venerdì 6 novembre 2015

Leibniz e la sostanza individuale

Elementi
1. Leibniz (1646-1716)[1] appartiene alla corrente razionalista e fu autore di una delle più interessanti metafisiche del secondo Seicento. La metafisica leibniziana è incentrata intorno alla nozione di “monade” o sostanza individuale. Il termine “monade” significa all’incirca “elemento unitario”. La monade è per Leibniz l’elemento ultimo, costitutivo di tutta la realtà. Questa nozione è analoga, sebbene alternativa, alla nozione di atomo o di corpuscolo. Leibniz l’ha elaborata proprio in contrapposizione al meccanicismo cartesiano. Il termine monade non è tuttavia leibniziano; era stato già introdotto da Giordano Bruno che intendeva la monade come il minimo, ovvero come l’unità minima indivisibile che costituiva tutte le cose. Leibniz ha introdotto questo termine nel 1696, anche se il concetto corrispondente era stato da lui stesso elaborato in precedenza. Per comprendere il concetto di monade occorre tener conto del fatto che Leibniz è stato anche un grande logico e matematico.[2] La sua dottrina delle monadi è stata elaborata anche in relazione ai suoi interessi logico - matematici. Ciò non toglie che la sua sia comunque una dottrina che utilizza la nozione di sostanza, una nozione pressoché vecchia come la filosofia stessa che proprio nel Seicento giunge a un decisivo punto di svolta della sua storia. 
 
2. Cosa sono le monadi? Per chi conosce Descartes, non sarà difficile comprendere immediatamente il principio fondamentale della metafisica leibniziana: occorre immaginare una metafisica alternativa a quella cartesiana in cui non esista il dualismo tra res cogitans e res extensa e in cui esista solo ed esclusivamente qualcosa di simile alla res cogitans. Tutta la realtà ci apparirà dunque come costituita esclusivamente di tanti soggetti unitari che si fondano da sé, di tanti “io penso”, cartesianamente intesi. Tuttavia, avendo eliminato ogni estensione, questa molteplicità di soggetti unitari non sarà collocata in nessun luogo: si pensi a un insieme infinito di punti privi però di una qualsiasi dimensione fisica. Queste sostanze pensanti, invece di essere poste in relazione con una sostanza corporea per costituire un individuo (secondo la metafora cartesiana del “fantasma dentro la macchina”), si rappresentano idealmente la loro stessa corporeità (e la loro stessa collocazione in un mondo esterno) come fosse un loro attributo. Le monadi sono dunque sostanze logiche,[3] più o meno autoconsapevoli, prive di parti materiali e di estensione; in quanto prive di estensione esse sono anche indivisibili.[4] Le monadi sono in numero infinito, sono state create da Dio e sono in linea di principio eterne. Solo Dio può crearle o, eventualmente, annullarle.
Merita una riflessione la caratteristica delle monadi di essere autoconsapevoli. Ciascuna monade può essere concepita come una “mente” a sé stante, ovvero come un soggetto logico (essendo le monadi di natura logica, la loro attività sarà di natura logica!) dotato di alcune tipiche facoltà della res cogitans, come ad esempio l’autocoscienza,[5]  la rappresentazione e la concettualizzazione. Tuttavia, non facendo parte di una res extensa, tutto ciò che è rappresentato e concettualizzato dalla monade logica, sia come mondo interno sia come mondo esterno alla monade, è sempre un’auto rappresentazione della monade stessa (si pensi al soggetto cartesiano dove tutte le idee ivi contenute siano un prodotto del soggetto stesso!). Le autorappresentazioni delle monadi non sono tuttavia dei sogni solipsistici: ciascuna monade si rappresenta e pensa, dal suo particolare punto di vista, la propria relazione con tutte le altre monadi.[6]
Dal punto di vista ontologico, le monadi sono considerate come “centri di forza” (Leibniz, a differenza di altri filosofi del suo tempo, ammette e usa la nozione di forza o, come diremmo noi oggi, di energia). Occorre tuttavia evitare qualsiasi confusione tra la forza/ energia leibniziane e le equivalenti nozioni odierne della fisica. Ci sono piuttosto marcate parentele con l’intelletto attivo aristotelico e scolastico.  Le monadi, comunque, sono soggetti attivi e sono caratterizzate dalla percezione (nei confronti delle altre monadi) e dall’appetizione (volontà).
 
3. Se non sono collocate nello spazio e nel tempo, se non sono materiali, cosa differenzia le monadi tra loro? In geometria sappiamo che, per definizione, il punto non ha dimensione. Potremmo dunque concludere genericamente che tutti i punti sono tra loro uguali. Se poi tutti i punti fossero assolutamente uguali, se non esistesse cioè nessuna differenza, neppure di collocazione nello spazio, allora tutti i punti sarebbero lo stesso punto.  Lo stesso ragionamento si può fare con le monadi. Se le monadi logiche fossero tutte perfettamente uguali tra loro, ci sarebbe una sola monade. Poiché la realtà è indubitabilmente plurale, fatto ampiamente costatabile, ciò significa che ci devono essere delle differenze tra le monadi. Ciascuna monade è caratterizzata dal complesso delle differenze qualitative (attributi) che la rendono tale,[7] cioè ben individuata, rispetto alle altre monadi (questo è il principium individuationis leibniziano). Ogni monade, in base alle differenze logiche che la caratterizzano, costituisce dunque un punto di vista sul mondo delle altre monadi, il che è lo stesso che dire che ogni monade è tutto l’insieme del mondo, ma considerato da un determinato punto di vista (o di svista!).
Poiché le monadi sono una pluralità, esistono tipi diversi di monadi. Data la loro complessità qualitativa, le monadi hanno infiniti gradi di distinzioni (complessi di differenze o gradi di complessità). Ci sono quelle che hanno minori differenze (attributi) rispetto alle altre (minore complessità), altre hanno maggiori differenze (attributi) rispetto alle altre (hanno maggiore complessità). Quindi tra le monadi viene a crearsi una specie di gerarchia di complessità: le monadi meno complesse (come dice Leibniz, più opache) possono venir rappresentate, dalle monadi più complesse, sotto l’apparenza della materia[8] (per Leibniz è la materia seconda; la materia prima è la potenzialità pura); quelle fornite di facoltà superiori come la memoria costituiscono gli esseri animati sensibili (animali), quelle fornite anche di ragione sono gli spiriti umani.
 
4. Allora, in base a quanto abbiamo detto finora, possiamo stabilire, seguendo Leibniz, quanto segue:
-le monadi sono infinite di numero;
-le monadi sono costituite di sostanza logica e non di materia; non si collocano cioè nello spazio e nel tempo;
-le monadi sono soggetti logici attivi, analoghi a menti in grado di produrre, al proprio interno, delle rappresentazioni di altre monadi;
- quella che noi consideriamo volgarmente materia, altro non è se non la nostra (in quanto monadi singole) soggettiva rappresentazione di altre monadi più opache (la materia è dunque una nostra rappresentazione soggettiva[9]);
-le monadi sono dunque dei mini universi “chiusi” in sé stessi, chiusi verso l’esterno (perché non esiste l’esterno!); ciascuna monade è un mini universo perché è un punto di vista particolare (dovuto alle sue specifiche differenze rispetto alle altre);
-le monadi rappresentano logicamente (cioè rispecchiano, pensano) le altre monadi (stabilendo così una fitta rete di relazioni per così dire “incrociate”); in sostanza avremo tanti universi chiusi, non coincidenti per via delle loro specifiche differenze, che rappresentano, dentro di sé, una immagine di tutto il resto, una immagine non completa a causa della diversa forza rappresentativa; 
-le monadi differiscono dunque per la loro “forza” intrinseca, ovvero per la loro capacità rappresentativa;
-una sola monade è in grado di rappresentare perfettamente, con chiarezza, tutte le altre monadi: questa monade è Dio; in una simile situazione, Dio è dunque solo il primus inter pares;[10]
-rispetto a Dio, le altre monadi sono “menti” dotate di inferiore forza o capacità rappresentativa; esistono quindi monadi diverse, a seconda della loro forza di rappresentazione;
-ciascun essere umano (inteso in senso logico - spirituale) è una monade, in grado di rappresentare, nella propria mente, una immagine non perfetta delle altre monadi; ciò costituisce il “punto di vista” specifico di ciascun essere umano, all’interno del quale cadono parzialmente, come oggetti, altri esseri umani, dotati loro stessi di un loro “punto di vista”;
-gli animali, le piante, la materia inorganica sono costituiti di monadi, le quali però hanno una ridotta capacità rappresentativa, per cui, più che rappresentare, esse vengono per lo più rappresentate.
 
5. Se ciascuna monade rappresenta dentro di sé tutto ciò di cui è capace, ogni monade sarà autonoma. Sorge allora la domanda circa la coerenza delle autonome rappresentazioni delle diverse monadi. Già Descartes, ipotizzando solo l’esistenza di due sostanze indipendenti aveva avuto il suo daffare per raccordarle (si ricordi l’ipotesi macchinosa della ghiandola pineale). Leibniz ha addirittura ipotizzato l’esistenza di infinite sostanze logiche soggettive autonome, per cui si è trovato anch’egli di fronte al problema del loro raccordo.  Onde non cadere nel solipsismo, Leibniz ha postulato un’armonia tra le monadi, dovuta a un supremo regolatore: Dio, monade delle monadi, il supremo “orologiaio”, rappresenta e armonizza tutte le altre monadi tra loro. Una conseguenza di questa concezione è che tutto quel che accade, nei rapporti tra le monadi, è determinato da Dio (è questa la cosiddetta dottrina della armonia prestabilita). Ciò naturalmente pone il grave problema della libertà umana.
 
6. La metafisica leibniziana va decisamente contro il senso comune secondo cui la realtà sarebbe fatta di oggetti materiali immersi all’interno dello spazio e del tempo. Cosa saranno allora lo spazio e il tempo in un modello di questo genere? Spazio e tempo non hanno nulla a che fare con coordinate spaziali e temporali entro cui si collochino le monadi: sono invece interni ad ogni monade, stanno nella “mente” delle monadi: sono conseguenze dell’attività rappresentativa di ciascuna monade (poiché ciascuna monade rappresenta (pensa) le altre monadi in rapporto le une con le altre, come collocate l’una accanto all’altra in uno spazio, oppure come succedentesi, in un ordine, nel tempo). Dunque spazio e tempo sono un sotto prodotto delle modalità logiche o  concettuali attraverso cui le monadi “pensano” o rappresentano le altre monadi. È proprio questa la concezione concettualistica dello spazio e del tempo che sarà criticata da Kant nella sua Critica della Ragion Pura.[11]
 
7. In che senso si può dire che Leibniz sia stato un filosofo razionalista? Le monadi sono sostanze individuali, sono centri di forza, di attività, in grado di rispecchiare dentro di sé tutte le altre monadi. Ma questo rispecchiamento è - in un certo senso - proporzionale alla loro forza: alcune monadi saranno dotate di un maggior forza di rappresentazione interna e quindi conterranno un “mondo rappresentato” assai ampio; altre conterranno un “mondo rappresentato” più limitato. Ci saranno monadi più ottuse di altre: una pietra rappresenta un uomo solo con la sua impenetrabilità, con il suo peso,… Ci saranno monadi meno ottuse: un uomo ha molti più modi di rappresentarsi la pietra… Esiste tuttavia, come s’è visto, una sola monade che sia in grado di rispecchiare perfettamente tutte le altre monadi, con tutta la rete di tutte le loro reciproche rappresentazioni interne: questa monade è la monade divina. La razionalità non appartiene dunque all’uomo! Solo dalla prospettiva della monade divina si può cogliere la razionalità complessiva dell’architettura cosmica. Dalla prospettiva delle altre monadi inferiori si colgono solo aspetti parziali della razionalità dell’architettura divina. Ne deriva un’importante conseguenza: la razionalità di ciascuna monade sarà sempre e solo locale, sarà cioè, come si dice oggi, una razionalità limitata. Leibniz era convinto che Dio fosse eminentemente razionale, ma che tuttavia la sua razionalità non potesse essere colta pienamente dall’uomo: certe deliberazioni di Dio paiono infatti all’uomo incoerenti o addirittura ingiuste.
Questo è il motivo per cui è emersa, nella filosofia di Leibniz, la questione della teodicea,[12] ovvero la questione della “giustizia divina”. Secondo Leibniz, tutto quello che accade è razionale, ma solo rispetto alla razionalità globale della suprema monade divina; l’uomo, con  la sua razionalità locale non può comprendere il punto di vista della razionalità globale. Conseguentemente noi viviamo, senza saperlo, nel migliore dei mondi possibili. Questa concezione è stata – come è noto – presa di mira da Voltaire nel suo romanzo Candide.
 
8. La filosofia leibniziana venne particolarmente sviluppata da Wolff (1679 - 1754) e divenne assai popolare nelle università tedesche.  Kant ebbe modo di studiare e conoscere approfonditamente le opere di Leibniz e Wolff, che ebbero su di lui una notevole influenza. In particolare, la metafisica di Leibniz si trova sicuramente all’origine del soggettivismo gnoseologico kantiano, ovvero della sua “Rivoluzione copernicana”. Conoscendo bene il sistema di Leibniz/ Wolff, Kant non deve avere fatto molta fatica a concludere che certe caratteristiche della natura – che noi, in termini di senso comune, consideriamo oggettive ed esterne a noi – fossero invece delle proiezioni del soggetto. La capacità delle monadi logiche di rappresentare, come in tanti universi paralleli, tutte le altre monadi deve avere contribuito a spianare la via alla prospettiva soggettivistica e alla cosiddetta Rivoluzione copernicana.
La complessa costruzione della Critica della ragion pura kantiana si regge sull’implicita cooperazione delle menti razionali, le quali, dal punto di vista operativo, sono assolutamente uguali in tutti gli esseri umani, le quali inoltre sono dotate di svariate facoltà trascendentali, attraverso cui riescono a produrre un mondo dell’esperienza comune. Kant non farà più appello alla creazione divina, al dio orologiaio, ma assumerà la presenza, in ciascuna singola mente, delle identiche facoltà trascendentali, le quali assumono così una connotazione immediatamente ontologica, senza alcun bisogno, per altro, di alcuna costatazione empirica.
 
Giuseppe Rinaldi
19/12/2008
06/11/2015 (rev.)
 
NOTE
 
[1] Questo scritto ha origine nella mia ormai lontana attività didattica. Faceva parte di una dispensa che aveva lo scopo di condurre gli allievi a meglio comprendere la nozione della monade leibniziana.  È stato qui recuperato, con alcuni tagli e piccole modifiche, allo scopo di produrre ulteriore materiale di riflessione circa le origini, gli sviluppi e le conseguenze delle filosofie trascendentali. Data l’origine didattica, il documento è del tutto privo di note e riferimenti.
[2] È celebre la sua disputa con Newton intorno alla priorità dell’invenzione del calcolo infinitesimale.
[3] Già nella sua Metafisica Aristotele si chiedeva se fosse possibile l’esistenza di una forma pura, separata dalla materia. Ebbene, la forma aristotelica separata può essere concepita come una sostanza logica. Le idee di Platone possono essere considerate come sostanze puramente logiche.
[4] Devono essere prive di parti e di estensione perché non sono materiali: solo la materia potrebbe essere estesa e divisibile. Si possono immaginare come tanti punti geometrici euclidei che – com’è noto – sono senza dimensioni. Può stupire che nel sistema leibniziano non sia prevista la materia: per Leibniz la materia è una proprietà apparente di monadi che sono opache, poco spirituali (vedi oltre).
[5] L’autocoscienza della monade è chiamata da Leibniz appercezione, cioè la consapevolezza della propria attività percettiva (o rappresentativa).
[6] Se ciascuna monade pensasse solo se stessa, sarebbe più o meno corrispondente al Dio aristotelico che era “pensiero di pensiero”. Occorre comunque avere ben chiaro che le monadi non percepiscono le altre monadi attraverso organi di senso: la percezione, la rappresentazione, il pensiero per le monadi sono funzioni puramente logiche.
[7] In termini logici, ciascuna monade è caratterizzata dal complesso dei suoi attributi: per conoscere la monade Alessandro il Grande, dovremmo elencare tutti, ma proprio tutti gli attributi (non importa se temporali, spaziali, fisici, intellettuali, morali…) di Alessandro.
[8] La materia dunque altro non è se non un complesso di proprietà apparenti (colore, suono, durezza, superficie, …) mediante  cui una monade può essere rappresentata da altre monadi.
[9] La materia è dunque rappresentazione, un modo per dire che è illusione. Su questa strada, seguiranno due o tre secoli di filosofia continentale.
[10] La sostanza logica è dunque comune a Dio e all’ultima monade dotata della massima opacità possibile.
[11] In realtà la soluzione proposta da Kant sarà assai simile a quella leibniziana. Semplicemente, lo spazio e il tempo non sono per Kant un prodotto di un’attività intellettuale, bensì di un’intuizione a livello sensibile.
[12] Dal greco theós “dio” e díkē  “giustizia”, con il significato di “giustificazione di dio”.