giovedì 17 novembre 2011

La tecnica, la politica e lo spettro di Weimar

 

1. Nei periodi di crisi si evidenziano aspetti della realtà politica e sociale che altrimenti sarebbero destinati a restare nell’ombra. Chi osservi quel che sta succedendo sulla scena politica italiana non può far a meno di notare l’aspro conflitto semantico che si è aperto tra tecnica e politica. Nella teoria politica si ritiene, giustamente, che il governo dei tecnici (da cui il termine tecnocrazia) sia incompatibile con la democrazia, perché le scelte che riguardano il bene comune non possono essere demandate a gruppi di esperti, ma devono essere prese da coloro che sono titolati a definire il bene comune e cioè dai cittadini, attraverso i loro rappresentanti. Naturalmente i cittadini e i loro rappresentanti possono ricorrere al consiglio degli esperti (ed è sempre bene che lo facciano) ma l’espressione della volontà non può mai essere consegnata agli esperti. Democrazia e tecnocrazia stanno dunque in antitesi. Ne consegue che, a rigore di logica, in democrazia non esiste il governo dei tecnici: se un governo (quale che sia la sua composizione) ha il consenso dei rappresentanti dei cittadini, esso è, per definizione, un governo politico.


2. La scelta intorno alla quale ci siamo arrovellati in questi giorni non è dunque quella tra democrazia e tecnocrazia. Con l’espressione “governo tecnico” intendiamo in realtà oggi qualcosa di diverso dalla tecnocrazia: intendiamo riferirci a un governo politico come qualsiasi altro (con tanto di fiducia da parte delle Camere) ma interamente composto di esponenti che non appartengono ufficialmente al mondo della politica e che sono scelti soprattutto in base alle loro competenze. Questo particolare criterio di scelta degli esponenti del governo ha una sua ragione di fondo in tutte quelle situazioni in cui, evidentemente, il mondo della politica ufficiale non si mostra in grado di esprimere le competenze necessarie per assicurare un buon governo. Si tratta cioè di quelle situazioni in cui il sistema della politica ufficiale fornisce un rendimento inaccettabile, in cui esso non è più in grado di assicurare la sopravvivenza della società stessa.


3. Ricorrere a esponenti di governo presi al di fuori del mondo della politica ufficiale rappresenta dunque l’ultima spiaggia dei sistemi democratici. Scadimenti dei sistemi democratici di questo tipo non sono impossibili. Si vada, in proposito, a rileggere la storia davvero istruttiva della Repubblica di Weimar. Tutti sanno che la democrazia è un sistema delicato che richiede un’accurata manutenzione e che, se lasciato a se stesso, in balia delle fazioni, degli interessi particolari e della stupidità, può facilmente implodere. Quando, di fronte a problemi gravissimi, di natura interna o esterna, il sistema politico non è più in grado di esprimere soluzioni efficaci, quando non riesce più a identificare e correggere gli errori che commette, quando non è neppure più in grado di produrre un adeguato ricambio, si può facilmente entrare nella fase del non ritorno.


4. È questo purtroppo il caso del nostro Paese. Nel giro di pochi mesi non ci siamo trovati soltanto di fronte a un governo incapace (cosa nota da tempo), ci siamo trovati di fronte a una crisi di governabilità che già si era protratta per anni in forma latente e che è esplosa di fronte alla crisi finanziaria di questa estate. La sfiducia dei mercati nei confronti del nostro debito sovrano riguarda certo l’operato negativo del governo Berlusconi, ma riguarda anche e soprattutto il blocco del nostro sistema politico, l’incapacità del nostro sistema politico di funzionare a un livello appena decente e di far fronte agli eventi. La crisi finanziaria di questa estate si è così saldata con la crisi di governabilità producendo una miscela esplosiva (di cui molti politici, oggi, in Italia pare non si siano ancora effettivamente accorti[1]).


5. I soggetti più responsabili e più consapevoli di questa situazione (in primis il presidente Napolitano) hanno allora proposto e sostenuto un nuovo governo, composto di esponenti non appartenenti alla politica ufficiale, come un governo di emergenza, per far fronte alla crisi dei mercati. Questi stessi soggetti hanno anche ritenuto improponibile un immediato ricorso alle urne, in base a una considerazione facilmente accessibile a ogni persona di buon senso e cioè che le elezioni anticipate, con l’attuale legge elettorale, avrebbero mantenuto il Paese in lunghi mesi di conflittualità e di incertezza dovuti alla campagna elettorale e non avrebbero comunque poi garantito un ceto politico più competente (avremmo avuto, in tal caso, nuovamente un parlamento di  nominati) e neppure una maggioranza solida (infatti l’attuale porcellum, con l’attuale frammentazione delle forze politiche, non garantisce alcuna maggioranza stabile al Senato). Insomma, il ricorso immediato alle urne non farebbe che accentuare la crisi di governabilità in cui ci siamo infilati.[2]


6. A leggere le dichiarazioni di parte politica di questi giorni, è però del tutto evidente come la consapevolezza della presenza di una grave crisi di governance, sia quasi completamente assente, sia nelle fila della maggioranza, sia tra quelle dell’opposizione. Stiamo assistendo a balletti argomentativi di questo genere: il governo Monti dovrebbe essere un governo a breve termine (curiosamente, per fare in breve ciò che la politica ufficiale non è stata capace di fare in lungo!); i membri del governo Monti dovrebbero rinunciare esplicitamente a candidarsi alle prossime elezioni, per non fare ombra ai politici ufficiali. Il governo Monti sarebbe un’ammucchiata e confonderebbe le posizioni politiche che devono invece restare ben distinte (le quali però sono così ben distinte che non sono più in grado di fare nulla). Il governo Monti poi sarebbe un governo costituito di tecnocrati, oppure di uomini della finanza, cioè di quegli stessi che avrebbero causato la crisi finanziaria; esso rappresenterebbe la lunga mano nientemeno che della finanza internazionale, interessata solo a fare della macelleria sociale. Il governo Monti costituirebbe un tentativo anticostituzionale di espropriare il popolo italiano del potere di eleggere i propri rappresentanti, rappresenterebbe addirittura una specie di colpo di Stato contro la Costituzione. Secondo altri ancora, Monti sarebbe addirittura la mano lunga dello straniero, rappresenterebbe cioè il commissariamento da parte di Bruxelles nei confronti dell’Italia e quindi un esproprio della nostra sovranità nazionale.


7. È davvero interessante e significativo che questo coacervo di valutazioni sia stato espresso quasi indifferentemente da esponenti di destra, di centro e di sinistra (compresa la sinistra estrema e i giovani “occupatori”). L’unico tratto comune sembra davvero essere la totale assenza di consapevolezza circa la grave crisi di governance che stiamo attraversando. Per essere chiari fino in fondo, è il caso di sottolineare che, nell’inefficienza globale del sistema politico italiano, hanno una responsabilità rilevante anche il bizantinismo e la balcanizzazione dell’opposizione, che è riuscita ad arrivare alla piuttosto prevedibile caduta del governo Berlusconi[3] in una situazione di totale divisione, senza primarie e dunque senza un candidato leader riconosciuto, senza un programma comune, in disaccordo quasi su tutto, con quella che dovrebbe essere la grande novità, il terzo Polo, anch’esso diviso in tre o quattro partiti dalle percentuali ridicole.[4]


8. Mai come oggi è divenuto evidente come la politica ufficiale, nel nostro Paese, rappresenti un coacervo organizzato d’interessi particolari, talvolta anche d’interessi di cricche affaristiche e criminali, completamente miope e incapace di produrre quel rendimento minimo che possa assicurare non tanto lo sviluppo, quanto la sopravvivenza del Paese. Di fronte a questa realtà, le teorie del complotto della finanza internazionale ai danni dell’Italia sono favole. In una simile situazione, di fronte ai pochi che si sono resi conto dell’esigenza di ricorrere a una governance estranea al mondo della politica ufficiale, agli interessi particolari, ai veti incrociati, allo scopo di riparare rapidamente al disastro che è stato prodotto, la maggior parte dei politici ufficiali teme che un’eventuale successo del governo tecnico mostri palesemente a tutti la natura disfunzionale e parassita della politica reale. Ecco che così tutti si ritrovano a difendere le virtù della politica, il popolo sovrano, le proprietà taumaturgiche del ricorso alle urne, l’esigenza che il governo tecnico sia una breve parentesi, strettamente sorvegliata dalla vera politica che conta. Il PdL si appresta a fare il “governo ombra” per impedire che i pericolosi tecnici possano prendere piede. I difetti della politica ufficiale nel nostro Paese sono noti e, a parole, sono tutti d’accordo. Si parla da anni di riforma dello Stato, di riordino delle autonomie locali, di giustizia fiscale territoriale, di riforma della legge elettorale, di diminuzione dei costi dell’apparato politico, di vincoli al numero dei mandati, di diminuzione dei parlamentari, di eliminazione dei privilegi dei politici, di revisione delle norme sul finanziamento dei partiti e dei giornali dei partiti, di norme rigorose per la selezione del ceto politico (comprese norme contro i voltagabbana e contro la compravendita dei parlamentari) e di norme nei confronti dei parlamentari inquisiti e condannati, di norme per l’istituzione delle primarie ex lege, di uno stato giuridico per i partiti e per i sindacati e, dulcis in fundo, di una regolazione del conflitto d’interessi. Sono queste le questioni non risolte che determinano il blocco del sistema politico e la crisi di governabilità.


9. Il vero problema di questo Paese è che la politica ufficiale non funziona. Quel che abbiamo imparato a nostre spese, in questi ultimi mesi, è che il cattivo funzionamento della politica, lungi dal costituire uno dei nostri tanti tollerabili e simpatici difetti, può portarci direttamente alla catastrofe in un batter d’occhio, che l’Argentina e la Grecia sono appena dietro l’angolo.  La crisi attuale rappresenta un’occasione, forse l’ultima, per una presa di coscienza della vera natura del problema e per dare l’avvio a un cambiamento radicale. Tutti quelli che hanno davvero a cuore le sorti del nostro Paese, oltre ad appoggiare nell’emergenza il governo Monti, dovrebbero comprendere che la maggiore urgenza che abbiamo è quella di una rigorosa e improcrastinabile riforma del sistema politico che ci ritroviamo, di tutta la politica ufficiale, riforma preliminare a qualsiasi altra riforma. Altrimenti continueremo a oscillare tra governi “politici” impotenti e incapaci e governi “tecnici” d’emergenza. I governi tecnici ci faranno stringere la cinghia e i governi politici provvederanno subito a scialacquare quanto avremo risparmiato, con grande gioia di tutti gli Scilipoti.

 

Giuseppe Rinaldi (17/11/2011 -08/07/2021 rev.)

 

 

 

NOTE

[1] La Lega, ad esempio, dopo avere irresponsabilmente tenuto in piedi un governo che ci ha portato al tracollo, ha deciso ora che tutto ciò non la riguarda più e che è il caso di passare all’opposizione. La Lega sfascia e gli altri devono rimettere insieme i pezzi.

[2] Tanto per continuare con l’esempio di Weimar, quante volte sono andati a votare i tedeschi a ridosso del 1933? A considerare il numero delle consultazioni elettorali effettuate in quel periodo, si potrebbe sostenere che Weimar fosse la repubblica più democratica del mondo.

[3] Bersani, evidentemente in preda a qualche allucinogeno, ha rivendicato esplicitamente il merito di aver fatto cadere Berlusconi. Lo stesso allucinogeno deve essere quello usato da Alfano quando ha dichiarato che Berlusconi si è dimesso per il bene del Paese e non per aver perso la maggioranza in Parlamento.

[4] Non sto sostenendo che destra e sinistra sono uguali, ma che destra e sinistra non sono consapevoli del fatto che la questione della governabilità viene prima di ogni altra questione di parte e che entrambe hanno altamente contribuito, ciascuna con i propri apporti originali, a rendere il sistema altamente ingovernabile.