venerdì 7 giugno 2013

L'ipocrisia delle riforme istituzionali

 

1. Peggio di così non poteva andare. I partiti dell’attuale maggioranza – senza essere d’accordo su niente – hanno intrapreso un incertissimo processo di riforma istituzionale (che dovrebbe riguardare nientemeno che la nostra forma di governo). Oltretutto, i dettagli del procedimento di revisione costituzionale previsti dal DDL appena approvato, che prevedono l’avvicendamento prima della Commissione dei saggi (35 esperti) e poi del Comitato bicamerale per le riforme (la cosiddetta Convenzione dei 40), sono al quanto anomali e farraginosi. Su questo ha scritto autorevolmente Stefano Rodotà.[1] I partiti della maggioranza tuttavia si sono fin da subito messi d’accordo su una sola cosa: la riforma della legge elettorale la faranno dopo. La motivazione è che la riforma della legge elettorale dovrà essere coerente con la nuova forma di governo. Siamo il paese che ha le leggi più incoerenti e questa improvvisa smania di coerenza è davvero sospetta.


2. L’ipotesi che sta dietro a tutto questo è davvero inverosimile e cioè che i problemi che ha il nostro Paese deriverebbero dalla nostra Costituzione e dalla nostra attuale forma di governo. In specifico, l’ipotesi vaga condivisa dalla maggioranza è che per uscire dai nostri guai abbiamo bisogno di un regime presidenziale o semi presidenziale.[2] In realtà, l’incertezza uscita dalle urne del febbraio 2013 non ha nulla a che fare con la nostra attuale forma di governo (democrazia parlamentare), ha invece molto a che fare con la penosa situazione del nostro regime dei partiti e specificatamente: 1) con il carattere populista del principale partito di centro destra; 2) con l’immaturità politica del movimento M5S e 3) con il letterale sfascio del PD, il partito impossibile costituito dai rimasugli correntizi della DC, del PSI e del PCI della Prima repubblica. Più in generale ha a che fare con l’assenza totale, nel nostro Paese di una legge che regolamenti i partiti politici e di una legge che regolamenti il conflitto di interesse. Se vogliamo, possiamo aggiungere l’assenza di provvedimenti severi ed efficaci contro la corruzione e il funzionamento anomalo della nostra macchina giudiziaria.[3] Si tratta di quattro ambiti di riforma legislativa che nessuna delle tre principali forze politiche (PDL, PD, M5S) ha voglia (o, è capace) di affrontare seriamente.


3. Il problema dei costi della politica, con cui si vuol giustificare la revisione costituzionale, è uno specchietto per le allodole[4] e comunque del tutto secondario rispetto ai danni che derivano al Paese dal fatto di non affrontare subito le quattro riforme di cui abbiamo parlato. Certo che i meccanismi di finanziamento della casta politica sono scandalosi, ma i denari risparmiati non servirebbero neppure ad affrontare una sola delle nostre attuali emergenze economiche. La richiesta di riforme per cui occorre la revisione costituzionale (abolizione totale delle province, la diminuzione del numero dei parlamentari e la trasformazione del senato in Camera delle Regioni, presidenzialismo) stanno costituendo in realtà una insperata fonte di legittimazione per l’attuale parlamento, per l’attuale governo (e per l’attuale maggioranza) che, in tal modo, pensa di sopravvivere per altri due anni. Se mettiamo in conto che allo scadere di questi due anni (Berlusconi permettendo) gli attuali parlamentari cercheranno in tutti i modi di continuare la legislatura, ci troveremo poi qualche altro governicchio fabbricato ad arte e possiamo così prevedere di andare a votare con le nuove riforme nel 2017. Pensiero stupendo.


4. Il rinvio a San Maipiù di un aggiustamento urgente della legge elettorale (per eliminarne le distorsioni peggiori, per permettere ai cittadini di tornare alle urne in qualsiasi evenienza, per dare in ultima analisi la parola agli elettori) sta blindando l’attuale maggioranza e ciò è direttamente funzionale 1) ai guai giudiziari del leader del partito di centro destra; 2) allo sfascio del partito di centro sinistra (che deve fare il congresso senza essere d’accordo su niente) e 3) allo zero assoluto del partito di Grillo (quelli dell’apriscatole, ricordate?). Si sta profilando dunque un clamoroso scippo di sovranità nei confronti degli elettori che, in grande maggioranza (almeno nelle intenzioni), hanno espresso una volontà di cambiamento, votando per protesta il M5S e per fedeltà l’immeritevole PD. Per due anni ci dovremo tenere il governo Letta, qualsiasi cosa faccia, pur di non andare a votare col porcellum. Regalando oltretutto allo spregiudicato Berlusconi la libertà di far cadere il governo e andare alle elezioni in qualsiasi momento (a lui il porcellum va benissimo).[5]


5. La centratura intorno alle riforme istituzionali del governo Letta e i prossimi due anni di maggioranza blindata avranno inoltre una serie di conseguenze indesiderate sul piano delle scelte di politica economica del governo. Siccome sulle scelte fondamentali di politica economica i due partiti della maggioranza attuale non sono d’accordo su niente o quasi, tutto quel che possiamo aspettarci – invece delle scelte coraggiose di cui avremmo bisogno (welfare, ammortizzatori sociali, mercato del lavoro, politiche industriali, investimenti in istruzione e ricerca) – è la gestione incolore dell’ordinario, facendoci dire da Bruxelles quel che dobbiamo fare (altro che «Battere i pugni sul tavolo», il «Ce lo chiede l’Europa» sarà l’unica cosa capace di mettere d’accordo PD e PDL). Tanto varrebbe chiedere il commissariamento alla UE o trattare la nostra annessione all’Austria o alla Germania.

 

Giuseppe Rinaldi (7/06/2013)

 

 

NOTE

 

[1] Cfr. l’articolo Uno strappo alla Carta su La Repubblica del 7 Giugno 2013.

[2] Uno dei partiti dell’attuale maggioranza, il PD, in effetti, non ha una posizione esplicita e condivisa sulle riforme istituzionali. Perciò si è dato il via a un processo su cui – a congresso effettuato – il PD stesso potrebbe anche non essere più d’accordo. L’altro partito, il PdL, avendo spesso mostrato, è il minimo che si può dire, uno scarso senso delle istituzioni, non sembra davvero il compagno ideale per un processo di riforma istituzionale.

[3]  Su quest'argomento ha scritto cose egregie Pier Camillo Davigo.

[4] Tecnicamente, si sta cercando di offrire all’opinione pubblica dei contentini simbolici.

[5] Il ricatto di far cadere il governo (rivolto a chi? Alla magistratura? A Napolitano? A tutti i cittadini italiani?) in caso di condanna di Berlusconi da parte della magistratura è stata proferita, direttamente o indirettamente, da diversi esponenti del PDL.