1. La legge elettorale attualmente in vigore[1]
nel nostro Paese, il cosiddetto Rosatellum,[2]
viene spesso criticata e detestata. Secondo il parere di diversi osservatori, molti
aspetti deleteri che stanno emergendo in questa campagna elettorale sarebbero
in qualche modo dovuti, direttamente o indirettamente, ai meccanismi perversi,
contorti e farraginosi del Rosatellum.
Il Rosatellum non ha buona fama poi anche
e soprattutto perché è la legge elettorale che ha determinato la composizione dell’attuale
XVIII legislatura. Si è trattato purtroppo, col senno di poi, di una delle
legislature più scadenti, più disastrose e financo tragicomiche della storia
repubblicana.
In seguito alle
molteplici disfunzioni del sistema politico cui abbiamo recentemente assistito,
tra cui l’incapacità del Parlamento di eleggere il Presidente della Repubblica,
la principale cosa da fare, prima di andare a nuove elezioni, era di produrre
una nuova legge elettorale che ovviasse alle storture più evidenti e dannose. C’è
stata invece, con il concorso di tutte le forze politiche, un’assoluta e
pervicace mancanza di volontà politica di porre mano a una nuova legge
elettorale. Il sospetto è che qui non si sia trattato soltanto di mera
incapacità bensì di un furbesco espediente di bassa lega. In realtà questa legge elettorale alle forze politiche
attuali va benissimo. L’attuale legge elettorale, pur determinando effetti
deleteri sull’intero sistema politico, ha la caratteristica principale di
conferire ai partiti una posizione di strapotere nel controllo e nella
distribuzione delle candidature, nonché di favorire la frammentazione politica
dando a tutte le forze grandi e piccole una rendita di posizione che ciascuna
potrà poi utilizzare nel mercanteggiamento post elettorale per la formazione
del governo. Una legge elettorale dunque che viene cinicamente usata come arma
difensiva dalla politica estrattiva,
dalla cattiva politica, a proprio
vantaggio e ai danni della sovranità degli elettori.
Per tutti questi motivi è
bene occuparsi del Rosatellum, non
solo per intenderne gli aspetti tecnici, che sono comunque piuttosto astrusi,
ma anche per smascherarne gli aspetti intrinsecamente ideologici che lo rendono
un utile strumento al servizio di una classe politica che mira principalmente
alla propria sopravvivenza. In quel che segue, si cercherà di esporre in forma critica
e nella maniera più chiara possibile le caratteristiche di fondo del nostro
attuale sistema elettorale e le sue prevedibili conseguenze negative. Questo
studio non ha pretese di originalità e utilizza ampiamente un mio precedente
lavoro di analisi realizzato quando il Rosatellum
era ancora un sistema nuovo e non ancora sperimentato.[3]
2. Considerato in termini generali, il Rosatellum è un sistema
elettorale misto[4]
che può essere concepito essenzialmente come un proporzionale corretto
con una piccola quota di maggioritario.[5]
Il Rosatellum prevede, infatti, che
il 61% dei seggi, sia alla Camera sia al Senato, sia distribuito tra le liste con un criterio
proporzionale ai voti ottenuti. Le liste dei candidati in competizione in
tal caso sono liste brevi bloccate in
ordine rigoroso di graduatoria e sono decise dalle forze politiche.[6]
Solo il 37% dei seggi è distribuito con un criterio
maggioritario, dove a competere, per l’unico seggio in palio in ciascun
collegio uninominale, sono i singoli candidati. Tuttavia, come si vedrà,
contrariamente alle apparenze, questi candidati uninominali sono indissolubilmente collegati alle liste,
ricevono il voto dalle liste e trasferiscono automaticamente il loro voto alle
liste stesse. Sono dunque ombre perfette delle liste. Questo significa che non c’è alcuna effettiva separazione tra la
parte proporzionale e quella maggioritaria. Si tratta dunque di un sistema
dove a competere sono per lo più le liste
dei partiti e dei gruppi politici organizzati[7]
e non tanto i candidati in qualità di singoli individui in singoli collegi.
Dopo la riduzione del
numero dei parlamentari, la distribuzione dei seggi è la seguente. Il loro numero
è ora fissato in 400 deputati e 200 senatori. Per effetto del Rosatellum, 147 deputati (il 37%) sono
eletti in collegi uninominali maggioritari, mentre 245 (il 61%) sono eletti in
collegi plurinominali proporzionali con sbarramento al 3%. Otto deputati (2%)
sono eletti all’estero. Per effetto del Rosatellum,
74 senatori (37%) sono eletti in collegi uninominali, mentre 122 (61%) sono
eletti in collegi proporzionali con sbarramento al 3%. Quattro senatori sono
eletti all’estero. In questa tornata elettorale del 25 settembre 2022 si vedrà
la prima applicazione del Rosatellum
dopo la riduzione del numero dei parlamentari. Vedremo oltre in dettaglio il
funzionamento pratico di questo sistema e i suoi punti critici.
3. Il Rosatellum è stato prodotto per essere applicato – è forse il caso di sottolinearlo - all’attuale sistema bicamerale che è stato salvato e rimesso in vigore dalle note vicende relative al Referendum del 4 dicembre 2016. È il figlio dunque della sconfitta dell’ambizioso progetto delle riforme istituzionali di quegli anni patrocinato da Renzi (e Napolitano). In proposito, va aggiunto come nota storica che il Rosatellum si era reso necessario (questa era stata forse la sua unica e sostanziale giustificazione) per omogeneizzare le regole elettorali tra i due rami del Parlamento, le quali erano state rese disomogenee dal fatto che l’Italicum (la legge elettorale precedente) in vista della riforma era stato previsto solo per la Camera e, poi, dalla sforbiciatura di alcune norme operata dalla Corte costituzionale. Almeno in quest’opera di omogeneizzazione, l’intento pare sia riuscito. Per molti aspetti il Rosatellum, in effetti, è analogo sia per la Camera sia per il Senato. La differenza di maggior rilievo è quella tradizionale per cui la distribuzione dei seggi per la Camera avviene a livello nazionale, mentre per il Senato avviene su base regionale. Va detto che, in ogni caso, il nuovo sistema, per quanto reso relativamente omogeneo, non è in grado di scongiurare una situazione di maggioranze diverse alla Camera e al Senato, dovute magari a differenze di pochi seggi.
4. Dal punto di vista generale, l’aspetto politico
caratteristico più rilevante del Rosatellum,
elemento questo spesso trascurato dai commentatori, è il fatto che non è previsto alcun premio di maggioranza o
di governabilità alla lista o alla coalizione di liste che abbia ottenuto
il maggior numero di voti. Non è neppure previsto un doppio turno che consenta lo spareggio tra i primi classificati.[8]
Questo vuol dire che ciascuna lista tiene esattamente i voti e i rispettivi
seggi che ha preso nel corso del processo elettorale (da sola o in coalizione
con altre). Lo scopo fondamentale del processo elettorale – qui sta l’ideologia
del Rosatellum - sarebbe dunque
quello di “rappresentare” in maniera relativamente fedele gli schieramenti di partito presenti nell’elettorato.[9]
Insomma, invece di tentare di assicurare
la governabilità attraverso un qualche meccanismo di premio o di doppio
turno (per riuscire finalmente a “sapere il giorno dopo le elezioni chi ha
vinto e chi governa per un’intera legislatura”) il Rosatellum rimanda a dopo le
elezioni ogni decisione circa la formazione del governo (tranne il raro
caso in cui una singola lista riesca a guadagnare più del 50% dei seggi sia
alla Camera sia al Senato). Un certo fondamentalismo
rappresentazionale sembra abbia dunque definitivamente vinto sull’esigenza
di dare un governo stabile al Paese.[10]
Si noti che ciò vale anche per l’attuale situazione nella quale i sondaggi
prevedono un’ampia vittoria della coalizione del Centro Destra. La governabilità
non dipende dal fatto che una coalizione abbia preso molti voti. La coalizione
vincente potrebbe tranquillamente sfasciarsi subito dopo le elezioni, per
problemi di programmi, di leadership
o quant’altro.
La scelta di fondo dell’architettura
del Rosatellum, si noti bene, è
avvenuta originariamente in una situazione dell’arena politica che era praticamente
tripolare, una situazione per di più
in cui un partito che era accreditato di una grande crescita elettorale, il
M5S, non era disposto a fare alcuna alleanza di governo con chicchessia. Un
premio di maggioranza di qualsiasi tipo avrebbe eventualmente consentito al M5S
di governare da solo. Questa precauzione anti M5S non poteva tuttavia che comportare
il conferimento ai partiti (quelli grandi e soprattutto quelli piccoli) la
facoltà ultima di decidere la composizione del governo dopo le elezioni. Insomma, i partiti grandi e piccoli sono stati
messi al centro del sistema elettorale del Rosatellum
e saranno soprattutto al centro nel momento della composizione del governo.
Tutto questo, all’epoca
del varo della legge, significava una cosa sola: i partiti erano tornati. Se questo era stato l’approdo dell’antipolitica degli ultimi anni, se questo era stato
il risultato finale delle varie proposte di riforma istituzionale che si erano
succedute, c’è veramente da allibire. L’unico modo per contenere la protervia
partitocratica sarebbe stato quello di fare una legge di regolamentazione dei partiti. Legge che ovviamente tra
tanto populismo e tanta antipolitica nessuno ha voluto fare. I partiti erano
tornati nella più totale deregulation.
Liberi di sperimentare le più improbabili alchimie di governo. E così è stato
per tutta la XVIII legislatura.
5. Sempre sul piano generale, uno degli equivoci più diffusi è
quello secondo cui il Rosatellum
imporrebbe ai partiti di fare le
coalizioni. Il Rosatellum in
effetti ammette le coalizioni ma
queste servono soltanto per il computo dei voti e la distribuzione dei seggi
durante il processo elettorale e non
hanno alcun effetto diretto sulla formazione del governo. Una coalizione
tra liste che sia costituita secondo il Rosatellum
vale ai soli fini elettorali e, di fatto, è sciolta il giorno dopo le elezioni,
salvo la volontà delle liste coalizzate di proseguire la loro collaborazione in
altri modi. L’unica traccia materiale della coalizione elettorale avvenuta
saranno quei parlamentari eletti col criterio
uninominale maggioritario che dovranno il loro seggio al concorso dei voti di diverse liste, alle
quali dovranno in teoria qualche tipo di fedeltà - sebbene ciò dipenderà
esclusivamente dalla loro buona volontà. In caso di rottura politica tra le
liste della coalizione che li ha sostenuti, cosa non impossibile, anzi
piuttosto probabile, molti di costoro dovranno scegliere a chi obbedire. Ciò
perché, nonostante l’apparenza, i veri
protagonisti sono i singoli partiti (con le loro singole liste) e non le coalizioni. Gli eletti
nei collegi uninominali col concorso di più liste collegate costituiscono, in
un certo senso, delle anomalie.[11]
La filosofia di fondo
accolta dal legislatore nel caso del Rosatellum
è dunque la solita di tutti i sistemi proporzionali: prima si costruisce la
rappresentanza in parlamento (alla quale si attribuisce una finzione di oggettività in termini proporzionali) e
poi si vede se e come è possibile formare un governo. Con ciò si avranno sempre
governi deboli, sottoposti
continuamente ai ricatti di gruppi e gruppetti, e di breve durata. Il tutto santificato
in nome del mito della rappresentazione oggettiva dell’elettorato. I
sostenitori del proporzionale spinto sono stati dunque ampiamente accontentati.[12]
Costoro però sembrano non essersene accorti, perché i mugugni contro il Rosatellum vengono anche e soprattutto
da parte dei proporzionalisti delusi. Delusi da cosa? Questo è il sistema che i
proporzionalisti hanno sempre sognato! Certuni non si accorgono neppure d’aver
vinto, quando hanno vinto.
6. Se così stanno le cose, perché nel dibattito politico di
queste ultime settimane preelettorali si parla tanto di coalizioni,
prefigurando addirittura delle coalizioni
di governo, dei programmi e dei premier di governo? In verità, il fatto
che in questi giorni si parli di programmi
di coalizione e di premier non c’entra
nulla col Rosatellum. Il Rosatellum – è il caso di ribadirlo - in
realtà non prevede affatto programmi di
coalizione e leader di coalizione.
Sono, queste, cose di cui si sta discutendo ampiamente nel Centro Destra ma di
cui non si discute affatto, ad esempio, nel Centro Sinistra o nel cosiddetto
Terzo Polo. Si tratta evidentemente di espedienti puramente propagandistici e
spettacolari, allo scopo di presentarsi apparentemente
uniti di fronte agli elettori, muniti di un programma unitario e con una
soluzione “chiavi in mano” anche per la formazione del governo.[13]
Perché mai la coalizione del Centro Sinistra non ha indicato anch’essa alcun premier in pectore? Semplicemente perché
non aveva alcun obbligo di farlo, ma anche perché non è stata in grado di farlo, per la sua radicale disunità
interna.[14]
È vero che queste pratiche retoriche e queste
acrobazie verbali tradiscono tuttavia una certa nostalgia per i premi di coalizione e per un leader della coalizione che sia anche il premier designato in pectore. Signori miei, non è più così. Il premio di coalizione e il candidato premier in pectore erano
previsti dalle leggi elettorali che voi stessi avete rifiutato e affondato.
Forse avete perso qualche puntata. Il capo del governo è indicato dal
Presidente della Repubblica, non dalle urne. Abbiamo ancora un regime
parlamentare.
7. Quali sono allora i veri vantaggi, in termini elettorali,
delle coalizioni secondo il Rosatellum?
Ci sono due tipi di vantaggi: A) Le coalizioni tra liste possono sperare di
vincere più facilmente nei collegi uninominali. Infatti, il candidato
uninominale deve essere associato alla
coalizione e dunque questi può sperare di ottenere un voto in più degli
altri per avere il seggio unico che è messo in palio. Insomma, in una
coalizione, le diverse liste coalizzate si mettono d’accordo sul nome di un
candidato nel collegio uninominale maggioritario e si impegnano a votarlo e
farlo votare. Così hanno più probabilità di farlo vincere. Il meccanismo è quello
della cosiddetta desistenza. Nel
collegio X, ad esempio, la coalizione del Centro Destra presenterà all’uninominale
un solo candidato magari della Lega. In tal caso Fratelli d’Italia e Forza
Italia s’impegneranno a convergere e a desistere dal presentare un loro proprio
candidato. Così il candidato della Lega avrà maggiori probabilità di vincere il
seggio in palio.
B) Le coalizioni tra
liste, nella parte proporzionale, possono accedere al riparto dei seggi in quanto coalizioni e quindi possono
godere di qualche vantaggio aritmetico. In particolare poi le coalizioni hanno
dei vantaggi per quel che concerne le soglie. Possono incamerare anche i voti
delle piccole formazioni coalizzate che non abbiano superato la soglia del 3%
(purché abbiano conseguito almeno l’1%). In sostanza le coalizioni consentono
di abbassare lo sbarramento per le
singole liste dal 3% all’1%. Ciò può dare qualche spazio più agevole alle
piccole formazioni, allargando il voto
utile. Ad esempio, nel caso della lista +Europa coalizzata col PD, un
elettore radicale potrebbe tranquillamente votare la lista Bonino, certo che il
suo voto andrebbe almeno a beneficio della coalizione e non andrebbe disperso
(la soglia minima in tal caso sarebbe quella di avere l’1% a livello
nazionale).
È chiaro che le liste
coalizzate avranno maggiori probabilità di vincere nella parte uninominale e
quindi, in prospettiva, avranno una maggior probabilità di conseguire una
qualche maggioranza poi in Parlamento. Gran parte delle previsioni dei
sondaggisti circa la composizione del prossimo Parlamento si basano proprio su
questi meccanismi.
8. Sempre in termini generali, un aspetto critico
politicamente rilevante da considerare, nel valutare le conseguenze del Rosatellum, è la questione della frammentazione politica. Tutti, a
parole, ammettono che la frammentazione politica sia un male, ma poi nessuno
vuole davvero evitarla perché ciascuno ha a cuore il suo piccolo partitino. Le soglie di sbarramento costituiscono uno
dei classici metodi per impedire la frammentazione politica. Nel Rosatellum ci sono davvero tante soglie,
assai contorte, che però, complessivamente, funzionano piuttosto male e hanno scarsi effetti di contenimento della
frammentazione. Molto rumore per nulla.
La svolta proporzionalista del Rosatellum
implica che le soglie siano di fatto ancora piuttosto basse e che, quindi,
anche partiti molto piccoli possano avere qualche seggio. Nulla a che vedere
con una soglia ferrea posta magari al 5%. Quest’opportunità è poi accresciuta
dalla permanenza del bicameralismo. Insomma, a dispetto della riduzione del
numero dei parlamentari, sembra ci sia ancora del posto disponibile. Le
sacrosante sensibilità politiche
degne di nota saranno rappresentate. E, soprattutto, potranno poi entrare – a
elezioni avvenute - nel mercato per la formazione del governo, chiedendo
ovviamente in cambio qualcosa. Un po’ più dura in realtà è la situazione per le
forze politiche di nuova formazione
non coalizzate con alcuno, come ad esempio Italexit, che hanno dovuto scontare
l’ostacolo della raccolta delle firme (questo non dovuto al Rosatellum ma a una norma recentemente
approvata) e che potrebbero incorrere nello sbarramento del 3%.
9. Vediamo meglio in pratica il meccanismo di funzionamento
degli sbarramenti. Il meccanismo delle soglie previste dal Rosatellum è piuttosto intricato (e per questo non ci inoltreremo
in tutti i dettagli). Ridotta la questione all’osso, ci sono due soglie che
possono avere effetti sensibili di ordine generale: a) la soglia del 3% per le
liste (cioè partiti e gruppi politici organizzati) e b) la soglia del 10% per
le coalizioni. Si tratta di soglie che, lungi dall’esser rigide, possono essere
aggirate facilmente.
A) La soglia più autentica
è quella del 3% per le liste. In generale un partito o gruppo politico
organizzato che abbia presentato una lista concorre alla spartizione dei seggi
solo se ha superato la soglia del 3%. La soglia è tuttavia in un certo senso
aggirabile. Come abbiamo già anticipato, se la lista che non ha superato la
soglia del 3% sta in una coalizione, i suoi voti al di sopra dell’1% non sono
completamente gettati ma sono ereditati dalla coalizione stessa e concorrono
alla distribuzione dei seggi. Solo i voti sotto all’1% sono effettivamente
persi. Quindi, in questo caso, le coalizioni possono essere in grado di
rastrellare e utilizzare i voti di formazioni che altrimenti non arriverebbero
al 3%. Lo sbarramento vero del Rosatellum
sta dunque all’1%!
B) Vediamo ora il limite
per le coalizioni. Le coalizioni tra liste devono raggiungere come minimo il
10% dei voti a livello nazionale (sia alla camera che al senato). Qualora però
ciò non accada, le conseguenze non sono molto gravi: i seggi sarebbero
attribuiti alle singole liste come se
fossero non coalizzate (in questo caso, le singole liste incorrerebbero
però nello sbarramento del 3%). Se la coalizione di Renzi e Calenda non
supererà il 10% incorrerà in questa casistica.
Da tutto ciò si
comprende come il contrasto alla frammentazione politica previsto dal Rosatellum sia davvero debole. C’è il
modo per dare la speranza di un posto quasi a tutti. Come dire, quasi tutti
potranno avere nei fatti una specie di diritto
di tribuna. Maggiore è la frammentazione politica, ovviamente più difficile
sarà, dopo le elezioni, costruire delle alleanze di governo capaci di arrivare
ad avere la maggioranza sia alla Camera sia al Senato. In questo processo, le
piccole formazioni potranno essere anche determinanti (soprattutto se ci saranno
maggioranze diverse alla Camera e al Senato) e potranno imporre le loro
richieste e i loro veti.
10. Definite le questioni di ordine generale, possiamo passare
a questioni leggermente più concrete. Si tratta ora di capire il funzionamento
concreto del meccanismo. Vediamo anzitutto di riportare qualche informazione
essenziale sulle ripartizioni
territoriali previste nel processo elettorale. La legge determina anzitutto
il numero delle circoscrizioni elettorali
che sono lievemente diverse per la Camera e il Senato. Per il Senato, le
circoscrizioni sono 20, coincidenti senza eccezioni con il territorio delle
Regioni. Per la Camera dei deputati, le circoscrizioni sono invece 28. Esse
coincidono prevalentemente con il territorio delle Regioni. Tuttavia per alcune
Regioni più popolose si hanno più circoscrizioni: 4 per la Lombardia; 2 per il
Piemonte, Veneto, Lazio, Campania e Sicilia. Ciascuna circoscrizione –
attenzione a questo passaggio - è poi suddivisa in collegi uninominali (dove sarà applicato il criterio maggioritario)
e in collegi plurinominali (dove sarà
applicato il criterio proporzionale). Di norma i collegi uninominali sono più
piccoli e i collegi plurinominali sono costituiti dall’aggregazione di un certo
numero di collegi uninominali contigui. Da tutto ciò deriva che la suddivisione
territoriale del voto è diversa per la Camera e il Senato, anche se possono
esserci delle sostanziose sovrapposizioni. Si ricordi anche che i seggi per la
Camera sono assegnati su base nazionale,
mentre al Senato sono assegnati su base
regionale.
11. In seguito alla riduzione del numero dei parlamentari alla
Camera e al Senato,[15]
è stato realizzato a livello nazionale il ridisegno delle circoscrizioni e dei
collegi elettorali. Poiché l’argomento è alquanto astruso, faremo riferimento
ad alcuni esempi pratici legati alla
regione Piemonte e, particolarmente, agli elettori alessandrini, che
costituiscono principalmente il pubblico del nostro giornale online. Comunque
il meccanismo è uguale ovunque.
Vediamo anzitutto la Camera dei deputati. La Regione
Piemonte, allo scopo dell’elezione della Camera dei deputati, è stata divisa in
due ampie circoscrizioni: Piemonte 1, che comprende la città metropolitana di
Torino, e Piemonte 2, che corrisponde al territorio delle province di
Alessandria, Asti, Biella, Cuneo, Novara, Verbano-Cusio-Ossola e Vercelli. Alla
circoscrizione Piemonte 1 (Torino) spettano 15 seggi, di cui 5 uninominali.
Alla circoscrizione Piemonte 2 (cioè al resto del Piemonte) sono assegnati in
tutto 14 seggi, di cui 5 uninominali. In questo disegno generale, gli elettori
alessandrini saranno ovviamente collocati nella circoscrizione Piemonte 2, ma
solo parzialmente.
Per l’elezione dei deputati uninominali, sul territorio di
Piemonte 2 vi saranno cinque collegi uninominali
(numerati da U01 fino a U05) che eleggeranno ciascuno un unico deputato
uninominale. Il collegio riguardante gli elettori alessandrini è Piemonte 2 -
U01 che territorialmente comprende l’intera provincia di Alessandria. Per l’elezione
dei deputati con la parte proporzionale,
nella circoscrizione Piemonte 2 sono stati costituiti due collegi plurinominali, per la attribuzione, con metodo
proporzionale, dei restanti 9 seggi. Sono questi i seggi attribuiti in base ai voti
ricavati dalle liste. Il caso che riguarda gli elettori Alessandrini è il
collegio Piemonte 2-P02 che comprende Alessandria, Asti e Cuneo. In questo
collegio saranno attribuiti 5 deputati con criterio proporzionale.
Vediamo ora quello che
accade invece al Senato. Abbiamo
detto che, per il Senato, le circoscrizioni corrispondono alle regioni. Nella
regione/ circoscrizione Piemonte, allo scopo dell’elezione del Senato, sono
costituiti cinque collegi uninominali (da Piemonte U01 fino a Piemonte U05) per
l’elezione di cinque senatori uninominali. Il caso che riguarda gli elettori
alessandrini è Piemonte U04 che comprende le province di Alessandria, Asti e un
pezzetto di Torino (ciò è dovuto al fatto che il collegio n. 4 (Alessandria)
aggrega i comuni delle province di Alessandria e Asti e 19 comuni della zona
sud-orientale della città metropolitana di Torino, tra cui Chieri e
Trofarello).
Per quanto riguarda l’attribuzione
dei restanti nove senatori con il meccanismo proporzionale, la regione Piemonte
è divisa in due collegi plurinominali, uno comprendente la città di Torino
(Piemonte P01, con 4 seggi in palio) e l’altro comprendente il resto delle
altre province piemontesi (Piemonte P02, con 5 seggi in palio). Il collegio
comprende le province di AL, AT, BI, CN, NO, TO (in parte),VB, VC. Si tratta,
come si vede di una distribuzione territoriale assai ampia. Il caso che
riguarda gli elettori alessandrini è ovviamente Piemonte P02. Su questo
territorio si compete, tra tutte le liste, per cinque seggi proporzionali.
12. Vediamo ora in pratica come funziona il meccanismo. Gli
elettori riceveranno due schede, una
per la Camera e una per il Senato. Su ciascuna scheda saranno indicati i nominativi dei candidati uninominali e
le rispettive liste brevi con i
relativi simboli che li appoggiano e con i relativi nominativi bloccati.
Un elettore
alessandrino, mettendo una sola crocetta sulla scheda elettorale della Camera:
a) contribuirà a eleggere 1 deputato in collegio uninominale (in questo caso il
collegio della intera provincia di Alessandria); b) contribuirà a eleggere 5
deputati in collegio plurinominale, su lista breve bloccata (collegio di
Alessandria, Asti, Cuneo).
Lo stesso elettore alessandrino,
mettendo una sola crocetta sulla scheda elettorale del Senato: c) contribuirà a
eleggere 1 senatore in collegio uninominale (collegio delle province di
Alessandria, Asti e un pezzetto di Torino); d) contribuirà a eleggere 5
senatori in collegio plurinominale, su lista breve bloccata (il collegio
comprende le province di AL, AT, BI, CN, NO, TO (in parte),VB, VC).
Serve una sola crocetta per ogni scheda,
perché il voto dato al nome del candidato uninominale si spalma automaticamente
(in modo proporzionale) sulle liste aggregate. Il voto dato a una delle liste è
attribuito a quella lista ma si estende automaticamente al nome del candidato uninominale
collegato. Votare per il nome e per la lista non è proibito ma è semplicemente
ridondante. Cioè, le due crocette del nostro elettore, come si può ben vedere, andranno
a spalmarsi su quattro entità
territoriali davvero molto diverse per dimensione, popolazione e un’infinità
di altre caratteristiche. Per lo meno, in caso di bisogno di raccomandazioni
romane, gli elettori alessandrini avranno un sacco di Santi in paradiso cui
rivolgersi!
13. Di fronte a questo marchingegno, l’elettore ha a
disposizione poche e semplici strategie per votare. A) L’unica strategia che
permetterà all’elettore di massimizzare le sue (già scarse) opzioni di scelta è
quella di crocettare una lista preferita (cioè la patacca di un partito o di un
gruppo politico organizzato). Che sia o meno in coalizione con altre. Così
facendo, il voto andrà automaticamente al candidato uninominale della
coalizione (se c’è la coalizione), ma ciò contribuirà anche a incrementare la
proporzione di voti distribuiti a quella
specifica lista rispetto alle altre liste della coalizione. Siccome le
liste sono bloccate, i nomi elencati delle diverse liste non si scelgono, ma
sono puramente informativi o al più ornamentali. Insomma, in un certo senso,
votando la singola lista si può contemporaneamente mandare avanti il nominativo
uninominale preferito e decidere di mandare
avanti quella lista rispetto alle altre della coalizione. B) L’elettore
particolarmente sensibile alla personalizzazione del voto e magari avverso alle
liste tuttavia può scegliere di apporre soltanto la croce sul nome del
candidato uninominale maggioritario. In tal caso però l’elettore rinuncia a decidere quale lista della
coalizione preferisce ma – attenti bene - il
suo voto sarà comunque ereditato dalle liste della coalizione. In tal caso,
il suo voto sarà distribuito tra le liste coalizzate in proporzione ai voti che queste hanno esplicitamente ricevuto nel
collegio. C) Nel caso in cui la lista prescelta non appartenga a una coalizione, sarà ovviamente indifferente
votare per il candidato maggioritario o per la sua lista: la scelta per l’uno
scivolerà implacabilmente sull’altra e viceversa. Segno questo che il carattere
maggioritario del Rosatellum è più
che altro illusorio.
14. Si sentono spesso mugugni per il fatto che non è stato
previsto il voto disgiunto (come
avviene per l’elezione dei sindaci). Molti vorrebbero scegliere una lista e,
poi, beati loro, scegliere il nome del candidato maggioritario di un’altra
lista o coalizione. Il fatto è che la filosofia della legge elettorale è nettamente proporzionale e, quindi, non
avrebbe senso scegliere prima una lista e poi – scegliendo il nome nel collegio
uninominale – scegliere ancora un’altra lista per collegamento. O scegli una
lista o ne scegli un’altra, non puoi fare due scelte che si contraddicono.
Bisognava allora separare nettamente i collegi uninominali dalle liste
plurinominali (come avviene nel caso della elezione del sindaco). Ma questa
sarebbe stata un’altra legge elettorale
e probabilmente non sarebbe stata mai approvata. Dietro a questa ingenua richiesta di voto disgiunto sta tuttavia
una sorta di nostalgia per il
maggioritario, quello vero, ma come s’è detto, il maggioritario è stato
ammazzato dal Referendum del 4 dicembre 2016. Non puoi ammazzare il
maggioritario e poi rivendicare gli eventuali benefici del maggioritario!
15. Poiché le scelte elettorali riguardano territori (collegi)
di ampiezza assai diversa, possiamo domandarci quanto pesi effettivamente il
voto di un elettore nei diversi casi. Si noti in proposito che tutte le
ripartizioni territoriali relative alle elezioni sono state calcolate sulla
popolazione residente in base al Censimento del 2011. Dunque in base alla
popolazione (di una decina di anni fa) e non in base agli effettivi aventi
diritto al voto. Si tratta dunque di una ripartizione più o meno “a spanne”.
Anche in questo caso faremo un esempio legato alla situazione alessandrina. Quando l’elettore alessandrino sceglie il suo deputato uninominale, contribuisce a eleggere un solo deputato e il peso del suo voto è una frazione della popolazione del collegio cui appartiene in quanto elettore. Dunque, il suo voto vale, in tal caso, uno su 427.229. Quando l’elettore alessandrino sceglie il suo deputato nelle liste plurinominali, con il suo voto nel collegio contribuisce alla elezione di 5 deputati, dunque conta come uno su 1.231.280 moltiplicato per cinque. Quando l’elettore alessandrino elegge il suo unico senatore uninominale, pesa nel suo collegio come uno su 753.885. Quando invece elegge i senatori per la parte proporzionale, il suo voto si ripartisce su cinque senatori. In tal caso il nostro elettore conta nel collegio come uno su 2.509.805 moltiplicato per cinque. In sintesi avremo:
Camera unin.: 1/ 427.229
= 0,00000234 (2,34 milionesimi)
Camera plurin.: 1/
1.231.280 x 5 = 0,00000406 (4,06 milionesimi)
Senato unin.: 1/ 753.885= 0,000001326 (1,326 milionesimi)
Senato plurin.: 1/ 2.509.805 x 5 = 0,000001992 (1,992 milionesimi)
Se scorriamo le cifre in
milionesimi, possiamo notare che il massimo peso del singolo elettore si ha nel
caso delle liste plurinominali dei deputati. Il peso minimo nel caso del
collegio uninominale del Senato.
16. Soddisfatte le principali questioni pratiche, torniamo ora
a un’altra serie di questioni di contorno
ma che pure sono importanti per valutare il Rosatellum.
Un’importante caratteristica dei sistemi elettorali concerne le modalità di selezione dei candidati. In teoria, le
candidature dovrebbero nascere dal territorio ove risiedono gli elettori, cioè
i candidati dovrebbero essere legati in qualche modo alla zona o collegio cui
si raccolgono i voti. Vediamo come il Rosatellum
realizza questo principio. Anzitutto, come si è detto, nel Rosatellum le zone di riferimento dei diversi collegi sono ben quattro
e molto diverse tra loro per dimensione e popolazione. Perciò la condizione
della territorialità dei candidati
sarà soddisfatta molto confusamente. Inoltre, secondo un certo senso comune
diffuso, i candidati territoriali dovrebbero essere scelti sul territorio. In realtà accade spesso che i candidati
siano paracadutati da altrove, solo per il fatto che si ritiene che un certo
collegio o una certa lista siano piuttosto sicuri.[16]
Ebbene, nel Rosatellum non è posto
alcun limite a questo fenomeno. Un politico di Reggio Calabria può
tranquillamente essere presentato a Bergamo. I partiti sono sovrani nella
dislocazione dei candidati. Infatti ci sono state svariate proteste da parte
dei partiti locali.
Infine, una buona norma
sarebbe quella che dice «una testa una candidatura», cioè un singolo si candida
una sola volta in un solo posto. Se non ti vogliono quelli
del collegio A, perché mai dovrebbero volerti quelli del collegio B, C, D o E?
Invece nel Rosatellum accade tutt’altro.
Sono previsti dei vincoli sul numero delle candidature individuali, tuttavia si
tratta di vincoli abbastanza deboli. Un singolo candidato può presentarsi in un
solo collegio uninominale e tuttavia può presentarsi anche in cinque diverse liste plurinominali. In
caso di vittoria in diversi ambiti non potrà però scegliere e per lui è
previsto un meccanismo di attribuzione prefissata del seggio.
Il Rosatellum di fatto dà facoltà ai partiti e ai gruppi politici
organizzati di decidere le candidature singole nei collegi maggioritari e le
candidature multiple nei collegi proporzionali. Saranno i partiti e i gruppi
politici organizzati a decidere di permettere a un candidato – ritenuto
prezioso per qualche motivo – di presentarsi in molte diverse liste
plurinominali, aumentando così le sue probabilità di vittoria. Insomma, se si
vuol far vincere qualcuno a tutti i costi, la strada è comunque aperta. Ci
saranno dunque candidati di serie A, presentati in più liste, con enormi
probabilità di uscire da una parte o dall’altra, e candidati di serie B, poveretti
loro, presentati in una sola lista (magari neanche in prima posizione).
17. Un altro vincolo sulle candidature che va per la maggiore è
quello di genere. Non entriamo qui nella questione controversa circa l’opportunità
o meno di introdurre vincoli di genere
alle candidature. Ci basta costatare che il politically
correct di genere è stato ampiamente accolto nel Rosatellum. Sono previsti, infatti, dei vincoli di genere piuttosto
tassativi: gli esponenti bloccati di ciascuna lista (da due a quattro) devono
seguire la regola dell’alternanza di
genere. In più, nel complesso dei collegi uninominali e nelle posizioni di
capolista nei collegi plurinominali, i candidati di ciascun genere devono
essere compresi tra il 40% e il 60% del totale. Il calcolo è effettuato a livello
nazionale per la Camera e a livello regionale per il Senato.
Sul politically correct di genere di solito nessuno si lamenta
pubblicamente, poiché non si vuol fare brutta figura, soprattutto con l’elettorato
femminile. Questo meccanismo costituirà tuttavia una limitazione oggettiva alla
formazione delle liste poiché, oltre alla bontà in sé della candidatura, cioè
oltre al criterio del merito, i partiti dovranno considerare anche il genere
del candidato. Candidati meritevoli ma di genere sbagliato potrebbero non
essere messi in lista, come potrebbero essere messi in lista candidati meno
meritevoli però di genere giusto. Poiché solitamente in politica nel nostro
Paese c’è un’eccedenza di uomini rispetto alle donne, in molte situazioni ci
sarà la rincorsa a cercare il candidato donna - diciamolo pure chiaro - anche
col rischio di designare un candidato di minore qualità o puramente di
facciata. L’obiezione secondo la quale ci sarebbe abbondanza di altrettanto
meritevoli candidature in entrambi i generi non coglie il problema. Si tratta
piuttosto di capire se le elezioni sono lo strumento per selezionare i politici
migliori o se sono uno strumento per realizzare la pur importante eguaglianza
di genere. I due obiettivi possono tranquillamente
essere in conflitto.
D’altro canto,
ragionando ex post, la classe
politica italiana è pessima in generale (si vedano i sondaggi sulla fiducia
degli italiani nei politici) e non si può dire che le pratiche di eguaglianza
di genere finora messe in pratica abbiano prodotto una sensibile inversione di
tendenza. La XVIII legislatura, per quanto eletta col criterio politically correct del genere, è stata
in assoluto una delle peggiori. Quando, nei sondaggi, gli italiani criticano la
politica pare proprio non avvertano alcuna differenza di output tra la politica al maschile e quella al femminile.
18. Nonostante – come s’è ampiamente visto – i grandi
protagonisti della competizione elettorale siano i partiti e i gruppi politici
organizzati, il Rosatellum dà un
certo spazio ai nominativi dei
candidati. Ciò introduce la questione alquanto interessante del ruolo della personalizzazione della politica nel Rosatellum stesso. La principale fonte
di personalizzazione è legata al fatto che il collegio maggioritario
uninominale non può che essere riferito a una
persona ben precisa (che dovrebbe essere ben conosciuta dal pubblico,
poiché il collegio è di piccole dimensioni). La seconda è dovuta al fatto che i
collegi maggioritari plurinominali sono caratterizzati dalle liste corte (da due a quattro nominativi
che devono essere stampati sulla scheda accanto al simbolo della lista). Si
badi bene che le liste corte non sono una saggia e originale iniziativa dei
legislatori ma sono state rese pressoché obbligatorie da una sentenza della
Corte.
La legge dunque, pur assegnando
la regia fondamentale del processo elettorale ai partiti e ai gruppi politici,
almeno nella confezione della scheda elettorale sembra voler evidenziare i nomi dei candidati, attraverso i collegi uninominali e le
liste corte, invitando così l’elettore a riflettere non solo sui simboli dei
partiti e dei gruppi ma anche sulle caratteristiche
personali dei candidati. La scheda, in effetti, mostra implacabilmente all’elettore:
a) quali simboli di lista stanno dietro, o accanto, ai nomi; b) quali nomi
stanno dietro ai simboli partitici. È questa indubbiamente una giusta complementare
informazione.
Questo è senz’altro un
interessante elemento di novità che potrebbe però anche creare esiti
imprevisti. Siamo nell’epoca dell’antipolitica e i simboli dei partiti possono
suscitare forti attrazioni ma anche forti repulsioni. Ma siamo anche nell’epoca
della personalizzazione e della politica del rancore[17]
per cui la presenza esplicita dei nomi in un collegio uninominale o in una
lista può condurre a effetti inaspettati. Può indurre un guadagno di consensi
se il nome è prestigioso e universalmente apprezzato, ma può anche indurre a
una perdita secca di consensi se il nome è controverso (chi non ha mai sentito
dire: “Io quello/a non lo/a voto manco morto!”). Siccome nell’epoca della
politica del rancore è più facile odiare
che amare, è possibilissimo che questo fatto banale produca delle sorprese
in termini di risultati (questo perché i meccanismi del rancore, come del resto
quelli del cuore, possono essere i più vari e i più misteriosi).
Resta sullo sfondo di
tutto ciò una domanda: «Che fine hanno fatto le preferenze espresse dall’elettore»?
E soprattutto: «Che fine ha fatto nel Rosatellum
la retorica delle primarie»? È pur vero
che per la scelta dei candidati potrebbero essere usate le primarie, anche se queste si addicono soprattutto nell’ambito
del maggioritario. Pare però che le primarie siano sempre meno di moda. Nell’ambito
del Rosatellum ci sarebbero poi dei
limiti tecnici: è difficile immaginare l’uso delle “primarie di coalizione”
poiché i singoli partiti e le coalizioni vorranno mettere in atto liberamente
tutte le loro alchimie distributive dei candidati. Su questo punto, va dato
merito al M5S di avere fatto indicare i nominativi dei candidati per lo meno ai
propri iscritti attraverso il meccanismo della consultazione attraverso la
piattaforma web.
Quella delle primarie è
un’altra delle riforme fondamentali mai fatte: sarebbe ora di fare una legge
sulle primarie che renda le primarie vere e proprie istituzioni e non semplicemente espedienti propagandistici di
legittimazione che si possono usare o meno quando fa comodo, come succede oggi
in Italia. Ma le primarie sono legate a qualche forma di maggioritario
effettivo e non solo di facciata. E poi, per una simile legge, occorrerebbe
anche una riforma dei partiti; anche
questa è una riforma fondamentale mai fatta e che è ben lontano anche solo dal
prospettarsi.[18]
19. Nel Rosatellum
dunque, il ruolo oggettivamente preponderante delle liste è in conflitto con la
personalizzazione, cioè con la puntuale esibizione dei nominativi dei
candidati. Ciò si vede in particolare nella configurazione della scheda
elettorale, prevista nei minimi dettagli, che senz’altro avrà un suo peso nel
determinare l’effetto finale sull’elettore dell’intero sistema.
In evidenza, in testa a
ogni blocchetto di lista o di coalizione, è riportato, a caratteri cubitali, il
nome del candidato per il collegio maggioritario. Questo sarà indubbiamente un
nome conosciuto dall’elettore, poiché
i collegi del maggioritario sono più piccoli di quelli del proporzionale.
Sotto, ci sono i simboli dei partiti o gruppi che lo sostengono e cui andrà la
parte proporzionale del voto (quella che distribuirà più del 60% dei seggi,
cioè la gran parte della posta in
palio!). Come a dire che il nome cubitale è lo specchietto per attirare le
allodole verso le liste che sono il vero bottino.
Pur tuttavia accanto ai
simboli ci sono anche, in rigoroso ordine
di precedenza e di alternanza di
genere, i nomi dei candidati delle liste dei singoli partiti o gruppi (da 2
a 4). Qui potranno esserci anche degli sconosciuti (poiché il collegio
proporzionale è decisamente più grande del collegio maggioritario e poi perché
ci saranno gli “stranieri”, i paracadutati
presentati in più collegi). Sulla base dell’effetto
complessivo (il mix persona - partito) l’elettore farà la sua scelta. Tutto
ciò dunque – dal punto di vista dell’elettore – può andare liscio se l’elettore
incontrerà perfetta congruenza politica
tra i simboli di lista e i nomi stampati sulla scheda. Qualora l’elettore
riscontri incongruenze (ad es. uno o più nomi detestati, oppure un nome
prediletto finito in una lista detestata, oppure un nome che “viene da fuori”)
potrebbe essere indotto a comportamenti di accettazione o rifiuto strani e
imprevedibili. Insomma anche il format
della scheda può amplificare le attrazioni e/o le repulsioni, rendendo
difficile prevedere l’esito della consultazione.
20. Questi che abbiamo fin qui presentati e discussi ci sono
parsi gli elementi essenziali che caratterizzano il Rosatellum e quindi i punti da tener presenti nel formularne una
valutazione critica complessiva. Naturalmente sono anche i punti da tenere
presenti per esercitare il proprio diritto di voto con un minimo di consapevolezza.
Secondo noi, in estrema sintesi, anche se le nostre valutazioni sono già state
spesso anticipate producendo le diverse analisi dei singoli aspetti, il Rosatellum si caratterizza per questi
elementi di fondo:
A) Il sistema elettorale
è un sistema strettamente proporzionale
con qualche mascheratura superficiale da maggioritario che tuttavia non ne
intacca la natura di fondo. Si è visto ampiamente, nell’analisi che abbiamo fin
qui condotto, che la componente proporzionale emerge costantemente dietro a
tutti i dettagli. La componente maggioritaria dunque funziona più che altro
come uno specchietto per le allodole.
B) La frammentazione politica,
uno dei mali estremi del sistema politico italiano, è scarsamente mitigata
anzi, se possibile è accentuata dalle numerose ma confuse soglie di
sbarramento. Il chiacchiericcio intorno alle coalizioni è solo aria fritta,
poiché le coalizioni secondo il Rosatellum
non hanno alcun rilievo nel momento successivo della formazione del governo. Chiunque
potrà coalizzarsi e avere qualche seggio in più, per poi riprendere subito la
propria libertà e decidere da che parte stare al momento della formazione del
governo. Nessun limite è stato posto alle fratture e alle moltiplicazioni dei
gruppi parlamentari che decidano di dar vita a nuove micro formazioni
politiche. Anche se se ne è parlato, non è previsto nessun provvedimento contro
i cambi di casacca. Basterebbe una legge di due righe che dichiari che chi
cambia la casacca con la quale è stato eletto decade obbligatoriamente e subentra il successivo (tanto più che
gli elettori sono costretti a scegliere le liste dei partiti più che le
persone). Gli eletti con l’uninominale, appartenendo però a diverse casacche
potrebbero sfuggire in parte a un simile provvedimento.
C) Le liste (cioè “i
partiti e le forze politiche organizzate”) hanno un ruolo preponderante in
tutti i passaggi del processo elettorale, nella scelta delle candidature e
delle coalizioni e nel computo per la distribuzione dei seggi. Ciò significa in
Italia – lo ribadiamo ancora - una sola cosa: il ritorno dei partiti. Alla faccia dell’antipolitica e della lotta
contro la partitocrazia. Alla faccia soprattutto di tutti coloro che, per anni,
si sono lamentati per i governi che non
erano votati dagli italiani. A parte il fatto che in Italia c’è un regime
parlamentare e i governi non possono
essere “votati” dagli italiani, d’ora in avanti, e per un bel po’, i governi
in Italia saranno fabbricati, tenuti in vita e fatti decadere dalle segreterie
dei partiti, dai loro leader o,
peggio, da gruppetti di parlamentari scissionisti e cambia casacca. E questi partiti
sono, si badi bene, senza alcun vincolo legale, perché una legge sui partiti secondo l’art. 49 della Costituzione proprio non
la vogliamo fare. E, come conseguenza di tutto ciò, il Parlamento, inteso come il luogo
della formazione della volontà politica,
conterà sempre meno. Si noti, tra parentesi, per tutti quelli che se ne
sono scordati, che è proprio il Parlamento l’organo istituzionale direttamente votato dagli italiani.
D) Per conseguenza dei
punti precedenti, il principio della personalizzazione
(attraverso le liste brevi nominative
e la quota di seggi nominativi assegnati col maggioritario) che è stato
sventolato come una conquista è stato implementato solo in termini superficiali
e quindi funge solo da complemento (o al più da disturbo) al proporzionale. Scegliere
un nominativo equivale esattamente a scegliere un simbolo e viceversa. Così non
si parlerà più di primarie e chi cercherà di fare le acrobazie tra le liste per
scegliere le persone migliori, non potrà che ricascare in mezzo alle liste e
trovarsi a dare il suo supporto alle liste stesse, magari senza volerlo. Le liste brevi bloccate hanno poi proprio
il sapore della beffa.
E) In ultimo, l’aspetto
più catastrofico. Il nuovo sistema, per l’assenza di premi di governabilità e/o
per l’assenza di un doppio turno, ignora totalmente la questione della stabilità
e della governabilità e rinvia la formazione del governo alle contrattazioni
post elettorali. Ciò produrrà il ritorno massiccio del regime dei governi di coalizione, con consistenti
rendite di posizione e diritti di veto per le piccole formazioni. Si noti che,
poiché i cambiamenti di casacca continueranno a esser permessi, continueranno a
nascere e morire movimenti e formazioni partitiche sviluppatisi da scissioni
avvenute dentro o fuori il Parlamento. Con scopi che nulla hanno a che vedere
con la funzione di rappresentare gli
italiani. Men che mai proporzionalmente.
21. In sintesi ancora più estrema, questa legge elettorale
sembra un mesto tentativo – davvero fuori tempo – di ripristinare il sistema politico della Prima repubblica. Un
incredibile déjà-vu. La risposta che
la politica (stiamo qui parlando specificatamente della XVII legislatura che ha
varato a suo tempo il Rosatellum) ha
saputo dare ai problemi insoluti di riforma istituzionale del nostro Paese è,
in pratica, un bel ritorno al passato.
A quello che – almeno noi nati negli anni ‘50 - abbiamo già visto, già
sperimento, e a tutto quello che ha contribuito grandemente a ridurci in questo
stato. Come tutto ciò possa contribuire a rafforzare la democrazia e la
partecipazione dei cittadini è alquanto misterioso. A rovescio, è altrettanto
misterioso come tutto ciò possa combattere il populismo dilagante e la cattiva
politica.
22. Se si vuol proprio individuare un principio sotterraneo che
abbia guidato le forze che hanno promosso e sostenuto il Rosatellum, questo principio non può che essere il seguente:
«Piuttosto di far governare un altro per un intero mandato, è meglio che non governi
nessuno!». Insomma, col proporzionale in fin dei conti non vince nessuno così, in un certo senso, vincono tutti. Un tipico principio da Prima Repubblica o, se si
vuole, da Repubblica dei Partiti. La XVIII legislatura ha ampiamente
esemplificato l’applicazione di questo principio.
23. Ma per curiosità, da dove origina tutto ciò? Storicamente,
come abbiamo già avuto più volte modo di sottolineare, questa legge elettorale
è la diretta conseguenza del Referendum del 4 dicembre 2016. Una sconfitta del
Sì
per 40 a 60
che nel nostro Paese ha segnato la fine (per qualche decennio) di qualsiasi
tentativo di riforma istituzionale, la fine del maggioritario, delle primarie, del
premio di governabilità e del doppio turno. Dunque sono padri di fatto di questa legge, volontari
o involontari,[19]
tutti gli appartenenti a quell’ampio eterogeneo fronte che ha scelto di votare
e far votare NO al referendum. Secondo Wikipedia, alla voce relativa al
Referendum del 4 dicembre, questi sono stati i principali sostenitori del
fronte del No: «Partiti per il no: Conservatori e Riformisti, Forza Italia,
Fratelli d’Italia, Lega Nord, Movimento 5 Stelle, Rifondazione Comunista,
Sinistra Italiana - Sinistra Ecologia Libertà, Unione di Centro. Altre
organizzazioni per il no: ANPI, ARCI, CGIL, Cobas, CUB-Confederazione Unitaria
di Base, FIOM, Italianieuropei, Libertà e Giustizia, Magistratura democratica,
Rete degli studenti medi, Unione degli universitari, UGL-Unione Generale del
Lavoro, USB-Unione Sindacale di Base». A questi sono da aggiungere numerosi
opinionisti e intellettuali. L’elenco è sicuramente incompleto. Questi sono i
veri padri del Rosatellum, non certo
il PD (che aveva sostenuto il maggioritario a doppio turno) o il tanto
vituperato Ettore Rosato.
Costoro si difenderanno
certamente dall’accusa asserendo che, votando No, intendevano raggiungere ben
altri validi obiettivi e non intendevano
avallare un sistema elettorale proporzionale da Prima Repubblica. Certo, magari
non intendevano, ma questo è stato oggettivamente
il risultato. Spesso gli sbadati producono dei disastri che certo non intendevano. In sociologia si
chiamano effetti perversi, mentre in
psicologia si parla di effetto boomerang.
Gioverebbe anche una piccola riflessione sulla differenza tra l’etica dell’intenzione e l’etica della responsabilità. Si è
preferito difendere improbabili valori
(su cui neanche si concordava – in un incredibile schieramento da Fratelli d’Italia
a Rifondazione Comunista!) che cercare di essere, una volta tanto, responsabili.
24. Si badi bene che con ciò non si vuol sostenere che le riforme istituzionali di Renzi (e Napolitano) fossero esenti da difetti. Avevano anzi molti limiti, molti difetti, i quali certo hanno anche contribuito alla loro mancata approvazione.[20] La tattica usata da Renzi in quei frangenti è stata poi del tutto suicida. Senz’altro però quelle riforme non avevano proprio nulla a che fare col proporzionale spinto e con le sue conseguenze che andremo a sperimentare nella prossima consultazione elettorale e nei successivi tentativi che si faranno per formare un governo. Di nuovo c’è solo il fatto che gli italiani, almeno dai sondaggi, sembrano determinati a conferire una maggioranza secca a una delle coalizioni in campo. E la coalizione data per vincente non nasconde la propria ambizione di riaprire la questione controversa delle riforme istituzionali. In tal caso sarebbe anche coinvolta, a completamento dell’opera, la stessa legge elettorale. Un blocco con una maggioranza di due terzi in parlamento, ammesso che trovi un accordo, potrebbe notoriamente fare leggi costituzionali senza bisogno di passare per il Referendum popolare. È un fatto tuttavia che – com’era del resto prevedibile - neanche questa considerazione ha spinto il Centro Sinistra Disunito a desistere dalla propria disunione vocazionale.
Giuseppe Rinaldi (12/09/2022)
NOTE
[1] Scrivo nel
settembre 2022, nel corso della campagna elettorale per le elezioni del
prossimo 25 settembre 2022.
[2] Si tratta
della legge Rosato, dal nome del suo relatore Ettore Rosato, ufficialmente
legge 3 novembre 2017, n. 165 e comunemente nota come Rosatellum bis o
semplicemente Rosatellum.
[3] Cfr. il mio
saggio del dicembre 2017 intitolato Rosatellum
for Dummies all’indirizzo: Finestre
rotte: Rosatellum for Dummies .
[4] I due sistemi
che possono essere considerati in un certo senso “puri”, e dunque non misti,
sono il sistema maggioritario e il sistema proporzionale.
[5] Per motivi di
spazio, do qui per scontata la conoscenza, da parte del mio lettore, del
significato di proporzionale e maggioritario. Do anche per scontata la
conoscenza degli altri termini elementari relativi alle elezioni e ai sistemi
elettorali.
[6] Sulle liste
bloccate esiste una polemica annosa. Le liste furono bloccate perché si diceva
che le preferenze fossero portatrici del voto mafioso e clientelare. Il
controllo dei partiti sulle liste delle candidature avrebbe così impedito forme
d’infiltrazione criminale. Tuttavia la degenerazione dei partiti in gruppi
affaristici e le stesse infiltrazioni mafiose nei partiti hanno riproposto la
opportunità di dare ai cittadini la possibilità di scegliere i candidati. La
svolta proporzionale – derivata dal Referendum fallito – non poteva però che
portare con sé anche una ripresa di controllo dei partiti sulle liste. Questa
trasformazione tuttavia è avvenuta senza alcuna riforma dei partiti e di ciò si
vedranno le conseguenze. La questione delle liste bloccate nel Rosatellum tuttavia è moderata dal fatto
che le liste sono brevi (2-4 nomi) e i nomi saranno stampati sulla scheda
elettorale. I diversi partiti e gli elettori quindi non potranno avere troppe
scuse se metteranno in lista e voteranno degli impresentabili.
[7] Questa è la
dizione ufficiale che si trova nello stesso testo legislativo.
[8] Il premio di
coalizione era previsto dal Porcellum.
Si noti che il PD, nonostante la cosiddetta non vittoria di Bersani del 2013,
ha potuto godere di un premio di coalizione. Sennò la XVII legislatura sarebbe
finita dopo poche settimane. L’Italicum
prevedeva il doppio turno.
[9] Si ricordi
che la rappresentazione non è mai perfetta. Qualche tipo di distorsione è
comunque sempre presente in tutti i sistemi elettorali.
[10] Su questo
punto vedi il mio articolo: I democratici
con la patente (e quelli senza), del 1 agosto 2017, pubblicato sul mio blog
Finestrerotte. [Finestre rotte: I democratici con la
patente (e quelli senza)
]
[11] Ciò non
significa che non abbiano importanti conseguenze nel determinare la vittoria o
la sconfitta dei macro schieramenti.
[12] Vedi il mio
articolo già citato I democratici con la
patente (e quelli senza), del 1 agosto 2017 sul blog Finestrerotte.
[13] Ricordo che,
per la nostra Costituzione, il premier
di governo non è deciso nelle urne ma è deciso dal Presidente della Repubblica.
[14] Si veda
recentemente il mio articolo Il Centro Sinistra Disunito e la sfida elettorale:
Finestre
rotte: Il Centro Sinistra Disunito e la sfida elettorale
[15] Il che è
stato ottenuto con la legge costituzionale 19 ottobre 2020, n.1, sottoposta a
referendum e entrata in vigore il 5/11/2020.
[16] Ciò dà luogo,
com’è noto alla corsa ai collegi sicuri.
[17] Così il
CENSIS nel suo rapporto del 2017 ha definito la situazione del nostro Paese.
[18] In molte
occasioni pubbliche ho sostenuto l’opportunità prioritaria di fare – nel nostro
Paese – una legge sui partiti, in
ottemperanza dell’art. 49 della Costituzione, ma sono sempre stato ignorato
dagli astanti, quando non sberleffato. Tutti in Italia dicono di odiare i
partiti ma tutti rifiutano di fare l’unica cosa sensata per mettere al loro
posto i partiti: una bella legge di regolamentazione dei partiti, come ad
esempio quella tedesca.
[19] Com’è noto,
nel mondo sociale, gli effetti delle scelte possono anche essere del tutto
sconosciuti agli autori delle scelte stesse. Esiste un’ampia letteratura sugli effetti perversi del comportamento
sociale che sarebbe il caso di meditare.
[20] La maggior
parte di coloro che hanno votato No al Referendum non erano certamente
costernati per la cattiva qualità della legge di riforma e avevano in mente di
raggiungere ben altri obiettivi. L’Italia purtroppo non è piena di Zagrebelsky.
Per chi fosse eventualmente interessato, la mia analisi approfondita della
proposta di riforma costituzionale si trova nell’articolo: Cronache marziane, del 30 novembre 2016 sul blog Finestrerotte. [Finestre rotte: Cronache marziane]