giovedì 20 gennaio 2022

Novax. Gli ultimi eredi della filosofia occidentale









1. Buone nuove. Ha suscitato una certa sensazione la pubblicazione del 55° Rapporto Censis, recante alcune statistiche relative all’universo culturale novax. Riporto alcuni dati. Secondo il 5,9% degli italiani il Covid-19 non esiste (la stima è di 3 milioni di individui circa). Secondo il 10,9% il vaccino è inutile. Secondo il 31,4% i vaccini MRNA sarebbero farmaci sperimentali. Per quel che riguarda l’adesione a teorie alternative, la terra sarebbe piatta secondo il 5,8%. Secondo il 10% non saremmo mai sbarcati sulla luna. Il 12,7% asserisce che la scienza produce più danni che benefici. Il 19,9% ritiene che la tecnologia telefonica conosciuta come 5G sia uno strumento di controllo sociale. Il 39,9% condivide la teoria del gran rimpiazzamento (la teoria secondo la quale l’immigrazione farebbe parte di un progetto per sostituire la popolazione residente originaria con immigrati). Per finire, l’81% ritiene che studiare serva a poco e il 35% ritiene che non convenga impegnarsi nello studio per ottenere una laurea. Inevitabilmente, secondo l’opinione del 66,2% dei nostri connazionali si viveva meglio in passato. Il 69,6% manifesta poi, di conseguenza, una certa inquietudine per il futuro.


2. Gli intellettuali delle bufale. Tra i risultati del Censis, ha suscitato qualche sorpresa il fatto che i novax, e i loro consimili sostenitori di bufale, non necessariamente siano poco istruiti. Anzi, tra loro ci sono anche laureati, opinion leader e – com’è stato ampiamente pubblicizzato dai media - intellettuali di punta, noti in tutto il mondo. Bisogna riconoscere che non si tratta dunque di analfabeti residuali e magari per lo più anziani, cresciuti quando non si finivano neppure le scuole elementari. La cosa in realtà non è per niente strana ed è stata spiegata tempo fa da Gérald Bronner, nei suoi studi sui meccanismi delle credenze.[1] Coloro che non hanno alcuna istruzione solitamente si fidano dei loro tradizionali riferimenti, come ad esempio - come si diceva una volta a proposito dei paesi - il prete, il maresciallo e il farmacista. Per questo non hanno bisogno di inventarsi delle strane narrazioni. Invece, per sviluppare una propria credenza contro corrente, con tanto di spiegazioni e teorie elaborate, una certa istruzione bisogna averla. Anche per le bufale occorre avere a disposizione un minimo di strumenti di produzione intellettuale.

Devi avere una certa informazione, anche se magari distorta. Devi essere in grado di formulare una narrazione, magari anche abbastanza complessa, poi di portare in suo supporto una qualche pretesa documentazione, di sostenere le obiezioni da parte della maggioranza degli increduli. Devi essere in grado di metterti in contatto con altri che sono disponibili a pensarla allo stesso modo. Insomma, devi diventare un militante della tua causa, devi essere tra coloro che si trovano in una condizione di mobilitazione permanente. Soprattutto, devi pensare che chiunque - quelli proprio come te - sia legittimato ad avere una propria teoria su qualunque cosa, indipendentemente dal curriculum e dalla specializzazione. Tanto più se sei convinto/a che siamo tutti uguali, che la verità è relativa e che tutti i punti di vista si equivalgono. Queste narrazioni in genere sono costruite accuratamente, si cristallizzano in complessi strutturati e vengono diffuse attraverso gli strumenti sofisticati che oggi sono disponibili in rete. Ci sono poi particolari individui intraprendenti che fungono da catalizzatori, da centri di elaborazione e di diffusione. Possiamo chiamarli grandi diffusori. Diciamo che, in un certo senso, siamo qui in presenza di veri e propri intellettuali che svolgono, di loro iniziativa, la funzione di elaborare e diffondere certe idee. Tutto ciò è comunemente conosciuto come il fenomeno delle verità alternative.


3. Le verità “alternative”. Le verità alternative suscitano qualche attenzione quasi sempre solo in relazione a fatti che colpiscono la fantasia dell’opinione pubblica. Ad esempio, si è parlato alquanto del terrapiattismo perché lo si ritiene una colossale corbelleria, un fenomeno curioso da baraccone. Sarebbe tuttavia sbagliato sottovalutare le verità alternative, considerarle semplicemente come forme di ignoranza e stupidità. Le verità alternative si basano su uno schema di pensiero assai comune, di cui siamo tutti perfettamente capaci. Uno schema decisamente non nuovo, che è stato assai diffuso in tutte le epoche e che è profondamente radicato in ciascuno di noi. Uno schema di pensiero che può anche rivelarsi piuttosto utile. Questo perché banalmente tutti sappiamo che le verità condivise dal senso comune possono essere ingannevoli e che, talvolta, le verità alternative hanno avuto ragione e hanno preso il sopravvento con notevole successo. Insomma, dubitare conviene – come del resto sostengono i fautori di Dupre (“Dubbio e Precauzione”).[2]

Si badi bene che i sostenitori delle verità alternative credono fermamente nella verità. Non siamo cioè di fronte a scettici o nichilisti. Lo schema di pensiero delle verità alternative presuppone che la verità esista, ma che sia nascosta, non alla portata dell’uomo della strada. Uno dei termini con cui i greci indicavano la verità è alétheia, (λήθεια) che, secondo una celebre etimologia risalente a Heidegger, significherebbe qualcosa come non-nascondimento. Se così stanno le cose, la verità di cui siamo privati deve essere faticosamente tratta dall’oscurità, cioè dis-velata. Ciò può avvenire attraverso procedimenti audaci, talvolta insoliti o bizzarri, che possono comportare anche seri rischi per gli stessi procacciatori di verità.[3]


4. La verità e il potere. Gli umani sono animali culturali. Sul piano eminentemente pratico, nella vita quotidiana, la condivisione della verità tra gli umani avviene sempre su base collettiva. Poiché nessuno può verificare tutto di persona, nella maggior parte dei casi l’unica soluzione è quella di ricorrere alla fiducia. Ciascuno di noi possiede implicitamente una gerarchia di credibilità delle fonti e la impiega comunemente nella maggior parte delle occasioni. Il fatto oggettivo che nessuno possa verificare tutto di persona connette problematicamente – ne parleremo a lungo – la verità con le fonti di autorità o – come preferiscono dire taluni – con il potere. La questione è decisamente assai complessa.

Si considerino questi esempi. Se il bambino, senza verificare di persona, crede alla mamma che gli dice che il fuoco scotta, diremo allora che la mamma, in un certo senso, esercita un potere sul bambino. Ma fin qui nessuno ci fa caso. Quando il bambino a scuola impara che “ha” si scrive con l’acca, allora qualcuno dice che la scuola esercita una forma di potere sul bambino. Questo sarebbe il potere dell’istituzione scolastica o, come dice qualcuno, del linguaggio. Quando il bambino impara che i regali li porta Babbo Natale, la famiglia esercita un potere su di lui e lo convince di una menzogna bella e buona. Quando i compagni rivelano al bambino la “verità alternativa”, che sono i genitori a mettere i regali sotto l’albero, allora possiamo dire che i compagni hanno esercitato un potere su di lui, diventando così fonti più credibili dei genitori stessi. Si potrebbe continuare a lungo. Questa casistica è interessante poiché alcuni importanti filosofi – come ad esempio Michel Foucault – hanno concluso, sulla base di considerazioni come quelle su esposte, che la verità non c’è e che ci sarebbero solo rapporti di potere. In pratica dunque saremmo sempre condizionati dalle fonti nelle quali abbiamo fiducia, le quali – in un certo senso – proprio per questo esercitano un potere su di noi.

Nonostante Foucault, e a meno che non ci troviamo in una istituzione totale, possiamo tuttavia sempre scegliere a quale potere raccomandarci. Se i nostri riferimenti fossero sempre gli stessi non cambieremmo mai idea. È un fatto tuttavia che possiamo disporre di una pluralità di fonti e che siamo perfettamente in grado di modificare la fiducia che abbiamo nelle diverse fonti. Si tratta proprio di quei casi in cui la credibilità delle fonti è messa in dubbio, oppure quando nasce un conflitto intorno alla credibilità di fonti contrastanti. O quando, ancora, si cercano nuove verità attraverso fonti nuove.

Come avviene la modifica delle nostre fonti di riferimento? Si danno due principali versioni contrapposte. Secondo la più comune, ciascuno di noi sarebbe dotato di una capacità denominata ragione grazie alla quale, di nostra iniziativa, saremmo in grado di valutare l’attendibilità delle fonti. Secondo la versione meno comune, che piace assai a taluni filosofi (il primo fu un tale Gorgia), il cambiamento di opinione deriverebbe semplicemente per il sopravvento di un condizionamento da parte di una fonte più forte. Nel nostro esempio, non sarebbe il bambino che ragiona autonomamente sulla natura di Babbo Natale, e decide di sua iniziativa; semplicemente il bambino sarebbe catturato dall’opinione dei compagni, la quale, essendo radicata nella socialità, finisce per avere un peso maggiore di quella dei genitori. È in discussione qui l’autonomia del soggetto individuale messa a confronto con il condizionamento eteronomo da parte del potere.


5. Sospetti e disvelamenti. Comunque sia interpretato, il mutamento di opinione non può che avere luogo a partire dall’insinuazione di un sospetto che determina poi lo spostamento della credibilità verso una nuova fonte. Il sospetto, come abbiamo detto, può nascere dentro di noi sulla base della nostra ragione, oppure può essere indotto in noi da qualche potere esterno dotato di una certa forza persuasiva.[4] Le dinamiche del mutamento di opinione a partire dal sospetto non si presentano solo a livello della folk psychology ma anche a livello della cultura alta, a livello di rispettabili movimenti filosofici e culturali, promossi da altrettanto rispettabili intellettuali. Il filosofo francese Paul Ricoeur è noto tra le altre cose per avere trattato delle cosiddette filosofie del sospetto.[5] Quelle filosofie cioè che non accettano le verità comunemente date per scontate e che ritengono invece di essere portatrici di una qualche verità che è celata e che però, una volta riconosciuta, può tuttavia rivestire una portata rivoluzionaria. Notoriamente, Ricoeur nella sua indagine aveva individuato tre filosofie del sospetto, rispettivamente quelle di Marx, Nietzsche e Freud (definiti appunto come i tre “maestri del sospetto”). Lascio al lettore l’interessante esercizio di stabilire come possa funzionare nella pratica il potere veritativo che questi tre filosofi hanno esercitato, ed esercitano, sui loro seguaci. Comunque, quello che ci interessa qui far notare è il fatto che, seguendo la definizione di Ricoeur, il numero delle filosofie del sospetto potrebbe essere considerevolmente aumentato. In fin dei conti, ogni qual volta si proponga una verità relativamente insolita o nuova questa può essere considerata come un disvelamento, primieramente originato da un legittimo sospetto. E questo può valere anche per le verità scientifiche, le quali oltretutto sono difficilmente verificabili da parte dell’uomo comune[6] e le quali, lungi dall’essere ovviamente immutabili, vanno puntualmente soggette a “rivoluzioni”. Insomma, dai sospetti e dai disvelamenti niente e nessuno è davvero sicuro di potersi salvare.


6. Verità segrete e complotti. Dacché è stata formulata la nozione di una verità celata, non immediatamente disponibile, si è dato luogo alla formulazione di varie narrazioni circa i depositi nascosti di verità. Una delle prime distinzioni nella storia della filosofia è stata quella tra conoscenza divina e conoscenza umana. Una delle prime lucide formulazioni di questa distinzione compare addirittura in Senofane (570 a.C. – 475 a.C.). A lungo l’uomo ha cercato di accedere alla conoscenza divina, variamente celata o rivelata. La nozione di una verità rivelata occupa a tutt’oggi un posto importante in molte religioni. Poco a poco si è tuttavia fatta strada anche la convinzione che la verità potesse essere celata anche e soprattutto per causa degli uomini. Già in certa sofistica greca si ammetteva che i potenti avessero inventato gli Dei per ingannare e sottomettere i loro sudditi. Di qui l’instaurazione di una connessione privilegiata tra le verità alternative e le teorie del complotto. Non tutti i complotti hanno a che fare con le verità alternative, ma quasi tutte le verità alternative hanno a che fare con i complotti.

Nell’esempio che abbiamo fatto, il bambino scopre, grazie ai compagni, il complotto ordito dai genitori e parenti a proposito di Babbo Natale. In generale il procedimento è noto. Solitamente ci si focalizza su un’opinione comune, condivisa dai più, e s’imbastisce una narrazione secondo la quale la verità non è quel che appare e soprattutto, «non è quello che vogliono farci credere». Si suppone naturalmente che i manipolatori occulti della verità siano mossi da oscuri interessi di potere che occorre smascherare. In tal modo si può giungere a straordinarie conclusioni. Non saremmo mai sbarcati sulla luna, l’attacco alle Torri gemelle sarebbe stato pianificato dai Servizi segreti, la tecnologia 5G sarebbe in realtà una forma occulta di controllo sociale, e così via. Solo da un po’ abbiamo cominciato a capire che gli effetti delle verità alternative non riguardano solo coloro che ci credono, ma possono coinvolgere drammaticamente la società più ampia nel suo complesso. La grande narrazione di QAnon è solo una delle ultime ad avere avuto drammatici effetti. Non ho spazio per sviluppare qui la questione del complottismo che è straordinariamente complessa e articolata. Segnalo in merito, per chi fosse interessato/a, il recente saggio di Donatella Di Cesare.[7]


7. Verità alternative e colore politico. Il fatto che spesso le verità alternative si trovino in contrasto con l’opinione della maggioranza e con il cosiddetto potere autoritativo costituito ha fatto si che queste fossero identificate come verità rivoluzionarie o addirittura come verità progressiste, o anche verità di sinistra. Le verità alternative, per un loro potere di contestazione dell’ordine esistente, tenderebbero dunque a essere più diffuse a sinistra che a destra. A un attento esame, tuttavia si noterà che di per sé, dal punto di vista degli schieramenti politici, le credenze circa le verità alternative sono diffuse altrettanto a destra quanto a sinistra. Nietzsche come maestro del sospetto, produttore di molte verità alternative, non era affatto di sinistra. Lo stesso vale per QAnon. Occorre tuttavia riconoscere che il marxismo, dal canto suo indubbiamente orientato a sinistra, ha contribuito come nessun altro a diffondere uno schema basato sul sospetto, soprattutto attraverso la teoria del rapporto tra struttura e sovrastruttura, altrimenti nota come teoria della falsa coscienza. Tutto ciò significa, banalmente, che siamo tutti esposti allo schema delle verità alternative, indipendentemente dal nostro orientamento politico.


8. Il fondamento intersoggettivo della verità. Da quanto detto finora, emerge comunque che pensare in termini di verità alternative non necessariamente debba essere considerato come negativo in sé. Pensare in termini di verità alternative può ben essere considerato anche come indice di intelligenza. Spesso si è rivelato utile per il progresso scientifico. Copernico ha saputo pensare in termini di una verità alternativa e tutti oggi gli riconosciamo una grande intelligenza. E noi oggi condanniamo la stupidità dei suoi avversari. Lo stesso vale per Darwin. La questione allora diventa assai scivolosa. Dove sta il confine? Il problema non sta nello schema in sé, sta piuttosto nel saper distinguere tra le verità alternative che possono avere qualche fondamento e quelle che non ce l’hanno affatto.

Con ciò si apre la questione dei fondamenti della verità, una questione assai complessa, dai risvolti davvero notevoli. Mi limiterò qui a poche linee essenziali. Ho già osservato che, in termini pragmatici, nella gran parte dei casi ci affidiamo a fonti che riteniamo credibili. Da questo punto di vista, foucaultianamente, siamo tutti sottomessi al potere che le fonti credibili esercitano su di noi. Il problema dei fondamenti della verità nasce soltanto nel caso in cui si presentino delle questioni dubbie. Nel caso cioè in cui ci troviamo proprio nella condizione del sospetto. In tal caso, se evitiamo banalmente di farci condizionare dall’esterno, siamo costretti a utilizzare quella facoltà misconosciuta , che i più chiamano ragione,[8] che ci permette di mettere a confronto le diverse fonti di cui disponiamo o di trovare nuove fonti. Questo processo è piuttosto complesso poiché la ragione ha una dimensione sia individuale sia collettiva e nulla assicura che le due dimensioni vengano alla fine a coincidere.

La ragione, individuale e collettiva, mette dunque in atto un processo regolativo attraverso il quale le verità alternative sono vagliate e attraverso il quale si può giungere a una condizione di accordo intersoggettivo. Questo accordo intersoggettivo non è mai totale e tende a divergere in molte situazioni. È facile mettersi d’accordo sull’inesistenza di Babbo Natale, non altrettanto sull’esistenza di Dio, sui principi della morale o sul bosone di Higgs. La ragione tuttavia è tale proprio perché essa soltanto ci fornisce alcune strategie efficaci per giungere all’accordo intersoggettivo. La prima strategia è quella dell’uso delle argomentazioni logiche e del dialogo pubblico. Mentre la logica stabilisce le regole efficaci per condurre un dialogo, il dialogo pubblico sottopone le argomentazioni al giudizio del pubblico. Ciò ha rappresentato un passo avanti, fin dalle origini della filosofia, ma non ha permesso sempre di raggiungere un accordo in molti campi: Euclide ha messo d’accordo molti sulle regole della geometria, mentre sulla natura dell’anima o sull’esistenza degli universali l’accordo è stato decisamente meno esteso. La seconda strategia della ragione è stata quella del metodo scientifico. L’accordo qui è subordinato, oltre che alle regole della logica e della matematica, alla presentazione di prove e alla riproducibilità sperimentale. Con questa strategia, possiamo certamente conoscere un numero più ristretto di cose ma in maniera relativamente sicura. Su questo si basano i successi della scienza, e anche della tecnica.[9]


9. Il rifiuto della ragione. La diffusione mediatica delle verità alternative non creerebbe alcun problema se il pubblico fosse avvezzo a discutere razionalmente e a sottoporre a prova le diverse verità che vengono di volta in messe in competizione. Dove non ci siano prove o argomentazioni plausibili da mettere in campo, un pubblico maturo potrebbe anche essere disponibile ad ammettere che, su certe questioni, non ne sappiamo abbastanza. Ciò vorrebbe dire essere disponibili, in un certo senso, ad ammettere la propria ignoranza.

Purtroppo le cose non sembrano proprio andare in questa direzione. Il problema non sta dunque nel disaccordo generato dalle verità alternative. Il problema sta nella condivisione o meno delle procedure razionali mediante le quali possiamo giungere a comporre i disaccordi. Sembra ovvio. Purtroppo di fronte all’esigenza di vagliare le numerose verità alternative, è oggi sempre più diffusa la convinzione secondo la quale gli strumenti della ragione che abbiamo a disposizione sarebbero in ultima analisi ingannevoli e inefficaci. Sarebbero inefficaci le argomentazioni logiche, con le quali, secondo un’opinione comune, si può dimostrare qualsiasi cosa. E sarebbero inefficaci anche gli strumenti di prova che ci mette a disposizione il metodo scientifico. Il metodo scientifico sarebbe privo di fondamenti (le argomentazioni per sostenere questa tesi sono assai varie).

Le regole della ragione argomentativa e quelle del metodo scientifico, in quanto regole, sono apparse a molti filosofi (soprattutto di matrice continentale) come una forma di dispotismo arbitrario insopportabile. Ne vedremo alcuni nel proseguimento di questo saggio. La novità degli ultimi decenni è che le regole della ragione sono contestate non solo dai filosofi ma anche e soprattutto dal grande pubblico della società di massa. In altri termini, il rifiuto della ragione è uscito dai consessi filosofici (dove da sempre ha avuto una sua presenza sotterranea[10]) ed è diventato una moda pop.

Perché mai rifiutare la ragione? Il metodo scientifico, per come si è configurato, ci mette a disposizione fonti particolarmente robuste e affidabili. È vero che esso, e l’istituzione scientifica connessa, esercita senz’altro un potere autoritativo su di noi, nel senso di Foucault. Tuttavia questo potere è senz’altro benefico. In genere siamo ben felici di sottoporci al potere autoritativo della comunità scientifica, poiché di solito produce risultati utili, oltre che “veri”. D’altro canto anche le regole argomentative della ragione ci permettono spesso di raggiungere risultati considerevoli, seppure talvolta meno certi di quelli conseguibili col metodo scientifico. Per questo siamo di solito ben felici di seguire il potere autoritativo e le relative costrizioni della logica, della matematica o dei sistemi deduttivi più in generale. Su queste regole è stata costruita la cultura occidentale. Non è dunque davvero chiaro perché la contestazione della ragione sia uno sport sempre più diffuso tra le masse, oltre che tra i filosofi. Nel proseguimento di questo saggio descriverò il fenomeno e avanzerò alcuni tentativi di spiegazione.


10. Costruzioni sociali. Una delle modalità più diffuse, per negare l’evidenza empirica e le argomentazioni logiche, è quella di sostenere che le verità comunemente date per scontate altro non siano che artificiose costruzioni umane, del tutto prive di fondamento oggettivo. Più precisamente si sostiene che si tratti di costruzioni sociali. Si tratta in realtà di un coacervo di posizioni che ruotano intorno a una vaga ma pervicace forma di relativismo. Anzitutto si sostiene che non esista alcun tipo di oggettività che sia veramente accertabile. E questo lo si fa ricorrendo alle note anticaglie dello scetticismo, secondo cui la verità non esiste.[11] Se non c’è oggettività, allora ci sono solo punti di vista che in linea di principio possono anche essere diversi per ciascuno (questa posizione è nota come solipsismo). Ognuno la vede a modo suo.

L’esperienza comune tuttavia mostra non tanto una pluralità infinita di punti di vista, quanto una notevole uniformità o al più un ristretto numero di opinioni concorrenti. Allora si sostiene che i punti di vista sono costrutti culturali, o meglio ancora costruzioni sociali. Rientra così in campo l’ipotesi del rapporto stretto tra potere e verità, nel senso che la verità è ricondotta ai rapporti di potere vigenti. Le costruzioni sociali possono essere ereditate e imposte dalla tradizione ma, più facilmente, possono essere considerate come un prodotto intenzionale di agenzie o apparati che detengono il potere e che hanno degli interessi. Di conseguenza ci si azzarda a ipotizzare chi abbia l’interesse e/o il potere di realizzare tali costruzioni.

È indubbiamente vero che molte cose che esistono nella società sono costruzioni sociali.[12] Tuttavia le posizioni relativiste cui ci stiamo riferendo ritengono che qualsiasi cosa possa essere una costruzione sociale. Sono considerate costruzioni sociali non solo i virus e le epidemie ma anche la logica e la razionalità. Sono considerate costruzioni sociali anche e soprattutto le verità scientifiche (quelle avallate dalla scienza moderna – per intenderci). In questo modo le verità scientifiche sono degradate a mere interpretazioni, dotate dello stesso valore delle teorie dei maghi, dei poeti e degli astrologi.

Vediamone un esempio caratteristico. Il famoso sociologo della scienza Bruno Latour ritiene che le verità della scienza (compresi i loro oggetti) siano soltanto artefatti costruiti in laboratorio. In altri termini, tutte le verità scientifiche, comprese quelle di fonte empirica, sarebbero soltanto costruzioni sociali. I protocolli sperimentali non solo dettano il metodo per le osservazioni ma costruiscono gli oggetti stessi. Nel 1998, per esempio, Latour respinse come anacronistica l’allora recente scoperta archeologica secondo la quale il faraone Ramsete II era morto di tubercolosi. La scoperta era stata realizzata analizzando i resti della mummia di Ramsete II, ma Latour asserì che il bacillo della tubercolosi fu scoperto (dunque “socialmente costruito”, in laboratorio) solo nel 1882 da Robert Koch e che quindi non poteva essere esistito prima di allora. Capisco il lettore perplesso, ma queste sono effettivamente le posizioni di Latour, accademico riverito dalle accademie di Francia.

Simili convinzioni di stampo relativistico hanno avuto una notevole recrudescenza con l’avvento in campo filosofico, e con la sua popolarizzazione a livello di cultura di massa, della cosiddetta ermeneutica, ovvero con la diffusione della nota tesi, risalente a Nietzsche, secondo la quale «non ci sono fatti ma solo interpretazioni». Questa tesi, in casa nostra, è stata particolarmente sostenuta da Gianni Vattimo.[13] Vale la pena di riportare un suo passo saliente: «Quando dico di congedarci dalla verità, voglio dire che dobbiamo dire addio a una verità che sia verificabile una volta per tutte e in modo indipendente dai paradigmi adottati. L’ermeneutica sostiene che si possa parlare di verità in senso stretto solo quando si applicano dei criteri per verificare o falsificare. Dei criteri che, da parte loro, non sono verificabili o falsificabili, perché non esiste alcun metalinguaggio universale che ci permetta di collocarci su un piano superiore ad essi. Ci troviamo sempre già immersi in giochi linguistici dati […] e non c’è un metalinguaggio che ci permetta di elevarci al di sopra di tutti i linguaggi. Questo è ciò che rifiuto quando dico “Addio alla verità”».[14] Se le cose stanno così, allora non resta altro che «…prender atto che la cosiddetta verità è un affare di potere».[15]


11. La “eguale validità”. Versioni del relativismo un po’ più raffinate sostengono che la nozione di prova è valida solo all’interno di specifici universi di discorso o di specifiche province di significato. Se si cambia l’universo di discorso, la prova non è più valida. Questo perché ogni universo di discorso ha la sua autonomia. Di qui deriva la nozione della uguale validità delle diverse teorie. Boghossian riporta un esempio tipico: «Secondo la spiegazione archeologica standard, ampiamente confermata, gli esseri umani giunsero per la prima volta in America dall’Asia, attraverso lo Stretto di Bering, circa diecimila anni fa. Per contro, alcuni miti dei nativi americani sulla creazione sostengono che queste popolazioni sono vissute in America sin da quando i loro progenitori emersero sulla superficie terrestre da un mondo di spiriti sotterraneo. […] molti archeologi, divisi tra la fedeltà al metodo scientifico e il loro apprezzamento per la cultura nativa sono stati spinti verso un relativismo postmoderno nel quale la scienza è solo un altro sistema di credenza».[16]

Secondo questi scienziati, evidentemente contagiati dal politically correct, la scienza moderna è solo uno dei tanti modi di conoscere il mondo e la visione del mondo dei nativi è valida tanto quanto il punto di vista della archeologia scientifica. Sostenere il contrario in certi ambienti significa oggi esporsi all’accusa di razzismo nei confronti delle culture native e di complicità nei confronti di oscuri complotti ai loro danni. Dunque, si tratta qui di rifiutare la scienza come modo privilegiato di vedere il mondo. Le verità scientifiche sono soltanto verità tra le tante e non possono pretendere alcun trattamento particolare.[17] Chi accenni a pretendere per le verità scientifiche uno status particolare, di verità per lo meno corroborate,[18] viene accusato di scientismo, cioè di estremismo in campo scientifico. Purtroppo queste posizioni sull’eguale validità delle teorie sono oggi ampiamente diffuse e, nell’accademia, costituiscono praticamente l’ortodossia, soprattutto nel mondo anglosassone, soprattutto quando sono in gioco i punti di vista delle minoranze.

Dunque, come abbiamo mostrato, le verità alternative possono accompagnarsi strettamente al relativismo e al costruttivismo in una sorta di abbraccio mortale. Anche questi due atteggiamenti di per sé non andrebbero demonizzati in senso assoluto: essi trovano applicazione con successo in diversi campi. Il problema nasce quando sono applicati nell’ambito sbagliato. E questo succede sempre più spesso. Purtroppo relativismo e costruttivismo – in seguito alla diffusione a livello di massa del postmodernismo[19] – sono divenuti semplicemente atteggiamenti popolari, atteggiamenti di moda, e sono stati applicati in maniera sconsiderata a qualsiasi cosa.


12. L’avvento della biopolitica. L’ipotesi della costruzione sociale della verità ha avuto un notevole successo e molti studiosi si sono dati da fare per ampliarla e generalizzarla. Ciò che in particolare ha attirato l’attenzione è la questione della relativa uniformità delle credenze, unita alla convinzione della dipendenza dal potere delle credenze stesse. Se una verità oggettiva non esiste e, nonostante ciò, tutti credono alle stesse cose, allora ciò significa che c’è qualcuno o qualcosa che riesce a imporre le credenze, nel suo stesso interesse. Tuttavia si è osservato che nella società e nella storia non si tratta solo semplicemente della diffusione di credenze ma anche e soprattutto della produzione di istituzioni connesse alle credenze. Le credenze si trasformano in istituzioni e le istituzioni generano credenze. Se in una società è diffusa la credenza nelle streghe, correlativamente si darà luogo a istituzioni che avranno il compito di “trattare” il fenomeno delle streghe.

La maggior parte delle istituzioni ha come oggetto il trattamento degli esseri umani da un qualche specifico punto di vista. E il trattamento istituzionale degli esseri umani si rivolge spesso al corpo. Questo fatto, una volta evidenziato, ha dato luogo alla configurazione di un nuovo campo di studi, la cosiddetta biopolitica. Se c’è un territorio indubbiamente di confine tra natura e cultura, questo è proprio il corpo umano. A prima vista è difficile sostenere che il corpo umano sia una costruzione sociale. Tuttavia una nutrita serie di studiosi ha sostenuto che il corpo umano naturale non esiste più poiché è stato completamente culturalizzato attraverso la sua cattura da parte del potere politico e istituzionale.[20] Accenni di una teoria del genere si trovano già in Marx (si pensi all’incorporazione del lavoro vivo dentro alle macchine) e si ritrovano in abbondanza presso autorevoli esponenti della Scuola di Francoforte.

Colui che successivamente ha sviluppato in particolare la nozione della biopolitica è stato tuttavia il già citato Michel Foucault. Utilizzando un metodo che risale a Nietzsche, il metodo genealogico,[21] Foucault ha tentato di ricostruire una sorta di storia complessiva della cultura occidentale (che egli definisce piuttosto come archeologia) nella quale si mette in evidenza la logica biopolitica che starebbe alla base dell’Occidente stesso, ossia la progressiva cattura dei corpi da parte del potere, da parte delle istituzioni, attraverso la medicina, le istituzioni carcerarie, le istituzioni manicomiali e la psichiatria, il controllo della sessualità, la sorveglianza sul linguaggio e così via. Tipico della prospettiva foucaultiana è il carattere totalitario che assume inevitabilmente il sistema biopolitico. Nel mondo visto da Foucault non c’è alcuno spazio per una qualche individualità autonoma. I soggetti sono tutti colonizzati dagli apparati del potere, definiti come istituzioni totali o come dispositivi. Gli unici spazi di libertà (si fa per dire) si possono ritrovare negli interstizi tra un ambito istituzionale e l’altro, luoghi non ancora colonizzati dai dispositivi.

Può avere qualche interesse, rispetto al dibattito attuale sull’autoritarismo delle politiche sanitarie, segnalare che Giorgio Agamben è considerato, a livello internazionale, come un importante prosecutore del lavoro di Foucault. Anche Toni Negri si è rifatto alla prospettiva della biopolitica.


13. La tecnica e la scienza moderna come decadenza. Una parte rilevante della contestazione nei confronti della ragione è stata rivolta contro la scienza moderna. Tra le opinioni contestate dalle verità alternative ci sono anche e soprattutto le verità prodotte nell’ambito della scienza e della tecnica. La Terra è piatta, non siamo mai andati sulla luna, e così via. Se c’è un motivo conduttore che attraversa tutta la modernità, fin dai suoi inizi, questo è costituito proprio dal pregiudizio antiscientifico. Le prime bordate contro la scienza e la tecnica furono subito sparate dai primi oppositori dell’illuminismo, quegli stessi che in gran parte erano stati anche oppositori della rivoluzione scientifica e della rivoluzione industriale.[22] Naturalmente queste posizioni “alternative” avevano come riferimento normativo il mitico mondo precedente, il mondo prescientifico e preindustriale. Gli antilluministi, i romantici e i post romantici si sentirono costantemente ossessionati dalla tecnica e dalla scienza. È nota del resto la simpatia dei romantici per il medioevo. Tanto che gli antilluministi inventarono – del tutto arbitrariamente – numerose filosofie della storia con cui cercarono di render conto dell’emergere, nella storia dell’Occidente, della tecnica e della scienza, cioè del corpo estraneo che avrebbe determinato la decadenza della nostra civiltà. In questo modo, nell’ambito dell’antilluminismo, si è andati più volte a ritroso nel tempo, trovando colpevoli sempre antecedenti, fino a mettere sotto accusa l’intera civiltà occidentale.


14. Tutta colpa del disincantamento. La narrazione più o meno è sempre la stessa: un ordine originario armonico e incantato che è stato spezzato da una sorta di peccato originale, da cui è iniziata la nostra attuale decadenza. Si tratta solo di mettersi d’accordo (cosa peraltro non facile, a giudicare dai risultati) su quando il misfatto sia avvenuto e di chi sia la colpa. Per taluni il colpevole sarebbe stato il sofista Socrate, che avrebbe cominciato a fare troppe domande e a cercare perfino delle risposte. Per altri, più in generale, il colpevole sarebbe stato il logos greco, che avrebbe ambìto a sostituirsi al mito, distruggendo la magica totalità primigenia. Per altri la colpa sarebbe di Parmenide, fondatore del principio di non contraddizione e della logica occidentale. Tuttavia, secondo altri ancora, Parmenide sarebbe invece da considerare come l’ultimo detentore di una sapienza antica di carattere non tecnico. Per altri la colpa sarebbe stata in primo luogo di Platone, razionalizzatore del mito e, poi, del cristianesimo, il quale ultimo avrebbe introdotto una pericolosa dottrina dell’individualità, diffusasi tra umanesimo e Rinascimento. Infine, il razionalismo e il nominalismo moderni avrebbero aperto le porte alla scienza moderna, assestando un duro colpo alla tradizione metafisica. Il povero Kant, principe dell’illuminismo, che ha cercato un onorevole compromesso tra la scienza e la metafisica, e ha cercato di difendere la scienza moderna, seppure in un ambito assai circoscritto, è stato osannato ma poi subito ferocemente attaccato da tutti.


15. Una modernità “alternativa”. Come suggerisce autorevolmente Zev Sternhell,[23] l’antilluminismo è assimilabile a un vero e proprio movimento politico, per quanto assai variegato e non ben strutturato. Un movimento che ha mirato a costruire un’immagine alternativa della modernità che fosse profondamente contraria ai principi dell’illuminismo. Una modernità con la testa rivolta all’indietro, verso la primigenia unità incantata, spesso appellata come totalità, che sarebbe andata soggetta a una rottura. Naturalmente il corrispettivo reale, il punto di riferimento di tutto ciò era il medioevo, dietro al quale poi si collocava una visione del tutto idealizzata e fasulla del mondo classico. In questo ambito è stata elaborata l’idea della comunità organica vivificata dalla lingua, dalla religione o, prima ancora, dal mito. Una idea che sta alla radice ancora oggi di tutti i nazionalismi e i populismi.

Mentre gli illuministi avevano puntato su un modello universale di valori umani, gli anti illuministi si sono fondati preferibilmente su tutto ciò che divide, distingue e particolarizza: al posto dell’umanità universale tante micro totalità che non vogliono rinunciare alle loro particolarità. L’idea di nazione è solo la più eclatante. Gli individui non possono che essere incatenati alle loro particolarità (razza, sangue, suolo, lingua, religione, tradizioni, costumi). Il mondo dell’anti illuminismo è il mondo della valorizzazione delle particolarità, il mondo dunque, si badi bene ai fini del nostro discorso, del relativismo e della negazione dell’universale.

Per gli illuministi, libertà significava emancipazione dalle catene del particolare. Per gli antilluministi, invece, libertà significava proprio liberazione dall’universale, la vera catena che grava sul particolare. I diritti naturali e il contratto sociale sono per costoro uno scandalo e la causa prima della decadenza dei mondi particolari che essi difendono sempre e comunque. I valori universali sono considerati come totalitari! L’antilluminismo, su questa base, ha dato vita a tutte le rivolte comunitariste, irrazionaliste, a tutte le destre nazionaliste, populiste e rivoluzionarie. Dovrebbe a questo punto risultar abbastanza chiaro come il postmoderno altro non sia se non la prosecuzione contemporanea di queste tendenze decisamente non nuove. Postmoderno è poco più che un altro modo per dire antimoderno. È significativo come da parte dei postmoderni si richieda insistentemente, e piuttosto contraddittoriamente, una eguaglianza che implichi tuttavia il riconoscimento di tutte le differenze e le particolarità. Una missione decisamente impossibile.


16. I novax, figli legittimi della filosofia occidentale. Ci fu così solo un brevissimo periodo in cui i «moderni» si sentirono davvero più avanti dei loro predecessori, si sentirono cioè «sulle spalle dei giganti». Ma ben presto cominciarono le bordate contro la modernità. Tanto che si potrebbe asserire che in realtà «non siamo davvero mai stati moderni».[24] La «verità alternativa» che si cominciò a far circolare è che quella che ci era sembrata una modernità era in realtà una decadenza.

A entrare nei dettagli di queste filosofie decadenti della storia bisognerebbe ripercorrere tutta la storia della filosofia moderna. Dovremmo citare Burke, Vico e Herder, gli idealisti tedeschi in blocco e numerosi poeti dei quali il più rappresentativo è forse Hölderlin. In generale dovremmo citare buona parte dei romantici e dei vitalisti postromantici, come ad esempio Dilthey.[25] Dovremmo citare Friedrich Nietzsche che per molti aspetti ha costituito un modello per queste ricostruzioni “genealogiche” della decadenza. Dovremmo citare la teoria della razionalizzazione di Max Weber. Dovremmo naturalmente citare Oswald Spengler e la sua nozione del declino dell’Occidente. Un altro autore fondamentale, costruttore di una filosofia della storia che pretende tuttavia di non esserlo, è Martin Heidegger. Anche il suo maestro, Husserl, ci ha messo del suo, inventandosi una “crisi delle scienze europee”. Il marxismo poi, lungo i suoi 150 anni, ha dato un suo contributo davvero consistente alla nozione di uno sviluppo che costituirebbe tuttavia in realtà una perdita dell’essenza umana. Anche i sociologi non scherzano: Durkheim, Tönnies e Simmel rimpiangono pur sempre il mondo incantato, prima della grande disgregazione della modernità. In campo economico possiamo citare Karl Polanyi, critico del regime di libero mercato. Non possono mancare, nel folto elenco degli incantati, il primo Gyorgy Lukács, influentissimo nella cultura tedesca del suo tempo, e poi Walter Benjamin, a caccia dell’aura perduta dall’opera d’arte per colpa della tecnica. Non possono mancare poi Horkheimer, Adorno e Herbert Marcuse che hanno scritto sistematicamente contro la scienza, la tecnica e l’illuminismo. Anche Freud ci sta, seppure non in primissimo piano, con la sua nozione del “disagio della civiltà”. Certo, poi possiamo metterci pure Foucault e Agamben. Magari anche Cacciari. E buona parte dei loro amici postmoderni.

La cosa che stupisce non poco in questo elenco - che è del tutto improvvisato e dunque assolutamente incompleto - è il fatto che gli odiatori della tecnica e della scienza, dal punto di vista politico si ripartiscono tranquillamente tra destra e sinistra. Tra conservatori e rivoluzionari. In effetti, la rivolta contro la modernità è sempre stata fomentata sia dalla sinistra sia dalla destra estreme, fraternamente unite nella lotta. La destra e la sinistra estreme si sono impegnate, lungo tutta la modernità, a catechizzare le masse e a produrre così gli enormi movimenti di masse antimoderne che hanno caratterizzato gli scorsi secoli e in particolare il Novecento.

Fino a quando non avremo la coerenza e il coraggio di riscrivere queste insulse e demenziali ricostruzioni della storia dell’Occidente - che vanno ancor oggi per la maggiore e che vengono insegnate nelle accademie di tutto il mondo - i novax potranno sempre considerarsi, a pieno titolo, figli del tutto legittimi della cultura occidentale. Anzi, della parte più rappresentativa o, se si preferisce, della parte vincente della cultura occidentale. Uno dei caratteri più incoerenti dell’attuale visione del mondo prevalente in Occidente è proprio l’impiego massivo della scienza e della tecnica nel campo pratico, unito tuttavia alla sua costante demonizzazione sul piano teorico, unito cioè al rifiuto della ragione.


17. L’illuminismo e la modernità come causa dello sterminio. Mentre tutti i vantaggi pratici della modernità sono tranquillamente sfruttati anche e soprattutto dalle masse antimoderne, sempre desiderose di accaparrarsi gli ultimi giocattoli tecnologici, tutti i problemi emersi e tutte le catastrofi che sono avvenute negli ultimi secoli sono ovviamente imputate all’illuminismo, alla modernità, alla scienza, alla rivoluzione industriale e alla tecnica. Quando non alla logica, alla matematica, al logos greco (che sarebbe poi la vera origine ultima di tutti i mali) e, in definitiva, alla ragione. Da parte di taluni si sostiene poi che tutte le nefaste conseguenze che ne sono derivate erano già implicite fin dalle origini nel destino dell’Occidente. Purtroppo a furia di ripetere queste ciance, il rischio che qualcuno ci creda è piuttosto elevato.

Il caso più clamoroso (forse davvero uno dei maggiori successi dell’antilluminismo) è quello che attribuisce, in forma più o meno esplicita, alla ragione illuministica e alla modernità nientemeno che lo sterminio degli ebrei (che taluni chiamano Olocausto – cioè “sacrificio” - per sottolinearne il carattere di evento necessario già inscritto nella imperscrutabile volontà divina).[26] Anche su questo punto, paradossalmente, hanno trovato pieno accordo sia la destra sia la sinistra. Se la storia del negazionismo è stata accuratamente indagata, non altrettanto è accaduto per l’origine e gli sviluppi di questa vulgata accusatoria antilluministica: troppo elevato è il consenso nei suoi confronti perché qualcuno osi una pubblica critica.

Il fatto raccapricciante che i novax accusino di nazismo e/o fascismo le autorità sanitarie del nostro Paese e che – almeno in un’occasione – essi abbiano sfilato pubblicamente vestendo l’uniforme dei prigionieri dei campi di concentramento, se inquadrato nell’ottica di queste teorie diffuse, diventa un comportamento perfettamente intelligibile. Farò qui rapidamente alcuni esempi.


18. Horkheimer e Adorno cattivi maestri. Tra i precursori di questa accusa possiamo senz’altro individuare uno dei testi più sopravvalutati della filosofia contemporanea e cioè la Dialettica dell’illuminismo di Horkheimer e Adorno (scritto tra il 1942 e il 1944). I due studiosi, ebrei tedeschi rifugiatisi in America per sfuggire alle persecuzioni naziste, non hanno trovato di meglio che accusare l’illuminismo di essere responsabile dell’avvento del nazismo in Germania, nonché di tutte le conseguenze che ne sono derivate, compresi i campi di sterminio (dei quali peraltro non si conosceva ancora tutta la portata). Dicono in apertura: «L’illuminismo, nel senso più ampio di pensiero in continuo progresso, ha perseguito da sempre l’obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni. Ma la terra interamente illuminata splende all’insegna di trionfale sventura. Il programma dell’illuminismo era di liberare il mondo dalla magia. Esso si proponeva di dissolvere i miti e di rovesciare l’immaginazione con la scienza. […] Ma i miti che cadono sotto i colpi dell’illuminismo erano già il prodotto dell’illuminismo stesso».[27] Più oltre: «L’illuminismo è totalitario».[28]

Invece di ritenere che il nazismo si sia diffuso in Germania per una palese carenza di illuminismo, o per una deviazione dai principi stessi dell’illuminismo, i due studiosi hanno pensato bene che l’illuminismo avesse avuto il suo compimento proprio nella Germania nazista, che esso fosse responsabile della società e della cultura di massa e che avesse generato il totalitarismo nazi-fascista. Ovviamente anche i Paesi occidentali liberal democratici (compresi gli USA), ove si era sviluppata una società e una cultura di massa, erano da considerarsi come totalitari e implicitamente fascisti. Insomma, l’illuminismo avrebbe palesato, con l’avvento del nazismo, la sua vera natura che era rimasta nascosta per così tanto tempo.

È il caso di precisare – per la corretta collocazione di questo pensiero - che Horkheimer e Adorno criticano l’illuminismo, ma in realtà non si riferiscono soltanto alla modernità. Si riferiscono, assai più indietro nel tempo, al logos (o ratio), elemento fondativo della stessa cultura occidentale, il quale avrebbe dato origine alla tecnica, all’impresa scientifica moderna, al capitalismo e alla società borghese, considerate tutte come manifestazioni di decadenza. Per sostenere le loro tesi Horkheimer e Adorno hanno sviluppato una filosofia della storia basata su una particolare interpretazione della dialettica che risale ad Hegel e che ha radici nel celebre passaggio della Fenomenologia sul rapporto tra servo e signore e nei successivi passaggi sull’illuminismo. Secondo questo modello, i due elementi della contraddizione, mito e illuminismo, si scambiano dialetticamente l’uno con l’altro: l’illuminismo voleva sopravanzare il mito per liberare gli uomini ma ha finito a sua volta per divenire esso stesso mito. Nel linguaggio adottato dai due significa che l’illuminismo, nel combattere il mito attraverso la ragione, ha finito per realizzare la ragione come mito, quest’ultima da loro definita come ragione strumentale. Questa sarebbe la ragione della disumanità, che accomuna tutta la società borghese capitalistica, compresi gli esiti nazifascisti. Se vogliamo, era un modo un po’ arzigogolato per sostenere che il nazifascismo e la tecnostruttura della società capitalistica rappresentavano la biografia del logos occidentale. Rappresentavano, in altri termini, il suo disvelamento. Il disvelamento della sua profonda natura totalitaria. Come ben si vede, siamo ancora di fronte a filosofi del sospetto indefessamente al lavoro.


19. La modernità liquida e l’Olocausto. La tesi secondo la quale la modernità avrebbe prodotto lo sterminio è stata sviluppata, seppure con una certa ambiguità, nel saggio Modernità e Olocausto del sociologo polacco Zygmunt Bauman.[29] L’Autore, forse non a caso, è divenuto negli ultimi decenni un vero e proprio guru della filosofia postmoderna. Bauman, nel suo saggio, in gran parte riporta e discute opere storiche e sociologiche sullo sterminio, ma criticamente ravvisa la loro insufficienza nel dare un’adeguata interpretazione del fenomeno. La tesi di fondo che l’Autore fa emergere poco a poco, l’interpretazione corretta dunque, sarebbe quella secondo cui lo sterminio è la rivelazione della vera natura della modernità.

Cito qualche passo. L’Olocausto sarebbe «[…] un evento tutt’altro che facile da comprendere in termini abituali e “ordinari”».[30] Si suggerisce cioè che, per la sua comprensione, non bastano gli strumenti ordinari della storiografia e delle altre scienze sociali. Lo sterminio, per Bauman, sarebbe «una finestra» attraverso la quale è possibile «cogliere una rara immagine di cose altrimenti invisibili». Anche qui, come ognun vede, si tratta programmaticamente di portare alla ribalta “cose altrimenti invisibili”, cioè verità alternative.

La verità alternativa sta nel fatto che: «L’Olocausto fu pensato e messo in atto nell’ambito della nostra società razionale moderna, nello stadio avanzato della nostra civiltà e al culmine dello sviluppo culturale umano: ecco perché è un problema di tale società, di tale civiltà e di tale cultura».[31] Di fronte a questa “responsabilità” «[…] vi sono scarsi motivi di dubitare che un’autoassoluzione sia effettivamente in corso».[32] Per Bauman si tratta dunque di «[…] interpretare l’Olocausto come un fenomeno tipicamente moderno che non può essere compreso fuori dal contesto delle tendenze culturali e delle conquiste tecniche della modernità».[33] Ne deriva di conseguenza l’esigenza di «[…] integrare la lezione dell’Olocausto nel filone principale della nostra teoria della modernità, del processo di civilizzazione e dei suoi effetti».[34]

Bauman dichiara, insomma, che c’è un’unica entità compatta, la “società razionale moderna, nello stadio avanzato della nostra civiltà e al culmine dello sviluppo culturale umano”. Entro quest’unica entità sono stati prodotti il nazismo, il razzismo e lo sterminio. Dunque quest’unica entità è responsabile dell’Olocausto, anche se resiste ad ammetterlo. Scopo del lavoro di Bauman sarebbe quello di farci superare le nostre resistenze e di farci ammettere che, in quanto moderni, siamo tutti responsabili dell’Olocausto. Si tratta di un’argomentazione decisamente imbarazzante. Anzitutto perché mette sullo stesso piano coloro che il nazismo lo hanno avversato e combattuto e coloro che lo hanno invece appoggiato. Lo storico idiografico, invece di allargare il campo a dismisura, fino a coinvolgere tutta la modernità, avrebbe dovuto domandarsi anzitutto perché nella Germania nazista e non altrove. La spiegazione storica si fa in base alle differenze e non in base alle vaghe somiglianze.

Si noti che Bauman, in svariati passaggi della sua analisi, dice chiaramente le cose come stanno e cioè che la modernità aveva condannato l’antisemitismo e aveva determinato il conferimento della cittadinanza agli ebrei e la loro assimilazione. Il razzismo sterminatore, dice correttamente Bauman, sarebbe stato invece determinato dalla mobilitazione degli antimoderni. Dice poi chiaramente che la società völkisch, che i nazisti volevano costruire, era decisamente antimoderna.

Ma allora, in cosa consisterebbe il coinvolgimento della modernità nella responsabilità dell’Olocausto? Spiega Bauman che: «D’altro canto, come concezione del mondo e – quel che più importa – come efficace strumento di attività politica, il razzismo è impensabile senza lo sviluppo della scienza, della tecnologia e delle forme moderne di potere statale. In quanto tale, il razzismo è un prodotto specificatamente moderno. La modernità ha reso possibile il razzismo».[35] Una delle connessioni tra Olocausto e modernità sarebbe «[…] lo stretto legame con il modello di autorità sviluppato fino alla perfezione dalla burocrazia moderna».[36] Bauman aggiunge ulteriormente che «La miscela omicida era costituita da un’ambizione tipicamente moderna alla progettazione e all’ingegneria sociale, combinata con una concentrazione – altrettanto tipicamente moderna - di potere, risorse e capacità gestionali».[37] Secondo Bauman poi «[…] le vere cause del disastro […] sono radicate in alcuni aspetti della mentalità e dell’organizzazione sociale moderna […]. La possibilità dell’Olocausto era radicata in alcuni caratteri universali della civiltà moderna; la sua esecuzione, d’altro canto, era legata a una specifica, e nient’affatto universale, relazione tra lo stato e la società».[38]

L’unica cosa che par di capire è che la responsabilità che si dovrebbe imputare alla modernità, rispetto al razzismo e allo sterminio, sarebbe sempre la solita, cioè quella di avere fornito agli antimoderni völkisch il modello della ingegneria sociale, quello della sterilizzazione medica dai parassiti e quello della burocrazia. O, come Bauman dice altrove in maggior sintesi, di avere prodotto la scienza, la tecnologia e le forme moderne del potere statale. Come si vede, anche se Bauman non lo dice espressamente, dietro allo sterminio si continua a intravvedere sempre l’illuminismo totalitario.

 

20. Sufficiente non è necessario. Bauman nella sua perorazione antimoderna appare del tutto incapace di distinguere tra i mezzi e i fini e finisce per mettere nello stesso sacco chi voleva l’assimilazione e l’emancipazione degli ebrei, alla luce di un principio universale di eguaglianza e tolleranza, e chi invece voleva una nuova società völkisch purificata dai corpi estranei attraverso la violenza e lo sterminio.

Dietro a questo pensiero c’è il rifiuto stesso della distinzione tra mezzi e fini, come se si trattasse di una distinzione immorale. La posizione di Bauman su questo punto è del tutto simile a quella di Horkheimer e Adorno. Tutti costoro sembrano avere come riferimento un’epoca storica arcaica (se mai c’è stata) precedente alla distinzione tra fini e mezzi. La pretesa implicita di questo modo di pensare è che i mezzi non siano più mezzi, che debbano avere cioè un principio morale incorporato che protegga dal loro cattivo uso. Ma le cose non funzionano proprio così. Non c’è una pistola che abbia incorporato un principio morale per cui spari solo ai cattivi. Non c’è una burocrazia che persegua di per sé solo fini buoni, un esercito che combatta solo per il bene, come non c’è una macchina a vapore che trasporti i viaggiatori solo verso mete felici e si fermi quando è diretta verso Auschwitz. I nazisti usavano le schede IBM ma di quello che ci facevano sono loro i responsabili (e magari un po’ anche quelli che glie le vendevano) e non il logos occidentale o la tecnica. O la ragione.

Bauman poi chiaramente ignora (o fa finta di ignorare) la distinzione logica tra condizione sufficiente e condizione necessaria. In uno dei passi citati poco sopra, si mostra perfettamente in grado di distinguere tra la possibilità dello sterminio, reso in generale possibile dalle invenzioni della modernità, e la sua effettiva esecuzione che è specifica e nient’affatto universale, legata a una specificità del tutto tedesca e nazista. Tuttavia la chiamata di responsabilità non viene mai rivolta alla situazione specifica bensì è attribuita sempre in toto alla modernità.

Per sostenere appieno che la burocrazia, la tecnica, l’ingegneria sociale e la logica medica applicata alla società siano state la causa dello sterminio (cioè la sua condizione necessaria) occorre che uno sterminio ci sia necessariamente tutte le volte che si presentano le condizioni suddette. Lo stesso Bauman non avrebbe mai sostenuto esplicitamente una simile corbelleria. Bauman sostiene, più semplicemente, una tesi ben più modesta e cioè che in mancanza delle condizioni suddette, lo sterminio sarebbe stato difficile se non impossibile. Se i nazisti non avessero avuto una burocrazia, se non avessero avuto una scienza e una tecnica, se non avessero avuto una mentalità da ingegneria sociale, ecc… non sarebbero stati in grado di fare quello che hanno fatto. Certo, verissimo. Ma si tratta pur sempre di condizioni sufficienti. La condizione sufficiente permette, mette in grado, abilita, rende disponibili certe opzioni. Ma non determina o causa proprio nulla.

Se i nazisti fossero stati analfabeti non avrebbero potuto fare lo sterminio, ma questo non significa che gli alfabetizzati siano degli sterminatori (anche se il possesso dell’alfabeto – cuore della burocrazia – mette in grado di sterminare con particolare efficacia). Ugualmente, se i nazisti non avessero avuto la locomotiva non sarebbero riusciti a riempire i campi di concentramento e di sterminio. Non ne consegue che la colpa morale dello sterminio vada riversata sull’inventore della macchina a vapore. Non consegue neppure che il povero James Watt debba sentirsi moralmente colpevole per l’uso che i nazisti hanno fatto della sua invenzione. Non consegue neppure che noi oggi dobbiamo abbattere le statue di Watt, come fanno quelli della cancel culture. Sostenere che con l’invenzione della macchina a vapore era già implicita la possibilità di riempire i campi di prigionieri e di sterminarli, oppure, heideggerianamente, che i campi stiano già fin dall’inizio entro il destino della tecnica sarebbe una forma solenne di stupidità.


21. Il campo di sterminio come essenza della modernità politica. Sarebbe troppo facile citare Heidegger a proposito dello spregio nei confronti della scienza e della tecnica e dello scaricamento delle responsabilità dello sterminio proprio sulla tecnica.[39] Mi concentrerò su un suo celebrato discepolo nostrano, anch’esso venuto prepotentemente alla ribalta a proposito della questione del totalitarismo vaccinale. La tesi della stretta relazione tra modernità e sterminio è stata sostenuta da Giorgio Agamben, secondo il quale, nella modernità, il prototipo autentico del potere politico moderno sarebbe costituito dal campo di concentramento. Mi servo di alcune citazioni per esemplificare e velocizzare l’esposizione. Agamben nel suo Homo sacer,[40] in un capitolo dal titolo significativo de: “Il campo come nómos del moderno”, sostiene che: «Invece di dedurre la definizione del campo dagli eventi che vi sono avvenuti, ci chiederemo piuttosto: che cos’è un campo, qual è la sua struttura giuridico-politica, perché simili eventi abbiano potuto avervi luogo? Ciò ci condurrà a guardare al campo non come a un fatto storico e a un’anomalia appartenente al passato (anche se, eventualmente, ancora riscontrabile), ma, in qualche modo, come alla matrice nascosta, al nómos dello spazio politico in cui ancora viviamo».[41] E ulteriormente: «La nascita del campo nel nostro tempo appare allora in questa prospettiva, come un evento che segna in modo decisivo lo stesso spazio politico della modernità. Essa si produce nel punto in cui il sistema politico dello Stato-nazione moderno, che si fondava sul nesso funzionale fra una determinata localizzazione (il territorio) e un determinato ordinamento (lo Stato), mediato da regole automatiche di iscrizione della vita (la nascita o nazione), entra in una crisi duratura e lo Stato decide di assumere direttamente fra i propri compiti la cura della vita biologica della nazione».[42]

Naturalmente Agamben, seguace di Foucault, è uno dei principali interpreti e sostenitori della biopolitica, cui abbiamo già fatto cenno. Con il solito metodo genealogico,[43] se a un certo punto della modernità compare un campo concentrazionario, ciò vuol dire che il campo stesso era già nel destino della modernità stessa. La comparsa del campo altro non è che il disvelamento della natura profonda della modernità. Ciò viene sostenuto nonostante nel saggio di Agamben si connetta abbastanza chiaramente il campo con lo stato di eccezione. In realtà, per Agamben, lo stato di eccezione non è appunto l’eccezione, bensì il fondamento della norma (come in Carl Schmitt).

Così si capisce pienamente come mai i provvedimenti presi per la tutela della salute, in occasione del Covid-19, possano essere assimilati dai novax a provvedimenti nazisti o fascisti.


22. Dalle stelle alle stalle. Si potrebbe allora asserire che, proprio poiché la modernità ha sempre avuto i suoi feroci oppositori, non è il caso di fare tante storie e che quel che accade oggi non riveste alcuna novità significativa e non dovrebbe suscitare grandi clamori. La novità in realtà c’è: quel che per tutta la modernità è stata pressoché principalmente un’opposizione di élite più o meno allargata, talvolta fino a coinvolgere la politica stessa su vasta scala,[44] oggi finalmente è divenuta una opposizione autonoma di massa. È divenuta cioè senso comune distribuito che viaggia per conto proprio. Se i novax possono oggi fare, con successo e senza una minima organizzazione, un’opposizione di massa alla modernità è perché sono stati preceduti da secoli di opposizione di élite che ha trovato ampio spazio tra gli accademici, gli intellettuali, sulla stampa e nella letteratura popolare. Nonché entro le cerchie della politica. Proporrò qui di seguito alcuni esempi di questa nuova opposizione allargata alla modernità che sta minando profondamente la nostra società e la nostra cultura.


23. Politically correct. Un punto davvero critico di condensazione di tutti gli orientamenti filosofici che abbiamo descritto, sia a livello della cultura alta sia a livello della cultura popolare è, da alcune decine di anni, il politically correct. Non è semplicemente una moda spontanea, un bizzarro fenomeno di costume, bensì una vera e propria visione del mondo, una filosofia pop nata nel calderone della cultura di massa. Se tutto è relativo e di conseguenza tutto è costruzione sociale, allora le nostre eventuali buone ragioni morali e politiche possono autorizzarci a correggere e raddrizzare qualsiasi cosa ci appaia, per qualche motivo, sbagliata. Se tutte le storture dipendono dagli equilibri di potere nascosti, allora questi vanno smascherati e debellati. Vanno sostituiti con il potere della pubblica opinione che pensa e opera in modo corretto. I codici morali che solitamente ispirano queste pratiche “politicamente corrette” sono due: uno è quello della eguaglianza assoluta per tutti. L’altro, perfettamente in contrasto col precedente, è quello del trattamento differenziato o personalizzato che ciascuno avrebbe diritto di pretendere per sé o per la propria categoria di appartenenza del momento.

Uno dei primi ambiti d’intervento – tipicamente foucaultiano - è stato quello del linguaggio. Si è cominciato con il bandire termini che potevano apparire offensivi (tipicamente, la famosa parola impronunciabile che comincia per “n”). Poi è toccato a un’infinità di designazioni che si è cercato di neutralizzare mediante eufemismi talvolta ridicoli. Sono stati presi particolarmente di mira i generi, che in molte grammatiche vedono la preminenza del maschile. Sono stati ridefiniti in forma confusa e talora buffa i nomi di talune professioni declinati al femminile. In ultimo si sta cercando di sovvertire le convenzioni tipografiche per andare oltre la prevalenza grammaticale del maschile, introducendo obbrobri come «car* amic*» oppure come «carə amicə» con la schwa. Anche nel nostro Paese, a opera di solerti funzionari, si cominciano a vedere nella pubblica amministrazione concrete applicazioni del genere.

Sul terreno gender stiamo assistendo a sottili disquisizioni filosofiche legate ai termini relativi alla identità sessuale. Come è noto anche l’identità sessuale è considerata da molti come una costruzione sociale perfettamente modificabile a seconda dello stato psicologico individuale e della dottrina ideologica del momento. Non ci addentriamo qui nella ridda delle “terminologie corrette” che bisognerebbe adottare. Chi crede ancora che esistano due sessi, maschio e femmina, è qualificato con il termine spregiativo di “binary”.


24. Una censura in nome della libertà e dell’eguaglianza: la cancel culture. Un altro terreno su cui si è sviluppato il politicamente corretto è la cosiddetta cultura della cancellazione o cancel culture. Sembra uno scherzo, ma la cancel culture sta assumendo proporzioni devastanti. Si è cominciato con l’abbattimento di monumenti a fatti e personaggi che si sosteneva fossero poco corretti, accusati di schiavismo, razzismo, maschilismo o altro ancora. Ci è andato di mezzo anche Cristoforo Colombo. Oggi in USA è sempre più problematico festeggiare il Columbus Day, sostituito ormai spesso da un Indigenous Peoples’ Day. Si ricorderà che anche in Italia, qualche tempo fa si cercò di riscrivere la storia dell’Unificazione sull’onda del regionalismo e Garibaldi fece la fine di Colombo.

Il fatto preoccupante è che ormai la cancel culture, dai monumenti si è estesa ai contenuti dei libri scolastici e, dunque, ai programmi scolastici. Ancor più recentemente sta prepotentemente invadendo il terreno della libertà di insegnamento e, ancor più, della libertà di parola. Tutti i contenuti che possono mettere alla prova la sensibilità di qualcuno possono ormai essere censurati. Sempre più frequentemente compaiono le notizie di note istituzioni accademiche che mettono al bando autori greci e latini, oppure anche autori come Shakespeare, perché ritenuti offensivi o conturbanti per gli studenti. Nei campus nordamericani ormai è prassi comune censurare la presenza di professori o relatori che siano portatori di idee che possono essere sentite come offensive da parte di qualche minoranza. È sufficiente che qualcuno si senta offeso e la conferenza o la manifestazione viene censurata. E pensare che la modernità aveva avuto inizio proprio con la libertà di coscienza, la libertà di parola e il pluralismo.


25. Stay woke! Ci vogliono fregare. Il politicamente corretto, particolarmente nei paesi anglosassoni si è ulteriormente sviluppato nella ormai dilagante stay woke culture,[45] non più solo una filosofia popolare ma una vera e propria cultura del sospetto di massa che ormai ha raggiunto la sua compiuta maturità, tanto che viene esportata in tutto il mondo. Lo stay woke unisce il sospetto al complottismo e induce i suoi militanti a una permanente vigilanza contro complotti che sono disseminati ovunque. Complotti che in un modo o nell’altro sono orditi perché “ci vogliono fregare”. Naturalmente i colpevoli sono sempre indicati nei poteri oscuri, nei poteri forti. Spesso questi poteri assumono vesti razziali, ma speso vestono gli abiti dei poteri economici, oppure quelli dei poteri scientifici e tecnologici. Sono proprio quelli che taluni filosofi hanno chiamato dispositivi.[46] Se è vero che la stay woke culture è prevalentemente di sinistra, dal punto di vista della cultura del sospetto non c’è alcuna significativa differenza con l’estrema destra americana. Come quelli di QAnon. La protesta contro la modernità continua a essere combattuta dall’estrema destra e dall’estrema sinistra, unite nella lotta sull’onda del sospetto.


26. L’epoca dell’incompetenza. Trattando delle verità alternative è il caso di citare, come altro elemento assai diffuso della pop culture antimoderna, quel vasto movimento sviluppatosi attorno alla new age, agli stili di vita naturali, alla nuova spiritualità, alla alimentazione e alle medicine alternative. La new age è stata palesemente una reazione anti moderna. Anche in questo caso si è trattato di una reazione nata spontaneamente nell’ambito della cultura di massa e rilanciata dai media. Non si tratta tuttavia di idee e pratiche inoffensive. Il Presidente degli USA e il presidente del Brasile non hanno esitato a produrre, dalla loro posizione istituzionale, diagnosi para mediche e a prescrivere cure alternative per il Covid-19 che puntualmente sono state bocciate dagli esperti.

Più in generale, queste mode hanno portato a una conseguenza drammatica che è il rifiuto degli esperti. Tutte le società complesse si basano sulla divisione del lavoro e su un’elevata specializzazione. La tendenza alla specializzazione tuttavia è sempre stata messa sotto accusa dagli anti moderni. Anche qui siamo in presenza di qualcosa che tutti in pratica utilizzano ma che poi in teoria contestano radicalmente, attraverso il fai da te selvaggio. Nichols ha chiamato questa tendenza la fine della competenza. In Nichols 2017 si trova una sintesi impressionante di questa tendenza, tipica del panorama americano ma ormai ampiamente diffusa anche nel nostro Paese. Dice Nichols: «La fine della competenza, […] è un problema diverso rispetto al dato storico dei bassi livelli di informazione tra i profani. La questione non è l’indifferenza di fronte ai saperi consolidati; è l’emergere di un’ostilità assoluta nei confronti di tali saperi. Questo è un fenomeno nuovo nella cultura americana: si tratta di un processo di aggressiva sostituzione delle opinioni degli esperti o dei saperi consolidati con la convinzione che, qualsiasi sia la materia, tutte le opinioni siano altrettanto valide».[47]

Nichols a un certo punto – scrive nel 2017 – cita un esempio che sembra davvero profetico: «Nel caso dei vaccini, per esempio, la scarsa partecipazione ai programmi di vaccinazione infantile in realtà non è un problema che riguarda le madri di provincia poco scolarizzate. Quelle madri devono accettare di vaccinare i loro figli, perché è un requisito obbligatorio delle scuole pubbliche. I genitori più propensi a opporre resistenza ai vaccini, si è scoperto, si trovano tra gli istruiti residenti delle ricche aree periferiche di San Francisco, nella contea di Marin. Pur non essendo medici, queste madri e questi padri sono abbastanza istruiti da credere di possedere una formazione di base sufficiente a sfidare la scienza medica consolidata. Quindi, per un paradosso controintuitivo, i genitori istruiti stanno effettivamente prendendo decisioni peggiori rispetto a quelli di gran lunga meno istruiti, e stanno mettendo a rischio i figli di tutti».[48]

Forse Nichols non immaginava quel che abbiamo visto recentemente. Abbiamo potuto cioè assistere addirittura alla conversione di una parte degli esperti nostrani alle stesse teorie alternative. Com’è ben noto, ad esempio, una parte non proprio trascurabile di medici e infermieri ha rifiutato la vaccinazione. Il premio Nobel Luc Montagnier si è schierato contro le vaccinazioni.


27. Tra accademia e cultura di massa. Uno “scambio colombiano”[49] sempre più catastrofico. Abbiamo visto che non c’è nulla nelle verità alternative che non sia già stato pensato o praticato da filosofi e uomini di cultura del passato. La storia della filosofia è piena zeppa di verità alternative. Perché allora la questione delle verità alternative sta assumendo un’importanza sensibile proprio in quest’ultimo periodo, proprio nel nostro stesso ambito sociale? Come ha avuto modo di osservare acutamente Maurizio Ferraris a proposito della postverità,[50] si dà qui il caso in cui una serie di bizzarre teorie filosofiche (beninteso, del tutto legittime sul piano della libertà di pensiero) sono uscite dall’accademia e hanno cominciato a camminare con le loro gambe – in forma, è il caso di dirlo, virale – e ora ce le troviamo davanti come dura realtà, o se si preferisce come uno zoccolo duro, capace addirittura di contribuire ad alimentare una epidemia, oltre che di influenzare in maniera determinante gli assetti della nostra società. Del resto, la filosofia si realizza quando è in grado di muovere le masse. Marx in questo aveva visto giusto.

D’altro canto occorre anche riconoscere – e questa è davvero una novità mai vista – che una serie di teorie altrettanto bizzarre si sono originate primieramente, ai giorni nostri, nell’ambito multiforme della cultura di massa e hanno finito poi per trovare solidi agganci dentro all’accademia e quindi sono state rilanciate, grazie proprio al potere accademico.[51] In altri termini, l’accademia ormai è divenuta terra di conquista da parte della cultura di massa e ormai sta fornendo il terreno per la disseminazione delle teorie alternative più disparate. Del resto, se la verità oggettiva non esiste, chi può decidere cosa si deve o non si deve insegnare? Affidiamoci dunque alla legge della domanda e dell’offerta.


28.Una cultura alta da burla. Un tipico esempio di intreccio catastrofico tra cultura alta e cultura bassa è stato messo in evidenza dalla celebre Burla di Sokal. Ne ho già parlato altrove.[52] Trascrivo qui a uso di coloro che si fossero persi l’aneddoto, che è piuttosto divertente. Nel 1997 Sokal e Bricmont pubblicarono un loro saggio contro le imposture intellettuali in cui furono messe alla berlina le disinvolture argomentative di alcuni intellettuali postmoderni assai popolari, per lo più francesi (Lacan, Kristeva, Irigaray, Latour, Baudrillard, Deleuze, Guattari, Virilio) e in cui si faceva anche un resoconto dettagliato della cosiddetta burla che aveva contribuito a smascherare un certo ambiente postmoderno nordamericano.

Sokal e Bricmont erano entrambi professori di fisica, rispettivamente a New York e a Lovanio. Ecco il resoconto della burla, attraverso la penna dei diretti protagonisti: «[…] uno di noi, Sokal, decise di tentare un esperimento non ortodosso […]: sottopose a una rivista culturale americana alla moda, Social Text, una parodia del genere di articoli che abbiamo visto proliferare negli ultimi anni, per vedere se l’avrebbero pubblicata. L’articolo, intitolato «Trasgredire le frontiere, verso un’ermeneutica trasformativa della gravità quantistica», è pieno di assurdità e di palesi non sequitur. Inoltre propone una forma estrema di relativismo cognitivo: dopo aver messo in ridicolo il “dogma” superato secondo cui “esista un mondo esterno, le cui proprietà sono indipendenti da ogni essere umano in quanto individuo, e in definitiva dall’umanità intera”, afferma categoricamente che “la ‘realtà’ fisica, non meno che la ‘realtà’ sociale, è in fin dei conti una costruzione sociale e linguistica”. Attraverso una serie di salti logici sbalorditivi, arriva alla conclusione che “il π di Euclide e la G di Newton, un tempo considerati costanti ed universali, vengono ora percepiti nella loro ineluttabile storicità […]”. Il resto dell’articolo è dello stesso tono. Ciò nonostante l’articolo fu pubblicato in un numero speciale di Social Text […]. La beffa fu immediatamente svelata dallo stesso Sokal, suscitando un diluvio di reazioni […]».Tutto ciò avveniva nel 1996.

Nell’esempio riportato abbiamo lo scenario della cultura alta che si impiglia nel proprio vuoto pneumatico antimoderno. Ma il politically correct e lo stay woke non fanno che riprodurre, ai livelli più bassi, esattamente lo stesso vuoto. Per di più ormai l’accademia sta seguendo pedestremente le politiche liberticide della cancel culture. Storicamente, in questa forma di decadenza (qui il termine è davvero appropriato), il ruolo della sinistra è stato rilevante: serbatoio di questa nuova “funzione” dell’accademia sono stati i controversi cultural studies (spesso di importazione dalla cultura continentale europea – Foucault è stato assai popolare negli States) che hanno imperversato, dopo il Sessantotto, nelle università americane, producendo un generale e disastroso appiattimento culturale.


29. La scienza timida e senza volontà. Di fronte alla negazione sistematica di evidenti verità scientifiche, di fronte allo scempio della tradizione classica e umanistica, le reazioni della comunità scientifica non assomigliano davvero ai quadri totalitari descritti da Foucault e da Agamben. Il presunto dispositivo di potere tecnico scientifico è apparso invece alquanto indifeso, assolutamente incapace di mobilitarsi e di sostenere le proprie fondate ragioni. Cercherò di spiegare rapidamente questo concetto proprio con l’aiuto di uno dei grandi avversari della scienza moderna.

Nietzsche, nella sua Genealogia della morale, andando alla ricerca di forze capaci di opporsi alla diffusione della morale ascetica, da lui criticata nel suo saggio, si domanda se per caso la comunità scientifica non ne sia capace e produce accidentalmente questa valutazione della scienza e degli scienziati che val davvero la pena di riportare. Afferma dunque Nietzsche che: «Non esiste, giudicando rigorosamente, alcuna scienza «priva di presupposti», il pensiero di una scienza siffatta è impensabile, paralogico: una filosofia, una «fede» deve sempre preesistere, affinché la scienza derivi da essa una direzione, un senso, un limite, un metodo, un diritto all’esistenza».[53] Secondo Nietzsche poi: «[...] la scienza è ben lontana dal riposare su se stessa, ha sotto ogni aspetto innanzitutto bisogno di un ideale di valore, di una potenza creatrice di valori, al servizio della quale possa credere in se medesima — essa stessa non è mai creatrice di valori».[54] E d’altro canto sostiene che: «[...] oggi la scienza non ha assolutamente alcuna fede in sé, tanto meno ha un ideale al di sopra di sé.[...] non è assolutamente dimostrato che la scienza abbia oggi, in quanto totalità, una meta, una volontà, un ideale, un fervore di grande fede».[55] La diagnosi è terribilmente precisa e coglie nel segno. La scienza moderna, nella battaglia delle idee, non conta nulla, non possiede una sua propria visione del mondo che sia abbastanza forte e che sia capace di contrapporsi a una qualsiasi altra visione, quando questa sia sostenuta da una forte volontà. È probabile che i novax abbiano avuto modo di leggere Nietzsche o che, quanto meno, abbiano avuto le sue stesse intuizioni sulla scienza.


30. Una comunità scientifica senza cultura scientifica. La scienza e la tecnica sono oggi accettate dalle masse per i loro risultati pratici, ma questo non si è mai tradotto in una visione scientifica del mondo che fosse diffusa e popolare presso il grande pubblico, dove invece continuano a proliferare e a diffondersi i cascami della reazione romantica contro la modernità.[56] Il romanticismo anti moderno in realtà non è mai finito[57] e il postmoderno ne è solo l’ultima manifestazione in ordine di tempo. Perché i fondamenti basilari del pensiero scientifico, quello stesso pensiero che costituisce il fondamento strutturale delle nostre società contemporanee, sono oggi messi in discussione da parte di numerosi intellettuali e da una parte consistente del pubblico? Occorre riconoscere, dando, una volta tanto, ragione a Nietzsche, che una parte della responsabilità spetta alla stessa comunità scientifica. Paradossalmente, una parte consistente della comunità scientifica non ha oggi una cultura scientifica e non è affatto impegnata nella difesa e nella promozione della cultura scientifica stessa.

Ci sono dei dati strutturali che spiegano questa incresciosa situazione. Il fenomeno più imponente relativo alla comunità scientifica dell’ultimo secolo è costituito dalla sua mondializzazione e dall’elevata parcellizzazione del lavoro. Accanto a questi due elementi abbiamo un sempre più elevato intreccio con gli investimenti, pubblici e privati. La specializzazione elevata ha comportato la perdita di importanza della figura dello scienziato come intellettuale pubblico. Certo, alcune importanti figure sussistono tutt’ora, ma la gran parte della impresa scientifica, oggi, è perfettamente invisibile alla opinione pubblica, suddivisa tra una miriade di programmi di ricerca che praticamente sono governati dalle scelte politiche e dal mercato. Il grande pubblico dell’impresa scientifica vede soprattutto una marea di utili risultati di carattere tecnologico e merceologico che spesso tuttavia sono completamente slegati gli uni dagli altri. Solo talvolta ormai alcuni successi della ricerca fondamentale determinano la comparsa di qualche articolo sui giornali e poi nulla più.

L’impresa scientifica oggi, più che da intellettuali pubblici, è fatta da milioni di onesti peones che lavorano silenziosamente intorno a progetti di ricerca enormemente parcellizzati, che apparentemente, se osservati dall’esterno, non hanno gran ché senso (e che non sono neanche gran ché interessanti). Gli stessi peones spesso sanno ben poco del resto, oltre a quanto è richiesto dal loro campo ristretto. La “cultura scientifica” si è ormai materializzata nelle strutture dell’impresa scientifica di tipo industriale dove i singoli individui hanno un ruolo sempre meno decisivo. Dove i singoli individui che vi partecipano perdono costantemente anch’essi il senso dell’impresa globale. L’impressione è che l’impresa scientifica ormai abbia costruito una macchina sovra individuale che procede per conto proprio, utilizzando sì il metodo scientifico ma facendo a meno di una visione scientifica del mondo. Da questa macchina ogni tanto gocciola la divulgazione, che dovrebbe dare all’uomo della strada quanto è necessario sapere. Ma l’uomo della strada continua ad abbeverarsi all’anti modernismo e alle filosofie della decadenza. Come si è visto, anche il mondo accademico, soprattutto per la parte umanistica, ormai appare sempre più succubo alle mode della cultura di massa.


31. Per concludere. Già Karl Popper avvertiva che la prospettiva del pensiero critico, con le sue immediate implicazioni riferite alla verità e alla democrazia, non è mai acquisita una volta per tutte. Si tratta di prospettive culturali che si sono affermate attraverso sforzi faticosi, attraverso vere e proprie rivoluzioni, e che possono sempre essere messe in discussione. I nemici del pensiero critico sono sempre in agguato. La prospettiva di una regressione è sempre aperta. Non si tratta di togliere la parola agli anti moderni, si tratta di ridare la parola alla visione del mondo della scienza moderna che, a dispetto delle teorie del complotto e della tanto paventata connivenza della scienza col potere, è sempre meno popolare e sempre più ignorata.

 

Giuseppe Rinaldi (20/01/2022)

 

 

OPERE CITATE

 

2006 Agamben, Giorgio

Che cos’è un dispositivo?, Nottetempo, Roma.

 

1995 Agamben, Giorgio

Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino.

 

1989 Bauman, Zygmunt

Modernity and the Holocaust, Basil Blackwell, London. Tr. it.: Modernità e Olocausto, Il Mulino, Bologna, 1992.

 

2006 Boghossian, Paul

Fear of Knowledge. Against Relativism and Constructivism, Clarendon Press, Oxford. Tr. it.: Paura di conoscere. Contro il relativismo e il costruttivismo, Carocci, Roma, 2006.

 

2003 Bronner, Gérald

L’empire des croyances, Presses Universitaires de France, Paris.

 

2002 D’Agostini, Franca

Disavventure della verità, Einaudi, Torino.

 

2021 Di Cesare, Donatella

Il complotto al potere, Einaudi, Torino.

 

2005 Faye, Emmanuel

Heidegger, l’introduction du nazisme dans la philosophie. Autour des séminaires inédits de 1933-1935, Albin Michel, Paris. Tr. it.: Heidegger, l’introduzione del nazismo nella filosofia, L’Asino d’oro edizioni, Roma, 2012.

 

1992 Löwy, Michael & Sayre, Robert

Révolte et mélancolie. Le romantisme à contre-courant de la modernité, Éditions Payot & Rivages, Paris. Tr. it.: Rivolta e malinconia. Il romanticismo contro la modernità, Neri Pozza Editore, Vicenza, 2017.

 

2017 Nichols, Tom

The Death of Expertise. The Campaign Against Established Knowledge and Why it Matters, Oxford University Press. Tr. it.: La conoscenza e i suoi nemici. L’età dell’incompetenza e i rischi per la democrazia, LUISS University Press, Roma, 2018.

 

1972 Nietzsche, Friedrich

Al di là del bene e del male. Genealogia della morale. Vol. VI, tomo II delle «Opere di Nietzsche», Adelphi, Milano.

 

1994 Heidegger, Martin

Bremer und Freiburger Vorträge. 1. Einblick in das was ist 2.Grundsätze des Denkens, Vittorio Klostermann GmbH, Frankfurt am Main. Tr. it.: Conferenze di Brema e Friburgo, Adelphi, Milano, 2002. [1949-1957]

 

1944 Horkheimer, Max & Adorno, Theodor W.

Dialektik der Aufklärung. Philosophische Fragmente, S. Fischer Verlag GmbH, Frankfurt am Main. Tr. it.: Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino, 2010.

 

1965 Ricoeur, Paul

De l’interprétation. Essai sur Freud, Éditions du Seuil, Paris. Tr. it.: Della interpretazione. Saggio su Freud, Il Saggiatore, Milano, 1966.

 

1995 Searle, John R.

The Construction of Social Reality, Free Press, Chicago. Tr. it.: La costruzione della realtà sociale, Einaudi, Torino, 2006.

 

2006 Sternhell, Zeev

Les anti-Lumières, Librarie Arthème Fayard, Paris. Tr. it.: Contro l’Illuminismo. Dal XVIII secolo alla Guerra fredda, Baldini & Castoldi, Milano, 2007.

 

2001 Sullam Calimani, Anna-Vera

I nomi dello sterminio, Einaudi, Torino.

 

2009 Vattimo, Gianni

Addio alla verità, Meltemi, Roma.

 

  

 

NOTE

 

[1] Cfr. Bronner 2003.

[2] Dupre (Associazione Dubbio e Precauzione) è un’associazione recentemente costituita (dicembre 2021) con lo scopo di contrastare il cosiddetto pensiero unico a proposito delle questioni relative alle vaccinazioni a al green pass. I personaggi più rappresentativi sono i pubblici intellettuali Ugo Mattei, Massimo Cacciari, Giorgio Agamben e il massmediologo Carlo Freccero.

[3] Uno dei mitologemi più tipici relativi alla ricerca della verità è quello del viaggio agli inferi, che viene attestato infinite volte, da Pitagora a Parmenide, fino a Dante, fino a coloro che ritengono di avere visitato altri mondi attraverso le metodologie più strane, come le incubazioni, le estasi, le rivelazioni, i sogni, la danza estatica, la deprivazione sensoriale, le droghe e le pozioni psichedeliche, oppure l’incontro con gli extra terrestri.

[4] Si noti che talvolta la logica è stata interpretata come una forza persuasiva esterna, fino a considerare che la logica stessa sia dotata di un potere su di noi. In tal caso si tratterebbe di una logica decisamente autoritaria.

[5] Cfr. Ricoeur 1965, II.3 .

[6] È noto che le verità scientifiche sono credibili in base al requisito per cui, in linea di principio, chiunque provi l’esperimento otterrà gli stessi risultati già riportati in letteratura. Le verità scientifiche devono essere riproducibili. In questo sta il loro potere.

[7] Cfr. Di Cesare 2021.

[8] Qui uso il termine in maniera intuitiva, riferendomi a quella che comunemente è nota come ragione discorsiva o argomentativa.

[9] A rigor di logica, nella civiltà umana, la tecnica ha preceduto la scienza. La tecnica ha di mira soprattutto l’efficacia e anch’essa ha come principio base la riproducibilità dei risultati.

[10] In proposito si veda D’Agostini 2002.

[11] Su questo punto consiglio vivamente la lettura di D’Agostini 2002.

[12] Su questo punto esiste ormai una notevole letteratura filosofica che ha chiarito quale sia la ontologia degli oggetti sociali. Si veda ad esempio Searle 1995.

[13] Cfr. Vattimo 2009.

[14] Gianni Vattimo (in conversazione con Daniel Gamper), “Addio alla verità. Ma quale?” in MicroMega – Almanacco di filosofia, 5/2011. Pagina 77.

[15] Cfr. Maurizio Ferraris, “Postmoderni o neorealisti? L’addio al pensiero debole che divide i filosofi”, in La Repubblica del 19-8-2011.

[16] Boghossian 2006: 17 e segg. .

[17] Si pensi alle innumerevoli e fantasiose cure che sono state praticate a proposito del Covid-19. Se tutte le verità si equivalgono, allora i fondi per la ricerca vanno distribuiti ugualmente a tutti.

[18] Secondo il linguaggio di Karl Popper.

[19] Non ho spazio qui per entrare nel merito del postmodernismo. Chi fosse interessato può vedere il mio saggio Il tramonto annunciato dei profeti del nulla, disponibile all’indirizzo seguente: Finestre rotte: Il tramonto annunciato dei profeti del nulla .

[20] Anche in questo caso, la culturalizzazione del corpo è una nozione assai comune in antropologia. Il problema nasce quando diviene il fondamento di una totale visione del mondo.

[21] Va detto che come metodo fa acqua da tutte le parti, perché i suoi risultati non sono assolutamente riproducibili, se non in forma del tutto vagamente analogica.

[22] Su questo punto si veda Sternhell 2006.

[23] Cfr. Sternhell 2006.

[24] Questa espressione purtroppo compare nel titolo di un saggio inqualificabile del soprannominato Latour.

[25] Si veda il recente volume di Löwy & Sayre 1992.

[26] Cfr. Sullam Calimani 2001.

[27] Cfr. Horkheimer & Adorno 1944: 1-5.

[28] Cfr. Horkheimer & Adorno 1944: 14.

[29] Cfr. Bauman 1989.

[30] Cfr. Bauman 1989: 8.

[31] Cfr. Bauman 1989: 11.

[32] Cfr. Bauman 1989; 11.

[33] Cfr. Bauman 1989: 14.

[34] Cfr. Bauman 1989: 15.

[35] Cfr. Bauman 1989: 95.

[36] Cfr. Bauman 1989: 15.

[37] Cfr. Bauman 1989: 114.

[38] Cfr. Bauman 1989: 120.

[39] In proposito si veda Heidegger 1994. Per un commento si veda Faye 1994: 9.12.

[40] Cfr. Agamben 1995.

[41] Cfr. Agamben 1995: 185.

[42] Cfr. Agamben 1995: 196.

[43] Il cosiddetto metodo genealogico, inaugurato da Nietzsche nella sua Genealogia della morale, che sostanzialmente è un libello di polemica filosofica, è stato ripescato in ambito storiografico, sociologico e giuridico da Foucault e Agamben.

[44] Le ideologie degli stati totalitari sono state per lo più elaborate in sede intellettuale/ politica e poscia conculcate nelle masse.

[45] Si tratta di una delle più recenti manifestazioni della cultura di massa nordamericana. Etimologicamente proviene dallo slang. È una curiosa contrazione di “stay awake”, cioè qualcosa come “stiamo sul chi vive”, “stiamo svegli”, in altri termini, “stiamo attenti a non farci fregare”. Sta oggi a indicare (per chi osserva da fuori) un’attenzione ossessiva al problema delle discriminazioni e delle diseguaglianze, soprattutto in termini culturali. Nato da una serie di rivendicazioni più che fondate, soprattutto da parte di gruppi sociali e minoranze effettivamente discriminate, ha finito però per promuovere un’ipersensibilità a tutto ciò che può essere considerato come discriminatorio, offensivo nei confronti della sensibilità di qualche categoria di persone. In questo senso sta percorrendo la stessa deriva del politically correct e della cancel culture. Da movimento di protesta e di promozione dell’eguaglianza, stay woke sta diventando un movimento di censura e di intolleranza grazie al quale una gran massa di individualità comuni chiede di essere riconosciuta per le proprie differenze, per le proprie “fragilità”, per una gamma infinita di “sensibilità”. Fateci caso: qualche decennio fa c’erano dei movimenti politici che rivendicavano dei diritti per tutti, sulla base di precise argomentazioni. Oggi ci sono in giro principalmente “deboli”, “fragili” e “dimenticati” che chiedono attenzione, e rovesciano rancore per i trattamenti ingiusti e offensivi che ritengono di avere subito.

[46] Si veda ad esempio Agamben 2006.

[47] Cfr. Nichols 2017: Cap. 1. Sez. 3.

[48] Cfr. Nichols 2017: Cap. 1. Sez. 3.

[49] Per chi non lo sapesse, lo scambio colombiano in storiografia è lo scambio inconsapevole di virus, avvenuto in concomitanza con le scoperte geografiche, che ha causato la morìa di intere popolazioni.

[50] Cfr. Ferraris 2017: 11.

[51] Foucault che viene rilanciato a livello di massa proprio grazie ai dispositivi accademici è una cosa che fa morire dal ridere. Ridere per non piangere!

[52] Cfr. il mio saggio Il fenomeno vago della postverità, pubblicato sul blog Finestrerotte il 5 aprile 2018.

[53] Cfr. Nietzsche 1972: 356.

[54] Cfr. Nietzsche 1972: 357-358.

[55] Cfr. Nietzsche 1972: 353.

[56] A dispetto di quanto paventavano Benjamin, Adorno, Horkheimer e Marcuse.

[57] Per questa tesi, si veda Löwy & Sayre 1992.