venerdì 28 settembre 2012

Disturbi primari (3.0)


1. Mancano ormai poco più di sei mesi alle elezioni politiche e già stanno iniziando i preparativi. Mai come in questo periodo tuttavia la situazione politica nazionale è apparsa nebulosa e incerta. Col passar del tempo, gli elettori appaiono sempre più indecisi e le forze politiche mostrano segni di ulteriore involuzione. Lo scandalo della Regione Lazio è solo l’ultimo in ordine di tempo. La cosiddetta “crisi della politica” non è stata per nulla superata e sembra anzi aggravarsi sempre più, mentre le riforme della politica che sono state sbandierate da tutti i principali leader politici sono costantemente rinviate, alimentando così il serbatoio dell’anti politica.[1]


2. In questo quadro d’impotenza e degrado, la situazione del centro sinistra e della sinistra è andata anch’essa progressivamente deteriorandosi. A un anno dalla caduta rovinosa del governo di centro destra e dall’implosione del PDL e della Lega Nord, non solo il centro sinistra non ha ancora saputo individuare una coalizione credibile, stabilire un programma, scegliere un leader di governo, per costruire un’alternativa e vincere con sicurezza le prossime elezioni, ma esso appare oggi molto più frantumato e molto più debole di prima. Frantumato a causa della rottura ormai insanabile tra PD e IDV, dell’inutile e logorante rincorsa del PD nei confronti dell’UDC, dell’altalenante e incerta alleanza tra PD e SEL. Molto più debole perché il partito principale della coalizione è inchiodato da sempre al 25%, mentre l’elettorato in libertà è stato intercettato dal M5S, che si trova ora al 18%.[2] Se si assommano i consensi al M5S e all’IDV, il partito dell’antipolitica raggiunge ormai anch’esso il 25%. Insomma, il centro sinistra non è stato in grado di trarre vantaggio dagli eventi disastrosi della crisi del governo Berlusconi e non è riuscito a dare una risposta all’anti politica crescente.


3. Possiamo aggiungere, per inasprire il quadro, che, nello stesso periodo, l’azione - discutibile finché si vuole - del governo Monti ha avuto come risultato l’approfondimento di alcune spaccature ataviche, già presenti, sia nel centro sinistra, sia nella sinistra, che erano state sopite grazie all’assoluta inattività del governo precedente. Mi riferisco all’attrazione che Monti ha esercitato sul centro, che ha rinsaldato l’UDC nell’intenzione di mantenere una propria autonomia e alle correlate continue dichiarazioni d’indisponibilità da parte di Vendola a governare con Casini.[3] Ma possiamo riferirci anche ai continui attacchi della CGIL e della FIOM nei confronti delle politiche del lavoro del governo Monti, che di fatto sono attacchi anche nei confronti di un ipotetico governo guidato da Bersani e allargato a Casini.


4. In questi giorni, mancava la ciliegina sulla torta, un coacervo eterogeneo di forze di sinistra, compresa la sinistra estrema, con IDV e SEL hanno deciso di promuovere un referendum per abolire la riforma Fornero sul mercato del lavoro: si tratta con ogni evidenza di un attacco preventivo nei confronti di una coalizione di centro sinistra che di fatto non c’è ancora e che - così proseguendo - non ci sarà mai.[4] D’altro canto l’ormai chiara strategia di Vendola di voler tenere i piedi in due scarpe non fa che aggravare il rischio e l’incertezza. Ad esempio, la recente dichiarazione dello stesso Vendola di volersi sposare - come capirebbe anche il più ottuso osservatore – intende spaccare il già oltremodo precario interno equilibrio del PD intorno alle questioni bioetiche.[5]


5. In contrasto con tutto questo fumo, le scelte politiche autentiche che il centro sinistra e la sinistra devono fare in rapporto alla prossima legislatura sono abbastanza chiare. Schematizzando, si tratta di scegliere tra 1) una politica tipo Monti, liberista e europeista, che si potrebbe realizzare attraverso un’alleanza privilegiata con Casini, puntando su un programma autentico di riforme liberali, magari con il correttivo di una distribuzione più equa; 2) una politica Monti like ma con correzione keynesiana di interventi statali per la crescita (una linea Bersani – Fassina, che ha il solo difetto di non spiegare con quali soldi si farebbero gli investimenti); 3) una politica vetero keynesiana di difesa del welfare e di interventi statali per creare lavoro, sulla linea CGIL-FIOM,[6] magari con revisione delle leggi sulle pensioni e sul mercato del lavoro (implicante un pesante deficit spending che ci porterebbe alla rottura con l’Europa e con i mercati e, in prospettiva, al fallimento controllato) e 4) una anti-politica di movimento, alla Di Pietro – M5S (che porterebbe forse a fare piazza pulita dell’attuale marciume politico, ma che nessuno può prevedere dove potrebbe portare in termini di governabilità – anche in questo caso ci sarebbe probabilmente una rottura con l’Europa e i mercati).


6. Ciascuna di queste ipotesi ha i suoi sostenitori irriducibili, non disposti a venire a patti con gli altri. Gli osservatori più accorti comunque non hanno mancato di avvertire che – data la nostra situazione economica e finanziaria e dati i nostri attuali rapporti con l’Europa – i margini di manovra per un futuro governo sono davvero molto ristretti e qualsiasi nuovo governo non potrà differenziarsi molto dalla politica attuale del governo Monti, potrà al più introdurre qualche correttivo, magari di facciata. C’è dunque il serio rischio che nel centro sinistra e nella sinistra si scateni un dibattito politico del tutto irrealistico rispetto alle effettive possibilità di azione.[7] In ogni caso, per vincere le elezioni e governare il paese bisogna coalizzare, in un programma politico fattibile, la maggior parte di coloro che sostengono queste posizioni, decidendo però con chiarezza quali sono gli obiettivi e, di conseguenza, chi sta dentro e chi sta fuori. È chiaro che, se si vuol mettere in piedi una coalizione che abbia qualche speranza di vincere, ciascuno – chi più, chi meno – dovrebbe rinunciare a qualcosa.


7. Invece di avere come obiettivo prioritario l’aggregazione delle forze, il principale partito dell’opposizione, dopo la famosa “foto di Vasto” di un anno fa - che è rimasta proprio soltanto una foto - ha fatto di tutto per rinviare la costituzione di una coalizione, che allora con un po’ di flessibilità e di onestà sarebbe forse stata possibile, sull’onda delle vittorie alle elezioni amministrative e nei referendum, tra PD, IDV e SEL, e tutto per seguire la speranza di una santa alleanza con Casini.[8] Ciò ha spinto l’IDV in una posizione sempre più estremistica e ha favorito, di gran lunga, la crescita del M5S, coagulando così il polo dell’anti politica. Dopo avere rifiutato di fare una coalizione ampia, quando questa si poteva fare, in questi giorni (primi di settembre) è stato annunciato un generico accordo di coalizione tra il PD e SEL, una coalizione ristretta, un surrogato della foto di Vasto. Anche questo accordo tuttavia appare, per ora, poco più di una foto.[9]


8. Ci si deve anzitutto interrogare sul senso politico di una coalizione ristretta tra SEL e PD. Le coalizioni che si fanno per governare dovrebbero avere almeno la ragionevole possibilità di raggiungere la maggioranza che serve, appunto, per governare. Questa coalizione ristretta non sarebbe in grado di governare da sola (perché comunque incapace di andare oltre al 30% dei voti, nella migliore delle ipotesi) e avrebbe dunque bisogno dell’apporto di altre forze. Si tratta dunque di una coalizione che non può esaurire il centro sinistra, e che per dare vita a un governo di centro sinistra dovrebbe fare una ulteriore coalizione (con Casini, con Di Pietro?). Ci troviamo di fronte a una coalizione ristretta che dovrà fare poi una seconda coalizione per governare. Scatole cinesi che confermano soltanto in quale misura il centro sinistra sia allo sbaraglio.


9. Tutto questo accade perché il principale partito del centro sinistra è totalmente incapace di fungere da polo di aggregazione, è praticamente un partito bloccato, impossibilitato a scegliere, perché vorrebbe tutto e il contrario di tutto, lacerato al proprio interno, sempre sul punto di spaccarsi, incapace di darsi una linea coerente, incapace di parlare con chiarezza agli elettori, incapace di produrre un programma concreto e realistico di governo. Il PD è attualmente inchiodato al suo elettorato tradizionale,[10] non è cresciuto, non ha definito la propria identità, non ha costruito nulla sul piano della cultura politica (la cultura politica interna del PD è profondamente divisa), non ha allargato i consensi dove si dovevano andare a pescare (nell’elettorato del centro destra deluso, della Lega e nell’antipolitica); in subordine, non è neppure riuscito a costruire un sistema di alleanze chiare, una coalizione credibile da proporre agli elettori. La pecca più grave è che non sia riuscito a trarre un qualche vantaggio politico dalla stagione delle vittorie elettorali nelle elezioni amministrative e nei referendum, stagione che in tal modo è stata lasciata alle ortiche.


10. Ce n’è abbastanza per formulare una valutazione gravemente negativa della gestione dell’attuale dirigenza. Bersani, in altri termini, appare sempre più come un leader tossico che lascerà la sua organizzazione in condizioni peggiori di quelle in cui l’aveva trovata, un leader con poco carisma, paralizzato e continuamente preoccupato degli equilibri interni, incapace di far crescere il partito. L’unica scelta lungimirante è stata forse quella di appoggiare Monti; guarda caso, una scelta per evitare di scegliere nell’immediato, per tirare a campare. Tanto varrebbe fare subito il congresso, anche se in questo momento il PD non se lo può permettere, perché sarebbe incapace di produrre alcunché di nuovo, e si spaccherebbe soltanto ulteriormente. Il PD per la maggior parte degli elettori che desiderano un cambiamento continua ad apparire come inaffidabile. Come dar loro torto?


11. La bagarre sulla riforma della legge elettorale sta ulteriormente contribuendo non poco alla paralisi del PD e al deterioramento della situazione. In generale, il vero motivo per cui la legge elettorale è bloccata è che la priorità delle principali forze politiche è oggi quella di assicurare la rielezione di un nutrito contingente di notabili di partito che altrimenti, con ogni probabilità, verrebbero estromessi. Pressoché tutte le forze politiche (PDL e PD compresi) preferirebbero andare a votare con il porcellum, anche se non lo possono dire ai loro elettori. Il porcellum darebbe mano libera nella scelta dei candidati e permetterebbe a quelli che vivono di politica di essere riconfermati.[11] Darebbe anche un premio rilevante alla coalizione vincente. Se il porcellum è impresentabile, bisogna allora fare una riforma della legge elettorale che cambi tutto per lasciare le cose come stanno.


12. Ciò può essere ottenuto manovrando le candidature in due possibili modi, come sostiene il PDL, attraverso una quota di liste bloccate di almeno un terzo delle circoscrizioni in modo da riservare un posto agli immarcescibili (un porcellinum!), oppure, come sostiene invece il PD, attraverso la generalizzazione dei collegi uninominali (poiché la candidatura nei collegi uninominali può essere manovrata dalla burocrazia del partito). Il PD propone infatti i collegi uninominali, ma non ci dice con chiarezza chi sceglierà i candidati. Li sceglierà sempre la burocrazia del partito? Li sceglieranno gli iscritti (che ormai sono così pochi da coincidere quasi con la burocrazia del partito)? Li sceglieranno gli elettori del PD, verranno cioè fatte le primarie anche per la scelta dei candidati negli eventuali collegi uninominali?[12]


13. Ma può essere ottenuto anche manovrando sul premio per la governabilità. A sentire i confusi dibattiti della Commissione, sembra che ci si stia orientando per un premio al singolo partito piuttosto che alla coalizione, risolvendo il problema della proliferazione dei partiti con uno sbarramento al 5% circa. In tal modo si favoriranno i gruppi del 5% (che ormai sono tanti) e non avrebbe più molto senso fare le coalizioni e non ci sarebbe più alcun rapporto diretto tra quel che succede nelle urne e il governo. Ciascun piccolo partito dal 5% in su potrebbe aspirare a una sua rendita di posizione nel mercato delle alleanze post elettorali. Si potrebbe chiamare premio di ingovernabilità.

In ogni caso, l’incertezza sulle regole con cui si andrà a votare sta paralizzando il dibattito politico, imponendo alle forze politiche uno snervante gioco di attesa che, comunque, svela sempre di più la netta prevalenza delle tattiche sulle strategie, l’influenza decisiva sulle scelte dei calcoli di opportunità, degli interessi immediati e dei personalismi.


14. In questo scenario, già di per sé catastrofico per il futuro del centro sinistra, le primarie annunciate della coalizione ristretta tra PD e SEL assomigliano tanto all’orchestra che continua a suonare mentre la nave affonda. Per quel che sappiamo (metà settembre), ci sarebbe un patto di coalizione, di cui però non si conoscono i contenuti, tra PD e SEL per un programma comune[13] e per effettuare le primarie per la scelta del leader di governo della coalizione. Le regole delle primarie dovrebbero essere pubblicate nella seconda metà di ottobre e le primarie stesse, riservate a coloro che si dichiareranno elettori del PD e di SEL, dovrebbero essere realizzate a fine novembre. Gli unici candidati certi, per ora, sono Bersani e Renzi, forse Tabacci (in rappresentanza di quale partito non si sa, visto che non è iscritto al PD). La partecipazione di Vendola si sta facendo alquanto incerta. Altri personaggi del PD hanno annunciato la loro partecipazione, anche se non si hanno ancora notizie chiare. Renzi ha già iniziato la campagna elettorale, quando manca ancora un mese all’emanazione delle regole: la confusione regna sovrana.


15. A rigor di logica, i passaggi per fare le primarie di coalizione dovrebbero essere i seguenti. I partiti coalizzati dovrebbero avere prima di tutto definito un programma comune da realizzare, su cui ci sia già un accordo chiaro e sottoscritto. Questo è necessario poiché nel nostro Paese i partiti fanno i congressi, hanno degli organi statutari e hanno le loro linee politiche già definite. Le primarie tra i coalizzati, in tal caso, avrebbero solo lo scopo di individuare il miglior candidato alla carica di leader per realizzare il programma comune. Secondo questa logica, nelle primarie di coalizione dovrebbe partecipare un solo candidato per ciascuno dei partiti della coalizione. Questo perché si suppone che ciascuno dei partiti coalizzati abbia già svolto il proprio processo democratico interno per la scelta del proprio miglior candidato.

Stiamo assistendo invece alla proliferazione dei candidati, in gran parte provenienti da uno stesso partito, il PD, prova dell’estrema confusione interna. La mancanza di un programma comunemente definito implica inoltre che ciascun partito sia disposto a demandare la definizione del programma da realizzare al vincitore delle primarie. Si avrebbe così la celebrazione di una specie di mega congresso pubblico, riguardante sia il candidato che il programma, che in tal modo avrebbe il sopravvento sui rispettivi congressi interni. Forse non ci si è ancora resi ben conto del pasticcio nel quale ci si sta cacciando.


16. Se non c’è programma comune è però già iniziata la schermaglia sulle regole. È in pieno sviluppo la querelle intorno all’opportunità o meno di tenere un registro degli elettori delle primarie. Renzi sembra ritenersi sfavorito dalla presenza di un elenco di elettori. Non è chiaro poi – si sta già avviando il dibattito - se si tratterà di primarie a un turno, oppure, come ha suggerito qualcuno, di primarie a doppio turno. Indubbiamente le primarie a doppio turno sarebbero un’innovazione abbastanza clamorosa. L’intento è probabilmente quello di ovviare alla dispersione di voti (qualora ci fossero molti candidati, uno per ognuno degli infiniti gruppetti che popolano il PD e SEL, ciascuno potrebbe prendere una fettina di voti). Si rischierebbe di scegliere il leader della coalizione con percentuali tra il 20 e il 30%. Ci sarebbe inoltre la possibilità di votare qualcuno per far perdere qualcun altro (abbiamo capito che non è questo il partito dell’amore). Un secondo turno, per quanto macchinoso ed esasperante, potrebbe garantire un maggiore consenso. Un simile meccanismo avrebbe senso se la coalizione fosse ampia e variegata tale da coinvolgere tutto il centro sinistra, per definire una volta per tutte il candidato alla carica di premier. Dato che si tratta di primarie ristrette, viene il sospetto che si tratti di molto rumore per nulla.


17. Un altro tema emerso in questi giorni riguarda il patto di coalizione. Noi avevamo pensato che si dovesse trattare di una piattaforma programmatica, cioè un insieme di punti qualificanti che il nuovo governo avrebbe dovuto realizzare. Invece – a sentire certe dichiarazioni di Bersani – si tratterebbe di una specie di regola procedurale per decidere in caso di conflitto: quando ci fossero delle perplessità sulla linea da seguire, la decisione sarebbe presa dal gruppo parlamentare della coalizione stessa (si noti che attualmente SEL non ha parlamentari e che comunque il gruppo parlamentare del PD sarebbe schiacciante). In ogni caso, poiché il gruppo parlamentare della mini coalizione non sarebbe sufficiente per governare, si riproporrebbe il problema della mediazione con altri gruppi parlamentari. Lì, con quale regola si deciderà? In ogni caso, in questo modo, non si giungerà mai a dichiarare preventivamente con chiarezza agli elettori su cosa la coalizione intende impegnarsi.


18. È evidente che, qualsiasi cosa succeda di qui a novembre, si tratta ormai di primarie a rischio, cioè primarie il cui rendimento politico potrebbe anche essere così basso, o addirittura negativo, per cui forse converrebbe addirittura non farle. Il rischio è dovuto a una complessità di fattori ormai difficilmente governabili. Anzitutto non si conosce ancora quale sarà la legge elettorale. A questo punto far dipendere la realizzazione o meno della coalizione del centro sinistra da una legge elettorale che premi la coalizione vincente sembra del tutto suicida. Se ci sono le basi per fare una coalizione programmatica, la si faccia senza pensare alla legge elettorale. Una coalizione fatta solo per scopi elettorali all’ultimo momento non sarebbe capita dagli elettori e non offrirebbe alcuna garanzia di governabilità.


19. Bersani ha dichiarato[14] che queste primarie servono per scegliere il leader del centro sinistra che andrà a governare. Come abbiamo già osservato, non è proprio così. Con queste primarie si sceglierà al più il leader della coalizione ristretta PD e SEL. Questo leader, per diventare effettivamente leader del centro sinistra e aspirare a fare il capo del governo dovrà vedersela – dopo le elezioni – con Casini, con Di Pietro, con M5S e con il coniglio fuori dal cappello costituito dalle formazioni filo montiane che probabilmente nasceranno ancora (seguaci di Montezemolo, Passera, finiani,…). Dovrà probabilmente vedersela anche con l’opposizione di sinistra costituita dalla CGIL-FIOM e dai referendari anti Fornero. Invece di un leader forte e autorevole, emergerà da queste primarie ristrette un leader dimezzato che dovrà andare subito a mediare ulteriormente e a concedere qualsiasi cosa, qua e là per fare il nuovo governo. Sarebbe stato indubbiamente meglio fare subito una coalizione più ampia, mediando prima con chiarezza davanti agli elettori, piuttosto che poi, nei corridoi del palazzo!


20. Dato che il peso dei due partiti della coalizione ristretta è assolutamente asimmetrico, c’è il serio rischio che il confronto nelle primarie - così come sono ora configurate - non si faccia tanto tra le linee dei due coalizzati, quanto tra le molteplici linee divergenti all’interno del PD. In altri termini, c’è il serio rischio che queste primarie finiscano per essere una questione privata del PD, l’occasione per un regolamento di conti interno, un referendum pro o contro Bersani, oppure una specie di congresso straordinario. Le prime battute della campagna elettorale di Renzi tendono addirittura a scavalcare il PD attuale, definendo un’area di consenso capace di andare oltre i confini degli attuali molteplici gruppi interni.


21. Il peso asimmetrico dei due coalizzati d’altro canto spinge il partito minoritario a cercare a tutti i costi di estremizzare le proprie posizioni per ottenere qualche visibilità e per rassicurare i propri elettori. Ma questo non può che introdurre ulteriori elementi di differenza in una coalizione già di per sé precaria. Il referendum anti Fornero di Vendola & C. va in questa direzione e tende a ripetere qualcosa che abbiamo già visto, la linea della sinistra radicale seguita durante il governo Prodi, la linea di stare nel governo e di fare le manifestazioni contro il governo. Nessuna primaria di coalizione è in grado di reggere a contraddizioni interne così gravi, e gli avversari non mancheranno di farlo notare.


22. Dal punto di vista dei risultati presumibili, queste primarie, così configurate, promettono troppo o troppo poco. Se Bersani dovesse vincere, il tutto si ridurrebbe a una sua legittimazione; si potrebbe anche sostenere che si è trattato di primarie inutili, perché il risultato era prevedibile, o perché il risultato è stato pilotato. Qualora dovesse perdere, magari nei confronti di Renzi, è chiaro invece che ci sarebbero dei gravi contraccolpi negli assetti interni, magari con conseguenze di dimissioni e di congressi, tale da incidere sulla stabilità dello stesso ipotetico governo di centro sinistra che le primarie dovrebbero contribuire a far nascere.


23. Le primarie del Centro sinistra si dovevano fare un anno fa. Ora si potrebbe andare alle elezioni con un leader certo e con una coalizione consolidata e con un programma. Aprire ora il fronte delle ostilità tra le varie anime irriducibili del centro sinistra significherà anzitutto offrire al paese un desolante panorama di divisione. Sul piano della comunicazione politica, due o tre mesi di dibattito interno potrebbero avere esiti diversi, a seconda di come verrà condotto. Se ci si limiterà alle belle maniere o all’esibizione dei personalismi – com’è facile accada – ciò contribuirà a nascondere i problemi veri e a concentrare l’attenzione del pubblico sulle lotte di potere, alimentando ulteriormente l’impressione di inaffidabilità dei partiti. Se si tratterà di un vero dibattito (tra le diverse linee politiche che sono possibili – quelle che abbiamo elencato in apertura) questo sarebbe un vero congresso straordinario che però, condotto all’ultimo momento in forma competitiva, risulterà principalmente divisivo che aggregativo, dato l’alto tasso di fondamentalismo diffuso tra i competitori. I segnali ci sono già. Ha osservato acutamente Giannini su Repubblica: «È il difetto di fabbrica di questo PD, che arriva alle primarie senza ancora sapere cos’è. Un partito che spera sia proprio il rito purificatore delle primarie a forgiare il suo profilo identitario. Senza capire che un’identità, se c’è, esiste prima e resiste anche dopo. Le primarie servono solo a selezionare il leader più capace a incarnarla».[15]


24. Insomma, il centro sinistra (e la sinistra nel suo complesso), si sono ormai cacciati in un cul de sac e la mini coalizione tra PD e SEL, con annesse primarie, rischia di esasperarne gli effetti. Lo dicevamo[16] poco più di un anno fa in un nostro articolo: di tutte le primarie possibili, quelle di coalizione sono le più difficili. E poi, primarie e coalizioni, per farle, bisogna farle bene, altrimenti è meglio non farle.

 

Giuseppe Rinaldi (28/09/2012 - 09/03/2021 rev.)

 

 

 

NOTE

 

[1] Mi permetto di ricordare che le riforme della politica, nel nostro Paese, comprendono: 1) attuazione piena dell’art. 49 della Costituzione; 2) modifiche costituzionali riguardanti il numero dei parlamentari e la funzione delle due camere; 3) drastica riduzione dei costi della politica; 4) regolamentazione del finanziamento dei partiti; 5) abolizione dei privilegi della casta politica; 6) rifacimento della legge elettorale; 7) legge efficace contro la corruzione.

[2] Dati del sondaggio IPSOS del 10/9/2012.

[3] Ha recentemente (22/09/2012) dichiarato Vendola che la coalizione del centrosinistra dovrebbe essere altro: “Dovrebbe battersi per i diritti dei lavoratori a cominciare dal ripristino dell’articolo 18 e dovrebbe essere dalla parte delle famiglie e delle classi meno abbienti. Dovrebbe, insomma, capovolgere l’agenda del governo Monti.

[4] Un gruppo nutrito di esponenti del PD capeggiato da Fioroni ha immediatamente prodotto un documento secondo cui l’attuale linea di Vendola si trova in aperta collisione con quella del PD.

[5] Ci manca solo più che la prossima campagna elettorale venga incentrata sul concetto di famiglia e su cose come i matrimoni o le adozioni gay

[6] L’area CGIL-FIOM ormai si sta praticamente comportando come un partito politico monotematico e, dunque, deve essere presa in considerazione come un soggetto politico, quando si fanno analisi politiche.

[7] Ciò testimonia ancor più della distanza lunare tra le fantasie della politica e la realtà effettuale.

[8] Su questo tema, mi permetto di segnalare il mio articolo, col senno di poi oserei dire profetico, su Città Futura, intitolato La disfida di Macerata del 6/06/2011.

[9] Vendola ha recentemente dichiarato che la coalizione è in forse e che la sua partecipazione alle primarie non è ancora decisa.

[10] Ricordo che il famoso 25% che viene attribuito al PD dai sondaggi è calcolato solo su tutti quelli che esprimono una preferenza, che oggi sono meno della metà, se si tolgono le bianche, i “non so” e gli astenuti. Se calcolato, come sarebbe giusto, su tutti gli elettori, il PD arriva all’11-12%.

[11] A mali estremi, l’unico modo per rendere il porcellum digeribile, sarebbe quello di compilare le liste attraverso le primarie.

[12] È lecito sospettare che il pasticcio delle primarie per la scelta del leader della coalizione ristretta sia stato messo in piedi per evitare di fare le primarie che davvero conterebbero, quelle per la scelta dei parlamentari?

[13] Questo programma comune, col passar del tempo, sembra sempre più inesistente. Un gruppo consistente di esponenti di primo piano del PD ha prodotto un documento in cui si afferma che le recenti prese di posizione di Vendola sarebbero incompatibili con un programma comune con il PD e ciò impedirebbe a Vendola di partecipare alle primarie. Lo stesso Vendola sta prendendo tempo.

[14] Intervista a Lilli Gruber il 12/09/2012.

[15] Cfr. Massimo Giannini, Cosa c’è in quel camper, su La Repubblica del 14/9/2012.

[16] Cfr. Giuseppe Rinaldi, Le primarie prese sul serio, su Città Futura del 16/04/2011.