe cose sono pericolose, che certe cose non si fanno, che certe cose, a lungo andare, lasciano un segno indelebile. Ma ci consolavamo con l’idea rassicurante che «Intanto, smetto quando voglio!».

Adesso che siamo finiti nel vicolo cieco, adesso che non riusciamo più a smettere, continuiamo a consolarci con la ricerca della magica scossa, la terapia rapida e indolore che ci consenta di metterci al pari degli altri, come se niente fosse successo. Abbiamo avuto le nostre debolezze, ma ora stiamo diventando tutti virtuosi. Prima si doveva risolvere tutto in cento giorni; adesso siamo già passati a mille.  Sarebbe meglio, intanto, preoccuparsi della sopravvivenza immediata e, secondariamente, e soprattutto metterci in testa che, in queste condizioni, non ci sarà proprio nessuna ripresa. Dovremmo preoccuparci di mettere in cantiere un lungo periodo di convalescenza, in cui dovremo assumere medicine molto amare, in cui dovremo riprendere in mano, filo per filo, tutte le castronerie che abbiamo fatto, e in cui dovremo fare, in poco tempo e bene, tutto quello che non abbiamo voluto o saputo fare prima. Tutto ciò per riuscire anche e soltanto a rincorrere affannosamente gli altri, che prima o poi  ritorneranno a crescere e che, se saremo fortunati, ci regaleranno un po’ di briciole. Altro che scossa.

 

Giuseppe Rinaldi (3/09/2014)