martedì 26 febbraio 2013

Non sorprendiamoci troppo, per favore!

















1. Che il centro destra fosse in netto recupero, dopo la discesa in campo di Berlusconi e l’alleanza con Maroni, lo si sapeva benissimo (si trattava solo di quantificare gli effetti sull’elettorato delle sue bugie e delle sue promesse). Che il PD fosse in difficoltà si sapeva da gennaio. A mano a mano che venivano fuori le trovate della sua campagna elettorale c’era solo da mettersi le mani nei capelli. Che Grillo fosse in forte crescita si sapeva da un po’ di tempo (lo si dava al 18- 20%[1]). Che ci fosse un serio rischio di un senato ingovernabile si sapeva, sia in generale (sapendo come funziona il porcellum), sia nello specifico, da almeno un mese. Tutti lo sapevano e tutti sono andati a sbattere, senza neanche tentare di fare qualcosa per impedirlo.

2. Il principale partito di opposizione, un anno fa, nel periodo della caduta del governo Berlusconi, cioè nel periodo a lui più favorevole, non aveva mai superato il 25-26% nei sondaggi. Durante il governo Monti si è sempre mantenuto su quel livello. È cresciuto al 33-34% solo in occasione delle Primarie, in un periodo in cui il PdL aveva praticamente cessato di esistere. In un paio di mesi o poco più il PD è riuscito a buttare via tutto il patrimonio accumulato con le Primarie, perdendo quasi dieci punti.[2] Alla Camera ha ora vinto per lo 0,5%, un risultato da brivido.

3. Possiamo azzardare tranquillamente l’ipotesi che quei quasi dieci punti persi non siano tanto dovuti alla bravura di Berlusconi o di Grillo, bensì all’effetto Bersani. Anche se non si può averne la certezza, se si fosse presentato Renzi, sarebbe stata un’altra partita (e forse Berlusconi non si sarebbe neppure candidato). È stato Bersani a resuscitare Berlusconi e il PdL dovrebbe almeno riconoscergli questo merito. La campagna elettorale del Bene Comune è stata inqualificabile. Sia per i contenuti,[3] sia per l’assoluta assenza di risorse messe in campo. Pazienza per i contenuti; uno, se non li ha, non può darseli da un giorno all’altro. La strana assenza di risorse è stata però dovuta al fatto che coloro che sono finiti in lista con o senza la propaganda non avrebbero spostato di un millimetro la loro posizione. Insomma, i candidati già scelti dagli elettori avevano investito il loro massimo nelle primarie e non si sono sforzati più di tanto per accaparrare nuovi elettori alla coalizione. Che furbata. Questa è stata l’ultima beffa del porcellum.

4. Col senno di poi, forse è stato un errore l’intransigenza passata del PD sulla legge elettorale. È una questione complessa che comunque non è il caso di discutere in questa sede. Una volta però definito che si sarebbe votato col porcellum, allora si sarebbero dovuti prendere gli opportuni provvedimenti. Si sa come funziona il porcellum. Banalmente, vince chi fa le alleanze più larghe. Così lo striminzito polo del Bene Comune, realizzato a stento dopo un anno di contumelie (vi ricordate la foto di Vasto?), era già in partenza azzoppato. Mentre la destra sa bene come funziona il porcellum e si allea con chiunque (si pensi all’alleanza tra Maroni e Berlusconi, tra Berlusconi e i transfughi del PdL), il centro sinistra e la sinistra hanno la puzza sotto il naso: Renzi è troppo di destra, Monti è amico delle banche, Vendola è troppo di sinistra, Casini è di destra, Bersani è troppo di destra (o troppo di sinistra), Ingroia e Di Pietro sono inaffidabili, e così via. L’inqualificabile balletto sulle alleanze – nella campagna elettorale sui media non si è discusso di altro – ha reso inappetibile il Bene Comune e i cespugli circostanti a tutti quelli che non parlano il politichese, col risultato di rafforzare il M5S. Le analisi dei flussi elettorali, con ogni probabilità, confermeranno quanto il M5S abbia pescato tra gli insoddisfatti di sinistra.

5. In questo quadro illusionistico sostenuto da parte del principale partito di opposizione[4] è bastato che Berlusconi e Maroni chiamassero a raccolta le membra sparse del centro destra e utilizzassero un paio di slogan pubblicitari bene indovinati (il 75% delle tasse deve rimanere a livello locale e la restituzione dell’IMU) per guastare la festa al pollo che voleva smacchiare i giaguari. Secondariamente, solo in un mondo del tutto illusorio e autoreferenziale un partito del 25% come il M5S ha potuto nascere e svilupparsi senza che nessuno se ne accorgesse e/o prendesse le misure atte a contrastarlo.[5] Questa è la misura di quanto i partiti e la politica ufficiali siano diventati ottusi, incapaci di capire la società italiana. Il M5S è il prodotto conseguente della decomposizione della politica della Prima e della Seconda repubblica, sia dei partiti che hanno governato, sia dei partiti che hanno fatto l’opposizione. Certo, Grillo ha proliferato sull’anti politica: ma dove era la politica? Quando Grillo ha rifiutato di andare in televisione, era chiaro che i giochi erano fatti.

6. Non ha comunque davvero torto Grillo a sostenere che gli attuali partiti vecchio stile sono finiti (anche se qualcuno di loro avrà l’incarico sospirato di tentare di formare un nuovo governo). Il tempo è definitivamente scaduto. La destra populista è ormai tenuta insieme solo con lo scotch dagli interessi del suo leader e dei suoi gregari. Questo la rende oltremodo precaria, ma anche estremamente flessibile e imprevedibile, pronta a tutto, come si è visto. Il neonato e senz’altro serio e responsabile partito della borghesia di Monti ha mostrato di non avere uno spazio in questo Paese (o comunque di non essere in grado di competere col populismo di destra e di sinistra).[6] Il PD e SEL hanno mostrato di saper parlare solo al gruppo dei loro elettori che è del tutto insufficiente per governare. Non è, tra l’altro, impossibile che nel PD si apra la resa dei conti (che era stata tacitata dall’ebbrezza di una facile vittoria). La speranza generosa di Ingroia di costruire una sinistra antagonista presentabile è naufragata sulla soglia del 4%. Qualsiasi cosa facciano ormai, questi partiti o fanno dei danni, o sono paralizzati, o sprecano delle risorse (bellissimi, col senno di poi, i dibattiti sul voto utile e sul voto inutile!).

7. Adesso i casi sono due.

A) Si può andare di nuovo alle elezioni, dopo un governicchio a termine che s’incarichi di fare una nuova legge elettorale e poche altre cose su cui siano tutti d’accordo. Il governicchio di transizione potrebbe essere una grossa coalizione, un governo tecnico bis (questa volta senza Monti), oppure un governo a termine con l’appoggio del M5S. In ogni caso non è detto che si trovi un accordo sulla legge elettorale e comunque un governo di transizione non potrebbe che alimentare l’antipolitica e portare a un ulteriore aumento dei voti per il M5S (e comunque ciò non assicurerebbe alcuna stabilità per almeno un anno).

B) Oppure si può cercare di governare con il M5S. Non è chiaro se il M5S ci starà. A rigor di logica non gli conviene. Secondo la sua impostazione gli conviene mostrare a tutto il Paese lo stato di degrado del vecchio sistema dei partiti. Gli basterà stare a guardare. Oppure potrebbe decidere di mettere da parte le boutade teatrali e di non forzare la mano.[7] In tal caso avremmo un governo Bersani con appoggio esterno del M5S (oppure, anche se più improbabile, un Monti-Bersani-M5S). Sarebbe un governo letteralmente tenuto per il cappio dal M5S, sotto la minaccia continua di ritirarsi, di far cadere il governo e di andare a nuove elezioni. Non è detto che, in una simile situazione, non si possa fare qualche buona riforma, magari quelle riforme che i partiti tradizionali sono incapaci di fare: diversi punti del programma di Grillo sono del tutto condivisibili (anche se non sempre fattibili). Una situazione del genere però non potrebbe che logorare il PdL, questa volta all’opposizione e senza troppe rendite di posizione da distribuire, ma anche logorare inevitabilmente Bersani, Vendola ed eventualmente Monti. Una successiva elezione potrebbe portare, anche in questo caso, a un ulteriore aumento dei voti per il M5S, senza alcuna prospettiva di rinnovata stabilità.[8] A meno che il M5S accetti in qualche misura di istituzionalizzarsi – ma questo è tutto da vedere.

8. In tutti questi balletti, possiamo comunque immaginare che riprenderà vigore il partito della spesa (molto popolare a destra, a sinistra e tra il M5S) che lo spread tornerà a salire in maniera disastrosa e che si riproporrà il problema di un nostro conflitto con la moneta unica e con l’Europa. Non è neppure impossibile, sulle questioni finanziarie e dell’Europa, una convergenza del centro destra, di SEL e del M5S. Insomma, il vero inconfessato nemico di tutti era proprio l’Agenda Monti, l’agenda della responsabilità.[9] In un simile quadro, se ci sarà uno straccio di ripresa economica tra 2013 e 2014, lo mancheremo nuovamente e ci riserveremo così il posto definitivo di ultima ruota del carro. Manco a dirlo, la conseguenza di tutta questa porcheria sarà quella di un ulteriore impoverimento del Paese che andrà a danno dei soliti noti (così gli italiani, forse, si accorgeranno finalmente di chi è che mette le mani nelle loro tasche).

 

Giuseppe Rinaldi (26/02/2013-05/07/2021 rev.)

 

 

NOTE

 

[1] Non si capisce perché il 20% al M5S debba preoccupare meno del 25%. I partiti tradizionali avrebbero dovuto aprire gli occhi quando Grillo aveva percentuali da una cifra. Si ripete la stessa miopia sociale e politica che aveva colto i partiti della Prima repubblica di fronte alla prima crescita di Bossi e Berlusconi.

[2] Non vale l’obiezione che i sondaggi non funzionano. Al più possono avere difficoltà di previsione con i partiti completamente nuovi o con partiti informali come il M5S. Con un partito come il PD, questo rischio è molto ridotto. Il PD non si è mai realmente schiodato dal 24-25%. Il risultato conseguito alla Camera allo stato attuale (25,4%) esaurisce probabilmente le sue potenzialità.

[3] Sono già intervenuto su questo punto in un mio precedente articolo su Citta Futura dal titolo: Come si fa a perdere le elezioni.

[4] Si sostiene che la linea di Bersani sia stata legittimata dalle primarie, cioè dalla maggioranza degli elettori del principale partito di opposizione. Ebbene, nulla vieta che gli elettori del principale partito di opposizione siano vittima di una colossale illusione collettiva (se vogliamo essere più eleganti, per consolarci, potremmo parlare di una diffusa distorsione cognitiva).

[5] Con ciò non intendo suggerire che il M5S costituisca un pericolo per le istituzioni. Molte proposte del Movimento di Grillo sono del tutto condivisibili (anche se non sempre fattibili). Il problema del M5S è che, allo stato attuale, non offre alcuna garanzia di essere un movimento responsabile. In democrazia, purtroppo, come si è ampiamente visto, i danni procurati dagli irresponsabili poi li pagano tutti.

[6] In Italia la borghesia seria e responsabile non esiste, o è ridotta al lumicino, oppure sembra totalmente incapace di intendere e di volere. Vi ricordate le infinite peripezie della discesa in campo di Montezemolo? Che fine ha fatto la Marcegaglia? È inutile poi ricordare il deprimente exploit di Giannino & Zingales.

[7] I rappresentanti del M5S devono almeno avere il tempo di guardarsi intorno e di imparare il mestiere.

[8] So bene che nel nostro Paese ci sono (e potrebbero aumentare dopo questi risultati elettorali) i sostenitori di una transizione traumatica verso una Terza repubblica che faccia piazza pulita di tutto il vecchio ceto politico. Però abbiamo già visto come è andata con Tangentopoli.

[9] Non ho sentito Vendola esultare per il fatto che l’Agenda Monti è stata sconfitta (una delle poche certezze di questa tornata elettorale!), eppure era uno dei suoi obiettivi principali. Sarebbe anche interessante sapere cosa ne pensano la CGIL e la FIOM (hanno fatto chiare dichiarazioni di voto, per cui possiamo assimilarle a vere e proprie forze politiche). Possiamo immaginare, visti questi risultati, che i precari, i disoccupati, i lavoratori dipendenti, i giovani, i pensionati nel prossimo anno, staranno senz’altro meglio di adesso, anzi, se la spasseranno.

 

mercoledì 13 febbraio 2013

Come si fa a perdere le elezioni (2.0)











1. Nel lontano aprile del 2006, alla vigilia della risicatissima vittoria dell’Ulivo alle elezioni (con circa 25.000 voti di vantaggio) - fatto che avrebbe determinato la vita stentata del secondo governo Prodi - mi ero imbattuto in un simpatico libretto del linguista George Lakoff[1] che sembrava spiegare con chiarezza le enormi difficoltà che il centro sinistra di allora incontrava nella sua propaganda elettorale. Ebbi modo di scriverne una breve recensione che vale la pena di trascrivere, qui di seguito, data la sua estrema attualità.

2. Scrivevo allora: «Questo agile e acuto libretto […] scritto per spiegare ai democratici perché hanno perso le elezioni (i. e. perché i conservatori le hanno vinte),[2] può essere di grande aiuto per comprendere come mai quella che abbiamo sotto gli occhi oggi in Italia sia la più anomala campagna elettorale degli ultimi decenni. Il segreto, spiega Lakoff, si chiama framing (concetto ben noto a coloro che si sono occupati un po’ di linguistica e comunicazione). Provate a “non pensare all’elefante”! È una prescrizione paradossale perché, per non pensarci, bisogna proprio pensarci. Il centro destra e Berlusconi stanno riuscendo con successo, da mesi, con qualsiasi mezzo lecito e illecito, a imporsi costantemente al centro dell’attenzione e dell’agenda politica. La risposta tipica del centro sinistra è stata “Noi non ci faremo distrarre”, ma intanto si sono già distratti. Oppure “Il centro destra stravolge il nostro programma”, ma intanto non hanno parlato dei contenuti del loro programma. Nei termini di Lakoff, il centro sinistra nostrano non ce la fa a proporre un frame alternativo, un quadro complessivo di riferimento che obblighi l’avversario a “non pensare all’elefante”. Non ce la fa a imporre la propria agenda politica, per cui l’elettore oggi si trova a scegliere, de facto, pro o contro Berlusconi. Contrariamente a molte analisi correnti, il problema quindi non è solo di “par condicio” tra i due schieramenti (chi controlla o meno le televisioni), ma di diversa capacità nell’uso (ed eventualmente nell’abuso) delle tecniche di comunicazione. Certo, la propaganda non è tutto, ma aiuta».

3. Ci sarebbe davvero poco da aggiungere, se non il fatto ormai assodato che da allora non abbiamo imparato proprio nulla. Mi verrebbe ulteriormente da dire che quella che abbiamo oggi sotto gli occhi è la più brutta campagna elettorale degli ultimi decenni; mi astengo per carità di patria. Non so come andranno i risultati, ma ormai una piena vittoria della coalizione di centro sinistra, sia alla Camera che al Senato, è alquanto improbabile. A conti fatti, si apriranno con ogni probabilità i giochi delle alleanze, resi però alquanto difficili dai veti incrociati di Monti, Vendola, Ingroia. Nella peggiore delle ipotesi potrebbe aprirsi un periodo d’instabilità politica che potrebbe portare, entro tempi brevi, a nuove elezioni (molti la pensano così e alcuni ci contano). Vale forse la pena, allora, cercare di capire meglio perché la sinistra, nelle sue strategie di comunicazione elettorale, continua a ripetere sempre gli stessi errori.

4. Cerchiamo intanto, sulla scorta di Lakoff, di capire meglio che cos’è un frame e in cosa consiste il framing. Racconta Lakoff: «Quando insegno cos’è un frame (in italiano “cornice”, “quadro”, “struttura”) e come lo si crea, […] assegno ai miei studenti un esercizio. L’esercizio consiste in questo: non pensate a un elefante! Qualunque cosa facciate, non pensate a un elefante. Non sono mai riuscito a trovare uno studente che ci riuscisse. Ogni parola, come per esempio “elefante”, evoca un frame, un quadro di riferimento, che può essere costituito da una serie di immagini o di conoscenze di altro tipo. Gli elefanti sono grandi, hanno le orecchie pendule e la proboscide, fanno venire in mente il circo, e così via. Ogni parola si definisce in relazione a un frame. E anche quando neghiamo un certo concetto non possiamo evitare di evocarlo. Richard Nixon lo scoprì a proprie spese. Durante lo scandalo Watergate, quando c’erano forti pressioni perché si dimettesse, Nixon parlò al paese in televisione. Si presentò davanti la nazione e disse: “Non sono un imbroglione”. E tutti pensarono che era un imbroglione. Questo ci permette di capire un principio fondamentale del framing, per quando discutete con i vostri avversari: non usate mai il loro linguaggio. Quel linguaggio evoca un frame – e non sarà certo quel che serve a voi».[3]

5. Lakoff esemplifica ulteriormente la sua teoria riflettendo sull’introduzione, da parte dei conservatori americani dell’epoca, del termine “sgravi fiscali”: «Pensate a quello che evoca la parola “sgravio”. Perché possa esserci uno sgravio si presuppone che ci sia una situazione gravosa, che qualcuno soffra, e la persona che rimuove la causa di questa sofferenza diventa un eroe. Quindi se qualcuno cerca di fermare l’eroe è un malvagio, perché non vuole che la sofferenza finisca. […] Le tasse sono un’afflizione. Chiunque le elimini è un eroe, e chiunque cerchi di impedirglielo è un malvagio. Questo è il frame. […] I senatori democratici mi invitarono a una riunione del loro gruppo poco prima che il presidente (George W. Bush ndr) presentasse il suo piano di sgravi fiscali al senato. Anche loro ne avevano una versione, quindi avevano accettato il frame dei conservatori. I conservatori avevano teso loro una trappola: con quelle parole li avevano attirati nella loro visione del mondo. Il framing consiste proprio in questo, nell’usare un linguaggio che riflette la propria visione del mondo. Ma naturalmente non è solo una questione di linguaggio. La cosa più importante sono le idee: il linguaggio ne è solo portatore, serve a evocarle».[4]

6. Naturalmente l’analisi di Lakoff si basa sulla situazione americana nel 2004. Mentre i conservatori americani dimostravano di essere capaci di porsi il problema della comunicazione, e di risolverlo efficacemente, i progressisti non ne sembravano capaci. Quali erano i fondamenti di questo grave limite dei democratici americani? Secondo Lakoff: «La cosa peggiore sono i miti dei democratici e dei progressisti. Sono miti che hanno una nobile origine, ma finiscono per danneggiarci. Derivano tutti dall’Illuminismo, e il primo mito è il seguente: la verità ci renderà liberi. Se raccontiamo alla gente i fatti, poiché le persone sono fondamentalmente razionali, arriveranno alle conclusioni giuste. Ma le scienze cognitive ci insegnano che la gente non ragiona così. Le persone ragionano per frame. […] Per essere accettata, la verità deve rientrare nei frame mentali delle persone. Se non rientrano in un frame, i fatti rimbalzano via e il frame rimane. Perché? Le neuroscienze ci insegnano che tutti i concetti che abbiamo – i concetti a lungo termine che strutturano il modo in cui pensiamo – sono impressi nelle sinapsi del nostro cervello. I nostri concetti non cambiano solo perché qualcuno ci racconta un fatto. Possono anche venirci presentati dei fatti, ma perché noi li possiamo interpretare devono concordare con quello che già esiste nelle sinapsi del nostro cervello. Altrimenti i fatti entrano, ma poi escono immediatamente. Non li vediamo, o non li accettiamo come fatti, oppure ci confondono: perché qualcuno dovrebbe dire una cosa del genere? A quel punto etichettiamo il fatto come folle, irrazionale o stupido. È esattamente quel che succede quando i progressisti “mettono i conservatori di fronte ai fatti”. Non ottengono quasi nessun effetto, a meno che i conservatori abbiamo già un frame che dia a questi fatti un senso. Allo stesso modo, molti progressisti sentono parlare i conservatori e non li capiscono, perché non hanno gli stessi frame mentali. Quindi presumono che i conservatori siano stupidi. Non sono stupidi. Vincono perché sono intelligenti. Sanno benissimo come ragiona e parla la gente».[5]

7. In secondo luogo, aggiunge sempre Lakoff, «Esiste anche un altro mito che abbiamo ereditato dall’Illuminismo, e si potrebbe riassumere più o meno così: è illogico andare contro il proprio interesse e, quindi, una persona normale ragiona in base al proprio interesse. L’economia moderna e la politica si basano su questo presupposto. Questo mito è stato messo in discussione da cognitivisti come Daniel Kahnemann […] e Amos Twersky, i quali hanno dimostrato che le persone non ragionano veramente in questo modo. Nonostante ciò, la maggior parte delle teorie economiche parte ancora dal presupposto che ognuno ragioni sempre in funzione del proprio interesse personale. Questa visione della razionalità influisce notevolmente sulla politica dei democratici, i quali presumono0 sempre che gli elettori voteranno nel proprio interesse. E quando questo non succede sono tutti sconvolti e perplessi: “Come fanno i poveri a votare per Bush”, continuano a chiedermi i democratici, “visto che li danneggia così gravemente?”. E cercano ancora una volta di spiegare ai poveri perché votando per loro farebbero il proprio interesse. Nonostante tutte le prove che presentano, i democratici continuano a sbattere la testa contro il muro».[6]

8. Le stesse domande cui accennava Lakoff circolano oggi, nel nostro Paese, negli ambienti del centro sinistra. Ci si stupisce come mai l’impressionante accumulo di fatti negativi a carico di Berlusconi non impedisca a una parte consistente degli italiani di considerarlo come il loro naturale rappresentante. La conclusione di Lakoff è la seguente: «La gente non vota necessariamente per il proprio interesse. Vota per la propria identità, per i propri valori, per la persona con cui s’identifica. A volte può identificarsi con il proprio interesse, può succedere, non è che non abbia mai a cuore il proprio interesse. Ma tutti votano per la propria identità. E solo se identità e interesse coincidono, voteranno per il candidato che li rappresenta. È importante comprendere questo. È un grave errore presumere che le persone votino sempre nel proprio interesse».[7]

9. Il terzo errore o mito, secondo Lakoff, è quello che io personalmente chiamerei dell’additività dell’offerta politica: l’idea che per guadagnare un elettorato ampio, occorra elaborare un insieme ampio di proposte che vadano bene un po’ per tutti. Spiega Lakoff: «Si fa un elenco dei temi più popolari, e si inserisce nella piattaforma. Si procede anche alla segmentazione del mercato: si cerca di scoprire quartiere per quartiere che cosa interessa di più alla gente e quando si va nel quartiere si parla di quello. Ma non funziona. A volte può essere utile e, in effetti, i repubblicani utilizzano anche questo sistema oltre alla loro pratica consueta. Ma la loro pratica consueta, il vero motivo del loro successo è un altro: espongono quel che credono dal punto di vista ideale. Parlano alla loro base usando i suoi stessi frame mentali. I candidati democratici e progressisti tendono a basarsi sui sondaggi per decidere se è opportuno assumere posizioni più “centriste” spostandosi leggermente a destra. I conservatori non si spostano mai a sinistra, eppure vincono!».[8]

10. Se prendiamo questa teoria in termini schematici, ci troveremmo di fronte a elettorati immutabili, rinchiusi all’interno dei loro frame e impenetrabili alla comunicazione avversaria. Elettorati dove i leader non possono che rivolgersi esattamente al proprio elettorato. La cosa funziona così senz’altro per una parte dell’elettorato, ma non per tutti. I frame infatti sono molteplici, plurali, mobili, sempre in competizione tra di loro. Si diffondono probabilmente secondo la logica dell’epidemiologia delle idee di Sperber.[9] È chiaro che non è possibile sperare di convertire l’opinione del conservatore puro al modello progressista puro. Allora, «Lo scopo è quello di attivare il vostro modello nelle persone che sono “a mezza strada”. Sono persone che hanno interiorizzato entrambi i modelli e li usano regolarmente per contesti diversi della loro vita. Basta spingerle ad applicare il vostro modello alla politica, portarle ad applicare la vostra visione del mondo e il vostro sistema di valori morali alle decisioni politiche. Per ottenere questo basta che vi rivolgiate a quelle persone usando i frame che riflettono la vostra visione del mondo».[10]

11. Trovare il frame giusto significa dunque - posto che si voglia diventare maggioranza - riuscire a far arrivare il proprio messaggio ai nuovi elettori sostituendo lo schema avversario con uno schema nuovo che però sia compatibile con la loro visione del mondo. Soprattutto: deve essere uno schema condivisibile da una maggioranza di elettori. Capire quale sia il frame giusto non è lavoro semplice, richiede un’attività consapevole di elaborazione e richiede senz’altro un investimento di energie, di risorse. Lakoff, in più punti del suo libretto, elenca l’imponente investimento di denaro che i conservatori americani hanno fatto, attraverso le loro istituzioni, i centri studi, le fondazioni, per elaborare la loro strategia.[11] I progressisti invece non sembrano abbastanza convinti di avere bisogno di qualcosa di simile.

Spiega Lakoff: «Uno dei maggiori errori che commettono i progressisti è quello di pensare di avere tutte le idee di cui hanno bisogno. Pensano che a loro manchi solo la possibilità di accedere ai mezzi di informazione. Oppure qualche formula magica come “sgravi fiscali”. Quando qualcuno pensa che gli manchino solo le parole, in realtà mostra una carenza di idee. Le idee prendono la forma di frame. Quando ci sono i frame, le parole vengono fuori facilmente. Esiste un sistema per capire quando ci mancano i frame giusti. Probabilmente avrete notato che quando parlano in televisione i conservatori usano al massimo due parole per esprimere un concetto, per esempio “sgravi fiscali”, mentre progressisti per illustrare il proprio punto di vista su quello stesso argomento si lanciano in un lungo discorso. I conservatori fanno riferimento a un frame consolidato, quello secondo cui le tasse sono un’afflizione un peso che permette di usare l’espressione sintetica “sgravi fiscali”. I progressisti, invece, non hanno nessun frame consolidato. Possono parlarne, ma devono fare una bella fatica perché non esiste un frame di riferimento, un’idea già pronta in chi ci ascolta. Nelle scienze cognitive esiste un nome per questo fenomeno. Si chiama “ipocognizione”, e indica la mancanza delle idee di cui si ha bisogno, l’assenza di un frame relativamente semplice consolidato che può essere evocato con una o due parole».[12]

12. Un simpatico esempio del funzionamento dei frame a livello della micro comunicazione politica si può trovare nei giornali di questi giorni: la candidata Giorgia Meloni ha lasciato una dichiarazione in cui affermava che le era capitato spesso di vergognarsi, quando stava all’interno del PDL. Questa dichiarazione naturalmente focalizzava l’attenzione del pubblico su una quantità di cose indicibili che accadevano in quel partito, sotto gli occhi dell’esterrefatta Meloni. La risposta della Santanché è stata fulminea e degna della miglior scuola di comunicazione: «La Meloni sputa nel piatto dove ha sempre mangiato». In questo modo l’attenzione del pubblico è stata costretta a passare immediatamente dal registro delle porcherie interne al partito alla questione della lealtà personale della Meloni nei confronti del partito. L’obiettivo dell’avversario è stato parato e ha fatto seguito un contrattacco su un altro piano, quello della solidarietà con il gruppo.

13. Nell’attuale dibattito elettorale possiamo trovare alcuni esempi di framing ben riuscito. Uno dei frame più indovinati è senz’altro quello della macro-regione propugnato della Lega Nord di Maroni e cioè l’obiettivo di far sì che il 75% delle tasse resti sul territorio regionale. Il frame contiene in sintesi l’intera analisi della Lega Nord circa l’ingiustizia nella distribuzione del carico fiscale territoriale, contiene una soluzione per uscire dalla crisi economica e per risolvere i problemi della disfunzione della politica; contiene anche, implicitamente, una soluzione interpretativa del rapporto tra la Lombardia e l’Europa. Il frame parla certamente a chi condivide la visione leghista, ma può essere tranquillamente adottato da molto elettori borderline, infatti suggerisce implicitamente che i benefici del provvedimento si ripartiranno su tutta la popolazione in termini di investimenti, servizi, benessere e sviluppo. Si tratta di un frame difficile da scalfire. Sarebbe del tutto inutile contrapporre a questo messaggio le squallide vicende del Trota, oppure i traffici del cassiere della Lega. Occorrerebbe invece trovare parole d’ordine altrettanto attrattive che immediatamente riescano a riformulare, da un punto di vista nuovo, la questione della giustizia fiscale territoriale. Nonostante le occasioni avute in passato, il centrosinistra ha sempre rifiutato di affrontare seriamente la questione e ora non ha alcuna visione alternativa da contrapporre (magari ha tante argomentazioni, ma non una visione, non un frame).

14. Un altro frame recente che si è mostrato sicuramente efficace è quello proposto da Berlusconi circa la restituzione dell’IMU.[13] Dopo la restituzione dell’IMU, a seguire, Berlusconi ha annunciato altre mirabolanti proposte come il condono fiscale e il condono edilizio. L’idea della restituzione richiama sicuramente l’altro celebre frame berlusconiano delle “mani nelle tasche degli italiani”. Se l’IMU è una tassa ingiusta, una rapina di Stato, allora lo Stato deve restituire il maltolto. Sarebbe un errore pensare che l’efficacia del frame dipenda dall’entità della cifra.[14] È in questione il valore simbolico e identitario di unire tutti coloro che protestano contro i “soprusi fiscali” dello Stato. Per controbattere occorre riuscire a cambiare il piano del discorso e, a quanto pare, l’unico che c’è finora riuscito, seppure solo in negativo e non con una proposta positiva, è stato Mario Monti quando ha affermato “Berlusconi compra i voti con i soldi degli italiani”. È ovvio il riferimento alle “mani nelle tasche degli italiani”, ma questa volta il rapinatore è Berlusconi.[15] Monti non è riuscito tuttavia a elaborare un frame positivo rispetto alla sua politica fiscale. Bisognerebbe avere il coraggio di ricordare agli italiani che, in una democrazia, “Le tasse sono belle” ma nessuna forza politica ha il coraggio di farlo.

15. Un frame che ha molto successo, usato ugualmente a destra a sinistra, Grillo compreso, è quello che esprime una visione negativa dell’Europa e, soprattutto, uno spirito di revanche contro la Germania e contro la Merkel. Si basa sullo schema a buon mercato secondo cui i buoni siamo noi e i cattivi sono gli altri e sullo schema del complotto straniero ai nostri danni (già Mussolini lo aveva abbondantemente utilizzato). Anche la sinistra più moderata vuole avere i voti “per andare a ridiscutere” qualcosa in Europa. Il fatto che sia usato un po’ da tutti ha fatto sì che questo frame non sia diventato particolarmente distintivo (e questo forse è un bene). È tuttavia un frame molto pericoloso perché oggettivamente ci impedisce di avere una visione chiara di quello che potrebbe essere il nostro ruolo di paese guida dell’Europa. Solo Monti sta riuscendo con molta fatica a contrapporsi al frame della Germania cattiva. Ma solo in modo alquanto cerebrale.

 16. Armato di pazienza, sono andato alla ricerca, nei documenti, nelle dichiarazioni dei leader, di quale potesse essere il frame guida della coalizione del centro sinistra. Ebbene, è impossibile trovare qualcosa di simile a un frame. Lo slogan della coalizione “L’Italia giusta” non è un frame, è solo un cappello pubblicitario (peraltro molto brutto) che fa da ombrello a un elenco vago e generico di contenuti eterogenei che sembrano scritti da un notaio. Spesso i leader del centro sinistra hanno detto che il lavoro sarà l’elemento al centro della futura attività di governo. Nel programma ci sono, in effetti, una trentina di righe dedicate al lavoro, dove si afferma in apertura che «La nostra visione assume il lavoro come parametro di tutte le politiche». Quando si tratta però di dare contenuto alla parola (cioè di elaborare il frame) troviamo un assunto moralistico inutile (“la dignità del lavoratore da rimettere al centro della democrazia, in Italia e in Europa”) e poi un incredibile sproloquio sociologico - sindacalese secondo cui occorre: «[…] riconoscere la nuova natura del conflitto sociale. Fulcro di quel conflitto non è più solo l’antagonismo classico tra impresa e operai, ma il mondo complesso dei produttori, cioè delle persone che pensano, lavorano e fanno impresa. E questo perché anche lì, in quella dimensione più ampia, si stanno creando forme nuove di sfruttamento. Il tutto, ancora una volta, per garantire guadagni e lussi alla rendita finanziaria. Bisogna perciò costruire alleanze più vaste». È ovvio che per chi non sia avvezzo al politichese di sinistra quest’ammasso di roba non ha senso alcuno.[16]

17. Seguono poi gli obiettivi specifici, e cioè quello che la coalizione intende fare per il lavoro che sono elencati con onestà: «Il primo passo da compiere è un ridisegno profondo del sistema fiscale che alleggerisca il peso sul lavoro e sull’impresa, attingendo alla rendita dei grandi patrimoni finanziari e immobiliari. Quello successivo è contrastare la precarietà, rovesciando le scelte della destra nell’ultimo decennio e in particolare l’idea di una competitività al ribasso del nostro apparato produttivo, quasi che, rimasti orfani della vecchia pratica che svalutava la moneta, la risposta potesse stare nella svalutazione e svalorizzazione del lavoro. Il terzo passo è spezzare la spirale perversa tra bassa produttività e compressione dei salari e dei diritti, aiutando le produzioni a competere sul lato della qualità e dell’innovazione, punti storicamente vulnerabili del nostro sistema. Quarto passo è mettere in campo politiche fiscali a sostegno dell’occupazione femminile, ancora adesso uno dei differenziali più negativi per la nostra economia, in particolare al Sud». Tutte cose condivisibili ma sfido chiunque (penso ai giovani, ad esempio) a identificarsi con questa roba. Sembra la lista della spesa dal ferramenta. Questa roba non attiva alcun frame, se non quello della fedeltà e dell’assuefazione al linguaggio politichese - sindacalese. Sarà giusto il programma dell’Italia giusta, ma in termini di comunicazione non funziona. Solo chi condivide già questo linguaggio può condividere questo programma. Questo significa parlare solo a se stessi (e gli ultimi sondaggi lo hanno fatto rilevare senza pietà).

In compenso, se la coalizione di centro sinistra non ha saputo individuare un frame unificante attorno al lavoro, al suo interno è in atto – ed è la sola cosa davvero visibile - una snervante attività di marcamento dei confini, passati, presenti e futuri. I possibili nuovi elettori, invece di trovare qualche aggancio con la loro visione del mondo sono costretti a sorbirsi interminabili contumelie sulla in/compatibilità tra Monti e Vendola, su Bersani /Vendola e Ingroia.

18. Per quale motivo il centro sinistra e la sinistra sono così in ritardo nell’individuazione di frame di comunicazione efficaci? La risposta è soltanto una: il primato della politica. Nella loro immensa pochezza i leader del centro sinistra e della sinistra sono convinti di non avere bisogno di studiare, sono convinti che le cose basta dirle (e qualcuno non ci riesce neanche tanto bene) per farsi capire. Il problema è che quello che dicono scivola via. Non sono in grado di dare vita dei frame capaci di penetrare nelle fortezze dell’avversario, come non sono in grado di agganciarsi ai frame della gente comune (nonostante la giaculatoria “Dobbiamo parlare dei problemi che interessano alla gente!”). Questo significa che sono condannati a parlare soltanto a coloro che sono già d’accordo con loro e che si dimostrano incapaci di allargare la cerchia degli elettori.[17]

Quest’inettitudine viene mascherata come estrema trasparenza, amore della verità, rifiuto di servirsi di bassi strumenti propagandistici. In realtà serve a nascondere la concezione prevalente della politica: quella delle alleanze. Ognuno coltiva il suo orticello, fabbricando accuratamente le sue differenze con tutti gli altri, convinto di poter fidelizzare i suoi. Ottenuto così il massimo del risultato, si andrà poi al mercato delle alleanze con il bottino raccolto. Così si resta sempre di meno e si consegnano gli elettori borderline, estranei a questi giochetti, ai frame prodotti dagli avversari. Bisogna proprio aver mangiato pane e volpe tutte le mattine! 

Giuseppe Rinaldi (13/02/2013 – 05/07/2021 rev.)


OPERE CITATE 

2004 Lakoff, George

Don’t Think of an Elephant: Know Your Values and Frame the Debate!, Chelsea Green Publishing. Tr. it.: Non pensare all’elefante!, Internazionale, Roma, 2006.

1994 Sperber, Dan

The Epidemiology of Beliefs, in Fraser, C. & Gaskell, G. (a cura di), The Social Psychological Study of Widespread Beliefs, Clarendon Press, Oxford. Tr. it.: L’epidemiologia delle credenze, Anabasi, Milano, 1994.

 

NOTE

[1] Cfr. Lakoff (2004).

[2] Si riferisce ovviamente alla situazione americana (ndr).

[3] Cfr. Lakoff 2004: 17-18.

[4] Cfr. Lakoff 2004: 18-19.

[5] Cfr. Lakoff 2004: 35-36.

[6] Cfr. Lakoff 2004: 38.

[7] Cfr. Lakoff 2004: 39.

[8] Cfr. Lakoff 2004: 40. Berlusconi, in effetti, ha giocato la sua rimonta radicalizzando e non moderando le proprie posizioni.

[9] Cfr. Sperber 2004.

[10] Cfr. Lakoff 2004: 41.

[11] Molti degli artifizi usati in passato da Berlusconi non sono che sottoprodotti copiati di sana pianta dai conservatori americani. Un esempio per tutti è il famoso “contratto con gli italiani”. In Italia è stato salutato come un grande innovatore (anche dai commentatori di sinistra) quando era solo uno scopiazzatore di quart’ordine.

[12] Cfr. Lakoff 2004: 45.

[13] Questo frame, secondo i sondaggisti, avrebbe aperto la rimonta di Berlusconi.

[14] È stato fatto notare che, poiché l’IMU è progressiva, una restituzione implicherebbe piccole ricompense per i meno abbienti e grandi ricompense per i più abbienti: ma queste considerazioni razionali non sono sufficienti a cancellare l’impatto identitario della proposta.

[15] Berlusconi, nella sua risposta, a quanto riportano i giornali, non ha saputo spostare l’attenzione dall’idea forte di un Berlusconi compratore di voti con i soldi altrui e si è limitato a sostenere che Monti sarebbe “indecente”, lasciando così la vittoria al Professore.

[16] Coloro che sono avvezzi al politichese di sinistra non faranno invece fatica a riconoscere, oltre a una lingua decisamente sciatta e contorta, una serie di stupidaggini che hanno il solo scopo di conciliare l’inconciliabile: la visione della lotta di classe old style con la visione interclassista new style. È sempre bene dare ragione a tutti.

[17] Si ricorderà che proprio queste erano le problematiche poste da Matteo Renzi durante le primarie, ma questa è una storia ormai archiviata.