mercoledì 27 gennaio 2021

Della tattica e della strategia di Matteo Renzi









1. Nonostante una risicata fiducia ottenuta al Senato dal governo Conte II, ci troviamo ancora nel pieno della crisi politica indotta dal ritiro di Italia Viva dalla delegazione di governo. Al momento in cui scriviamo la crisi politica sta per essere trasformata in crisi istituzionale ufficiale, con le dimissioni dello stesso governo. Gli osservatori attribuiscono un’elevata probabilità a un reincarico di Conte, per la formazione di un eventuale governo Conte III. Ma sono possibili diverse altre soluzioni, compresa la possibilità delle elezioni anticipate che, in tal caso, sarebbero evidentemente da tenersi con la vecchia legge elettorale e con la riduzione del numero dei parlamentari. Poiché le più recenti simulazioni in caso di nuove elezioni attribuiscono la vittoria al centro destra, la mossa renziana è apparsa ai più come una sorta di suicidio anticipato del fronte progressista ed europeista, a tutto beneficio della destra populista e sovranista. Comunque vadano le cose, tra poco più di un anno si prospetta poi l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica la quale, in caso di nuove elezioni, sarebbe affidata alla una nuova assemblea parlamentare (XIX legislatura). Il che comporterebbe un altro colpo al fronte progressista.

La maggior parte delle analisi espresse dalle parti politiche e dai commentatori ha teso a riversare, non senza fondamenti, su Matteo Renzi la responsabilità della crisi. Nello stesso tempo è stata però spesso fatta notare l’incomprensibilità della sua scelta. Ciò soprattutto in relazione al fatto che il Paese si trova in una situazione assai grave, stretto tra l’epidemia, la campagna vaccinale, la crisi economica e l’esigenza di definire l’impiego del cosiddetto Recovery Fund, cosa che oltre tutto comporterebbe la realizzazione di un pacchetto di riforme come non mai. Insomma, per le sue caratteristiche d’intempestività, di rischio, d’imprevedibilità, di estrema incertezza sugli esiti finali, si tratta di una tipica crisi al buio.

2. Lo stesso Conte ha dichiarato pubblicamente di non aver capito i motivi di questa crisi. Cercheremo, in quel che segue, di produrre una qualche compiuta interpretazione di quanto sta succedendo, più per lo scopo di capire gli eventi che per la speranza che ciò possa risultare di qualche utilità. Intanto è il caso di considerare che le motivazioni pubblicamente addotte da Renzi e dagli italvivisti per aprire la crisi appaiono del tutto pretestuose. Anche e soprattutto per il fatto che le principali richieste di Renzi (giuste o sbagliate che fossero) erano state accettate dalla compagine del governo (quelle relative alla modifica della bozza del Recovery Fund, l’accantonamento della “cabina di regia”  e la rinuncia di Conte alla delega ai Servizi). La richiesta del ponte di Messina appare del tutto strampalata, mentre la richiesta del MES appare più che altro un attacco esplicito agli alleati di governo del M5S – essendo il rifiuto del MES, a torto o ragione, un punto fermo (giusto o sbagliato che sia) della posizione del M5S. Insomma, Renzi, con il suo minacciato ritiro dal governo, aveva già ottenuto ben oltre di quello che rappresenta il suo peso numerico nella coalizione. In un governo di coalizione non può essere che un partito che sul piano elettorale conta per meno del 3% possa pretendere di spadroneggiare e determinare l’intera politica della coalizione. È evidente che i motivi effettivi della crisi devono essere ben altri.

3. Escludiamo anche, di conseguenza, che la scelta di Renzi sia soltanto il frutto di un tatticismo spregiudicato, di un uso della sua rendita di posizione, quella che una volta si chiamava l’Ugo della bilancia (il riferimento era a Ugo La Malfa, capo del partitino repubblicano che, come il prezzemolo, stava in tutte le coalizioni). Escludiamo cioè il fatto che Renzi, poiché i suoi voti erano determinanti per la coalizione, abbia continuato ad alzare il tiro, convinto che tutto gli sarebbe stato concesso. Certo, la rendita di posizione oggettivamente c’era e c’è ancora, il suo sfruttamento spregiudicato c’è anche stato, ma quello della rendita di posizione non può che rappresentare un mezzo, piuttosto che un fine. Altrimenti si sarebbe fermato appena prima di giungere alla rottura. La rottura ha infatti posto fine anche alla sua rendita di posizione nel governo. La rottura invece è stata fortemente voluta e perseguita da Renzi, fino al punto di esporsi al ridicolo, come nel caso del Ponte sullo stretto. Emerge ulteriormente che la vera strategia deve essere un’altra.

4. Ammesso – si potrebbe obiettare – che una “vera strategia” ci sia effettivamente. Su questo punto, ci sentiamo di escludere che Renzi sia un caso patologico, come qualcuno ha avanzato. Questo nonostante il fatto che la mossa di Renzi sia apparsa effettivamente, a chi la guardi dall’esterno, completamente autolesionista, oltre che catastrofica per il Paese in questo particolare momento.  La personalità di Renzi può senz’altro essere assai disturbante, certi suoi atteggiamenti fortemente antipatici e ripugnanti. Ma qualche logica, in quella follia, deve pur esserci. Una logica che potrebbe non piacerci ma che – se vogliamo fare un’analisi della situazione politica – dobbiamo essere in grado di ricostruire.

Per quel che concerne l’interpretabilità degli intendimenti renziani, possiamo aggiungere che Renzi è quanto mai esperto di comunicazione. Se non è stato chiaro nei suoi intendimenti, fino al punto da sembrar incomprensibile o ridicolo, sospettiamo che dietro ci debba essere una logica che Renzi e gli italvivisti probabilmente non possono esplicitare del tutto. Sembra che siamo in presenza di una di quelle situazioni in cui la pubblica esplicitazione di una certa strategia la farebbe perciò stesso fallire. Un’interpretazione è tuttavia necessaria, se non altro per il fatto che Renzi  stesso è stato il fautore principale della nascita del governo giallorosso (5/09/2019) vincendo le forti resistenze interne del PD. Questo, tra l’altro, è uno dei pochi meriti che gli abbiamo riconosciuto. In un nostro articolo di qualche tempo fa abbiamo esaminato in dettaglio la questione.[1] Va anche riconosciuto, detto en passant, che grazie al governo giallorosso ci siamo risparmiati qualcosa come uno Zangrillo ministro della sanità nell’era del covid. Non ci rimane allora che sviluppare un esercizio interpretativo intorno alla strategia renziana nascosta o seminascosta, per quanto ciò possa comportare il rischio di errori e fraintendimenti.

 5. Veniamo al dunque. Quali sarebbero allora i veri scopi di Renzi e degli italvivisti? Crediamo di non sbagliare ritenendo che l’obiettivo principale di Renzi e di Italia Viva – almeno in questa fase - fosse nient’altro che l’abbattimento dello stesso Giuseppe Conte. È questa, come vedremo, un’esigenza che è venuta imponendosi in nome della stessa ragion d’essere di Italia Viva. In estrema sintesi, Conte doveva essere abbattuto perché stava diventando troppo popolare, stava accumulando troppi poteri (in particolare relativamente al campo della epidemia e al Recovery Fund), avrebbe potuto fondare un suo partito nell’area di centro (i rumor in tal senso si rincorrevano da un pezzo) e avrebbe potuto occupare proprio quell’area politica che Renzi e Italia Viva considerano di loro stretta pertinenza.

Vediamo meglio. Il fiorentino e i suoi compari hanno percepito che Conte stesse diventando man mano più popolare (così emerge effettivamente dai sondaggi), che avesse guadagnato un profilo istituzionale e fosse ormai in grado di muoversi abilmente ed efficacemente, che avesse guadagnato un certo rispetto in Europa, contribuendo anche all’istituzione del Recovery Fund. La imprevista situazione di emergenza dovuta al covid ha poi indubbiamente conferito a Conte una notevole centralità decisionale e ampi poteri. Ma l’opportunità del Recovery, anch’essa connessa al corona virus, è stata senz’altro la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Se fosse stato Conte a gestire la vicenda del Recovery, magari attraverso una “cabina di regia” da lui controllata, la sua centralità e il suo potere avrebbero potuto diventare enormi. Tanto da costituire, secondo Renzi, un vero “pericolo per la democrazia” – proprio così ha dichiarato il fiorentino.[2] Se a questo punto poi Conte, grazie alla sua guadagnata posizione di centralità, avesse anche fatto un suo partito, per Renzi e gli italvivisti sarebbe stata la fine della loro stessa ragion d’essere. Non potevano dunque stare a guardare.

6. La nostra analisi può essere ancora ulteriormente sviluppata con maggiori dettagli. Con il covid ancora imperante per un anno o due, gestendo le risorse del Recovery Fund, Conte, grazie alla sua accresciuta posizione, avrebbe potuto  costituire un suo partito capace di attrarre moderati, ex M5S - essendo lo sfaldamento del M5S non improbabile -, e di rosicare qualcosa anche al PD. Insomma, Conte si sarebbe trovato nella possibilità di costruire una posizione di centro relativamente nuova, diversa da quella del centrismo tradizionale. Una posizione di centro di tipo europeista, capace di fare barriera alla destra sovranista e al populismo più sguaiato. Insomma, Conte avrebbe avuto la possibilità di evolvere politicamente e di presentarsi come il nuovo Macron italiano, capace di federare un’ampia e composita maggioranza liberal progressista, europeista, comprendente LEU, il PD, buona parte dei cespugli della sinistra più il voto di opinione moderato, compresi anche magari ambienti religiosi filo papa Francesco.

Qui deve essere scattato l’allarme. Questo progetto, che abbiamo appena succintamente delineato, è infatti da sempre proprio il progetto di Renzi e di Italia Viva. Questo progetto costituisce il motivo fondamentale per cui Renzi e i renziani hanno lasciato il PD. Renzi sta impersonando da un pezzo, almeno nelle intenzioni, le petit Macron che aspira a fare in Italia quello che Macron ha fatto in Francia. Costruire un’ampia aggregazione moderata al centro isolando la destra populista e sovranista. È chiaro che, per un simile progetto, occorre essere disposti a sfasciare le forze politiche esistenti, puntare sulla dissoluzione del M5S, del PD e anche di Forza Italia, parte della quale potrebbe rientrare in un’orbita renziana.  Correttamente, alcuni del PD hanno ricordato le dichiarazioni di Renzi secondo cui egli avrebbe fatto fare al PD la stessa fine che Macron ha fatto fare ai socialisti francesi dai quali proveniva (cioè ridurli ai minimi termini). Il progetto renziano non è solo quello di fare un partitino liberal progressista di centro, ma quello di distruggere il PD, dividere il M5S e raccattare tutti i disponibili intorno a un’alleanza contro la supposta minaccia sovranista e populista. E qualcuno si domanda perché molti ce l’hanno con Renzi.  Tutto ciò sembra riprendere alla lettera il noto principio di Laclau – Mouffe (che noi ci guardiamo bene dal condividere) per cui, in politica, ci si unisce solo e sempre contro qualcuno.[3]

7. Se la nostra analisi è corretta, allora tatticamente quello attuale non poteva che essere il momento giusto, davvero il tempo debito. Attendere un ulteriore inevitabile rafforzamento di Conte avrebbe potuto pregiudicare del tutto il progetto renziano e vanificare la ragion d’essere stessa di Italia Viva. Renzi è dunque uscito dal governo Conte non per i limiti del governo Conte (che pure c’erano) ma per il suo relativo successo, diciamo pure per la posizione che Conte si stava guadagnando nel Paese e in Europa. Anche in relazione al Recovery Fund. E soprattutto, per l’ulteriore successo che avrebbe potuto ottenere in vista della costituzione di un suo partito di centro.

In questa sua brutale mossa tattica, Renzi è erede di una vecchia tradizione italica (saremmo tentati di riferirci qui alla sua origine fiorentina…) per cui se vien fuori qualcuno che può diventare troppo in gamba o troppo potente conviene abbatterlo. Bisogna farli fuori subito, finché sono piccoli. Dopo, sarebbe troppo tardi. Si badi bene che ciò non conferisce a Renzi una particolare dose di grettezza morale: gli altri politici fanno, da sempre, esattamente la stessa cosa. Anche i cinquestelle, che pure sono relativamente nuovi alla politica, hanno imparato molto rapidamente questa prassi disdicevole. Certo, Renzi in questo campo è un vero professionista.

8. Ci sia permessa qui una digressione di pura teoria. La tecnica dello sgambetto preventivo, peraltro ben nota a coloro che provengono dalle formazioni grandi o piccole della sinistra parlamentari o extra parlamentari, oltre che immorale è ovviamente il veleno peggiore che possa inquinare la politica e allontanare i cittadini dalla partecipazione e dai partiti. È una pratica che favorisce la formazione di bande concorrenti dotate di capipopolo che confliggono tra loro, senza risparmio di colpi, per il mero potere. Anche qui la teoria di Laclau - Mouffe descrive perfettamente questa follia. Qui sento insorgere gli estimatori di Carl Schmitt e della politica rude, coloro che sono usi esaltare la dura arte machiavellica della politica, che sarebbe poco adatta alle anime belle e che sostanzialmente si collocherebbe al di là del bene e del male. Più che di politici rudi e artisti machiavellici ci pare però che qui si tratti piuttosto di veri e propri banditi, capaci di trasformare la società intera in un campo di battaglia, in un cumulo di macerie, pur di perseguire i loro scopi. In una situazione simile, al cittadino comune altro non resta che scegliersi un capobanda e mettersi sotto la sua protezione. Noi, che senz’altro siamo all’antica, pensiamo ancora che la politica sia un’altra cosa.

9. Se l’analisi che abbiamo sviluppato è corretta, si scioglie come d’incanto l’apparente incomprensibilità della scelta tattica di Renzi. Ma più in generale, cosa vuole Renzi da questa crisi, come si muoverà? A Renzi e ai suoi, in effetti, non interessa particolarmente uno specifico esito dell’attuale crisi di governo. Interessa per ora solo l’esito, in senso negativo, di aver fatto fuori Conte. Ogni altra soluzione per arrivare alla fine della legislatura può andargli bene. Per questo si è permesso il lusso – nella situazione in cui si trova il Paese – di promuovere una crisi al buio. Il suo riposizionamento lo ha già ottenuto mettendo Conte fuori gioco. Naturalmente Renzi spera, in termini tattici, di potere mettere ulteriormente a frutto la sua rendita di posizione anche nelle trattative per la formazione del nuovo governo.

Quanto alla crisi al buio, Renzi – che conosce bene i suoi simili – dà per certo che non si andrà al voto, per via dell’istinto di conservazione dei singoli parlamentari che, grazie alla riduzione del numero, rischiano seriamente di non essere più rieletti. A Renzi potrebbe andar bene soprattutto un governo con un primo ministro diverso da Conte o anche un governo tecnico di qualsiasi tipo. Potrebbe forse (qui bisognerebbe però entrare nella psiche renziana) spingersi fino a sostenere (da dentro o da fuori) un Conte III, con un Conte però, a questo punto, comunque bastonato e ridimensionato (avendo mostrato che il futuro centro è di Renzi e non si tocca). Potrebbe forse anche dare un appoggio esterno a un governo di centro destra. Lo scopo di Renzi allora non è tanto quello di costituire un nuovo governo rafforzato, capace di superare le lentezze e le incertezze del governo precedente – come va continuamente ripetendo – quanto di avere un governo indebolito, intanto le eventuali colpe potrebbero sempre essere riversate sugli altri. Qualunque buongoverno in cui Renzi non avesse un ruolo centrale farebbe ombra alla causa renziana.

È chiaro a chiunque però che, quando si gioca in questo modo cinico e spericolato sulla pelle del Paese, qualcosa potrebbe anche andare storto. Condividiamo senz’altro che tra i parlamentari nessuno voglia veramente andare a casa (compresa la destra, che pure chiede le elezioni tutti i giorni). Tuttavia le variabili in gioco sono molte e l’illusione di controllarle tutte può anche fare brutti scherzi. Ci potremmo effettivamente trovare con un governo tecnico in attesa di elezioni senza che nessuno lo abbia veramente voluto. Cosa che in tal caso pagheremmo tutti ancora una volta: in Italia sono questi i veri costi della politica.

10. Su chi potrebbe contare Renzi per il suo progetto a medio termine da petit Macron? Si tratta di un progetto dotato di qualche chance o di un progetto totalmente irrealistico? Intanto Renzi, con le sue dimissioni dal governo, ha costretto Conte a esplorare – anzitempo e sotto la foga dell’urgenza – la possibilità di costituire quel partito di centro che, come abbiamo visto, è in realtà il segreto obiettivo di Renzi. La scommessa di Renzi è che – allo stato attuale - questo centro non sia possibile senza il suo apporto. Tranne rari casi, per ora in effetti i “responsabili” non sono proprio venuti fuori. Sebbene sia una cosa strana vista la fame atavica di sottogoverno e la spregiudicatezza che caratterizza quell’area. Non è detto che non stiano aspettando qualcosa di più solido per decidere. Lo si vedrà a giorni, se si darà l’avvio alle consultazioni per un Conte III.

11. Val la pena tuttavia di considerare anche e soprattutto su quali forze politico sociali potrebbe basarsi il progetto renziano. Si tratta qui di mere ipotesi, ma non campate del tutto per aria. Le critiche spregiudicate (e spesso pretestuose come s’è detto) di Renzi a Conte hanno raccolto anche un certo consenso. Nel nostro Paese ci sono diverse forze che ora stanno a guardare e che potrebbero, nell’ipotesi, saltare (nuovamente) sul carro di Renzi. Basta guardare la maggior parte della stampa schierata da sempre contro Conte o per lo meno fredda nei suoi confronti. Del resto dietro a Conte c’è l’imbarazzante eredità grillina che le élite politiche ed economiche del Paese non hanno ancora digerito. Queste forze hanno tutto l’interesse a togliere dalle mani dei grillini i soldi del Recovery e ad allargare ulteriormente il debito pubblico con il MES. Pur di mettere le mani sui soldi del Recovery e del MES può valer la pena di far saltare un governo. Anche in tempi di pandemia. Denaro che circola, affari che fioriscono. Alla faccia delle riforme e della salute pubblica. Renzi, consapevolmente o meno, sta facendo a queste forze un gran servizio. 

Conte (con dietro i grillini e con l’appoggio di quel che resta della sinistra), pur con il suo oggettivo moderatismo, dà tuttora fastidio a certi poteri che amerebbero al governo qualcuno decisamente più malleabile e meno rigorista. Si veda ad esempio la questione delle concessioni autostradali. Oppure le questioni relative alla riforma della giustizia. Conte e i grillini non sono del tutto allineati, o non lo sono ancora, con i grandi interessi che muovono la finanza e l’economia. Togliere il Recovery dalle mani di Conte può essere per costoro un obiettivo da perseguire, magari anche al prezzo di dover poi invitare tutti al banchetto (che sarebbe poi il governo di unità nazionale).

Conte rappresenta poi il governo delle restrizioni anticovid. Il governo dei decreti che interferiscono nella vita privata e, soprattutto, con il mercato. Questo fatto può richiamare qualche profonda antipatia, soprattutto da parte di quelle innumerevoli categorie che, secondo una logica miope, autolesionista e omicida, avrebbero voluto meno restrizioni. Liberi tutti “nel rispetto delle misure di sicurezza”. Quelli che tutti i giorni in televisione fanno, con risentimento, l’elenco del “fatturato” che hanno perduto, mettendo bellamente da parte, come se non ci fosse, una media di 500 morti al giorno. Si noti che Renzi si è guardato bene dal criticare la cosa effettivamente più criticabile del governo Conte II e cioè l’incerta e fallimentare politica sul covid.[4] La crisi di Renzi non è certamente avvenuta sul fatto oggettivo che il governo non ha saputo evitare la seconda ondata. L’unica critica renziana al governo, in questo campo, ha riguardato la mancata apertura delle scuole. Renzi, in campo covid, è decisamente un aperturista, come la stragrande maggioranza della destra. Se “Milano non si ferma”, Renzi neppure. Intanto prima o poi bisogna morire.

12. Alla nostra ricostruzione se ne potrebbe contrapporre un’altra, abbastanza speculare, nella quale tuttavia Renzi potrebbe comparire come un salvatore della Patria dal pericolo di un governo autoritario, incapace e inconcludente. Poniamo pure che Renzi, dopo aver stimolato la nascita del governo giallorosso (5/09/2019) quando era ancora dentro al PD e dopo avere, appena dieci giorni dopo, compiuto la scissione dal PD (18/9/2019), abbia in un primo tempo sinceramente e validamente sostenuto Conte nella sua attività di governo. Poniamo pure che, col passar del tempo, Renzi si sia accorto della totale incapacità di questo governo di affrontare e risolvere i gravi problemi del Paese e poniamo pure che, inascoltato, abbia fatto presenti le diverse questioni non risolte o mal risolte, senza ottenere risposte risolutive e convincenti. Insomma, poniamo che Renzi, alla prova dei fatti, sia giunto a concludere suo malgrado che il Conte II (di cui Italia Viva faceva parte) fosse addirittura un governo dannoso per il Paese. Egli avrebbe allora deciso stoicamente di affossarlo senza mezzi termini – usando certo magari anche la sua rendita di posizione. Lo scopo esplicito sarebbe stato tuttavia quello di formare un nuovo governo, più lungimirante, più capace, dotato di un programma e di una base parlamentare tale da arrivare con successo a fine legislatura. L’uscita dal governo di Italia Viva rappresenterebbe dunque un sacrificio per il bene del Paese. Si ricordino i peana per le ministre che si sono dimesse. Questa è praticamente la narrazione quasi ufficiale di Renzi. La ricostruzione tuttavia non tiene. Tolti di mezzo i “pericolosi” incapaci (PD e M5S), si tratterebbe di costruire ora - ahimè sempre con gli stessi! - un governo all’altezza della situazione, magari seguendo le indicazioni renziane. Il lettore giudichi quanto possa essere credibile questa narrazione.

La narrazione filo renziana non spiega alcuni fatti evidenti. Gli eventi sono precipitati solo a partire dalla messa a disposizione del Recovery Fund e non sulla gestione dell’epidemia. Pazienza per i morti, ma il Recovery Fund proprio non si poteva digerire. La crisi promossa da Renzi non è stata accompagnata da una proposta specifica di nuovo governo, migliore del precedente, ma è stata una vera e propria crisi al buio, decisamente poco congrua con l’intento responsabile di migliorare la compagine di governo. Il fatto è che la base parlamentare rimane sostanzialmente la stessa. Con i numeri e gli schieramenti di questa legislatura è difficile pensare a una maggioranza parlamentare sostanzialmente diversa. Se si trattava solo di togliere qualche ministro giudicato debole o incapace, sarebbe bastato un tranquillo rimpasto o una crisi pilotata con una trattativa e con l’accordo preventivo tra i partiti coinvolti. Forse non si trattava allora di sostituire soltanto qualche ministro, di migliorare l’azione di governo: l’obiettivo era proprio il manovratore e la strategia ultima era del tutto inconfessabile.

13. Proviamo ora a dare uno sguardo al futuro, per quanto rischiosa possa essere una simile operazione. In occasione dell’elezione prossima del Presidente della Repubblica, nella strategia di Renzi non può ovviamente che prospettarsi un gioco del tutto analogo a quello messo in atto nel caso Conte. Forte del fatto che i suoi piccoli numeri potrebbero diventare importanti nel determinare il veto a certe candidature, oppure nel favorirne altre. Eliminato Conte dallo spazio del centro, o comunque dopo averlo indebolito, Renzi potrebbe a questo punto, magari con un Presidente della Repubblica non ostile, poiché eletto grazie anche ai suoi buoni auspici, riprendere a portare avanti il suo progetto da petit Macron.

Il M5S, ora privato di Conte, o comunque indebolito, sarebbe avviato verso la più totale insignificanza politica e metterebbe un bel po’ di voti in libera uscita. Il PD – dati anche i suoi numeri – difficilmente potrebbe ricompattarsi e trovare una nuova identità e un nuovo progetto politico. Si ritroverebbe esattamente a terra come all’indomani delle ultime elezioni (qualcuno si ricorda della incredibile segreteria Martina?). In caso di elezioni, con la riduzione del numero dei parlamentari, diventerebbe assai probabile una vittoria elettorale delle destre. A questo punto, in campagna elettorale, Renzi potrebbe aspirare a soffiare sulla paura della vittoria della destra per aggregare un bel po’ di voti sotto il suo ombrello, dando magari una ripulitura moderata, giovanile e tecnologica al programma – intanto gli italiani “progressisti” hanno la memoria corta e amano decisamente i salvatori della patria. Una volta si parlava di “partito della Nazione”. Un simile progetto – lo confessiamo – qualche appeal per il grande pubblico potrebbe anche averlo. Sempre meglio che fare la fine del PD e del M5S.

Renzi in questo progetto trascura tuttavia un punto che a noi pare decisivo: che non siamo in Francia. Macron ha vinto anche grazie al sistema elettorale a doppio turno. È davvero difficile che in Italia si riesca – data la frammentazione politica esistente – a introdurre un sistema elettorale a doppio turno o qualche tipo di premio di maggioranza. Si andrà probabilmente a votare col rosatellum (o qualcosa di simile) che è praticamente un proporzionale. Il Renzi post - elettorale si troverebbe così comunque a capeggiare un piccolo partito e si troverebbe nuovamente a dover stare dentro a una qualche coalizione, cosa che, a quanto pare, non gli riesce proprio tanto bene. Non possiamo ipotizzare come egli ritenga di risolvere questo spinoso problema.

14. In questa lucida follia renziana, in questa gravissima crisi politica e istituzionale completamente al buio, bisogna ammettere che il grande assente è il PD. Val però la pena di ricordare che Renzi è stato segretario del PD con una maggioranza bulgara per un lungo periodo, a partire dal dicembre 2013 fino al marzo 2018. Tutto il tempo per lasciare davvero un’impronta indelebile. C’è stato un lungo periodo in cui tutti (o quasi) quelli del PD erano ferventi renziani o renziani di convenienza. La gran parte dei parlamentari odierni del PD è stata messa in lista proprio col consenso di Renzi. La cultura politica dell’attuale PD è, mi si permetta la battuta, renziana senza Renzi. Cioè vuoto pneumatico. Il PD è un po’ come l’Impero romano che è andato perdendo progressivamente le sue province. Il PD ha avuto recentemente due principali scissioni, quella diciamo così “a sinistra” di Articolo 1 (25 febbraio 2017) e poi quella “a destra” di Italia Viva (18 settembre 2019). È difficile qualificare in qualche modo quel che è rimasto e che costituisce il PD odierno. Nel primo periodo della segreteria Zingaretti (durante il governo gialloverde) il segretario aveva ammesso, a parole, che il PD aveva urgente bisogno di una rifondazione della sua cultura politica e del suo programma. Non se ne fece nulla e subito dopo il PD ebbe l’opportunità di entrare nel governo e di concentrarsi così sul Palazzo. Ho già svolto in altra sede svariate analisi sull’infelice natura del PD come soggetto politico.[5] Un partito che ha totalmente rinunciato alla presenza politica sul territorio, ove svolge ormai solo più la funzione di comitato elettorale dei candidati di turno. Un partito che è inchiodato al 15-20%. Un partito che sta perdendo una dopo l’altra le amministrazioni locali. Un partito che, pur stando al governo, riesce a risultare totalmente invisibile. Un partito chiuso nei palazzi romani, per di più con un segretario a mezzo tempo.  Il progetto renziano di disfare il PD ha avuto, e avrà ancora, come più grande alleato inconsapevole proprio il PD stesso. 

15. Se la nostra analisi è corretta, l’attuale crisi indotta da Renzi, anziché stupire, può essere invece collegata a qualcosa di ben noto e familiare. Sul piano storico può essere considerata come una tarda manifestazione dell’innumerevole serie di divisioni, scissioni, spaccature che hanno caratterizzato la sinistra nel corso della sua storia. Non a caso si celebra in questi giorni la scissione di Livorno del PSI e la nascita del PCI. Una lunga storia di scissioni che – forse - in origine aveva delle profonde ragioni di cultura politica, ragioni ideologiche ben radicate nella storia e nella società delle varie epoche. Col passar del tempo il vizio delle scissioni è proseguito imperterrito. Alle ragioni ideologiche sono subentrate motivazioni sempre meno ideali e sempre più caratterizzate dalla mera lotta di potere, oggi per altro ridotta – come si è visto - sempre più a scontro personale tra i vari “partiti del leader”.[6] O, peggio, partitini.

Renzi non è dunque un mistero incomprensibile.  Un disegno ce l’ha. Un disegno che, per ovvi motivi, non è del tutto esplicitabile.  È a quanto pare disposto a perseguirlo fino in fondo, a qualunque costo. Anche in un Paese ridotto allo stremo, con tutta la popolazione da vaccinare, col coprifuoco e cinquecento morti al giorno. Se non è del tutto incomprensibile, il disegno di Renzi, dopo averlo compreso, non può che essere valutato come senz’altro pericoloso, almeno a nostro modesto avviso. Renzi è magari un abile manovratore, ma molto pericoloso. Non sono certo i vari Di Maio o Zingaretti che possono impensierirlo. Conte, al momento, rappresentava per lui la sua minaccia più temibile, il suo avversario potenzialmente più forte. Si tratta di vedere se Conte riuscirà a difendersi dall’attacco e a costringerlo nell’angolo. O se invece sarà costretto a capitolare. Saremo costretti allora a diventare tutti “contiani” per causa di forza maggiore? Per salvarci da Renzi? Il PD, visto il nulla politico che attualmente lo contraddistingue, pare sia già diventato “contiano” da un pezzo. Sennò, tutti in ginocchio da Renzi, a implorarlo di salvarci dal tracollo sovranista e populista. 

Giuseppe Rinaldi (25/01/2021)

 

OPERE CITATE

2016 Calise, Mauro, La democrazia del leader, Laterza, Bari.

 2018 Mouffe, Chantal, For a Left Populism, Verso, London.  Tr. it.: Per un populismo di sinistra, Laterza, Bari, 2018.

2021 Ricolfi, Luca, La notte delle ninfee. Come si malgoverna un'epidemia, La nave di Teseo, Milano.

 

NOTE


[1] Cfr. il mio articolo Le elezioni di Salvini, … e quelle di Zingaretti. Finestre rotte: Le elezioni di Salvini, … e quelle di Zingaretti .

[2] Lo screditamento dell’operato del governo Conte ruota intorno alla questione dell’accentramento di potere.

[3] Mi riferisco alla scuola politologica di Laclau - Mouffe. Potrebbe essere definito, secondo la politologa, come populismo di sinistra. Si veda in proposito il mio saggio Populismi, ircocervi e sarchiaponi. Finestre rotte: Populismi, ircocervi e sarchiaponi .

[4] Su questo punto mi rifaccio all’ottimo Ricolfi 2021.

[5] Cfr. il mio saggio Ridendo e scherzando sul blog Finestrerotte. Finestre rotte: Ridendo e scherzando

[6] Si veda in proposito Calise 2016. Si veda eventualmente la mia ampia recensione al volume di Calise sul blog Finestrerotte. Finestre rotte: La democrazia del leader .