martedì 29 ottobre 2019

“Joker” di Todd Phillips

 














1. Le sole cose che ci sono piaciute di questo film, che ci è apparso incredibilmente sopravvalutato dal pubblico e dalla critica, sono la recitazione del bravo Joaquin Phoenix, anche se talvolta forzata ed esasperata, e una certa qualità estetica della fotografia, che in certi passaggi è piuttosto efficace. Non basta per farne un “film d’autore”, oppure un capolavoro, com’è stato scritto. Non basta per farne un “film politico”. Soprattutto, non basta per ricevere il Leone d’Oro a Venezia 2019. Un incidente di percorso dunque? A noi pare proprio di no. Fino a qualche tempo fa il cinema di consumo e di mero intrattenimento si accontentava di alimentare i suoi profitti abitando, magari anche floridamente e confortevolmente, una sua propria nicchia di confino. Oggi quello stesso cinema mira a diventare il cinema per definizione, il cinema spettacolare e totale, l’unico cinema possibile. Questo esito è stato pazientemente e lungamente preparato, nell’ambito della cultura di massa degli ultimi decenni, a partire proprio dai generi ultra popolari - anche dai fumetti, come si vedrà - fino alle odierne serie televisive e alla loro diffusione sui network e sulla rete. Tutto ciò ha determinato la formazione di un pubblico e di una critica ormai totalmente analfabeti, del tutto avvezzi a prodotti sempre più artificiosi e di largo consumo. La novità è che ora si tratta di prodotti furbescamente confezionati da manipoli di abili scribacchini e dotati di pretenziosi accorgimenti, tali da farli sembrare capolavori imprescindibili. Sto esagerando? Diamo intanto un’occhiata al testo.

2. Cerchiamo anzitutto di inquadrare il nostro oggetto e di capire di cosa si tratta. “Joker” è un film smaccatamente di genere, di carattere ultra popolare. È propriamente un cinecomic, ossia un film che realizza la trasposizione cinematografica di storie e personaggi del mondo dei fumetti. Qui il fumetto in questione è il celebre e storico Batman, edito dalla DC Comics, uscito per la prima volta nel 1939. Joker è un personaggio minore della saga, dove tuttavia vi compare fin dall’inizio. Si tratta di un feroce clown criminale, antagonista di Batman, apparso fin dal 1940. Il film di Phillips vorrebbe essere una specie di romanzo di formazione e vorrebbe raccontare al pubblico la storia di come il Joker sarebbe diventato, appunto, l’antagonista di Batman. È una curiosità della quale noi avremmo fatto volentieri a meno ma che, comunque, non possiamo che ritenere del tutto legittima, soprattutto dal punto di vista degli estimatori della saga batmaniana. Tutto ciò rientra perfettamente nella tendenza, iniziata proprio presso i fumetti e proseguita poi nelle serie televisive, a costruire mondi narrativi sempre più articolati e complessi, capaci di superare i limiti spaziali e temporali dei supporti fisici ove sono ospitati. Mondi narrativi sempre più totali, tendenti quindi a debordare. Da questo punto di vista, va riconosciuto che la trama del film s’inserisce perfettamente nell’universo narrativo dell’uomo pipistrello. Ne consegue tuttavia che un simile progetto non possa che trovare un senso presso quel pubblico che quell’universo narrativo già conosce, o per averlo frequentato da bambino (come peraltro è accaduto al sottoscritto) o per esserne diventato un fan. Numerosi accenni presenti nel film sarebbero, infatti, completamente indecifrabili se il pubblico non conoscesse Gotham City, Bruce Wayne, l’episodio dell’assassinio del padre di Bruce e così via.

3. Proprio per questi suoi caratteri strutturali di fondo, la storia proposta dal film è davvero elementare, esattamente quanto può esserlo la sceneggiatura di un albo a fumetti. Avrebbe potuto stare benissimo in uno speciale della DC Comics, dal titolo “Il giovane Joker”. Il film ci presenta la storia (chi non vuol sapere della trama, a questo punto, lasci pure perdere,…) dell’emarginato psicopatico Arthur Fleck, che vive con la anziana mamma Penny, che lavora presso una sordida agenzia di clown e che sogna di fare l’attor comico di successo. Ingenuo, imbranato e disturbato, va soggetto a crisi ricorrenti durante le quali ride sconsideratamente, senza alcuna relazione con il contesto. La risata fuori contesto serve ovviamente a sottolineare il mancato allineamento del personaggio al suo ambiente di vita e di lavoro. Si capisce che ha avuto trascorsi border line, assume una dose spropositata di psicofarmaci ed è assistito, invero piuttosto burocraticamente, dai servizi sociali. I suoi sconnessi quaderni di appunti – abbondantemente esibiti al pubblico – mostrano, altre agli evidentissimi limiti nel livello di istruzione del protagonista, una marcata emotività, impulsività, incoerenza, mancanza di controllo e di lucidità. Il padre di Arthur, in perfetto omaggio al nostro Recalcati, è del tutto sconosciuto. Nel corso del film il protagonista, seguendo uno schema alquanto frusto, scoprirà verità alquanto amare circa il proprio padre e scoprirà una ancor più drammatica verità nascosta circa la propria madre; una verità tale da provocare le sue reazioni più sconsiderate. Insomma, ci troviamo in presenza di un grave disadattato che vive per di più immerso in una società che è descritta come individualista, egoista, cattiva e violenta.

4. Arthur, per com’è presentato, non è (e non vuol neppure essere) un personaggio complesso e problematico, è piuttosto un complesso di tick, un idealtipo, una macchietta, accuratamente descritta e ben rifinita fin che si vuole, magari anche esteticamente “bella”, ma che resta pur sempre una macchietta. Non ha alcuna articolazione, non c’è alcuna costruzione, non c’è alcuna maturazione, nessuna problematicità. Le sue reazioni sono elementari, istintive, ed è del tutto prevedibile. È prevedibile anche nella sua imprevedibilità, dovuta appunto, secondo il testo filmico, al suo carattere psicopatico. Il film, dunque, nella sua struttura di fondo è davvero semplice e non ha davvero alcun bisogno di chiose o di approfondite interpretazioni. Non siamo di fronte a un Polanski o a un Assayas. Siamo purtroppo di fronte a una sceneggiatura scritta da un po’ di lavoranti a tavolino, con le stesse tecniche delle serie televisive. Non ci sono guizzi o impronte autoriali di sorta. Che sia un film scritto a tavolino lo si arguisce dal fatto che sono accuratamente confezionati diversi molteplici piani di lettura, tutti perfettamente compatibili tra loro, quello del fumettone per ragazzini, quello del classico per i fan pignoli che sanno tutto di Batman e Gotham City, quello per gli intellettuali cinefili e quello per gli intellettuali politicizzati, sia conservatori che progressisti. Insomma, decisamente si strizza l’occhio a un vasto pubblico e quindi si cerca – come è effettivamente accaduto - di restar simpatici un poco a tutti. Ci sono gli schizzi di sangue tipo Suburra ma ci sono anche molte citazioni che vorrebbero apparire dotte e raffinate, come quella di Charlot. Oppure a Taxi Driver. Ci sono poi i riferimenti all’attualità, sia in una versione compatibile con la destra (la metropoli assediata da psicopatici e criminali) sia in una versione compatibile con la sinistra (la sociogenesi del crimine e l’uso della violenza come forma di protesta contro l’ingiustizia).

5. Il film – come del resto i fumetti di Batman – ha un impianto fastidiosamente e schematicamente moralistico. Là dove Batman rappresenta la lotta reiterata del bene contro il male, nel contesto della metropoli tentacolare, qui il film vorrebbe produrre una riflessione sulla natura stessa del male e, in particolare, sulla sua genesi. Sono sostenute dalla trama, con una certa chiarezza e compiutezza, due tesi di fondo: la prima è quella della dipendenza sociale della devianza e la seconda è quella di un generalizzato pessimismo antropologico. Le due tesi messe insieme contribuiscono a conferire all’universo narrativo rappresentato un marcato carattere distopico. Vorrei subito anticipare la mia conclusione, tanto per contraddire taluni amici che si sono mostrati un po’ troppo entusiasti del film in questione. Qui non siamo in presenza di un’utopia rivoluzionaria, bensì di una distopia nichilista. Le distopie nichiliste, per quanto possano essere radicali e anti sistema, si sa che non hanno mai giovato al progresso e alla rivoluzione e hanno sempre finito per portare acqua al mulino della reazione. Credo di non sbagliare affermando che questo film, nonostante il suo apparente radicalismo, non faccia che portare acqua al mulino del più squallido populismo, come argomenterò in seguito. Ma vediamo in dettaglio.

6. La trama del film è anzitutto palesemente portatrice della tesi – alquanto semplicistica, rozza e scontata – secondo la quale chi delinque lo fa – a torto o a ragione - per colpa della società. E, ancor più, secondo una versione apparentemente sinistrese, chi delinque è, in fin dei conti, un eroe inconsapevole, un contestatore della società ingiusta, in ultima analisi un innovatore. È una vecchia e ben nota teoria che ha teso, in tempi diversi e con motivazioni diverse, ad assimilare la devianza alla rivoluzione politico sociale e all’innovazione. Dalle nostre parti (parlo di Alessandria) abbiamo avuto, fin dall’Ottocento, il brigante Mayno della Spinetta. Arthur Fleck, infatti, stando al testo filmico, è un po’ alquanto disturbato ma tutto ciò non è colpa sua. Non sa bene quel che fa e le sue sventure non hanno a che fare con i suoi limiti, le sue scelte o le sue discutibili iniziative: le sventure gli cadono semplicemente addosso. Anzi, soggettivamente egli sarebbe altruista e ben disposto. Si comporta come un bambino. La sua vocazione più sentita è quella di far ridere e divertire la gente. S’impegna a studiare le barzellette, cerca di imparare le tecniche della comicità. Studia e ammira i comici famosi. Desidera essere apprezzato. Farebbe di tutto per piacere ed essere popolare.

La nostra “anima bella” ha tuttavia fatto i conti senza la cattiva società metropolitana. Gotham City, la città immaginaria ove si svolge la vicenda, è chiaramente una trasfigurazione di New York e rappresenta un tipo ideale dell’odierna società occidentale, questo almeno secondo – ahimè - i più triti stereotipi delle scienze sociali del secolo scorso. Si tratta di una società alquanto semplificata, dove primeggia una ristretta élite dominante del denaro e una altrettanto ristretta élite dominante dei mezzi di informazione e di intrattenimento. A questo, che costituisce il mondo di sopra, si contrappone il mondo di sotto della massa degli emarginati. Si tratta di una perfetta contrapposizione tra alto e basso, che oggi sappiamo costituire la prospettiva tipica dello stile di pensiero populista. Naturalmente, nella descrizione di Gotham City, proliferano i luoghi comuni. Il mondo della politica è insensibile, corrotto e inefficace. L’informazione è bugiarda e il mondo dell’intrattenimento è suadente, perfido e manipolatore. I quartieri della città sono degradati, com’è degradata la vita dei cittadini. Al povero Arthur, già fuori di testa per conto suo, viene tagliata anche l’assistenza sociale e viene così privato degli psicofarmaci che usa abitualmente. Quando il sistema ti priva anche degli psicofarmaci, vuol proprio dire che siamo agli sgoccioli. Insomma, saranno l’egoismo generalizzato e l’incapacità della politica a liberare la belva malvagia potenziale che sta dentro di lui.

7. E qui possiamo venire al secondo motivo, cioè al pessimismo antropologico, il motivo decisamente più subdolo, pervasivo, ma anche accattivante, della morale del film. La novità – se così si può definire – è che la schematica spaccatura sociale messa in scena non dà luogo a una contrapposizione morale o politica tra i buoni e i cattivi, come nel sacrosanto Batman tradizionale. A Gotham City cattivi sono proprio tutti, anche se diversamente cattivi. I cattivi della classe dominante, grazie anche ai complici mezzi d’informazione, sono infatti del tutto consapevoli e perfettamente in grado di giustificare la loro posizione sociale e di giustificare le proprie condotte, tanto da poter continuare a mantenere il loro potere. I cattivi della classe emarginata, che non dispongono degli strumenti della produzione del consenso, non possono fare altro che manifestare invece esplicitamente la loro intrinseca cattiveria nei loro minimi gesti quotidiani. Insomma, ci troviamo in presenza di una società urbana dal carattere hobbesiano, dove vale comunque il principio dell’homo homini lupus. La trama insiste particolarmente e volutamente sul motivo dell’isolamento sociale dei singoli, sull’indifferenza nei confronti degli altri e sul venir meno di qualsiasi codice morale, con gli esiti inevitabili della violenza gratuita e della sopraffazione di tutti contro tutti. Le istituzioni, ovviamente, sono marce e non sono in grado di porre rimedio a questo quadro degenerato, anzi, lo alimentano. Ma proseguiamo pure dando uno sguardo agli sviluppi della trama.

8. Arthur, fin dall’inizio, mentre svolge in strada il suo modesto e inoffensivo lavoro di clown pubblicitario, è fatto segno del feroce bullismo dei giovincelli del quartiere. In autobus è fatto segno della violenza gratuita dei tre bellimbusti, appartenenti al mondo di mezzo della middle class, gruppo sociale senza carattere e senz’anima che si genuflette ai potenti e che rivolge la propria violenza contro i più deboli. Infine, per un’iniqua ma inesorabile concatenazione dei fatti, Arthur viene anche licenziato, senza alcuna giusta causa, da parte del suo capo menefreghista. In questo quadro ultra drammatico, il timido, confuso e incapace Arthur è indotto a reagire dal suo stesso istinto di sopravvivenza. E riesce a reagire - grazie anche e soprattutto all’arma di cui viene più o meno casualmente in possesso. La pistola è lo strumento che, in perfetto stile americano, farà di lui un “uomo libero”. Del resto il possesso delle armi costituisce la vera garanzia dell’eguaglianza, come recita implicitamente la stessa Costituzione americana. La vicenda della pistola è emblematica. Ricevuta da un sordido collega, Arthur comincia a portarla con sé, senza saperla neppure usare, quasi come un feticcio. Tuttavia Arthur se la lascia sfuggire goffamente per terra durante uno spettacolo comico con i bambini e questa sarà proprio una delle cause del suo licenziamento. Si può dire che, stando al testo del film, la pistola costituisca la vera terapia, il vero farmaco, attraverso cui l’emarginato e vittima incolpevole Arthur Fleck scopre la propria vera identità e diventa finalmente se stesso, ovverossia il Joker. Con questa sua formazione o “maturazione” identitaria, il Joker riuscirà a indicare la stessa via di liberazione a una moltitudine di altri emarginati e vittime incolpevoli simili a lui. Detto per inciso, nel film si assume tranquillamente che le pistole circolino più o meno liberamente, che se sei uno sfigato perseguitato, una pistola può sempre dare un senso di sicurezza e che, in fin dei conti, possa servire in extremis a riscattare i deboli dalle angherie e dall’oppressione. Insomma, nessuna parola, nessuna riflessione che possa impensierire la lobby delle armi. Siamo in presenza di una sceneggiatura che deve piacere proprio a tutti.

9. La svolta narrativa nella vicenda è data dall’episodio dell’autobus. Arthur, mascherato da clown, ingenuo, imbranato, ma ora segretamente armato di pistola, viene aggredito vigliaccamente dai tre giovinastri di cui s’è detto ed egli – quasi senza credere a se stesso – si trova a reagire e riesce a farli fuori uno dopo l’altro, nel più puro stile western, e a fuggire. Il caso finisce ovviamente sui giornali di Gotham e la polizia cerca affannosamente il clown assassino. Inaspettatamente, tuttavia – questo è un elemento narrativo che abbiamo trovato effettivamente interessante – la figura dell’ignoto clown assassino, ma anche giustiziere/ vendicatore, viene immediatamente adottata dalle masse emarginate come segno di identità e come simbolo di una rivolta che, in men che non si dica, si scatena irresistibilmente in diversi punti della città. Lo slogan dei rivoltosi “Uccidi il ricco” viene riportato in forma cubitale sui giornali. Minacciose maschere da clown compaiono un po’ ovunque. Oltre a tutto, la maschera clownesca è perfetta per nascondere il volto dei “vendicatori” che scendono in piazza. La rivolta dei clown mascherati è senz’altro uno dei motivi conduttori della trama del film. Esso viene ripreso più volte - ed è senz’altro uno degli aspetti notevoli del film, anche e soprattutto sul piano dell’efficacia visiva. Del resto, questo motivo costituisce una palese strizzata d’occhio– seppure generica e qualunquista - da parte del tavolo degli sceneggiatori all’attualità, a tutti i movimenti dal basso, di destra o di sinistra, dai Gilet gialli ai Black Blocks, fino ai manifestanti di Hong – Kong. Ma anche ai terroristi e agli sparatori solitari, visti come minaccia all’ordine pubblico.

10. La maschera del clown vendicatore non può che portare alla memoria dello spettatore appena avveduto l’illustre precedente della maschera di Guy Fawkes, ripresa dal film “V per vendetta” di James McTeigue. È davvero significativo, per la nostra analisi, che il film di McTeigue sia stato tratto da una serie a fumetti, guarda caso proprio della DC Comics! Anche in quel caso si trattava dunque di un cinecomic. Il personaggio di V notoriamente si ispira al controverso Guy Fawkes, autore della Congiura delle polveri del 1605. Nella serie a fumetti e nel film, V è un anarchico che lotta contro un regime totalitario distopico. Fumetto e film hanno avuto un grande successo a livello popolare e la maschera di Fawkes (o di V, che dir si voglia) è stata notoriamente subito adottata dagli irregolari del dark web, dalla variegata galassia anarchica e da una serie di movimenti politici come Occupy Wall Street o gli Indignados. Come si vede, il confine tra realtà è fiction è ormai divenuto davvero labile. All’uscita del film di Phillips – prendendo la cosa un po’ alla lettera e prendendo per buono l’interscambio ormai ineluttabile tra realtà e rappresentazione – qualcuno, soprattutto negli States, ha seriamente temuto lo scoppio di gesti individuali di imitazione o di esplosioni di rabbia collettiva. Paradossalmente, la maschera del Joker è effettivamente comparsa sulla scena, nella settimana in cui stiamo scrivendo, in una manifestazione di piazza in Libano. Probabilmente è solo l’inizio di una gloriosa carriera. Crediamo di non sbagliare aspettandoci, nei prossimi tempi, diverse ulteriori comparsate della maschera del Joker, magari proprio accanto a quella di Guy Fawkes. Un tempo qualcuno aveva pensato che i movimenti rivoluzionari potessero nascere nientemeno che dalla filosofia tedesca. Oggi, la buffa realtà è che prendono effettivamente spunto dagli albi a fumetti e dai cinecomics. Anche i movimenti rivoluzionari non sono più quelli di una volta.

11. Sicuramente il pezzo clou del film è quello in cui il Joker ha l’occasione di partecipare allo show televisivo e – del tutto inaspettatamente - fa saltare le cervella al noto comico e presentatore Murray Franklin (interpretato da Robert De Niro). Lasciamo da parte la tesi – che pure è stata avanzata da qualche critico – che il tutto costituisca una specie di sogno nella mente malata del protagonista. Tesi per la quale, nella furbesca sceneggiatura, non ci sono agganci pro o contro. Atteniamoci pure alla lettura più convenzionale, secondo la quale nello sviluppo narrativo il fatto sia effettivamente avvenuto. Qui il film raggiunge effettivamente il suo momento culminante e radicale: l’intero sistema industriale del rimbecillimento collettivo e del controllo (di cui era già stato ampiamente mostrato il cinismo e l’opportunismo) viene concretamente annientato da un gesto radicale, massimamente violento, massimamente minaccioso ma anche dall’ambiguo risvolto liberatorio. L’annientamento in diretta di uno dei celebri esponenti mediatici del sistema rappresenta l’annientamento simbolico di tutto il sistema stesso di Gotham City. Sembra suggerire il film, a questo punto, che con il sistema è impossibile venire a patti. Contro il sistema è possibile solo un gesto ultimativo che non ha più alcuna logica razionale, che rappresenta soltanto una reazione istintiva e profonda. Dal punto di vista della mente malata (o iperlucida) di Arthur è la constatazione che non c’è proprio niente da ridere. La sceneggiatura – spingendosi a vette inusitate - tocca qui il tema della rivolta del corpo contro il sistema dell’oppressione, questione di cui ha ampiamente trattato una certa biopolitica estremista, assai popolare soprattutto nel nostro Paese. Secondo questa tesi, tanta è l’oppressione che sono gli stessi corpi a liberare irrazionalmente la loro rabbia. L’irrazionalità (e la follia) sarebbe l’ultimo luogo dove può consumarsi la rivolta. Una rabbia che può scatenarsi ovunque e contro chiunque. Il film mostra, oltretutto, come la scena del killeraggio si svolga in diretta televisiva e come questa abbia un’incredibile risonanza e contribuisca così definitivamente a fare del Joker – del tutto inconsapevole e involontario - il simbolo identitario di una rivolta collettiva che tende a espandersi a macchia d’olio. Si noti che il Joker non dirige la rivolta, non ne sarebbe capace. Egli semplicemente si mostra, viene subito riconosciuto come leader dalla moltitudine e viene subito imitato.

12. Dobbiamo davvero credere a questa tesi e considerare il Joker come l’alfiere di una nuova rivoluzione biopolitica contro il sistema? Ritorniamo per un attimo ai due blocchi di teoria sociale che stanno solidamente dietro alla sceneggiatura: la sociogenesi del crimine e il pessimismo antropologico. La società distopica di Gotham è fatta per produrre macchine diversamente cattive e non può fare altro. Non c’è posto per le anime belle. Come non c’è posto per una comicità autentica, capace di permettere agli uomini di relazionarsi in modo sano (come forse si suggerisce avvenga nel caso dei bambini). A Gotham si può solo scegliere tra la comicità artificiosa di Murray Franklin o la comicità dissociata e potenzialmente assassina del Joker. La rivolta dei giustizieri mascherati è in grado di ritorcere il male ma non è in grado di produrre alcuna società nuova. La stessa maschera del clown indossata dall’assassino/ vendicatore assurge qui al simbolo dell’innocenza perduta per sempre. Non c’è alcuna bontà originaria nell’essere umano. Se per caso ci fosse – come magari nel caso dei bambini – la società si premunirebbe nello spegnerla immediatamente. Chi si ribella – il Joker viene presentato come un ribelle – magari potrà anche essere nel giusto (qui il modello è quello della giustizia commutativa, per cui il colpevole deve subire lo stesso danno che ha subito la vittima) ma non sarà certo un buono, non sarà cioè portatore di alcun modello positivo di umanità. Di alcun modello effettivamente innovativo. Detto in altri termini, secondo la distopia descritta nel film, il conflitto sociale può essere solo ed esclusivamente di tipo dissociativo. Abbiamo già ricordato Hobbes. Stiamo parlando cioè di un modello che è del tutto pre-contrattualistico e che è destinato a restare tale.

 Se non possiamo più andare in cerca della società buona perché un simile progetto è dichiarato impossibile, non conforme alla natura umana o alla realtà effettuale della società, allora possiamo solo andare a caccia del capro espiatorio. Di un capro espiatorio qualunque, intanto a Gotham City sono tutti corresponsabili e tutti potenziali nemici. Si tratta di individuare una qualunque radice del male, contro la quale vendicarci adeguatamente. Le vittime possono fare giustizia/ vendicarsi solo al costo di diventare, esse stesse, carnefici. Questo, in realtà, è il vero nucleo – tutt’altro che rivoluzionario – del messaggio contenuto nel film. Questo messaggio non è altro, tuttavia, che il messaggio tipico del populismo contemporaneo, cui il film strizza l’occhio furbescamente e abbondantemente. Il popolo non è antropologicamente buono, non è un modello positivo di umanità. Il popolo si costituisce sempre contro. Il popolo che risponde all’appello vendicativo semplicemente ha ragione. Il popolo vuole la sua vendetta contro il suo nemico. Chiunque può rivestire i panni del nemico del popolo, perché il populismo – come sostengono i populisti stessi - non è né di destra né di sinistra. Nemico del popolo può essere il politico corrotto, il capitalista egoista, il ricco, il mafioso, l’immigrato, quello che non paga le tasse, l’omosessuale o l’ebreo. L’importante è che la vittima indossi finalmente la sua maschera e diventi, almeno per un giorno, il carnefice di turno. Tutti – si suggerisce implicitamente - hanno un nemico irriducibile cui piacerebbe sparare in testa, in diretta, davanti a tutto il mondo. Insomma, il Joker sparatore del film di Phillips è decisamente polivalente e adatto per tutti gli usi. Il Joker killer può costituire, agli occhi dello spettatore, il vendicatore finalmente costruito a propria immagine e somiglianza. Tutto fa brodo. Qui si vede ulteriormente la furbizia della sceneggiatura che accenna vagamente a fatti inquietanti ben noti, a problemi di enorme portata, guardandosi bene tuttavia dall’analizzare le questioni e dal prendere posizione. Il tutto è lasciato alla cooperazione spontanea del lettore, la quale tuttavia viene sempre soltanto indirizzata verso le soluzioni più superficiali e semplicistiche. Bravo lettore!

13. Così la rivoluzione irriducibile contro il sistema diventa un’oretta o poco più d’intrattenimento multimediale pirotecnico che pretende di essere anche esteticamente raffinato, filologicamente corretto (rispetto alla saga di Batman), di elevato livello culturale (con abbondanza di citazioni e di riferimenti all’attualità) e pieno di considerazioni apparentemente profonde di filosofia sociale. Così schiere di ragazzini usciranno dal cinema confermati nel fatto che il sistema in cui vivono è marcio e immondo, che bisogna guardarsi intorno perché c’è sempre qualcuno che ti vuole fregare, che fare qualche pazzia ogni tanto è una sacrosanta protesta e che avere un’arma in tasca ogni tanto non guasta. E, non ultimo, che il massimo della protesta è dare completamente fuori di testa, magari una volta ogni tanto, nel fine settimana. Un vero e proprio corso completo di educazione civica. A che pro spendere finanze per introdurre l’educazione civica nelle scuole? Intanto, contro quel mondo insicuro, perfido e malvagio, a mettere a posto le cose, chiamato dal bat-segnale posto sul grattacielo più alto di Gotham, arriverà poi Batman, il giovane Bruce Wayne che s’intravvede nel film. Il Batman rude giustiziere buono che, nell’immaginario dell’America di oggi, riveste indubbiamente le sembianze di Donald Trump. Quello che è in grado, finalmente, di rendere il male con il male, infischiandosene della legalità. Il Joker ribelle irriducibile è ahimè solo l’altra faccia di Donald Trump, in una colossale storia a fumetti di carattere totale che ormai ha completamente riempito la testa dell’elettore medio delle democrazie occidentali.

14. Ci siamo particolarmente dilungati sui contenuti della storia perché nel film, oltre all’enfatica virtuosistica recitazione di Phoenix e agli estetismi della fotografia, non c’è molto d’altro. Il problema non è che si facciano film del genere. Si sono sempre fatti. La spazzatura purtroppo non è emendabile. Il problema vero è che un film del genere abbia vinto il Festival del Cinema di Venezia. Avete sentito qualche protesta? Avete letto recensioni infuocate dei critici cinematografici? Qualcuno ha gridato allo scandalo? Qualcuno si è stracciato le vesti, si è incatenato per protesta o si è dato fuoco sul tappeto rosso? Pare proprio di no. Tutti contenti! La stupidità asinina purtroppo ormai è diventata la norma anche negli ambienti dove un tempo si sussurrava con rispetto la parola “cultura”. Chiunque si opponga all’andazzo ormai è confinato nel rumore di fondo. È un dato di fatto ormai che l’industria culturale riesce a produrre merci seriali che assomigliano talmente ai prodotti autoriali tanto da sembrare – alle menti appena un poco distratte e, magari, appena un poco prezzolate – del tutto indistinguibili. Se così stanno le cose, viva le merci seriali! Perché impignolirsi nella battaglia persa di fare i distinguo più sottili tra ciò che è autentico e ciò che è inautentico, quando le masse impazzano e consumano a più non posso la brodaglia artificiosa che viene loro servita? Finalmente anche gli intellettuali, così bistrattati, possono sentirsi davvero popolari. Finalmente masse ed élite possono parlare lo stesso linguaggio. Opere come il “Joker” di Phillips sono la vera soluzione alla tormentata dialettica tra intellettuali e popolo. Opere così raffinate, ricche e ben congegnate che non possono non piacere a tutti, dove ciascuno ci trova la sua lettura, il suo ammiccamento, il suo senso superficiale e/o recondito. Non si tratta di “opere aperte”, come aveva teorizzato il buon Umberto Eco, bensì di opere che potremmo definire – rivendichiamo qui la paternità del concetto – “ad ampio spettro di significazione”, opere cioè in grado di dare a ciascuno il suo, dove ognuno può leggerci solo e soltanto, o principalmente, quello che gli interessa. Opere che non sono altro che lo specchio preciso del fruitore, più o meno come accade di ogni pagina web. Sono opere perfettamente allineate con lo spirito dei tempi attuali e sicuramente destinate ad avere un enorme successo. Noi abbiamo sempre pensato che la cultura fosse un’altra cosa.



Giuseppe Rinaldi

29/10/2019