1. La recente ondata di scandali sta inducendo l’opinione pubblica a interrogarsi, per l’ennesima volta, circa la recrudescenza dell’illegalità nel nostro Paese. Ciò accade tuttavia in un quadro in cui, stando alle statistiche, la criminalità, e in particolare la criminalità violenta, sta progressivamente diminuendo. Gli scandali recenti non riguardano tanto la criminalità comune, quanto le sottospecie dei crimini commessi dai pubblici ufficiali e dei crimini societari, con connessioni non infrequenti con la criminalità organizzata. Per brevità parleremo di crimini relativi a malavita, politica e affari (M&P&A). Sembra effettivamente che nel nostro Paese questi crimini siano in forte aumento. Nel recente rapporto della Corte dei Conti, relativo al 2009, si segnala che le denunce alla Guardia di Finanza per corruzione sarebbero aumentate del 229%, mentre i reati di concussione sarebbero aumentati del 159%. Il Corruption Perceptions Index ci ha collocati, sempre per l’anno 2009, al 63° posto (esattamente tra la Turchia e l’Arabia Saudita). In effetti questi dati indicano che qualcosa di grave sta accadendo e invocano una qualche spiegazione. Perché proprio in Italia? Perché proprio questo tipo di crimini? Si tratta di un fatto nuovo o dell’emergere di una realtà perdurante?
La mia opinione è che non
si tratti di un problema nuovo, bensì di un problema strutturale, legato
profondamente ai trascorsi storici del nostro Paese, legato in particolare alla
configurazione che hanno assunto, nel nostro Paese, i due terreni principali
ove prosperano le consorterie M&P&A, ovvero lo Stato e il mercato. L’Italia
infatti è un paese dove non hanno mai funzionato bene né lo Stato, né il
mercato.
2. Il malfunzionamento dello Stato italiano è noto da tempo e
può essere sintetizzato con il titolo di un noto studio di Scoppola, La Repubblica dei partiti. Si tratta di
uno Stato nato dal fascismo senza una vera e propria epurazione e dove spesso
la continuità ha prevalso sulla discontinuità, dove la mediazione partitica ha
sempre avuto un ruolo fondamentale, fino a sostituirsi allo Stato stesso. All’occupazione
dei partiti ha fatto da pendant una
burocrazia conservatrice, priva di ogni capacità di innovazione e priva di un
rapporto diretto con il paese reale. Le Istituzioni sono state viste dai
partiti più come terreni da occupare che come elementi di una nuova identità
repubblicana. Le culture politiche dei principali partiti hanno spesso alimentato
l’anti-statalismo e i partiti di massa hanno sempre considerato i loro elettori
più come a un gruppo di interessi che
come cittadini. Non a caso nel nostro
Paese è stato inventato il termine “lottizzazione” per indicare la spartizione
sistematica dei posti di potere in funzione del peso elettorale di ciascun
partito, o di ciascuna corrente. Questa situazione ha prodotto una condizione cronica
di inefficacia e inefficienza della Pubblica Amministrazione e ciò ha, a sua
volta, alimentato la tradizionale diffidenza dell’italiano medio nei confronti
dello Stato.
3. Anche il malfunzionamento del mercato nel nostro Paese è
noto da tempo. È stata spesso lamentata la mancanza di un ceto imprenditoriale
dotato di una qualche solida tradizione e di una responsabile etica degli affari. Nel nostro Paese si
è formato un ceto imprenditoriale raccogliticcio caratterizzato dalla diffidenza
verso il mercato – eredità tipica dell’epoca fascista – e dall’abitudine a
ottenere aiuti e privilegi sotto varie forme da parte dello Stato. Per decenni
si è avuto nel nostro Paese uno sviluppo drogato attraverso gli aiuti statali e
la crescita del debito pubblico; di conseguenza la maggior parte delle imprese a
lungo andare non ha retto al confronto con la concorrenza straniera. In seguito
alla scomparsa dell’Italia industriale[1]
si è assistito alla progressiva finanziarizzazione dell’economia. L’attività
finanziaria ha preso il sopravvento sulle attività produttive, creando quel
perverso meccanismo del denaro che pretende di produrre infinitamente denaro.
Al già debole ceto imprenditoriale si sono così sostituiti gli avventurieri
della finanza, capaci di costruire rapidamente grandi fortune, ma continuamente
bisognosi di appoggi nei partiti, per manipolare le regole del gioco, e di
connivenze con la malavita per le faccende più sporche.
4. La debolezza dello Stato, prigioniero dei partiti, e il
soffocamento progressivo del mercato e della concorrenza hanno generato un
sistema di illegalità generalizzata capace di mantenersi e accrescersi
costantemente. Come nella favola di Carroll, anche quando crediamo di star
fermi, in realtà stiamo regredendo.
5. Ciò continuerà ad accadere finché, nel nostro Paese, Stato
e mercato non riusciranno a trovare una loro giusta collocazione reciproca.
Spesso infatti ci si dimentica della natura potenzialmente criminale dell’attività
economica che è mossa dall’interesse individuale e che è portata a invadere
ogni campo e a infrangere ogni regola[3] (nella storia, in effetti, ogni regola
giuridica e morale è stata infranta in nome del profitto). Per convincersi del
potenziale criminale intrinseco all’attività economica basti pensare alle
manovre finanziarie che hanno scatenato l’attuale crisi internazionale. Nel
nostro piccolo, un esempio tipico è costituito dallo scudo fiscale: gli scudati
possono essere interpretati come dei criminali esportatori di capitale all’estero
in violazione delle leggi vigenti, oppure come dei salvatori della patria nel
momento del bisogno. Ancora nel nostro piccolo, chi produce una costruzione
abusiva contando sul condono edilizio può essere considerato un pericoloso
criminale distruttore di beni pubblici, oppure un accorto operatore economico
che sa il fatto suo. L’attività economica si muove sempre lungo confini
pericolosi, ha dunque bisogno di regole certe che distinguano il lecito dall’illecito
e di istituzioni forti che siano in grado di sancire con sicurezza gli illeciti.
In altri termini l’attività economica ha bisogno di Stato. I paesi che hanno
minore corruzione hanno saputo intervenire rafforzando l’autorevolezza, l’efficacia
e l’efficienza dello Stato, incanalando il mercato senza tuttavia soffocarlo.
Hanno saputo evitare gli scogli dell’interventismo, ma anche gli scogli del laissez faire indiscriminato, costruendo
un’interazione virtuosa tra la regolazione statuale e lo sviluppo economico.
6. Uno Stato privo di autorevolezza, inefficace e inefficiente
come quello italiano non lascia sufficiente libertà al mercato, dove e quando
dovrebbe farlo, e interviene futilmente e a sproposito dove e quando non
dovrebbe farlo. Abbiamo così, da un lato, interventi economici dirigistici che
si traducono in sperperi o al più fanno da tappabuchi, senza la capacità di
innestare alcun tipo di sviluppo, alimentando oltretutto il perverso sistema
M&P&A. Dall’altro, l’attività economica è lasciata priva di controlli,
in una situazione di anarchia, e questo non può che moltiplicare a lungo andare
gli illeciti. La moltiplicazione degli illeciti fa sì che gli scandali si
susseguono gli uni agli altri con periodicità sempre più frequente e che si
moltiplichino i danneggiati (siano essi i cittadini onesti che pagano le tasse,
quelli che si sono affidati a Tanzi, o gli Enti locali che hanno comperato i
derivati,…). La presenza di questo Stato – troppo forte e invasivo e troppo debole
nello stesso tempo - ha reso impossibile l’introduzione, nel nostro Paese, di riforme
efficaci per contrastare i processi degenerativi, ma piuttosto ha teso a
perpetuare una logorante situazione di crisi
permanente (ben più grave dell’attuale crisi finanziaria internazionale) e,
conseguentemente, di emergenza permanente,
cui il sistema politico ha tentato di far fronte prospettando improbabili
riforme che non sono mai riuscite a prendere il via (una situazione di riforma permanente che conosciamo
piuttosto bene). Come ha suggerito Ricolfi, da anni stiamo in realtà sperimentando,
in questo Paese, l’arte del non governo.
7. Si dirà: ma sono in fondo gli elettori che stanno alimentando
questa situazione. Gli esponenti della maggioranza rispondono spesso all’opposizione
con il ritornello: “Voi vi lamentate sempre, ma poi perdete le elezioni”. In una
situazione simile a quella che abbiamo delineato è bene ricordare che le
alternative razionali che stanno di fronte all’elettore medio sono
sostanzialmente due.
-Dando per scontato il
degrado progressivo del Paese, scommettere sulla deregulation, pensando di poter essere tra coloro che, in un modo o
nell’altro, ci guadagneranno qualcosa (o perché si potrà fare il lavoro nero, o
perché si potrà andare in ufficio a far niente, o perché si potranno evadere le
tasse, o perché si potrà avere condonato un abuso edilizio, o perché si potrà
pensare di usufruire di favori o raccomandazioni, o perchè si potrà pensare di
vendere il proprio voto, di speculare sulle forniture,…). È chiaro che la deregulation amplifica i comportamenti
economici potenzialmente criminali, abbassa la produttività, destabilizza le
istituzioni e indebolisce ulteriormente lo Stato. Ma questo degrado può essere
considerato come un processo inevitabile: per mal che vadano le cose, si cerca
di galleggiare. In una simile situazione una parte dei cittadini può essere
indotta a utilizzare i servizi delle agenzie criminali che scoprono così nuovi
ruoli e nuove funzioni.
-Non rassegnandosi al
degrado progressivo del Paese, scommettere su una nuova regulation che sia in grado di portare lo Stato all’altezza dei
suoi compiti e che sia in grado di correggere efficacemente le storture del mercato.
Ciò significa potare senza pietà la parte parassita dello Stato interventista e
nello stesso tempo intervenire per potare l’economia illegale e criminale e
stabilire un quadro di regole certe che siano in grado di alimentare uno
sviluppo sano. Tuttavia questa strada richiede che ciascuno sappia rinunciare a
un vantaggio immediato in funzione di un miglior vantaggio futuro. È una strada
che può essere praticata solo in presenza di un elevato grado di fiducia (come
quello, ad esempio, che gli americani hanno accordato a Obama) e in presenza di
una ragionevole aspettativa circa l’efficacia dei provvedimenti, certamente severi,
che dovranno essere messi in programma. Tutte condizioni che non si verificano
nel nostro Paese.
Purtroppo negli ultimi anni coloro che hanno
promesso una nuova regulation si sono
mostrati del tutto incapaci di realizzarla, finendo per alimentare soltanto ulteriore
sfiducia e qualunquismo, e finendo per spingere la maggioranza degli elettori a
giocare la carta più certa della deregulation.
Questo è anche il motivo per cui è vano sperare in un cambiamento politico a
partire dagli scandali.
8. Oggi, in Italia, coloro che chiedono esplicitamente una
migliore regolazione sono in netta minoranza, sia a destra che a sinistra. Da
un lato abbiamo, nella Cdl, la corrente di Fini che ha proposto a più riprese una
serie di interventi per consolidare le istituzioni e per fornire delle risposte
alle esigenze elementari dei cittadini; dall’altro abbiamo l’Idv di Di Pietro
che ha fatto della difesa della legalità il suo campo di battaglia privilegiato.
Si tratta tuttavia di voci che non sono, a tutt’oggi, in grado di proporre un
programma complessivo di riforma dello Stato e del mercato. I due maggiori
partiti, la Cdl e il Pd non sono attualmente in grado di fornire una proposta
solida di regulation. La Casa della
libertà, perché si è sempre presentata come rappresentante degli interessi di
coloro che vogliono lo sviluppo del mercato selvaggio, la deregolamentazione e
l’indebolimento dello Stato e delle Istituzioni. Il Partito democratico, perché
finora non è stato in grado di proporre un modello di regolazione convincente e
fattibile. La causa fondamentale della cronica insufficienza del Pd si trova
nella storia pregressa delle formazioni che lo compongono: esse hanno sempre
privilegiato, sopra ogni altra cosa, la mediazione
politica, non hanno mai saputo identificarsi fino in fondo con le istituzioni
repubblicane, con la difesa della legalità e la valorizzazione del mercato. In particolare,
in campo economico, non hanno mai elaborato una chiara idea dello sviluppo
economico, di come funzioni o non funzioni il mercato e di quali siano le
regole di cui il mercato ha effettivamente bisogno per tracciare una netta
linea di demarcazione tra legalità e illegalità.
9. È abbastanza chiaro che il Paese si è cacciato da tempo in una
situazione senza via d’uscita. In questa situazione la crescita dei reati del
tipo M&P&A è il prezzo amaro che gli italiani devono pagare per avere
scelto in maggioranza la deregulation,
dopo aver fallito clamorosamente nel tentativo di introdurre una regulation efficace. Entrambi gli
schieramenti, maggioranza e opposizione, appaiono oggi completamente appiattiti
a rincorrere le emergenze. In questa situazione solo una catastrofe economica e
politica – con macerie enormi e visibili a tutti – potrebbe distogliere il
nostro sistema politico dal circolo vizioso dell’inconcludenza. Ma non è detto
neppur questo. In questo Paese è sparita da tempo la capacità di imparare dai
propri errori.
NOTE
[1] L’espressione è di Luciano Gallino.
[2] Le recenti rivelazioni ai giudici del figlio
di Ciancimino – se fossero confermate - vanno ben oltre questo quadro, di per
sé già abbastanza inquietante.
[3] Cfr., a questo proposito, Loretta Napoleoni,
Economia canaglia. Il lato oscuro del
nuovo ordine mondiale, ilSaggiatore, Milano, 2008.