mercoledì 10 settembre 2014

L’evaporazione dell’essere

evanesc7
Ci sono filosofi che si sono occupati di qualsiasi cosa e filosofi che hanno lavorato sodo soltanto intorno a un unico problema. Heidegger è senz’altro uno di questi ultimi. Qualunque scheda biografica, qualunque storia della filosofia ripete che egli si è occupato solo e soltanto del problema dell’essere. È senz’altro vero che occuparsi a lungo di un problema non significa risolverlo. Tuttavia Heidegger pare non abbia al suo attivo neppure un tentativo di soluzione. Pare anzi egli abbia concluso che non c’è alcuna soluzione da cercare. Si sarebbe tentati di dire, con Shakespeare, «Much ado for nothing!».
Viene proprio in mente questa conclusione leggendo il volume di Philipse dedicato alla filosofia dell’essere di Heidegger.[1] In questa sede userò soltanto una parte infinitesima della splendida monografia di Philipse per mostrare la parabola della ricerca sull’essere di Heidegger. Nel corso del suo Denkweg, solo formalmente il pensatore sembra sia rimasto fedele al suo progetto originario di ricerca; anzi si può dire tranquillamente che il suo progetto sia andato soggetto a continue ristrutturazioni, tanto da renderlo irriconoscibile, fino a un finale abbandono. Non ci sarebbe nulla di male, tutti si possono sbagliare, sennonché il pensatore, nelle sue numerose riflessioni autobiografiche volte a costruire il suo stesso personaggio, ha continuato a sostenere di essere sempre stato fedele alla ricerca intorno all’essere.
.oOo.
In tutte le biografie di Heidegger si riporta – in accordo con le dichiarazioni dello stesso Heidegger - come sia nato in lui l’interesse per l’essere. Si racconta che nel 1907, l’arcivescovo di Friburgo, che era compaesano di Heidegger, e che era rettore del collegio dove il giovane Martin viveva e studiava, gli abbia regalato, nel giorno del suo 18º compleanno, una copia del libro di Franz Brentano intitolato Sui molteplici significati dell’essere in Aristotele. Heidegger stesso racconta che quel libro aveva contribuito a suscitare in lui la questione dell’essere.
Com’è noto, Aristotele nella sua metafisica aveva affrontato il problema dell’essere e ne aveva dato una soluzione pluralistica alquanto complessa, sostenendo che «l’essere si dice in molti modi». I quattro modi fondamentali che sono presi in considerazione nella dissertazione di Brentano sono: 1) l’essere come accidente; 2) l’essere nel senso di vero; 3) l’essere nel senso di potenza e atto; 4) l’essere nel senso delle categorie. Come osserva Philipse: «Sembra che Heidegger abbia imparato dalla dissertazione di Brentano che il filosofo deve rispondere a una e soltanto una domanda, la domanda intorno all’essere. Inoltre, egli avrebbe appreso che questa domanda è più fondamentale di tutti problemi delle scienze particolari, e che, nei fatti, è il problema più fondamentale che un essere umano possa porsi».[2]
.oOo.
Nello scritto autobiografico Il mio percorso nella fenomenologia Heidegger ha espresso la sua domanda intorno all’essere in questi termini: «Se l’essere viene detto in molti modi, allora quale è il significato principale e fondamentale? Che cosa significa essere?».[3] Formulata in questi termini, la domanda è ancora prettamente di tipo aristotelico, e potrebbe trovare una risposta nell’ambito della stessa metafisica di Aristotele. Una simile risposta tuttavia dovrebbe ammettere la pluralità dei sensi dell’essere e l’impossibilità di ricondurre tutti questi sensi all’unità. È evidente che Heidegger non condivideva la soluzione proposta da Aristotele. La richiesta di individuare un senso principale e fondamentale dell’essere doveva essere legata all’atteggiamento religioso dello stesso Heidegger.[4]
Ha osservato ancora Philipse: «Sembra che Heidegger non fosse soddisfatto dalla risposta di Aristotele per la ragione seguente. Sebbene Aristotele abbia analizzato i differenti significati di “essere” egli non era riuscito a scoprire il principale e fondamentale senso (Sinn) da cui gli altri significati erano derivati. Se fosse così, la domanda intorno all’essere di Heidegger è identica, anche se maggiormente focalizzata, rispetto a quella di Aristotele: egli ha l’obiettivo di scoprire un senso fondamentale che stia al di sotto degli altri sensi di “essere”. Questa interpretazione ipotetica è confermata dalla sezione 3 di Sein und Zeit, dove Heidegger dice che noi dobbiamo delucidare il senso dell’essere tout court per essere messi in grado di costruire i vari possibili modi di essere».[5]
Possiamo quindi assumere con una certa tranquillità che il progetto iniziale di Heidegger fosse nato sul terreno dell’aristotelismo e fosse proprio quello di indagare intorno al senso dell’essere, per cercare di individuare il senso fondamentale da cui tutti gli altri possono essere derivati, qualunque cosa ciò possa significare. Non deve stupire che il giovane Heidegger operasse tranquillamente in un quadro concettuale aristotelico scolastico, poiché questa era la cultura dell’ambiente religioso che lo circondava e che, oltretutto, gli stava dando i mezzi per studiare.
.oOo.
Costituisce tuttavia un problema storico filosofico il fatto che, né in Sein und Zeit, né nelle opere successive troviamo l’ombra di una risposta, fosse anche solo di una risposta ipotetica alla domanda. Philipse continua la sua analisi osservando che nella seconda metà della sezione 5 di Sein und Zeit «Heidegger illustra lo scopo provvisorio del libro, che è quello di mostrare che il tempo, o temporalità, funziona come “orizzonte” di qualsiasi comprensione dell’essere. Heidegger sostiene che i filosofi del passato avevano usato la nozione di tempo come uno sfondo implicito per la comprensione dell’essere, poiché essi avevano distinto l’essere temporale della natura e della storia dall’essere atemporale dei numeri e delle relazioni geometriche. Ma la concezione tradizionale del tempo è stata fondamentale? È una tesi centrale di Sein und Zeit che la nozione propria di tempo o temporalità, che deve funzionare come orizzonte di comprensione dell’essere, dovrebbe essere sviluppata sulla base di una interpretazione della temporalità dell’esistenza umana (Dasein). Nel terzo paragrafo della sezione 5, Heidegger conclude che «la domanda intorno al significato dell’essere riceverà prima concretamente una risposta attraverso l’esposizione della problematica della temporalità»».[6]
Non si capisce tuttavia che forma avrebbe dovuto avere questa risposta concreta. Heidegger infatti nega che la risposta possa essere espressa in una o in più proposizioni. Egli conclude il paragrafo con la specificazione della forma positiva che una risposta alla domanda intorno all’essere dovrà avere: «In coerenza con il suo senso più proprio, la risposta ci dà una indicazione per la ricerca ontologica concreta, che deve cominciare la sua attività investigativa all’interno dell’orizzonte che noi abbiamo scoperto; e questo è tutto quello che la risposta ci dice».[7]
Dunque la risposta di Heidegger alla domanda intorno all’essere consiste in un’indicazione intorno a come noi dobbiamo partire con la nostra domanda ontologica. «In altre parole, la risposta alla domanda intorno all’essere ci insegnerà meramente a come domandare propriamente intorno alla questione dell’essere. […] Per cui sembra che Heidegger ci dica che solo se abbiamo seguito la strada di Sein und Zeit noi siamo in grado di domandare la vera domanda intorno all’essere e di condurre la nostra ricerca ontologica nella maniera giusta».[8]
.oOo.
Quel che ci si potrebbe aspettare ora è che Heidegger, avendo finalmente chiarificato il significato della domanda intorno all’essere nella sua opera principale Sein und Zeit, abbia poi proceduto sul cammino di rispondere alla domanda stessa nelle sue opere successive. Tuttavia, qualunque lettore si dedichi a esplorare la montagna di opere e operette prodotte successivamente difficilmente riuscirà a trovare una risposta alla famosa domanda. Ha affermato in proposito Philipse: «C’è un gran numero di testi nelle successive opere in cui Heidegger suggerisce che noi non possiamo per nulla fornire una risposta alla domanda intorno all’essere. In Gelassenheit (Resignation, 1959), egli dichiara che il pensare in senso proprio richiede rassegnazione.[9] «Noi non dovremmo fare niente, ma aspettare» dice il maestro in un breve dialogo finalizzato a chiarire questa sua nozione del pensare. Più di 20 anni prima Heidegger aveva proposto un punto di vista simile in una serie di lezioni, che aveva tenuto nel semestre estivo del 1935, che sono state pubblicate nel 1953 come Einführung in die Metaphysik (An Introduction to Metaphysics). Alla fine di questo testo, egli mette in evidenza che, nel contesto della riflessione filosofica (Besinnung), il titolo Sein und Zeit non si riferisce al libro ma a ciò che viene a noi assegnato (das Aufgegebene). «Ciò che ci viene propriamente assegnato è qualche cosa che non conosciamo e che, nella misura in cui noi lo conosciamo realmente, vale a dire come assegnato a noi, noi lo conosciamo sempre soltanto nel nostro domandare». Ed egli conclude: «Essere in grado di domandare significa: essere in grado di aspettare, anche per tutta la vita». Pensare, nel senso dell’ultimo Heidegger, sembra essere un tipo specifico di domandare, cioè, di porre la questione dell’essere, e il porre questa questione è equivalente a un tipo specifico di attesa. Secondo l’ultimo Heidegger, allora, la domanda intorno all’essere non è una domanda a cui dovremmo tentare di rispondere. È una domanda che noi dovremmo imparare a formulare propriamente e con rassegnazione».[10]
.oOo.
 Philipse prosegue dunque nella sua analisi: «Sulla base di questi testi, e di altri simili, possiamo forse smettere di aspettarci che Heidegger fornisca una risposta alla domanda sull’essere. Ciò che egli sembra volere, piuttosto, è di indurre i suoi lettori ad adottare il tipo giusto di atteggiamento interrogativo. Domandare la domanda intorno all’essere non è nient’altro che adottare questo atteggiamento. Ma è almeno chiaro in che cosa consiste questo atteggiamento? È riuscito Heidegger a chiarificare il significato della domanda intorno all’essere? Molto spesso, negli ultimi lavori, Heidegger suggerisce che egli non è riuscito, e forse anche non ha potuto-avere successo, nella sua impresa. Concordando con l’introduzione (1949) alla lezione inaugurale Was ist Metaphysic? (1929), la comunità filosofica è passata oltre alla questione dell’essere con la sicurezza di un sonnambulo. Ciò non è dovuto a un travisamento di Sein und Zeit, causato da una scrittura poco chiara o da una lettura poco curata. Heidegger piuttosto dichiara che la scarsa attenzione per la domanda intorno all’essere è dovuta al fatto che noi siamo “abbandonati dall’essere”. Nel 1969, durante la sola intervista televisiva che Heidegger abbia mai concesso, l’allora pensatore ottantenne mise l’accento ancora una volta sul fatto che la domanda intorno all’essere non era ancora stata compresa. Di nuovo egli non attribuiva questa mancanza di comprensione a una lettura poco accurata dei suoi testi, ma al fatto che l’essere ha nascosto se stesso, che si è ritirato dalla scena del nostro tempo».[11]
.oOo.
Dunque Philipse conclude riassumendo il suo ragionamento: «In testi come Mein Weg in die Phänomenologie Heidegger condivide l’opinione aristotelica secondo cui la domanda intorno all’essere è la questione di base, la sola questione della filosofia. Sembra che egli voglia sollevare questa questione in modo nuovo perché non soddisfatto della risposta aristotelica. In particolare, egli vuole cogliere il senso fondamentale dell’essere da cui gli altri sensi sono derivati. Quel che ci aspettiamo sulla base di questi testi è che il significato della domanda intorno all’essere di Heidegger sia identica al significato della domanda di Aristotele, e che Heidegger provveda a fornire una nuova risposta a questa stessa domanda. Ma questa aspettativa viene delusa in tre modi. Primo, Sein und Zeit meramente intende giungere a una chiarificazione della domanda intorno all’essere e non a fornire una risposta. Secondo, molti testi successivi suggeriscono che noi non siamo in grado di rispondere alla domanda intorno all’essere. Infine, Heidegger ripetutamente afferma che noi semplicemente non comprendiamo la domanda. Eppure la questione dell’essere viene da lui considerata come la questione più cruciale che un essere umano possa porsi».[12]
.oOo.
A questo punto possiamo noi porre una modesta domanda: ci troviamo di fronte all’assurdo, oppure c’è una qualche logica in questa progressiva evaporazione della domanda intorno all’essere che possiamo cogliere nel Denkweg heideggeriano?
Secondo Philipse, e questa è l’impostazione di fondo della sua analisi, nello sviluppo del pensiero di Heidegger non è possibile identificare un significato unitario e continuativo per quel che concerne la questione dell’essere. Ci si deve allora rassegnare a identificare diversi motivi conduttori, spesso del tutto incompatibili tra loro, che hanno caratterizzato ciascuno dei periodi (che non sono quindi soltanto due) della speculazione heideggeriana. Secondo l’argomentatissima analisi di Philipse, i motivi conduttori fondamentali della filosofia di Heidegger sarebbero cinque e precisamente: a) il motivo meta-aristotelico; b) il motivo fenomenologico ermeneutico; c) il motivo trascendentale; d) il motivo neo-hegeliano e) il motivo postmonoteista.[13] I primi tre motivi sono più che altro caratteristici del primo Heidegger, mentre gli ultimi due sono decisamente caratteristici del cosiddetto secondo Heidegger.
Heidegger dunque inizia il suo sentiero occupandosi della questione dell’essere in termini aristotelici e scolastici, cercando di andare oltre Aristotele e cercando di conferire un senso unitario al problema dell’essere. L’abbandono del cattolicesimo, l’adesione al protestantesimo e l’incontro con Husserl hanno determinato poi lo sviluppo del motivo fenomenologico ermeneutico e del motivo trascendentale, motivi che sono presenti nella sua opera principale. L’abbandono del cristianesimo e l’adesione al nazismo hanno comportato quindi lo sviluppo del tema neo hegeliano, che consiste fondamentalmente nell’elaborazione di una filosofia della storia incentrata sull’evento e sul destino, e lo sviluppo del tema postmonoteista, che implicava l’elaborazione di una specie di religione dell’essere che avrebbe dovuto essere la nuova religione del popolo tedesco o dell’Occidente.[14] Infatti, secondo Heidegger il nazismo non poteva ridursi a mera tecnica, ma aveva bisogno dello sviluppo di una prospettiva spirituale.
.oOo.
Insomma, in estrema sintesi, la domanda intorno all’essere viene posta in un primo momento in termini aristotelico scolastici, in un secondo momento in termini fondamentalmente fenomenologici e, in un terzo momento, in termini religiosi. Quel che conta è che l’impostazione tipica della distruzione fenomenologica (che coinvolge la reinterpretazione della storia della metafisica e della filosofia occidentale come nascondimento dell’essere) fa sì che la filosofia per Heidegger cessi di costituire un percorso intellettuale – con domande e risposte – e cominci a configurarsi come una sorta di prassi collettiva che coincide con la storia intesa come manifestazione dell’essere. Non si tratta più di sapere qualcosa, ma di far parte della «verità dell’essere» che si configura, appunto, come evento, anzi, come attesa dell’evento. Poiché l’iniziativa è sempre dell’essere e non è mai dell’uomo, allora l’originaria domanda intorno all’essere – che aveva un carattere intellettuale nel senso della scolastica - diventa progressivamente un atteggiamento di attesa di carattere religioso. Conoscere quindi diventa un aspettare. L’essere si è nascosto (come il dodicesimo imam!) e si tratta di aspettare, anche per tutta la vita, che esso ricompaia, dando il via a un nuovo inizio. Per questo l’originaria domanda filosofica si trasforma nella predicazione profetica di uno sconcertante atteggiamento di attesa. Questo è il motivo per cui continua a lamentarsi del fatto che la domanda intorno all’essere non è adeguatamente compresa.[15] Non si tratta di ignoranza, l’uomo non può far nulla, è l’essere che si è ritirato, occultato.
.oOo.
Si badi bene che Heidegger non vuole dare vita a una nuova teologia (ciò avrebbe costituito una insopportabile caduta intellettualistica!) ma vorrebbe istituire, nella Lichtung dell’essere, con un atto di pensiero/ azione una nuova religione, priva dei difetti del monoteismo ebraico e basata sul ritrovamento del rapporto originario con l’essere che, secondo lui, c’era nel pensiero greco arcaico. Ciò configura il Denkweg heideggeriano come un abbandono della filosofia per l’adesione a una sorta di atteggiamento profetico che ha avuto essenzialmente, come suo ambito di attività, il tentativo storico del nuovo ordine nazista. Tramontato il nazismo reale Heidegger si è dedicato, fra gli applausi inconsapevoli di gran parte della comunità filosofica, allo sviluppo e alla conservazione del nazismo spirituale (la sua Gesamtausgabe), certo che l’Occidente è ormai marcio e che l’essere non tarderà a erompere in un nuovo inizio, dove finalmente tra il cielo e la terra, tra i mortali e i divini, verranno a coincidere pensiero, linguaggio, storia e rivelazione, in un impasto che soltanto è la verità dell’essere. Solo allora potremo cogliere in forma immediata il significato dell’essere, saremo anzi costretti a viverlo direttamente, poiché saremo entrati a farne parte. Avendo rinunciato all’intelletto, non ne sapremo tuttavia nulla sul piano intellettuale.
 
10/09/2014
                                                                      Giuseppe Rinaldi
 
                                                                                                              
OPERE CITATE
 
1998 Philipse, Herman
Heidegger’s Philosophy of Being. A Critical Interpretation, Princeton University Press, Princeton (N.J.).
 
 
 
NOTE
 
[1] Questo breve scritto non è nulla di originale da parte mia ed è basato sulla parafrasi delle pagine in cui Philipse compie una breve ma illuminante carrellata dell’evoluzione della nozione dell’essere presso Heidegger. Cfr. Philipse 1998. La traduzione dei brani di Philipse è mia. Ho soppresso i riferimenti alle brevi citazioni che Philipse fa di Heddegger per non sovraccaricare. I riferimenti si trovano ovviamente in Philipse 1998.
[2] Cfr. Philipse 1998: 5.
[3] Cfr. Philipse 1998: 5-6.
[4] Heidegger stava studiando in un seminario e avrebbe dovuto diventare un religioso gesuita.
[5] Cfr. Philipse 1998: 6.
[6] Cfr. Philipse 1998: 6.
[7] Cfr. Philipse 1998: 6.
[8] Cfr. Philipse 1998: 7.
[9] Il termine può anche voler significare tranquillità, ma anche rinuncia.
[10] Cfr. Philipse 1998: 7.
[11] Cfr. Philipse 1998: 7-8.
[12] Cfr. Philipse 1998: 8.
[13] Cfr. Philipse 1998: 76.
[14] Di questo progetto è testimonianza l’opera nota come Contributi alla filosofia.
[15] La comprensione mancante cui allude Heidegger non è più ovviamente una comprensione di tipo intellettuale, bensì una conversione spirituale. Heidegger si lamenta che questa conversione ancora non c’è stata.