lunedì 31 agosto 2020

L’effetto Tafazzi e la Sinistra “non populista”

 

1. Per la fortunatissima fiction seriale intitolata Continuiamo a farci del male, nata da un’idea originale del compagno Tafazzi nel lontano 1993, il PD e i cespugli della sinistra sembrano seriamente intenzionati a segare l’esile rametto sul quale stanno seduti, con il prevedibile effetto di precipitare a ruota libera e di andare a schiantarsi. Mi riferisco al surreale dibattito che da qualche giorno si è scatenato intorno alla posizione da prendere sul Referendum circa la riduzione del numero dei parlamentari che si terrà tra una ventina di giorni, il 20-21 settembre 2020.

Fino a qualche giorno fa sembrava una scadenza di routine, una decisione praticamente già presa in Parlamento da tutte le più importanti forze politiche e che aveva solo bisogno di una conferma formale da parte dell’elettorato. Ripeto: decisione già presa, con tutti gli eventuali pro e contro e, soprattutto, dall’esito scontato. Il quesito è davvero semplice. Ridurre il numero dei parlamentari da 945 a 600. Non si tratta di una riforma costituzionale complessa. La legge contiene poche righe. Si tratta peraltro dello spacchettamento di una singola vecchia questione, appunto la diminuzione del numero dei parlamentari, della quale nel nostro Paese si discute da decenni e che, in tempi diversi, ha sempre visto una marea di consensi. Soprattutto a sinistra.

2. Ora che l’obiettivo è effettivamente a portata di mano, come al solito, l’effetto Tafazzi ha cominciato a prender mano e hanno cominciato a moltiplicarsi i mugugni, i dubbi, le perplessità, i distinguo, i pentimenti, i cambiamenti di posizione. Costituzionalisti, giornalisti autorevoli, grandi testate nazionali, comici e vignettisti, gruppi politici grandi e piccoli, associazioni politiche e culturali di vario genere, opinionisti a vario titolo hanno cominciato a esprimere le loro riserve, a elencare una serie di catastrofi in cui potrebbe incorrere la nostra democrazia se la legge venisse definitivamente approvata. Si respira nuovamente un’aria di mobilitazione, del tutto analoga a quella del 2016, da «scendiamo in Piazza per difendere la Costituzione» e «difendiamoci contro il subdolo attacco alla democrazia». S’è scoperto all’improvviso, come fosse un colpo di sole, che questa legge, dopo essere stata approvata in Parlamento a grande maggioranza, sarebbe una legge populista che darebbe una mano ai populisti ad affossare la democrazia parlamentare. Così si susseguono, con sempre maggior rapidità, comunicati, prese di distanza, mozioni e così via.

Com’è noto il PD, per sostenere il Sì referendario, ha chiesto in cambio che, contestualmente, venisse approvata anche una legge elettorale che fosse coerente. Si tratta di una richiesta del tutto comprensibile, nonostante questo fatto ricordi il tragicomico combinato – disposto del 2016. È ovvio che la legge elettorale deve essere adattata alla Costituzione e non viceversa. Evidentemente il Covid 19 ha senz’altro ritardato le cose. O forse la difficoltà ad affrontare un argomento spinoso come la legge elettorale ha spinto a rinviare. Ad ogni modo, di nuova legge elettorale neppure l’ombra e ora i tempi sono davvero stretti. Così accade che il PD si mostri sempre più in crisi con il M5S. Entrambi si lanciano reciproche accuse circa l’osservanza dei patti. Mentre scriviamo, a tutt’oggi il PD non ha ancora detto chiaramente quale sarà effettivamente la sua posizione sul Referendum e ha rinviato il tutto a una prossima Direzione che dovrebbe tenersi (forse) il 7 settembre. Proprio in questi giorni, Italia Viva di Renzi ha comunicato che lascerà libertà di coscienza agli elettori e quindi non darà indicazione di voto.

3. Non è facile spiegare questo improvviso rigurgito “anti populista” da parte del PD e della “sinistra genericamente intesa”, visto che questi stanno al governo proprio con i suddetti populisti. E, bisogna dire che - va riconosciuto - stanno al governo perfino con un discreto successo o, per lo meno, senza demerito. Questi scricchiolii intorno al Referendum non paiono dunque elementi occasionali e impongono anzitutto di cercare di comprendere quale sia lo stato delle cose relativo alla attuale alleanza di governo e al suo futuro.

Come ognun ricorderà, la formazione di questa coalizione di governo è stata una scelta difficile e drammatica. È stata tuttavia – almeno a nostro giudizio - anche una scelta saggia, che anzitutto ha permesso al PD di non sparire (nonostante abbia poi subito una grave scissione) e ai piccoli partiti di avere quotidianamente la loro tribuna e qualche posto nel governo. Ha permesso di dare vita a un governo di centro-sinistra, nonostante i “populisti”. Si è trattato di un compromesso ineludibile e necessario che, col senno di poi, si è mostrato anche utile per il nostro Paese. D’altronde la politica decente è fatta anche di compromessi. Se alla caduta del governo giallo-verde si fosse andati alle elezioni, la sinistra avrebbe preso una batosta storica. Lascio poi a chiunque immaginare cosa sarebbe successo se, all’esplosione del Covid 19, avessimo avuto in Italia un governo di centro destra, fresco di una vittoria elettorale e magari egemonizzato da Salvini. Avremmo con ogni probabilità avuto un misto di politiche sanitarie sui modelli di Trump e Bolsonaro, magari in salsa Briatore.

Certamente, l’inserimento della Riforma per la diminuzione del numero dei parlamentari nel programma del governo giallo-rosso è stato anche un prezzo da pagare per poter mettere in piedi la coalizione stessa, visto che il M5S, numericamente egemone, ha sempre teso a sopravvalutare l’importanza di questo obiettivo. Si è trattato tuttavia di un prezzo del tutto innocuo, visto che gli effetti collaterali saranno minimi e considerato che si trattava di un obiettivo tradizionale della sinistra stessa. Va ricordato che la stessa Riforma stava anche nel programma della precedente coalizione giallo-verde: anche in quel caso, fu quello uno dei prezzi che Salvini aveva dovuto pagare per allearsi con il M5S. Si deve dare atto al M5S di essere stato coerente su questo punto, tanto che questo obiettivo referendario ha finito per ricevere il marchio del M5S.

4. Dare una compiuta interpretazione delle attuali frizioni anti populiste dentro alla maggioranza non è separabile dunque da un primo necessario bilancio del governo Conte II e della relativa coalizione. Si poteva pensare, all’avvio della nuova coalizione, che una coabitazione al governo tra M5S e PD avrebbe contribuito a istituzionalizzare il piuttosto selvatico movimento e avrebbe permesso al PD di mettere in mostra la propria maggiore esperienza e lungimiranza politica. Di mettere in luce le migliori qualità del proprio personale politico rispetto a quello, invero piuttosto improvvisato e raccogliticcio, del movimento. Ebbene, purtroppo questo non è successo.

Il M5S – nonostante abbia una forte maggioranza numerica nella coalizione – sembra non aver dato buona prova di sé e in pochi mesi ha perso, nei sondaggi, una buona metà dei propri consensi. Ciononostante, e questo è il fatto davvero notevole, il PD non è cresciuto di un millimetro. Anzi, è andato a imbarcarsi nella scissione renziana. Questo vuol dire ormai con una certa chiarezza che il PD, nonostante la sempre maggior debolezza del M5S, nonostante l’occasione indiretta fornita dalla crisi del corona virus – l’occasione cioè di mostrarsi, meglio di altri, all’altezza della situazione - non è riuscito a crescere. Questo è un fatto oggettivo, non è colpa del populismo, è colpa esclusiva del PD! Il PD sta governando discretamente, insieme a un partito populista sempre più debole e diviso e, tuttavia, non riesce ad aumentare i propri consensi da nessuna parte. E, per giunta, rischia seriamente di perdere le prossime elezioni regionali. C’è evidentemente qualcosa che non va. La conclusione non può che essere la seguente. Il PD e la sinistra “non populista” in senso lato, pur stando al governo, stanno soffrendo soprattutto a causa dei loro limiti intrinseci – limiti che non vogliono o non possono riconoscere.[1] Certo, in una simile situazione di impasse, può essere forte la tentazione di dare la colpa ai populisti! Non par vero sia giunta, col Referendum, finalmente l’occasione per dare loro una bella lezione.

5. Quando non si conoscono e non si riconoscono i propri limiti e non vi si pone tosto rimedio, subentra inevitabilmente l’autolesionismo, che poi è il tema centrale di questo mio articolo. In tema di tafazzismo, la memoria va inesorabilmente al Referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Quello di Renzi-Boschi. Detto in estrema sintesi, la proposta di riforma Renzi-Boschi del 2016, a parte molti suoi limiti intrinseci, è stata pesantemente sconfitta a causa del fatto che si era formato, in un brevissimo lasso di tempo, uno schieramento avverso trasversale che ha visto unite la destra e una gran parte della sinistra; uno schieramento che alla fine aveva il solo scopo di abbattere il governo Renzi. Così Renzi non poteva che perdere. Evidentemente da quell’episodio non s’è imparato nulla.[2] È abbastanza chiaro che sta nascendo nel Paese – lo vedremo nei prossimi giorni – una manovra del tutto analoga, sebbene questa volta ai danni del M5S. Quote importanti della destra non ci metteranno proprio nulla a spostarsi sul fronte del No. O a lasciar liberi i loro elettori che non sono certo simpatizzanti del M5S. A sinistra, stanno venendo a galla le stesse parole d’ordine usate contro Renzi nel 2016: rifiutare la Riforma per difendere la Costituzione e la democrazia. L’obiettivo politico palese è quello di indebolire ulteriormente il M5S più di quanto già debole non sia. Convinti che questo porti migliori destini per il PD e per la “sinistra non populista”.

Dal punto di vista del PD e della sinistra tutto ciò significa – l’abbiamo già anticipato - tagliare il ramo sul quale si è seduti. Si tratta di un colossale errore tattico: non sono i Cinquestelle a essere troppo forti, tanto da dover essere ridimensionati. È il PD e la sinistra che sono troppo deboli, tanto da non capire in quale pasticcio si vanno a infilare. Cercare di affogare quello che ti tiene a galla non pare proprio da considerarsi una strategia intelligente. Questi giochetti di solito fanno male prima di tutto a chi prima se li inventa e poi li mette in pratica.

Oltre tutto, il periodo è particolarmente delicato. Il coronavirus non è ancora finito e ce lo godremo ancora per un bel po’. Poi ci sarà la scadenza delle elezioni del Presidente della Repubblica. Poi ci dovrebbero essere le elezioni politiche. Come pensa il PD e il resto della sinistra “non populista” di arrivare fino alle prossime elezioni politiche (ammesso che si tengano a scadenza) e di vincerle? Vivere alla giornata come si sta facendo non è certo una grande soluzione.

6. Se questo è dunque il quadro politico generale, veniamo ora alla questione più specifica del Referendum. Dopo le vicende della riforma costituzionale renziana del 2016, era prevedibile che per un bel po’ non ci sarebbero stati altri tentativi di riforma costituzionale. Nonostante il fatto che il nostro sistema sia altamente inefficiente e avrebbe bisogno di una molteplicità di interventi. Solo la testardaggine del M5S, oltre alla sua grande crescita elettorale alle politiche del 4 marzo 2018, ha portato al recupero e alla riproposta della norma riguardante la riduzione del numero dei parlamentari. Il M5S grazie alla sua posizione numericamente dominante è riuscita a imporre la sua proposta prima alla destra (quando ha governato con la destra) e poi alla sinistra ora che governa con la sinistra.

Evidentemente, la vittoria del M5S alle elezioni politiche è stato un chiaro indice dell’insofferenza dell’opinione pubblica nei confronti della politica, da lunga data. Se il M5S è riuscito a mandare avanti la proposta, pur tra lo slalom delle diverse coalizioni, è solo perché, nel nostro Paese, la politica è giunta a un livello così infimo di prestazioni che ormai risulta totalmente indifendibile. Non si possono liquidare i Cinquestelle con l’epiteto di populismo e poi non far nulla per curare i mali della politica che generano il populismo. A sentire ad esempio Calenda, Bonino e Della Vedova, sembra che, eliminati i populisti, la politica in Italia si rimetta perfettamente a funzionare. Così la pensano molti altri nella “sinistra in senso ampio”. Secondo costoro, i populisti curiosamente sarebbero la causa e non l’effetto dei mali della politica italiana.

Comunque, populismo o non populismo, questa è l’unica (minimale) proposta di riforma costituzionale che il nostro sistema attuale è riuscita a produrre dopo il 2016. L’unica che è stata portata avanti nel suo lungo iter fino alla fine, con un ampio consenso, per quanto obtorto collo, da parte delle più importanti forze parlamentari. Si tratta del resto di una proposta che storicamente ha sempre avuto ampio consenso proprio nella sinistra. Ebbene, dal nostro modesto punto di vista questa è un’occasione da cogliere al volo. Per il semplice fatto che non si ripresenterà mai più. Ai tempi del Referendum sulla riforma Renzi-Boschi molti oppositori si lamentavano che le proposte di riforma fossero un blocco unico e non spacchettabile. Si diceva che alcuni provvedimenti erano convincenti, altri meno, altri addirittura dannosi. Che bisognava spacchettare le questioni e votarle una per una. Ebbene, qui c’è una micro-riforma che è del tutto spacchettata. Si vota solo su quella. Sarebbe un piccolissimo ma importantissimo segno che la politica nel suo complesso potrebbe dare al Paese: la politica che riesce minimamente a riformare se stessa andando contro i propri interessi di casta.

7. Una volta ammessa e diffusa la pazza idea alla Tafazzi che finalmente bisogna dare il colpo di grazia ai populisti votando No al Referendum, c’è stata la corsa a trovare le motivazioni. Data la disorganizzazione dell’Armata Brancaleone arruolata in fretta e furia, le argomentazioni che si rincorrono sono davvero stupefacenti. Ci sarebbe da ridere, se non venisse da piangere. L’effetto comico deriva soprattutto dal fatto che molti di coloro che ora sostengono il No, o la più totale indifferenza al quesito, si sono trovati, in altre occasioni, a sostenere esattamente l’obiettivo della riduzione dei Parlamentari. Zanda e Finocchiaro che avevano presentato una proposta di legge del tutto simile nella XVIa legislatura ora sono per il No. Il più divertente di tutti recentemente è stato Prodi. Ha dichiarato che secondo lui bisogna ridurre il numero dei Parlamentari, ma lui al Referendum voterà No. Chapeau l’artiste!

8. È comparso recentemente un documento sottoscritto da numerosi costituzionalisti che hanno preso posizione per il No. Il documento è stato prodotto grazie all’iniziativa di Huffington Post e del suo nuovo Direttore, Mattia Feltri. Purtroppo, se si legge il documento, anziché trovarvi osservazioni di tipo tecnico - come ci si potrebbe attendere da un’onorata congregazione di costituzionalisti - vi si troveranno numerose prese di posizione di tipo politico/ ideologico, zeppe per di più di farraginose ripetizioni. Tanto che viene il sospetto che a scrivere il documento sia stato proprio lo stesso Direttore dell’HP e che i costituzionalisti lo abbiano solo firmato, in quanto cittadini, magari anche bene informati, che intendono fare la loro legittima dichiarazione di voto. Beninteso, il mio è solo un sospetto.

9. Prenderò in esame alcune delle argomentazioni dei Costituzionalisti di HP. Secondo i Costituzionalisti dell’Huffington Post, la legge sulla diminuzione del numero dei Parlamentari costituirebbe un attacco populistico al Parlamento e al suo prestigio. A parte il fatto che a diminuire il prestigio del Parlamento ci hanno già abbondantemente pensato i parlamentari stessi, non passa neppure per la testa dei rispettabili costituzionalisti che diminuire il numero dei parlamentari possa pre-costituire le condizioni per un miglior funzionamento del Parlamento stesso. Per i costituzionalisti di HP, pare che la funzionalità del Parlamento stia, ahimè, nel numero. Più sono, meglio è. Secondo questo principio, un bello stadio di qualche migliaio di persone, agitate e vocianti, costituirebbe un Parlamento migliore. Il problema è che i costituzionalisti di HP forse non si sono accorti che questo parlamento così numeroso, così ben rappresentativo, come dicono, proprio non funziona! Anzi, funziona sempre peggio. Dovrebbe essere il mestiere dei Costituzionalisti diagnosticare perché un Parlamento non funziona. Ce l’avete qualche idea comprovata? Riunitevi, fate un bel documento per spiegare, con motivazioni tecniche inoppugnabili, perché il nostro Parlamento attuale non funziona e quali riforme si dovrebbero fare per farlo funzionare meglio. Gli italiani vi sarebbero grati. Purtroppo, non si troverebbero due di voi d’accordo su una sola questione.

Se andiamo alla storia Parlamentare degli ultimi decenni, possiamo dire che abbiamo visto davvero di tutto, dal deputato di nome Cicciolina a tale Antonio Razzi, dal voto su Ruby Rubacuori nipote di Mubarak, a tale Scilipoti, fino ai solerti incassatori di bonus per partite IVA disastrate. Non parliamo poi dell’assenteismo, delle compravendite e dei cambi di casacche; delle sempre più frequenti risse e sceneggiate. I Costituzionalisti di HP non ci dovrebbero spiegare perché il Parlamento, così com’è, è tanto rappresentativo, ma perché così com’è non funziona!! Sono decenni che non funziona! Sono decenni che se ne discute! Se c’è il populismo è perché proprio non funziona e non è in grado di porre uno straccio di rimedio a questa sua disfunzionalità.

10. A parte la valutazione, che è tutta politica, circa l’attacco in atto contro il Parlamento da parte del populismo incalzante, l’altro argomento forte è che, con l’attuale legge elettorale, ci sarebbero delle gravi disfunzioni. Ancora il combinato - disposto. Fatemi capire, cari costituzionalisti di HP: la Costituzione deve dipendere dalla legge elettorale, oppure – più sensatamente - è la legge elettorale che dovrebbe dipendere dalla Costituzione? Il fatto che manchi una legge elettorale adeguata alla nuova situazione che verrebbe a determinarsi è una questione del tutto esterna al quesito referendario. L’elettore in sede costituente deve decidere senza pensare alla legge elettorale che c’è o ci sarà. Sennò sarebbe una buffonata! La logica elementare vorrebbe che sia in realtà sensato decidere prima cosa è giusto scrivere in Costituzione e poi adeguare la legge elettorale relativa. Se si cambierà la Costituzione, il Parlamento dovrebbe ovviamente darsi da fare per cambiare di conseguenza la legge elettorale. Non si può rifiutare di votare una legge costituzionale considerata buona perché si teme che qualcuno poi faccia una legge elettorale cattiva. La questione, davvero sovra esposta, della legge elettorale è comunque una spia ulteriore del malessere del nostro sistema politico, che tanti amano così tanto da voler difendere fino alla morte. In realtà coloro che vogliono vedere prima la legge elettorale lo fanno perché non hanno alcuna fiducia che il Parlamento, dopo un eventuale cambiamento costituzionale, sia in grado di fare una legge elettorale minimamente adeguata. Questa in fondo è la vera ragione dell’immobilismo istituzionale del nostro Paese. Neanche i politici credono più nella capacità della politica di assolvere ai propri compiti elementari. Adeguare le leggi correnti a una eventuale nuova legge fondamentale è proprio uno dei compiti elementari! “Prima vedere cammello!” diceva una nota barzelletta!

11. Nel documento dei Costituzionalisti di HP si insiste alquanto sulla questione della rappresentanza. Secondo loro, diminuire il numero dei Parlamentari significa diminuire la rappresentanza. È chiaro che gli illustri costituzionalisti qui usano la parola “rappresentanza” nel senso del tutto comune. Come se la rappresentanza stesse soltanto nel numero! Più sono, più rappresentano. Ritenere che l’aumento ad libitum del numero degli eletti implichi una sempre migliore rappresentanza è una forma di colossale ingenuità (o di malcelata malafede). Nella democrazia rappresentativa ci sono dei problemi di funzionalità che non sono mai direttamente proporzionali soltanto al numero. Certo, al di sotto di un certo numero la rappresentanza può essere compromessa, ma anche al di sopra. Non c’è un parametro numerico fisso. La funzionalità della rappresentanza va considerata prendendo in considerazione il sistema nel suo complesso. Nel caso italiano è un dato empirico comprovato che il numero attuale dei rappresentanti sia disfunzionale. Non lo dico io. Emerge da decenni di dibattito intorno alla questione e di relative proposte di riduzione che sono state avanzate. I costituzionalisti dovrebbero saperlo, o si occupano d’altro?

12. E poi c’è il rapporto tra i rappresentanti e i loro territori. La parola magica sempre evocata è territorio. Purtroppo, memento per i beneamati costituzionalisti di HP, dalla Rivoluzione francese in poi, i deputati rappresentano la nazione, non i loro rispettivi territori. Il Senato attuale non è una Camera delle Regioni. Non è neppure una Camera federale. È vero che i Senatori sono eletti con una procedura su base regionale, ma i senatori rappresentano la nazione. Nella Costituzione americana (che però è uno stato federale) i senatori rappresentano effettivamente i territori, ma sono 100 in tutto! E pare non si lamentino così tanto di essere così pochi e impossibilitati a lavorare. Quelli che piangono sul fatto che i poveri micro territori, caratterizzati da quale chissà preziosa specificità, poi non possano avere “il loro rappresentante locale in parlamento” hanno purtroppo in mente una cosa soltanto. La solita politica clientelare. A proposito, la mafia è senz’altro contraria alla diminuzione del numero dei parlamentari!

13. Un’altra bordata a vuoto del documento dei costituzionalisti di HP è la considerazione che la riforma lascia inalterato il bicameralismo perfetto. Grazie tante per avercelo ricordato, lo sappiamo! La attuale legge referendaria non intende proprio cambiarlo, visto anche che gli elettori italiani, con il Referendum del 2016, hanno scelto, ahimè, di tenersi il bicameralismo perfetto e tante altre cose disdicevoli insieme. Comunque, cari costituzionalisti, come si fa a criticare e rifiutare una legge non per quel che fa effettivamente ma per ciò di cui non si occupa affatto? Certo, si può dire che si tratta di un intervento che non è bastevole. Che nella nostra situazione – quante volte lo abbiamo sentito questo ritornello - ci vorrebbe benaltro. Ma, signori miei, non ci sono proprio benaltri interventi in vista. Altre riforme costituzionali non ci saranno per un bel po’ – non ci saranno perché la situazione politica non le permetterà. O si prende questa minima riforma o niente. Per questo va valutata e presa per quel po’ che offre, lasciando perdere tutti i possibili benaltrismi.[3]

14. Ma non vorrei neppure che la mia posizione risultasse oltremodo minimalista e riduttiva. È ben possibile il fatto che questa piccola riforma, nata per un concorso particolarissimo di eventi, magari un po’ buttata lì, costringa seriamente a fare delle buone modifiche alla legge elettorale e ai regolamenti parlamentari, introducendo così elementi di miglior funzionalità. Questo sarà possibile ovviamente se le forze parlamentari – che hanno approvato la legge a grande maggioranza – sapranno comportarsi con un briciolo di responsabilità e se sapranno entrare minimamente in uno spirito costituente, nell’interesse di tutti. Personalmente, aggiungo, lo sostengo da decenni, suscitando per lo più sguardi interrogativi e ilari, che sarebbe quanto mai necessaria e urgente una legge per la regolamentazione dei partiti, secondo quanto prescrive la stessa Costituzione all’art. 49. I partiti oggi in Italia hanno meno regole di un Circolo delle bocce. Sono associazioni del tutto privatizzate che spesso non hanno nulla a che fare col ruolo loro assegnato dalla Costituzione. Partiti che sono proprietà privata di singoli personaggi o aziende. Ve li immaginate questi partiti, compresi il M5S, il PD e quelli genericamente “di sinistra”, che fanno una legge per regolamentare se stessi? Se vuoi davvero difendere la democrazia, datti da fare per una bella legge che definisca lo stato giuridico dei partiti. Così il cittadino medio sarà finalmente libero di entrare in un partito senza passare l’esame delle correnti o dei notabili di turno. Questo suggerimento vale anche e soprattutto per le cosiddette Sardine che danno lezioni di democrazia a destra e manca.

15. Sui paventati effetti collaterali della legge in discussione – se qualcuno avesse ancora dei patemi d’animo e dei legittimi interrogativi – posso qui invocare la per me del tutto persuasiva posizione di Vittorio Onida, decano dei nostri costituzionalisti e non firmatario dell’appello di HP. Riporto parte della breve intervista rilasciata da Onida a La Repubblica il 24/8/2020, a cura di Giovanna Casadio e pubblicata online.[4]

(…)

Trecentoquarantacinque parlamentari in meno: è diventato grillino? «È vero che questa è una riforma proposta dai 5 Stelle, e non è che tutto quello che viene dai grillini sia per forza negativo. Ma essendo stata approvata, da ultimo, praticamente all’unanimità dalla Camera, e quindi da tutte le forze politiche in campo, penso che dire No senza una validissima ragione di merito, sia improprio. Il No aggraverebbe il fossato di sfiducia che già c’è tra cittadini e istituzioni».

Per i sostenitori del No, un Parlamento dimagrito funzionerà peggio. «Non funzionerà peggio, anzi potrebbe funzionare meglio se si coglie questa occasione per mettere rappresentanti per ogni Regione, il peso di questi aumenterebbe indebitamente. Oggi le Camere non funzionano bene, con dibattiti spesso ripetitivi in cui, invece di dialogare e confrontarsi sul merito delle proposte, ci si dedica per lo più a polemizzare con gli avversari».

(…)

Quindi quale è la ragione principale del suo Sì? «Sarebbe un atto di estrema sfiducia smentire una riforma approvata praticamente all’unanimità dalle forze parlamentari. Inoltre le presunte conseguenze negative della riforma che vengono oggi agitate, non mi sembrano tali. Non quella della necessità di concentrare il lavoro delle Camere in un minor numero di commissioni o di fare lavorare gli stessi parlamentari in più commissioni. Un Senato di 200 membri può lavorare benissimo».

Nonostante manchino i correttivi istituzionali promessi? «I correttivi non sono indispensabili. Prendiamo la questione dell’elezione del Capo dello Stato. Non mi convince l’obiezione che riducendosi il numero dei parlamentari e rimanendo, nell’assemblea che elegge il Capo dello Stato, tre rappresentanti per ogni regione, il peso di questi aumenterebbe indebitamente. La Costituzione ha concepito il corpo elettorale del Presidente come più ampio del solo Parlamento, trattandosi di eleggere colui che per 7 anni rappresenterà l’unità nazionale».

Ammetterà che al Senato alcune regioni saranno sotto rappresentate. “No. Ci sono, anche oggi, delle differenze fra Regioni perché il Senato è eletto su base regionale, e ogni Regione ha come minimo sette senatori (diventerebbero tre). Quindi il numero di senatori da eleggere non è perfettamente proporzionale alla popolazione della Regione».

Senza una nuova legge elettorale, lo scompenso è però certo. «Quale scompenso? Bene che si discuta di nuova legge elettorale, ma indipendentemente dal Sì al taglio dei parlamentari».

Repubblica si è schierata per il No al referendum, con l’argomento stringente del disequilibrio costituzionale che si verrebbe a creare. Non ne riconosce la buona ragione? “Non capisco l’argomento dello squilibrio costituzionale. Perché un Parlamento meno numeroso, ma con gli stessi poteri, dovrebbe essere meno influente? Non è così. Dipende da come il Parlamento funziona e lavora e dai rapporti tra il Parlamento e gli altri organi istituzionali».

Al referendum sulla riforma costituzionale di Renzi lei votò No. La riteneva più rischiosa di una riforma così parziale, come questo taglio? «Il rischio di una riforma complessiva, e complessivamente negativa, l’abbiamo corso con le riforme di Berlusconi e di Renzi. Entrambe sono state bocciate nei referendum. In entrambi i casi sono stato per il No per ragioni di merito. Certo il bicameralismo paritario merita di essere ripensato. Tuttavia quello attuale è un quesito semplice, cui è più facile rispondere con un sì o con un no. Nei referendum precedenti non c’era possibilità di distinguere tra i vari aspetti».

Gli argomenti di Onida, pur nella loro stringatezza, mi paiono alquanto chiari e distinti e piuttosto persuasivi.

16. Riprendendo ancora qualche altro contributo al dibattito recente, non posso che citare Elisabetta Gualmini, politologa e Vice presidente della Emilia-Romagna, su Huffington Post il 25/08/2020. La Gualmini, intanto, condivide perfettamente un’interpretazione negativa dell’attuale animosità anti populista sbocciata nella sinistra: «Almeno siamo sinceri, non ci sono motivi di merito che spingano a votare No a una riforma marginale, circoscritta e che non ha niente ma proprio niente di pericoloso. I motivi dei dubbi, dei dietrofront, dei “sì, però”, sono tutti politici. Primo fra tutti, l’ossessione di colpire il Movimento 5 Stelle, che ha certamente moltissimi difetti, ma che questa volta ha solo il problema di aver detto cose che noi diciamo da una vita. Battiamolo alle elezioni semmai. In secondo luogo, la voglia di contrapporre il purismo al populismo (noi siamo i paladini delle istituzioni democratiche, intoccabili e immodificabili, così come sono ora) e voi gli urlatori e gli sterminatori della rappresentanza. Anche qui, voglia sbagliata e mal riposta».

Prosegue poi la Gualmini fornendo una piccola ed istruttiva sintesi storica del dibattito sulla questione, che val proprio la pena di riportare: «Sul merito appunto c’è poco da dire. O da aggiungere a quello che stimati costituzionalisti hanno ripetuto in varie sedi (da Ceccanti a Vassallo, da Onida a Fusaro). Il taglio dei parlamentari, anche nelle medesime proporzioni è presente da sempre nelle proposte di riforma del centro sinistra, dalla prima Commissione bicamerale del 1983 alla seconda del 1992, alla terza del 1997. Nel 2005 è stato il turno del centro-destra ad approvare la riduzione del numero di parlamentari e nel 2007 la Commissione Affari costituzionale della Camera si è mossa nella stessa direzione (Bozza Violante). Nel 2012 arriva il Senato a votare il ridimensionamento dei parlamentari sino al referendum del 2016 che è andato come è andato proprio perché, secondo molti quelli che oggi dicono No al taglio, proponeva una riforma troppo ampia e di sistema e non spacchettabile in diversi punti. Cosa che invece oggi è possibile. Il quesito è unico e puntuale. I 945 parlamentari possono essere ridotti a 600? Sì o No. Punto». Conclude la solerte politologa con una domanda: «Perché dobbiamo sempre andare contro, ostinati e contrari, con stizza e con la puzza sotto al naso, al sentimento popolare? Perché farci del male? Io proprio non lo capisco». Davvero difficile darle torto.

17. Vale la pena di fare ancora qualche osservazione aggiuntiva, di carattere tecnico/ politico, sulla funzionalità delle assemblee parlamentari relativamente poco numerose. I sostenitori del No ritengono che assemblee meno numerose avrebbero più difficoltà ad assolvere ai loro compiti. Si ritiene cioè che con la diminuzione del numero dei parlamentari da 945 a 600 il Parlamento non potrebbe che funzionare peggio. Dato il grande carico di lavoro che pesa sui parlamentari in questione. Qui, oltre a una mia bella risata, posso citare Marco Travaglio che ha osservato: «Ridurre i parlamentari – come ha deciso 4 volte il Parlamento, non i suoi nemici, con maggioranze oceaniche (all’ultima lettura 553 Sì, 14 No e 2 astenuti) – non implica affatto il “superamento del Parlamento” (che certo non vuole il M5S, essendovi il gruppo più numeroso) né il “presidenzialismo” (che vuole solo Salvini, isolato da tutti gli altri, inclusa FI). Ma proprio un “rilancio del Parlamento” che, diventando meno pletorico, sarà più credibile, efficiente e funzionale perché composto da eletti meno indistinti e dunque più forti, autonomi e autorevoli. Difendere un’assemblea-monstre di quasi mille persone, di cui un terzo diserta una votazione su tre, due terzi non ricoprono alcun ruolo e solo il 10% assomma più di un incarico, è ridicolo».[5]

Nel nostro Paese, purtroppo, fin dai tempi storici della famosa ammuina, la nozione di produzione è sempre stata strettamente legata al numero. Se togli il numero degli addetti, riduci la produzione. Cosa sia la produttività, quella cosa strana che talora può curiosamente aumentare anche diminuendo il numero degli addetti, nessun lo sa. O fanno tutti finta di non saperlo.

18. Un ultimo punto, che non ho ancora affrontato perché mi pare davvero il meno rilevante: la questione dell’eventuale risparmio conseguente alla riduzione del numero dei parlamentari. Convengo che il risparmio economico conseguito, per quanto non disprezzabile, sarebbe minimale e davvero non decisivo e dirimente. Un Parlamento che funzionasse davvero bene meriterebbe di essere remunerato anche dieci volte tanto. Quello della spesa eccessiva, dovuta al gran numero dei cosiddetti “poltronari” è il vero argomento populista. Argomento decisamente debole. Diciamo pure qualunquista. È un argomento certamente da rifiutare, ma nello stesso tempo da considerare assai attentamente. È un argomento che comprensibilmente si è imposto presso il largo pubblico (si veda la vittoria elettorale del M5S all’inizio della Legislatura) proprio a causa della infima produttività della politica e della pessima qualità media dei politici stessi. Più in generale, a causa dell’assoluto discredito in cui è caduta la politica nel nostro Paese. Quanti Antonio Razzi ci sono ancora in giro?

19. Più in generale, meno seggi disponibili costringeranno i partiti, se non vorranno sparire, a mettere da parte per lo meno i più inetti e i più impresentabili. Se poi si vorrà fare una legge elettorale che elimini le liste bloccate e valorizzi le preferenze degli elettori nella scelta dei loro rappresentanti, sarà ancor meglio. Qui si gioca la rappresentanza, più che sul numero. A proposito, che fine ha fatto il dibattito sulle primarie? E il dibattito sugli sviluppi della democrazia digitale? Lo lasciamo tutto a Casaleggio? E la democrazia partecipativa? E la già citata legge per la regolamentazione dei partiti? Sono tutti temi a proposito dei quali potrebbero utilmente impegnarsi tutti quelli che altrimenti si svegliano soltanto per dire No quando si sta cercando faticosamente di cambiare qualcosa.

Giuseppe Rinaldi (31/08/2020)


NOTE

[1] Su quali siano questi limiti, sono già intervenuto più volte su Città Futura on-line. Non ho spazio qui per argomentare su questo punto.

[2] La mia approfondita analisi sul Referendum renziano si trova sul mio blog Finestrerotte, in un articolo intitolato Cronache marziane del 30 novembre 2016.

[3] Quando stavo chiudendo questo articolo, il costituzionalista Carlo Fusaro ha preso attentamente in esame il documento dei suoi colleghi e ha avanzato obiezioni assai simili a queste mie, sebbene più circostanziate. L’articolo, datato 27/8/2020, si trova su Huffington Post, per chi fosse interessato.

[4] Cfr. https://www.ilblogdellestelle.it/2020/08/il-costituzionalista-onida-per-il-si-al-referendum.html

[5] Cfr. Marco Travaglio, “Taglio dei parlamentari, perché Sì” su Fatto quotidiano del 20 agosto 2020.