venerdì 9 ottobre 2015

Sospetti e bugie

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1. È stato Paul Ricoeur a definire come «filosofie del sospetto» le teorie di Marx, di Nietzsche e di Freud. Il ragionamento di Ricoeur era relativamente semplice: si tratta di teorie filosofiche che mettono in questione quello che appare (cioè il fenomeno) e lo considerano come una specie di copertura di una diversa e più autentica verità, che per qualche motivo è stata occultata. Il compito che queste filosofie si assumono è quello di guardare oltre l’apparenza, di togliere la copertura e di restituire quel che è vero. Questo è il motivo per cui, in queste filosofie, la verità si presenta come uno smascheramento, oppure come una rivelazione.
 
2. Spesso queste filosofie comprendono anche elaborate narrazioni circa i meccanismi dell’occultamento. L’occultamento del vero al di sotto dell’apparenza non sarebbe mai casuale; esso viene attribuito a interessi, desideri, auto illusione, ideologia, e simili. Di solito le cause dell’occultamento sono considerate come meccanismi subdoli, esecrabili, poco nobili. Detto in altra maniera, l’occultamento della verità sarebbe dovuto a qualcosa che è sempre presentato come male. Va precisato che le cause dell’occultamento non vengono solitamente collegate a quella che invece può essere la causa fondamentale di una divergenza tra apparenza e realtà, cioè alla semplice ignoranza.
In effetti, nel campo delle scienze della natura, potremmo dire semplicemente che un eventuale occultamento della verità sia dovuto alla nostra ignoranza. Credere che la peste sia portata dagli «untori» è senz’altro frutto d’ignoranza. Nessuno ha mai teorizzato che l’ignoranza dell’uomo nei riguardi della natura sia dovuta a qualche forma di complotto, di subdolo interesse, di auto inganno o simili. Al più si è ammesso che l’uomo abbia cercato delle narrazioni sostitutive della propria ignoranza.
Le teorie dell’occultamento della verità tuttavia sono spesso applicate nel campo delle faccende umane, sia a livello individuale sia a livello sociale o culturale. Si tratta, in effetti, di campi in cui l’idea di una manipolazione intenzionale oppure di un autoinganno possono trovare maggiore plausibilità. Alcuni sofisti pensavano già che gli Dei fossero un’invenzione dei potenti per tener buoni i loro sottomessi. Platone pensava che l’ignoranza umana fosse dovuta a una sorta di perdita della memoria. Nello stesso mito biblico si ritiene che il peccato abbia tolto agli uomini la facoltà della conoscenza. Il cristianesimo è incentrato intorno alla nozione di una rivelazione. Insomma, che ci sia una verità riguardante soprattutto l’uomo, che per qualche motivo è nascosta e che è lì pronta per essere scoperta, pare essere davvero assai ricorrente nella storia del pensiero occidentale. Se intendessimo l’occultamento in questo senso, allora, tutta la storia del pensiero occidentale potrebbe essere ricapitolata come una lunga storia del sospetto.
 
3. Tra una teoria del sospetto limitata ai tre filosofi (Marx, Nietzsche e Freud) e una che coinvolga tutta la storia della filosofia occidentale sarà forse opportuno trovare una dimensione più adeguata, che effettivamente riesca a conferire una certa attendibilità interpretativa alla questione del sospetto in filosofia. Bisogna allora riconoscere che c’è sospetto e sospetto. Probabilmente l’elenco fornito da Ricoeur è un po’ troppo limitato. Ci sono diverse altre filosofie che possono essere accomunate a quelle di Marx, Nietzsche e Freud nella prospettiva del sospetto. La filosofia di Schopenhauer non è forse giocata intorno alla nozione di un’apparenza e di una verità autentica? Heidegger non può essere considerato un filosofo del sospetto in virtù della differenza tra l’esserci e l’essere? Gli idealismi, e quello di Hegel in particolare, non fanno che rivelare che quel che noi a livello di senso comune crediam0 materia altro non sia che idea. Anche Kant, in fin dei conti, ci ha autorizzato a sospettare che quel che conosciamo non sia la vera realtà, e che la vera realtà sia una cosa in sé inconoscibile.
Che cosa hanno in comune tutte queste filosofie? Viene proprio il sospetto che alla radice delle filosofie del sospetto ci siano le filosofie trascendentali o derivanti dal trascendentalismo. Mentre ci possono ben essere filosofie del sospetto di tipo non trascendentalista, pare che tutte le filosofie trascendentaliste degli ultimi due secoli possano, in un modo o nell’altro, essere considerate come filosofie del sospetto.[1] Nel proseguimento di questo scritto cercherò di esplorare alcune connessioni tra trascendentalismo e sospetto. Cosa ha legato l’ipotesi trascendentale, che è in fondo un’ipotesi come un’altra, alla massiccia diffusione del sospetto in filosofia?
 
4. In effetti pare sia stato proprio il transcendental turn a produrre negli ultimi due secoli sospetti filosofici sistematici e a non finire. Come questo sia avvenuto può non essere del tutto chiaro, per cui occorrerà una ricostruzione di massima che, per ovvi motivi, non potrà che risultare estremamente sintetica. In compenso l’estrema sintesi ci permetterà di condurre il ragionamento a un livello elevato di generalità, l’unico livello al quale gli aspetti della storia filosofica che ci interessano possono guadagnare una certa evidenza.
 Kant era probabilmente stato impressionato dalla mossa di Copernico che, in fin dei conti, aveva semplicemente capovolto un elemento di senso comune: poteva non essere il sole a muoversi intorno alla terra, ma poteva essere la terra a muoversi intorno al sole. Tuttavia l’ipotesi di Copernico era un’ipotesi falsificabile, nel senso popperiano del termine. In effetti, nel giro di poco tempo, nonostante feroci opposizioni, l’ipotesi fu corroborata, cioè riuscì a resistere a ogni tentativo di falsificazione. Fu anzi l’ipotesi contraria, l’antico sistema di Tolomeo, a essere falsificata.
Aveva qualche senso riprodurre un analogo della rivoluzione di Copernico in filosofia? La svolta trascendentale kantiana era ben più azzardata poiché non si fondava (e non poteva fondarsi) su alcuna osservazione empirica. Kant in quell’occasione non esitò a impiegare un’analitica, cioè fu costretto a inventarsi, su basi puramente deduttive, un vero e proprio modello della mente umana. Le uniche restrizioni che si era posto erano che il modello della mente risultante doveva in qualche modo non divergere troppo dai risultati della allora nuova rivoluzione scientifica newtoniana.
Proprio per il procedimento analitico con cui era stato costruito, il nuovo modello della mente umana non era in via di principio falsificabile, o lo era con grande difficoltà, e infatti era destinato a restare una pura ipotesi per diversi secoli (poiché non c’erano a disposizione le conoscenze di tipo fisiologico, psicologico o antropologico sulla mente che sarebbero state necessarie). Le falsificazioni di quel modello (e di molti altri) stanno arrivando solo ora, all’inizio del XXI secolo, con lo sviluppo delle scienze cognitive[2].
Col senno di poi ci si può domandare se quello sforzo teorico fosse ineluttabile, fondato e giustificato. In proposito va come minimo osservato che i diretti concorrenti di Kant, gli empiristi, in mancanza di dati certi, in mancanza di prove, rifiutarono di costruire una dottrina della mente in stile deduttivo, compiuta e articolata come quella kantiana. Per la loro prudenza furono tuttavia accusati di riduzionismo, di positivismo e tante altre nefandezze.
 
 5. Il trascendentalismo kantiano introdusse nella filosofia alcune linee di pensiero che ebbero grande fortuna nei due secoli successivi. Esse possono essere così sintetizzate: a) l’uomo non ha avuto finora alcuna precisa nozione su come funziona la sua stessa mente; b) la mente va indagata con una “scienza” deduttiva speciale che si chiama analitica, la quale produce un modello vero della mente; b) tra i suoi principali risultati, l’analitica spiega come, contrariamente al senso comune, il fenomeno sia un prodotto della mente; c) al di là del fenomeno c’è qualcosa, che la mente può solo presumere e che non potrà mai conoscere, che sta fuori di noi e che è la cosa in sé. Ma la cosa in sé sta anche dentro di noi, poiché si rende accessibile nell’ambito della moralità.
Come si vede, si tratta di una prospettiva nella quale il sospetto regna davvero sovrano. Dopo Kant, ogni atto conoscitivo, anche il più semplice, non era più come sembrava, doveva essere reinterpretato (cioè doveva essere rivelato nel suo essere un costrutto). Io credo di spostare quest’oggetto dal punto A al punto B. In realtà l’oggetto è un prodotto delle categorie e degli schemi della mia intuizione e del mio intelletto e la stessa cosa vale per la mia percezione dello spazio e del tempo occorso. Il tutto accade sotto la regia dell’appercezione trascendentale (che però non coincide affatto con la mia soggettività empirica). Ma anche ogni scelta in campo pratico (ogni atto morale) si rivela essere il prodotto di una forma che non appartiene alla mia soggettività empirica, la quale invece compare nell’atto morale solo come materia.
Il filosofo kantiano mostra dunque sistematicamente che la vera realtà non è quel che sembra, che nell’ambito del senso comune noi ci inganniamo, che solo attraverso un procedimento analitico assai complesso, che è prerogativa del filosofo stesso, possiamo spogliarci dei meccanismi di occultamento (che sono addebitati al senso comune stesso) e riconoscere quel che veramente è. Io continuo a spostare l’oggetto dal punto A al punto B, ma ora quell’atto è diventato un’altra cosa! È diventato un fenomeno.[3] Avevamo dunque ragione di sospettare, meno male che abbiamo sospettato! Chiunque conosca un po’ la storia della filosofia dopo Kant sa che la mania del sospetto è andata ben oltre i limiti, peraltro posti chiaramente da Kant, e di conseguenza si è avuta una proliferazione di sospetti e rivelazioni tale da annientare qualsiasi cosa. Non s’è salvato proprio nulla. Se non fosse che l’estensione semantica del termine è già occupata, verrebbe da chiamare tutto ciò nichilismo.
 
6. Il transcendental turn ha così definito in modo nuovo la professionalità stessa del filosofo: il filosofo diventava ora colui che aveva lo scopo di costruire un modello della macchina mentale grazie alla quale provvediamo a fabbricare la realtà. In questa storia, un passo notevole è stato compiuto con il passaggio dalla macchina mentale individuale, com’era ancora in Kant, alla macchina mentale cosmica (di cui lo Spirito hegeliano, la Totalità marxiana e la Volontà schopenhaueriana sono gli esempi più noti). Si dà comunque sempre per scontato che, contro il senso comune, la realtà sia un prodotto mentale (o ideale che dir si voglia). In quanto prodotto, la realtà vien dopo, non può che essere una entità derivata, quindi una realtà illusoria, una rappresentazione. Ciò che conta veramente sono le forme trascendentali, gli schemi, la logica, cioè la macchina. La macchina produce la realtà e poi se la ritrova bell’e fatta, a volte senza sapere neanche di essere stata lei a produrla. La nozione filosofica dell’inconscio con ogni probabilità è nata proprio in relazione a questo sistematico meccanismo di sdoppiamento interno al soggetto.
Un problema che ha afflitto le filosofie trascendentali è che i trascendentalisti, pur essendo tutti d’accordo, in termini di sospetto, sul fatto che la realtà sia una rappresentazione illusoria, non sono mai riusciti a mettersi d’accordo su come fosse davvero fatta la macchina produttrice delle illusioni. Nel giro di pochi decenni, dopo Kant c’è stata una proliferazione di sistemi capaci di avanzare sospetti sempre più vertiginosi. Insomma, ci sarebbero davvero tanti, troppi modi, per produrre qualcosa che in fin dei conti comunque è sempre illusione, fenomeno. Nonostante le notevoli divergenze tra i vari sistemi, un risultato sicuro che queste filosofie hanno raggiunto è stata la diffusione a livello popolare della narrazione circa l’illusorietà della realtà (tanto da spingere alla produzione di sempre nuove filosofie del sospetto – una filosofia che non sospetti non è neanche una filosofia[4]).
 
7. Questa proliferazione incontrollata di sistemi ad impostazione trascendentale è stata dovuta, col senno di poi, a un misto di presunzione e di ignoranza connesso ai tempi: all’epoca di Kant della mente si sapeva ben poco e meno ancora si sapeva del rapporto tra corpo e mente. Ciascuno dei successori di Kant ha preteso tuttavia di costruire il suo bravo sistema filosofico a partire da un modello della mente, cioè a partire da ciò che si conosceva meno di ogni altra cosa. Va sempre ricordato – in proposito - che gli empiristi si erano sempre rifiutati di produrre ipotesi là dove non c’erano conoscenze certe, in ossequio al rasoio di Ockham.
La riflessione sul funzionamento della macchina mentale così è stata portata avanti con strumenti deduttivi e, in particolare, con gli strumenti concettuali ereditati dal razionalismo, gran parte dei quali derivavano, a loro volta, dalla filosofia aristotelico scolastica (soggetto, oggetto, materia, forma, causa, Io penso, ecc…). Le nuove impressionanti macchine del mondo illusorio avevano ingranaggi e rotelle molto vecchi. Se si vuole, la “novità” della rivoluzione kantiana era che spazio e tempo diventavano intuizioni mentali, ma il loro funzionamento era assimilato, pur con qualche distinzione, alle antiche forme. Trasferire spazio e tempo nella mente apriva la strada a fare non solo della fisica ma anche della natura un prodotto mentale, come faranno poi i successori di Kant. Certo, Kant aveva detto chiaramente che la metafisica non poteva più essere considerata una scienza, ma i suoi successori si scorderanno ben presto della cosa, tanto più che Kant stesso aveva accettato di porre principi metafisici in svariati altri campi, come nell’etica o nell’estetica (nel senso del giudizio).
 
8. Il “metodo” di Kant ebbe grande fortuna e, per un paio di secoli, i filosofi (quelli che poi saranno detti continentali) si diedero a lavorare intorno alla decostruzione analitica della macchina mentale che doveva presiedere alla produzione della realtà. In un primo tempo ci fu la tendenza a produrre grandi sistemi. Poi, di fronte ai loro limiti evidenti, venne l’epoca delle filosofie comunque sempre trascendentali, ma anti sistematiche. Gli sviluppi si susseguirono con risultati sempre più miseri e sempre più divergenti. La ridda delle filosofie postmoderne è solo l’ultimo e il più infelice esito del trascendentalismo. Solo ora, proprio grazie al postmoderno, l’intero ciclo del trascendentalismo è diventato compiutamente visibile e perfettamente interpretabile. È diventato anche compiutamente criticabile, anche poiché le scienze cognitive, negli ultimi tre o quattro decenni, stanno occupando progressivamente tutto il tradizionale terreno delle filosofie trascendentali (e quindi stanno minando alla radice la stessa professionalità analitica dei loro esponenti). Diversi di loro, infatti, si stanno riciclando come letterati, poeti, guru, predicatori televisivi, profeti della spiritualità o come utopisti sociali, organizzatori di eventi e consulenti dell’anima.
 
 
Giuseppe Rinaldi
6/10/2015
 
 
NOTE
 
[1] L’obiezione più consistente può riguardare la filosofia di Freud che, apparentemente, non ha nulla a che fare con il trascendentalismo. Tuttavia pare proprio che la nozione di inconscio, nella cultura tedesca dell’Ottocento e del Novecento, sia fortemente derivata dal trascendentalismo (attraverso Schopenhauer e Nietzsche, per intenderci).
[2] Se ci sono degli schemi, questi sono schemi di funzionamento del cervello e quindi sono soggetti all’indagine sperimentale e sono sottratti alle elucubrazioni analitiche dei filosofi.
[3] È importante porre mente al fatto che il fenomeno prodotto dal trascendentalismo kantiano non è la stessa cosa del fenomeno concepito nell’ambito di una qualunque delle filosofie empiristiche.
[4] Di qui il disprezzo nei confronti dell’empirismo e del positivismo.