sabato 2 maggio 2015

Ci piaceva tanto Feyerabend

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1. Paul K. Feyerabend (1924-1994) è stato uno degli epistemologi post popperiani. Famoso per la sua opera Contro il metodo[1] e per il motto anything goes con cui risolveva il problema filosofico della conoscenza. Nel nostro Paese è stato uno di quegli intellettuali d’importazione che hanno affascinato il pubblico degli anni Settanta e Ottanta, che sono stati di moda per un po’ e di cui poi tutti si sono dimenticati. I suoi lavori sono stati pubblicati in Italia nel periodo della crisi ormai avanzata del neo marxismo. Essi hanno apparentemente contribuito a un nuovo clima che sembrava post ideologico ma che invece stava seminando i germi della reazione postmodernista. Quella di Feyerabend è stata una riflessione sulla scienza che si è mutata paradossalmente in ideologia antiscientifica, un messaggio di liberazione che ha finito per alimentare il culto della santa ignoranza. Si tratta di teorie che secondo la logica dell’horror vacui hanno senz’altro colmato un vuoto, ma hanno anche lasciato tracce profonde che ci ritroviamo costantemente tra i piedi. A volte ritornano.
2. In un ambito culturale profondamente ideologizzato come quello del nostro Paese degli anni Settanta e Ottanta, quale fosse la vera natura della scienza costituiva un problema relativamente sentito e dibattuto. In un certo senso occorreva prendere posizione rispetto ai profondi attacchi contro la scienza moderna che erano stati portati soprattutto da parte del marxismo, della Scuola di Francoforte e della French Theory. I pochi tentativi di conciliazione tra il marxismo e la scienza moderna, come quelli di Della Volpe e di Geymonat erano ormai passati nel dimenticatoio. Le epistemologie forti, alla Hempel, di matrice neopositivista, apparivano come eccessivamente tecnicistiche, macchinose e di scarsa utilità. Avevano così suscitato interesse le epistemologie più deboli, popperiane e post popperiane e tra queste c’erano quelle di Kuhn, di Feyerabend e di Lakatos.[2] Delle tre, sicuramente quella di Feyerabend è stata la più popolare. La “scoperta” di Feyerabend che affascinava di più il pubblico di allora era quella per cui si poteva fare a meno del metodo. Se anche Galileo non aveva seguito un metodo,[3] come sembrava che Feyerabend avesse dimostrato, a maggior ragione anche noi comuni mortali potevamo fare a meno del metodo. Una grande promessa di libertà.
3. Il messaggio di Feyerabend si allineava ad altre correnti filosofiche dell’epoca nel sostenere l’assoluta continuità tra le attività di senso comune e i procedimenti degli scienziati. Ciò nobilitava il senso comune e sviliva l’attività specialistica degli scienziati. Si ricordi che era appena alle spalle un periodo in cui era stato teorizzato il cosiddetto «rifiuto del ruolo». Quindi, in fin dei conti, tutti i procedimenti conoscitivi potevano essere considerati come equivalenti. Quelli seguiti dai bambini, quelli seguiti dai matti,[4] quelli seguiti dall’uomo comune, ma anche quelli seguiti dalle popolazioni primitive o dagli astrologi, e così via. Di qui il famoso motto anything goes.[5] Del resto anche le femministe stavano rivendicando la specificità di un non ben precisato metodo cognitivo delle donne rispetto a quelli degli uomini.
4. Messo da parte il metodo, l’impresa conoscitiva appariva allora come una specie di pratica artistica (del resto lo stesso Feyerabend ebbe originariamente una formazione in campo artistico ed ebbe occasione di paragonare la propria epistemologia nientemeno che al dadaismo). Quella che Feyerabend lasciava trasparire era la creatività vera, non quella che appariva come alquanto ingessata dal metodo. Era una creatività finalmente svincolata dai presupposti istituzionali (i rituali accademici, lo studio della logica e della matematica, lo studio del manuale e della “scienza normale”, le strutture di potere vigenti nella comunità scientifica). Era insomma una creatività familiare, che assomigliava tanto a quella stessa che s’imparava sui banchi di scuola studiando il romanticismo, l’unica prospettiva filosofica veramente popolare che non c’era neanche bisogno di imparare perché si fondava, così almeno si riteneva, su qualcosa di spontaneo e naturale.
5. L’aspetto più rilevante era che Feyerabend, con le sue tesi, autorizzava un attacco radicale contro l’istituzione scientifica. Al pubblico di allora davano fastidio in particolare le presunte strutture di potere della comunità scientifica. Dietro c’era naturalmente il grande smascheramento: gli scienziati erano una casta che usava un presunto sapere (che in realtà era del tutto equivalente al sapere comune) soltanto allo scopo di ottenere una parte delle risorse della nazione per mantenere i propri laboratori, per finanziare le lucrose carriere dei suoi membri. La scienza anziché produrre scoperte produceva solo costrutti illusori allo scopo di consolidare e ampliare il proprio potere. Naturalmente la narrazione poteva poi arricchirsi di un’ampia antologia, del resto non difficile da raccogliere pescando nelle cronache, di atteggiamenti servili degli scienziati nei confronti della politica, di orrori tecnologici, di errori previsionali. La comunità scientifica era interpretata come una tecnostruttura burocratica chiusa, gerarchizzata, impenetrabile, volta a perpetrare pratiche disumane, guidata solo dall’ambizione dei centri di potere. Sebbene Feyerabend fosse un austriaco e non avesse mai avuto a che fare con la filosofia continentale, sebbene non avesse alcun interesse per le filosofie della storia, le sue tesi sulla scienza non erano dissimili dalle posizioni di Husserl e di Heidegger e da quelli della French Theory. Ancora una volta la destra e la sinistra trovavano un terreno comune.
6. Le posizioni di Feyerabend sembravano poi del tutto politicamente corrette, ci sembrava allora una specie di liberal molto radicale e conseguente, tanto che non poteva destare sospetti. Insomma non era un marxista, non era un pericoloso estremista di sinistra, parlava continuamente della “società libera”. Se anche un liberal radicale come lui poteva giungere a quelle posizioni, ciò implicitamente voleva dire che si trattava di posizioni in qualche modo fondate o comunque degne d’interesse. Rappresentava, in sostanza, una sorta di ravvedimento della cultura scientifica dal suo stesso interno.
7. L’uso che si faceva di Feyerabend era comunque prevalentemente di tipo politico ideologico più che di tipo metodologico. Non risulta che nessuno abbia mai rivendicato di avere fatto qualche scoperta seguendo il non-metodo di Feyerabend. Il fatto era che neanche a noi di allora Feyerabend serviva per fare delle scoperte. Serviva piuttosto per demolire quel che restava dell’impresa scientifica. Molti di noi erano marxisti (o erano stati piuttosto vicini al marxismo) e non trovavamo tuttavia alcuna contraddizione nel seguire il pensiero di Feyerabend che col marxismo non aveva nulla a che spartire. In realtà il nostro era un marxismo davvero sincretico, dove si mescolava di tutto e di più, con grande disinvoltura, producendo quella specie di pappa appiccicosa che sarebbe poi sfociata nel postmodernismo. Del resto va notato che quelli di noi che erano in qualche misura coinvolti in qualche impresa scientifica (tutti prima o poi hanno fatto una tesi di laurea e si son trovati a fare delle scelte metodologiche) finivano poi per seguire pedestremente i metodi di ricerca tipici del campo in cui operavano. Magari con qualche sorveglianza critica in più (e questo era senz’altro un bene). Ma la sorveglianza critica non era certo l’unico scopo di Feyerabend.
8. Ci piaceva tanto Feyerabend ma, ora che è stato praticamente dimenticato da tutti, i cascami volgari delle sue idee ce li troviamo ancora tra i piedi, così forti da farci inciampare, così saldamente insediati nel senso comune da costituire tuttora un ostacolo a qualunque sviluppo. Non si tratta certo delle sue critiche puntuali a Popper o a Kuhn, che potevano anche essere interessanti, brillanti e degne di considerazione, ma della sua catastrofica visione generale dei rapporti tra scienza e società. La scienza, secondo Feyerabend, sebbene avesse avuto inizio come un movimento di liberazione, era ora diventata un’ideologia repressiva. Infatti: «[…] la scienza moderna schiacciò i suoi oppositori, non li convinse. La scienza si impose con la forza, non con il ragionamento».[6] Feyerabend temeva una sorta di dominio da parte del pensiero scientifico, per cui riteneva che esso dovesse essere riequilibrato, ridimensionato, tenuto a bada, così come ci si deve proteggere da altre ideologie: «Una società libera è una società in cui tutte le tradizioni dovrebbero godere di eguali diritti, indipendentemente da quello che ne pensano le altre tradizioni».[7] E ancora: «Bisogna lasciare spazio a tradizioni in contrasto con la scienza e con il razionalismo. Si tenterà dunque di minare con tutti i mezzi disponibili il potere della scienza e del razionalismo».[8]
 Questo libertarismo estremo andava esteso all’accoglienza di tutte le teorie, di qualsiasi tipo. Egli riteneva, ad esempio, che la condanna da parte degli scienziati dell’astrologia o lo scetticismo sull’efficacia della danza della pioggia non avessero alcun fondamento e fossero spiegabili soltanto come una sorta di atteggiamento elitario e imperialistico verso altri aspetti della cultura altrettanto legittimi. Egli immaginava una società libera in cui tutte le tradizioni avessero uguali diritti e uguale accesso ai centri del potere. Insomma, in una società libera saremmo tenuti a mettere sullo stesso piano Darwin, il creazionismo, Scientology, l’astrologia, la meccanica quantistica, Davide Vannoni e il Mago Otelma. Se si legge quel che scriveva Kant sull’oppressione dell’ignoranza e sul potere di liberazione del sapere, qui ne abbiamo l’esatto capovolgimento. Ciascuno deve sentirsi orgoglioso di coltivare la tradizione culturale nella quale si è ritrovato, quale che sia, si tratti dell’astrologia o della danza della pioggia. La scienza moderna è solo una prospettiva fra le tante e tale deve rimanere. La teoria di Feyerabend è così sfociata nel più totale relativismo.
9. Il relativismo radicale doveva comportare la totale separazione della scienza dallo Stato, più o meno nello stesso modo in cui la religione e lo stato sono separati nella moderna società secolare. La separazione netta dallo Stato avrebbe avuto importanti conseguenze nel campo dei finanziamenti dell’attività scientifica e soprattutto nel campo dell’educazione. Così lamentava Feyerabend: «[…] benché un americano possa scegliere oggi la religione che preferisce, non gli è ancora permesso di chiedere che i suoi figli imparino a scuola la magia anziché la scienza. Esiste una separazione tra stato e chiesa e non esiste una separazione fra stato e scienza».[9] Dunque ciascuno dovrà essere autorizzato a trasmettere le proprie credenze ai propri figli, senza alcuna interferenza.
In proposito, di fronte alle più ovvie obiezioni, Feyerabend aggiungeva: «Non dobbiamo temere che una tale separazione possa condurre a un crollo della tecnologia. Ci saranno sempre individui che preferiranno dedicarsi alla scienza per essere padroni del proprio destino e che si sottometteranno volentieri al genere più meschino di schiavitù (intellettuale e istituzionale) purché siano pagati bene e purché ci siano attorno a loro persone che ne esaminino il lavoro e ne cantino le lodi. La Grecia si sviluppò e progredì perché poteva contare sul lavoro di schiavi, per quanto recalcitranti. Noi dobbiamo svilupparci e progredire con l’aiuto di numerosi schiavi volontari nelle università e nei laboratori, schiavi che ci forniscano pillole, gas, elettricità, bombe atomiche, cibi surgelati e, occasionalmente, qualche favola interessante. Dobbiamo trattare bene questi schiavi […] ma non dobbiamo permettere loro di imporre la loro ideologia ai nostri figli sotto la maschera delle teorie “progressiste” sull’istruzione. Non dobbiamo permettere loro di insegnare le fantasie della scienza come se esse fossero le uniche asserzioni fattuali che esistano. Questa separazione di scienza e stato può essere l’unica nostra possibilità di superare la febbrile barbarie della nostra epoca scientifico – tecnica e di conseguire un’umanità di cui siamo capaci ma che non abbiamo mai pienamente realizzato».[10]
Feyerabend qui prospettava con estrema lucidità quel che effettivamente sta accadendo nelle società odierne: la scienza è spesso usata in termini del tutto strumentali senza che il suo impiego costituisca un impegno verso la cultura scientifica. Gli scienziati possono ben essere usati ma guai a ricavare dalle teorie scientifiche una qualche visione del mondo. Insomma, dal relativismo spinto di Feyerabend si ricava conseguentemente una sorta di diritto universale alla santa ignoranza e, cosa non secondaria, la fine di qualsiasi istruzione pubblica e la fine di qualsiasi specializzazione professionale (secondo la logica di Feyerabend potremmo infatti ricorrere ai veggenti e agli sciamani, curarci con l’omeopatia, credere alla memoria dell’acqua o investire miliardi nella fusione fredda). In una simile situazione allo Stato non resta che trattare tutte le teorie su un piano di perfetta parità. Feyerabend ha così anticipato solo di qualche tempo le assurde tesi del comunitarismo nord americano, per cui lo Stato altro non dovrebbe se riconoscere le irriducibili peculiarità culturali di ciascuna comunità. Solo che in questo caso la protezione e l’avallo andrebbero estesi non solo alle diverse comunità, ma anche a qualunque teoria, per strampalata che sia.
 10. Ma non basta. Feyerabend si è poi fatto fautore di un controllo popolare sulla scienza e sugli scienziati. «Quando una cosa è importante o per un piccolo gruppo o per la società nel suo insieme, tale giudizio dev’essere sottoposto all’esame più esatto. Comitati di profani eletti pubblicamente devono accertare se la teoria dell’evoluzione è davvero così ben fondata come vogliono farci credere i biologi, se una “buona giustificazione”, come la intendono loro, esaurisce veramente la questione e se nelle scuole non debbano essere presentate anche altre opinioni, come per esempio la dottrina della Genesi. Essi devono esaminare in ogni singolo caso la sicurezza dei reattori nucleari e a questo scopo devono avere accesso a tutta l’informazione rilevante. Essi devono esaminare se la medicina scientifica meriti l’autorità teorica, l’accesso a fondi pubblici, la protezione della legge, il diritto di mutilare uomini vivi, di cui gode oggi, e se altri metodi di terapia non siano spesso molto migliori e molto più economici, e devono incoraggiare i confronti necessari. Per esempio devono concedere spazio alla ripresa e all’esercizio della medicina tribale […]».[11]
Feyerabend più di ogni cosa diffidava degli esperti. Gli oggetti delle ricerche scientifiche avrebbero dovuto essere determinati da elezioni popolari e le assunzioni e le conclusioni avrebbero dovuto essere supervisionate da un comitato di persone non specializzate. Insomma, la razionalità è sempre elitaria (dunque pericolosa per la società libera) perciò i risultati del lavoro degli scienziati andrebbero controllati e sottoposti al voto popolare. Se l’intelligenza è rara, e ciò forse sarà anche vero, questa, secondo Feyerabend dovrebbe costantemente essere sottoposta al vaglio della massa degli imbecilli. Vale appena la pena di ricordare che per Rousseau la determinazione del bene comune doveva avvenire in seguito a un dibattito pubblico condotto attraverso procedimenti razionali.[12] Al contrario, non è necessario per Feyerabend che le decisioni prese siano adeguate al problema da risolvere, per il semplice fatto che non esistono comuni criteri di adeguatezza. Qualunque prospettiva sia sostenuta da una maggioranza, ciò sarebbe la cosa giusta. A dire il vero, se fosse stato conseguente con il suo anarchismo, Feyerabend avrebbe dovuto anche negare la stessa possibilità di una qualche maggioranza.
11. Il problema è che Feyerabend si trovava in buona compagnia. Le sue posizioni ultra relativistiche rispetto alla scienza non sono molto diverse da quelle espresse e sviluppate nel frattempo dalla French Theory. Queste teorie, oltre al relativismo, hanno spesso sviluppato un costruttivismo integrale, cioè la teoria secondo cui la verità sarebbe una costruzione sociale. Non abbiamo qui lo spazio per entrare nel merito. A titolo puramente esemplificativo citeremo il caso di Bruno Latour, filosofo, antropologo ed epistemologo molto famoso in Francia, d’impostazione sostanzialmente postmoderna, anche se egli nega decisamente questa affiliazione. Egli, tra le altre cose, ha sostenuto un costruttivismo radicale, e cioè che le conoscenze scientifiche siano niente più che una costruzione sociale prodotta dalle pratiche degli scienziati nei laboratori. Ne consegue che, anche storicamente, la verità scientifica non può avere alcuna esistenza prima della sua produzione da parte degli stessi scienziati. Latour, ha sostenuto questa posizione estremizzandola contro ogni evidenza. L’episodio più sconcertante in proposito è il seguente. Nel 1976 alcuni archeologi sottoposero ad analisi i resti della mummia di Ramsete II e conclusero, in base ai dati empirici rilevati, che il faraone era morto di tubercolosi. Latour, forte della sua epistemologia radical costruttivistica, intervenne affermando che ciò non era possibile per principio. Secondo Latour, poiché il bacillo della tubercolosi è stato scoperto (cioè costruito nei laboratori) da Robert Koch nel 1882, sarebbe inverosimile sostenere che il faraone sia morto di tubercolosi.[13] Insomma, prima della sua scoperta da parte degli scienziati la tubercolosi non esisteva. Evidentemente, meno cose si scoprono, meglio è.
  12. Come è noto la French Theory è emigrata in America, dove si è radicata profondamente, tanto da diventare più famosa che in Francia. Il filosofo Paul Boghossian, rigoroso critico del relativismo, ha riportato una storiella circa un dibattito sviluppatosi nella comunità scientifica nordamericana a metà degli anni Novanta: «Secondo la spiegazione archeologica standard, ampiamente confermata, gli esseri umani giunsero per la prima volta in America dall’Asia, attraversando lo Stretto di Bering, circa diecimila anni fa. Per contro, alcuni miti dei nativi americani sulla creazione sostengono che queste popolazioni sono vissute in America sin da quando i loro progenitori emersero sulla superficie terrestre da un mondo di spiriti sotterraneo. Come ha detto un rappresentante dei Sioux […]: “Sappiamo da dove veniamo. Siamo i discendenti dei Buffalo, che vennero dall’interno della Terra dopo che gli spiriti soprannaturali avevano preparato questo mondo per la vita umana. Se i non indiani hanno deciso di credere di essersi evoluti da una scimmia, che sia. Ma devo ancora incontrare cinque lakota che credano nella scienza e nell’evoluzione”».[14] Boghossian prosegue raccontando che, dopo la pubblicazione di questa contesa sul New York Times, molti archeologi, evidentemente politicamente corretti e relativisti feyerabendiani senza saperlo, si sono affrettati a precisare che la scienza è solo uno dei tanti sistemi per conoscere il mondo e che la visione dei Sioux era tanto valida quanto quella degli archeologi. Un magnifico inchino della scienza nei confronti del relativismo più totale. Scienza e mito, tutto fa brodo.
13. Mentre dalle nostre parti ha spopolato quasi senza ostacoli, la French Theory ha per lo meno trovato nel mondo anglosassone una fiera opposizione da parte degli ambienti della filosofia analitica e da parte degli ambienti scientifici. Ciò ha prodotto uno scontro piuttosto aspro nel mondo intellettuale. Il volume di Boghossian che abbiamo citato ne costituisce un esempio. Un episodio emblematico di questo clima si scontro che è venuto a determinarsi è la famosa «burla di Sokal». Nel 1996 Alan Sokal, professore di fisica alla New York University, sottopose per la pubblicazione un articolo a Social Text, una nota rivista americana di orientamento postmoderno. L’articolo s’intitolava Transgressing the Boundaries: Towards a Transformative Hermeneutics of Quantum Gravity.[15] Si trattava in realtà un patchwork assolutamente privo di senso, composto copiando e incollando brani tipici di letteratura postmoderna insieme a spezzoni di letteratura scientifica. Ebbene, l’articolo passò senza alcuna difficoltà il vaglio redazionale e fu pubblicato in pompa magna, quasi come se rappresentasse una specie di omaggio da parte di un noto fisico all’ideologia postmoderna. Lo stesso giorno della pubblicazione Sokal rivelò che si trattava di uno scherzo, con le conseguenze che ciascuno può immaginare. Alla burla fece seguito la pubblicazione di un volume, a cura di Sokal e Bricmont, in cui i due autori prendevano in esame una gran quantità di testi nei quali noti esponenti della French Theory si avventuravano scivolosamente sul terreno scientifico, producendo una marea di sproloqui e corbellerie.[16] Naturalmente la cosa non è bastata a scalfire le solide posizioni accademiche della French Theory negli States. Da noi oggi un certo ripensamento critico del post modernismo viene finalmente considerato come una svolta necessaria.
 14. Ma le posizioni à la Feyerabend non hanno avuto soltanto conseguenze di tipo filosofico o epistemologico. Confondere continuamente l’autonomia della scienza e della ricerca con il suo controllo popolare è un colossale strafalcione che piace alquanto agli ideologi delle masse o ai movimenti radicali che di quando in quando si mobilitano per le loro battaglie su questioni specifiche. Per cui ne sentiremo senz’altro ancora parlare a lungo.
Nella recente epidemia di ebola, in centro Africa, alcuni operatori sanitari sono stati attaccati dalla folla inferocita che intendeva opporsi alle pratiche mediche dei soccorritori. Probabilmente non conoscevano Feyerabend ma sicuramente agivano nel suo spirito. Se le masse africane fossero convinte di sconfiggere ebola con feticci e talismani dovrebbero evidentemente essere lasciate libere di seguire la loro convinzione e di trasmetterla ai loro discendenti (ammesso che poi ne resti qualcuno). Avremmo una società decisamente molto libera che tuttavia non andrebbe molto lontano.
In Italia è ancora forte l’eco della cura Di Bella contro il cancro e della sperimentazione del metodo Vannoni di infusione con le staminali (con gli incredibili interventi pro e/o contro della magistratura). In alcuni ambienti si pretende di disporre di una terapia efficace per curare l’omosessualità. Ci sono dei servizi sanitari che rimborsano, con i soldi dei cittadini, prodotti omeopatici, cioè prodotti che non hanno mostrato alcuna efficacia sul piano sperimentale. Del resto le interferenze nel lavoro scientifico da parte di animalisti, religiosi di ogni tipo, vegetariani, ecologisti e via dicendo, sono sempre più invadenti e si sono mostrate capaci di suscitare grandi ondate emotive e di guadagnare un seguito popolare, nonostante gli scarsi o nulli fondamenti esibiti. Il grande pubblico sembra costantemente in allarme, in attesa dei colpi di mano da parte della comunità scientifica ai danni della vita quotidiana della gente comune, si tratti dei forni a microonde o delle coltivazioni geneticamente modificate. I sostenitori accaniti del principio di precauzione lo vorrebbero applicare in tutti i casi in cui non ci sia certezza scientifica assoluta. Ciò vuol dire che lo si dovrebbe applicare sempre, poiché la certezza scientifica assoluta non ci può mai essere, per definizione (e su questo ultimo punto Feyerabend sarebbe senz’altro d’accordo).  
Invece di difendere, rafforzare e diffondere la cultura scientifica, in modo da renderla sempre più efficace e da diminuire anche gli eventuali errori in cui la scienza può incorrere, si sta fomentando una gara a suscitare paure e a mettere in atto movimenti di rifiuto della scienza e di ritorno a un passato di superstizione e ignoranza. Del resto se si sostiene che tra scienza e mito non c’è alcuna autentica differenza, o che le pratiche della gente comune sono uguali alle pratiche degli scienziati, le conseguenze non possono essere che queste.
15. Naturalmente il simpatico e brillante anarchico Feyerabend non ha alcuna colpa in tutto ciò. La ricezione di un autore è sempre responsabilità di coloro che lo recepiscono. Quello di Feyerabend è solo un esempio di come l’arretratezza culturale nella quale siamo cresciuti contribuisca ancora oggi a mantenerci in quella stessa arretratezza. Abbiamo coltivato con cura e diffuso convinzioni che ora, come se avessero preso vita propria, continuano a riprodursi e a diffondersi e tra un po’ non sapremo più come fare a estirparle.
 
20/04/2015
                                                                               Giuseppe Rinaldi
 
 
 
OPERE CITATE
 
2006  Boghossian, Paul
Fear of Knowledge. Against Relativism and Constructivism, Clarendon Press, Oxford. Tr. it.: Paura di conoscere. Contro il relativismo e il costruttivismo, Carocci, Roma, 2006.
 
1970  Feyerabend, P. & Kuhn, T. & Lakatos, I. & Al.
Criticism and the Growth of Knowledge, Cambridge University Press, Cambridge. Tr. it.: Critica e crescita della conoscenza, Feltrinelli, Milano, 1976.
 
1975  Feyerabend, Paul K.
Against Method. Outline of an Anarchistic Theory of Knowledge, NLB. Tr. it.: Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza, Feltrinelli, Milano, 1979.
 
1978  Feyerabend, Paul K.
Erkenntnis für freie Menschen, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main. Tr. it.: La scienza in una società libera, Feltrinelli, Milano, 1981.
 
1987  Feyerabend, Paul
Farewell to Reason, Verso, London. Tr. it.: Addio alla ragione, Armando, Roma, 1990.
 
1997  Sokal, Alan & Bricmont, Jean
Impostures intellectuelles, Odile Jacob, Paris. Tr. it.: Imposture intellettuali, Garzanti, Milano, 1999.
 
 
NOTE
 
[1] Cfr. Feyerabend 1975.
[2] Si veda in proposito Feyerabend, Kuhn, Lakatos et Al. 1970.
[3] Cfr. Feyerabend 1975.
[4] Uso volutamente questo temine in onore di Franco Basaglia.
[5] Il motto, a proposito del quale Feyerabend peraltro manifestò atteggiamenti ambivalenti, è spiegato in Feyerabend 1975.
[6] Cfr. Feyerabend 1975: 241.
[7] Cfr. Feyerabend 1989: 41.
[8] Cfr. Feyerabend 1978: 162.
[9] Cfr. Feyerabend 1975: 244,
[10] Cfr. Feyerabend 1975: 244.
[11] Cfr. Feyerabend 1978: 147. Come si vede, Feyerabend mescola il giudizio sulla teoria dell’evoluzione o sulla medicina tribale che sono questioni squisitamente scientifiche con la sicurezza delle centrali nucleari che è invece una questione politica a tutti gli effetti.
[12] Zagrebelsky ha scritto pagine interessanti sul rapporto tra democrazia e verità. Lo stesso Rousseau ha ipotizzato che l’Assemblea potesse utilizzare l’apporto di esperti, riservandosi certo di decidere, ma dopo aver ascoltato gli esperti. Per Feyerabend gli specialisti sono pericolosi in quanto tali.
[13] Cfr. Bruno Latour, Ramsès II est-il mort de la tuberculose? ne La Recherche n. 307 del 1/3/1998.
[14] Cfr. Boghossian 2006: 17-18.
[15] Più o meno: Al di là dei limiti: verso una ermeneutica trasformativa della gravità quantistica. L’articolo, spassosissimo, è riportato in Sokal & Bricmont 1997.
[16] Cfr. Sokal & Bricmont 1997.