1. La nuova legge elettorale (il cosiddetto Rosatellum,
approvato in via definitiva il 24 ottobre 2017) contiene diversi aspetti
inconsueti e alquanto poco intuitivi che tuttavia è bene conoscere, allo scopo
di comprendere quel che ci possiamo attendere dalle prossime consultazioni
elettorali. Si tratta, insomma, di capire cosa potrebbe succedere nel sistema
politico italiano per effetto della nuova legge elettorale, poiché, com’è noto,
le leggi elettorali sono elementi davvero centrali nella strutturazione e nella
manutenzione dei sistemi politici. In quel che segue, si cercherà di esporre in
forma critica e nella maniera più chiara possibile le caratteristiche di fondo
del nuovo sistema elettorale. Si cercherà altresì di produrne una valutazione
complessiva e di formulare qualche previsione sul suo funzionamento. Premetto
che non sono un esperto della materia. Le mie conoscenze sono quelle che ci si
può attendere da un cittadino appena decentemente informato e le mie valutazioni
saranno basate sul comune spirito critico che dovrebbe essere patrimonio di
tutti e non solo degli specialisti.
2. Considerato in termini generali, il Rosatellum
è un sistema elettorale misto[1] che
può essere concepito essenzialmente come un proporzionale corretto con una
piccola quota di maggioritario.[2] Si tratta dunque di un sistema dove a
competere sono per lo più le liste (dei partiti e dei gruppi politici
organizzati[3]) e non i candidati in qualità di singoli individui. Il Rosatellum
prevede, infatti, che il 61% dei seggi sia distribuito tra le liste con un
criterio proporzionale ai voti ottenuti. Le liste sono bloccate in ordine
rigoroso di graduatoria e sono decise dalle forze politiche.[4] Solo il 37% dei
seggi è distribuito con un sistema maggioritario uninominale, dove a competere,
per l’unico seggio in palio in ciascun collegio, sono i singoli candidati.
Tuttavia, come si vedrà, questi candidati uninominali sono indissolubilmente
collegati alle liste, ricevono il voto dalle liste e trasferiscono
automaticamente il loro voto alle liste stesse. Per completezza d’informazione,
diremo che il restante 2% dei seggi è destinato al voto degli italiani
all’estero, definito con un meccanismo
particolare.
3. La nuova legge elettorale si applica – è forse il
caso di sottolinearlo - all’attuale sistema bicamerale che è stato salvato
e rimesso in vigore dalle note vicende relative al Referendum del 4 dicembre
2016. In proposito, va aggiunto che il Rosatellum si è reso necessario (questa
è forse la sua unica e sostanziale giustificazione) per omogeneizzare le regole
elettorali tra i due rami del Parlamento, le quali erano state rese disomogenee
dal fatto che l’italicum era stato
previsto solo per la Camera e, poi, dalla sforbiciatura operata dalla Corte
costituzionale. Almeno in quest’opera di omogeneizzazione, l’intento pare
riuscito. Per molti aspetti il nuovo sistema elettorale, in effetti, è analogo
sia per la Camera sia per il Senato. La differenza di maggior rilievo è quella
tradizionale per cui la distribuzione dei seggi per la Camera avviene a livello
nazionale, mentre per il Senato avviene su base regionale. Va detto che, in ogni
caso, il nuovo sistema, per quanto reso relativamente omogeneo, non
è in grado di scongiurare una situazione di maggioranze diverse alla Camera e al
Senato, dovute magari a differenze di pochi seggi. Si tratta anzi di
un’eventualità molto probabile, visto l’accentuato tripolarismo
del nostro attuale spazio politico.
4. L’aspetto politico più rilevante della nuova legge,
elemento questo spesso trascurato dai commentatori, è il fatto che non
è previsto alcun premio di maggioranza o di governabilità alla lista o alla
coalizione che abbia ottenuto il maggior numero di voti. Non è neppure previsto
un doppio turno che consenta lo
spareggio tra i primi classificati.[5] Questo vuol dire che ciascuna lista
tiene esattamente i voti/ seggi che ha preso nel corso del processo elettorale
(da sola o in coalizione con altre). Lo scopo fondamentale del processo
elettorale, come previsto dalla nuova legge, sarebbe dunque quello di
“rappresentare” in maniera relativamente fedele gli
schieramenti di partito presenti nell’elettorato.[6] «Poi si vedrà», come ha
asserito Bersani.
Insomma, invece di assicurare a priori la governabilità
attraverso un qualche meccanismo di premio o di doppio turno (per riuscire
finalmente a “sapere il giorno dopo le elezioni chi ha vinto e chi governa per
un’intera legislatura”) il Rosatellum rimanda
a dopo le elezioni ogni decisione circa la formazione del governo (tranne il
raro caso in cui una singola lista riesca a guadagnare più del 50% dei seggi,
sia alla Camera sia al Senato). Un certo fondamentalismo rappresentazionale
sembra abbia dunque definitivamente vinto sull’esigenza di dare un governo
stabile al Paese.[7]
Questa scelta di fondo, si noti bene, è avvenuta nella
attuale situazione dell’arena politica che è praticamente tripolare, una situazione
per di più in cui un importante partito, il M5S, non è disposto a fare alcuna
alleanza di governo con chicchessia. Ciò non potrà che conferire ai partiti
(quelli grandi e soprattutto quelli piccoli) la facoltà ultima di decidere la
composizione del governo. Insomma, i partiti sono al centro del nuovo sistema
elettorale e saranno soprattutto al centro nel momento della composizione del
governo. Se questo è l’approdo
dell’antipolitica degli ultimi anni, se questo è il risultato finale delle
varie proposte di riforma istituzionale che si sono succedute, c’è veramente da
allibire. Tutto questo – lo ribadiamo - significa una cosa sola: i
partiti sono tornati.[8]
5. La nuova legge elettorale ammette le coalizioni
ma queste servono soltanto per il computo dei voti e la distribuzione dei seggi
durante il processo elettorale e non
hanno alcun effetto diretto sulla formazione del governo. Una coalizione
tra liste che sia costituita secondo il Rosatellum vale ai soli fini elettorali
e, di fatto, è sciolta il giorno dopo le elezioni, salvo la volontà delle liste
coalizzate di proseguire la loro collaborazione in altri modi. L’unica traccia
materiale della coalizione avvenuta saranno quei parlamentari eletti col
maggioritario che dovranno il loro seggio al concorso
dei voti di diverse liste, alle quali dovranno in qualche modo fedeltà. In
caso di rottura politica tra le liste che li hanno sostenuti, fatto non
impossibile, anzi piuttosto probabile, molti di costoro dovranno scegliere a chi
obbedire. Ciò perché, nonostante l’apparenza, i
veri protagonisti sono i singoli partiti (con le loro liste) e non le
coalizioni.
La filosofia di fondo accolta dal legislatore è dunque
la solita di tutti i sistemi proporzionali: prima si costruisce la
rappresentanza in parlamento (alla quale si attribuisce una finzione di oggettività) e poi si vede se e come è
possibile formare un governo. Con ciò avremo sempre governi deboli, sottoposti
continuamente ai ricatti di gruppi e gruppetti, e di breve durata. Il tutto
sacrificato in nome del mito della rappresentazione oggettiva dell’elettorato. I
sostenitori del proporzionale spinto sono stati dunque ampiamente
accontentati.[9] Costoro però sembrano non essersene accorti, perché i mugugni
contro il Rosatellum vengono anche e
soprattutto da parte dei proporzionalisti delusi. Delusi da cosa? Questo è il
sistema che i proporzionalisti hanno sempre sognato! Certuni non si accorgono
neppure d’aver vinto, quando hanno vinto.
6. Se così stanno le cose, perché nel dibattito
politico di queste settimane si parla tanto di coalizioni, prefigurando
addirittura delle coalizioni di
governo e dei premier di
coalizione? In verità, il fatto che in questi giorni si parli di programmi
della coalizione e di premier
(cose di cui si sta ampiamente discutendo ad es. nel Centro Destra) non c’entra
nulla col Rosatellum. Il Rosatellum
in realtà non prevede affatto programmi di coalizione e leader di coalizione.
Si tratta evidentemente di espedienti puramente propagandistici e spettacolari,
allo scopo di presentarsi apparentemente uniti di fronte agli
elettori. Sintomatico di questa volatilità delle coalizioni realizzate col Rosatellum è il fatto che qualche tempo
fa qualcuno ha proposto di andare dal notaio per siglare un patto di coalizione
(come fosse contratto privato!). Nel
Centro Destra, Salvini ripete sempre, un giorno sì e uno no, che il premier
della coalizione candidato al governo sarà il capo della lista che ha ricevuto
maggiori voti (cioè il premier si decide dopo). Queste pratiche retoriche e
queste acrobazie verbali tradiscono tuttavia una certa nostalgia
per i premi di coalizione e per un leader della coalizione che sia anche
premier in pectore. Signori miei,
non è più così. Il premio di coalizione e il candidato premier erano previsti
dalle leggi elettorali che voi stessi avete rifiutato e affondato. Forse avete
perso qualche puntata.
Si noti che la nuova formazione denominata Liberi e
Uguali, nata esclusivamente per partecipare alle elezioni (anche se taluni
speranzosi vorrebbero si trasformasse in un partito politico vero e proprio) non è affatto una coalizione bensì una
lista singola (cioè, essa figura giuridicamente, ai sensi del Rosatellum,
non come un partito bensì come un gruppo
politico organizzato).[10] I tre partiti che hanno dato vita alla lista
infatti non compariranno in
coalizione. Sulla scheda elettorale i simboli di MDP, di Possibile e di SI
non ci saranno. Ci sarà solo il
simbolo di LeU e il nome di Grasso in quanto leader. Siamo dunque di fronte a
una lista di un singolo movimento politico organizzato, che s’identifica con un
leader (tanto da avere il suo nome stampato sul simbolo) e che dovrebbe
presentare un suo specifico programma politico. Dietro alla lista ci sono tre
micro partiti politici che non si presenteranno alle elezioni, che sosterranno
la lista ma che manterranno pienamente la loro autonomia organizzativa. La
ragione fondamentale di questa scelta sta nel fatto che il Rosatellum
per le coalizioni prevede uno sbarramento al 10%, mentre lo sbarramento per le
liste è al 3%. Evidentemente i partiti promotori non si sono sentiti di
rischiare la soglia del 10%.
7. Quali sono allora i veri vantaggi in termini
elettorali delle coalizioni secondo il Rosatellum? Ci sono due tipi di
vantaggi:
a) Le coalizioni tra liste possono sperare di vincere
più facilmente nei collegi uninominali. Infatti il candidato uninominale deve
essere associato alla coalizione e dunque questi può sperare di ottenere un voto
in più degli altri per avere il seggio che è messo in palio. Insomma, in una
coalizione, le diverse liste si mettono d’accordo sul nome di un candidato nel
collegio maggioritario e si impegnano a votarlo e farlo votare. Così hanno più
probabilità di farlo vincere.
b) Le coalizioni tra liste, nella parte proporzionale,
possono accedere al riparto dei seggi in
quanto coalizioni e quindi possono godere di qualche vantaggio aritmetico.
In particolare poi le coalizioni hanno dei vantaggi per quel che concerne le
soglie. Possono incamerare anche i voti delle piccole formazioni coalizzate che
non abbiano superato la soglia del 3% (purché abbiano conseguito almeno l’1%).
In sostanza le coalizioni consentono di abbassare lo sbarramento per le singole
liste dal 3% all’1%. Ciò può dare qualche spazio più agevole alle piccole
formazioni, allargando il voto
utile. Ad esempio, se una lista Bonino fosse coalizzata col PD, un elettore
radicale potrebbe tranquillamente votare la lista Bonino, certo che il suo voto
andrebbe a beneficio della coalizione e non andrebbe disperso (la soglia minima
in tal caso sarebbe quella di avere l’1% a livello
nazionale).
8. Un altro aspetto politicamente rilevante da
considerare, nel valutare le conseguenze del Rosatellum,
è la questione della frammentazione
politica. Tutti, a parole, ammettono che la frammentazione politica sia un
male, ma poi nessuno vuole davvero evitarla. Le soglie
di sbarramento costituiscono uno dei classici metodi per impedire la
frammentazione politica. Nel Rosatellum ci sono davvero tante
soglie, assai contorte, che però, complessivamente, hanno
scarsi effetti di contenimento della frammentazione. Molto rumore per
nulla.
La svolta
proporzionalista implica che le soglie siano piuttosto basse e che, quindi,
anche partiti molto piccoli possano avere qualche seggio. Quest’opportunità è
accresciuta dalla permanenza del bicameralismo e dal numero davvero alto di
parlamentari. Insomma, c’è posto per tutti. Tutte le sacrosante sensibilità
politiche saranno accuratamente rappresentate in modo veramente democratico.
E, soprattutto, tutti potranno poi entrare – a elezioni avvenute - nel mercato
per la formazione del governo, chiedendo ovviamente in cambio
qualcosa.
Il meccanismo delle soglie previste
dal Rosatellum è piuttosto intricato
(e per questo non ci inoltreremo in tutti i dettagli). Ridotta la questione
all’osso, ci sono due soglie che possono avere effetti sensibili di ordine
generale: a) la soglia del 3% per le liste (cioè partiti e gruppi politici
organizzati) e la soglia del 10% per le coalizioni. Diciamo subito che si tratta
di soglie che, lungi dall’esser rigide, possono essere aggirate
facilmente.
A) La soglia più autentica è quella del 3% per le
liste. In generale un partito o gruppo politico organizzato che abbia presentato
una lista concorre alla spartizione dei seggi solo se ha superato la soglia del
3%. La soglia è tuttavia in un certo senso aggirabile. Come abbiamo già
anticipato, se la lista che non ha superato la soglia del 3% sta in una
coalizione, i suoi voti al di sopra dell’1% non sono completamente gettati ma
sono ereditati dalla coalizione stessa e concorrono alla distribuzione dei
seggi. Solo i voti sotto all’1% sono effettivamente persi. Quindi, in questo
caso, le coalizioni possono essere in grado di rastrellare e utilizzare i voti
di formazioni che altrimenti non arriverebbero al
3%.
B) Vediamo ora il limite per le coalizioni. Le
coalizioni tra liste devono raggiungere come minimo il 10% dei voti a livello
nazionale (sia alla camera che al senato). Qualora però ciò non accada, le
conseguenze non sono molto gravi: i seggi sarebbero attribuiti alle singole
liste come se fossero non coalizzate
(in questo caso, le singole liste incorrerebbero però nello sbarramento del
3%).
Da tutto ciò si comprende come il contrasto alla
frammentazione politica previsto dal Rosatellum sia davvero debole. C’è il
modo per dare la speranza di un posto quasi a tutti. Come dire, quasi tutti
potranno avere nei fatti una specie di diritto di tribuna. Maggiore è la
frammentazione politica, ovviamente più difficile sarà, dopo le elezioni,
costruire delle alleanze di governo per arrivare ad avere la maggioranza sia
alla Camera sia al Senato. In questo processo, le piccole formazioni potranno
essere anche determinanti (soprattutto se ci saranno maggioranze diverse alla
Camera e al Senato) e potranno imporre le loro richieste e i loro
veti.
9. Possiamo passare ora a questioni leggermente più
concrete. Tanto per capire il funzionamento del meccanismo, vale la pena di
riportare qualche informazione sulle ripartizioni territoriali previste nel
processo elettorale. La legge determina il numero delle circoscrizioni
che sono lievemente diverse per la Camera e il Senato. Per il Senato, le
circoscrizioni sono 20, coincidenti senza eccezioni con il territorio delle
Regioni. Per la Camera dei deputati, le circoscrizioni sono 28. Esse coincidono
prevalentemente con il territorio delle Regioni. Tuttavia per alcune Regioni più
popolose si hanno più circoscrizioni: 4 per la Lombardia; 2 per il Piemonte, per
il Veneto, per il Lazio, per la Campania, per la Sicilia. Ciascuna
circoscrizione è poi suddivisa in collegi uninominali (maggioritari) e in
collegi plurinominali
(proporzionali). Di norma i collegi uninominali sono più piccoli e i collegi
plurinominali sono costituiti dall’aggregazione di un certo numero di collegi
uninominali contigui. Da tutto ciò deriva che la suddivisione territoriale del
voto è diversa per la Camera e il Senato, anche se possono esserci delle
sostanziose sovrapposizioni. Si ricordi anche che i seggi per la Camera sono
assegnati su base nazionale, mentre al Senato sono assegnati su base
regionale.
Vediamo in pratica come funziona. Un elettore
alessandrino, mettendo una crocetta sulla scheda elettorale della Camera e una
su quella del Senato:
- contribuirà a eleggere 1 deputato in collegio
uninominale (collegio di Alessandria – senza però Acqui e
Casale!)
- contribuirà a eleggere 8 deputati in collegio
plurinominale, su lista breve bloccata (collegio di Alessandria, Asti, Cuneo e
Alba)
- contribuirà a eleggere 1 senatore in collegio
uninominale (collegio di Alessandria, Asti e Acqui – ma non
Casale!)
- contribuirà a eleggere 7 senatori in collegio
plurinominale, su lista breve bloccata (collegio di Vercelli, Novara, Cuneo,
Alessandria/Asti)
Cioè, le due crocette del nostro elettore, come si può
ben vedere, andranno a spalmarsi su quattro entità territoriali davvero
molto diverse per dimensione, popolazione e un’infinità di altre
caratteristiche. Per lo meno, in caso di bisogno, gli elettori alessandrini
avranno un sacco di Santi in paradiso cui rivolgersi! Si tenga conto comunque
che, mentre si può presumere (anche se niente lo obbliga) che i candidati nei
collegi uninominali appartengano al territorio locale, i candidati nei collegi
plurinominali non è detto che provengano dal territorio, possono anzi essere
paracadutati nelle liste da ovunque, per scelta dei partiti e dei gruppi
politici organizzati.
10. Un’importante caratteristica dei sistemi elettorali
concerne le modalità di selezione dei candidati. In teoria, le candidature
dovrebbero nascere dal territorio ove risiedono gli elettori, cioè i candidati
dovrebbero essere legati in qualche modo alla zona cui si raccolgono i voti.
Vediamo come il Rosatellum realizza
questo principio. Anzitutto, come si è detto, nel Rosatellum
le zone di riferimento dei diversi collegi sono ben quattro e molto diverse
tra loro per dimensione e popolazione. Perciò la condizione della territorialità
dei candidati sarà soddisfatta molto confusamente. Inoltre, secondo un
certo senso comune diffuso, i candidati territoriali dovrebbero essere scelti sul territorio. In realtà accade
spesso che i candidati siano paracadutati da altrove, solo per il fatto che si
ritiene che un certo collegio o una certa lista siano sicuri. Ebbene, nel Rosatellum non è posto alcun limite a
questo fenomeno. Un politico di Reggio Calabria può tranquillamente essere
presentato a Bergamo. Le liste sono sovrane nella dislocazione dei candidati.
Infine, una buona norma sarebbe quella che dice «una testa una candidatura»,
cioè un singolo si candida una sola
volta in un solo posto. Se non ti vogliono quelli del collegio A, perché mai
dovrebbero volerti quelli del collegio B, C, D o E? Invece nel Rosatellum
accade tutt’altro. Sono previsti
dei vincoli sul numero delle candidature individuali, tuttavia si tratta di
vincoli abbastanza deboli. Un singolo candidato può presentarsi in un solo
collegio uninominale e tuttavia può presentarsi anche in cinque
diverse liste plurinominali. In caso di vittoria in diversi ambiti non potrà
però scegliere e per lui è previsto un meccanismo di attribuzione prefissata del
seggio.
Il Rosatellum
di fatto dà facoltà ai partiti e ai gruppi politici organizzati di decidere
le candidature singole nei collegi maggioritari e le candidature multiple nei
collegi proporzionali. Saranno i partiti e i gruppi politici organizzati a
decidere di permettere a un candidato – ritenuto prezioso – di presentarsi in
molte diverse liste plurinominali, aumentando così le sue probabilità di
vittoria. Insomma, se si vuol far vincere qualcuno a tutti i costi, la strada è
comunque aperta. Ci saranno dunque candidati di serie A, presentati in più
liste, con enormi probabilità di uscire da una parte o dall’altra, e candidati
di serie B, poveretti loro, presentati in una sola lista (magari neanche in
prima posizione).
11. Un altro vincolo sulle candidature che va per la
maggiore è quello di genere. Non entriamo qui nella questione complessa circa
l’opportunità o meno di introdurre vincoli di genere alle candidature. Ci
basta costatare che il politically
correct di genere è stato ampiamente accolto nel Rosatellum.
Sono previsti, infatti, dei vincoli di genere piuttosto tassativi: gli esponenti
di ciascuna lista (da due a quattro) devono seguire la regola dell’alternanza
di genere. In più, nel complesso dei collegi uninominali e nelle posizioni
di capolista nei collegi plurinominali, i candidati di ciascun genere devono
essere compresi tra il 40% e il 60% del totale. Il calcolo è effettuato a
livello nazionale per la Camera e a livello regionale per il
Senato.
Sul politically
correct di genere di solito nessuno si lamenta, poiché non si vuol fare
brutta figura, soprattutto con l’elettorato femminile. Questo meccanismo
costituirà tuttavia una limitazione oggettiva alla formazione delle liste
poiché, oltre alla bontà in sé della candidatura, i partiti dovranno considerare
anche il genere del candidato. Candidati buoni ma di genere sbagliato potrebbero
non essere messi in lista, come potrebbero essere messi in lista candidati meno
buoni però di genere giusto. Poiché solitamente in politica nel nostro Paese c’è
un’eccedenza di uomini rispetto alle donne, in molte situazioni ci sarà la
rincorsa a cercare il candidato donna - diciamolo pure chiaro - anche col
rischio di designare un candidato di minore qualità o puramente di facciata.
L’obiezione secondo la quale ci sarebbe abbondanza di buone candidature in
entrambi i generi è ridicola e consolatoria. La classe politica italiana è
pessima in generale (si vedano i sondaggi sulla fiducia degli italiani nei
politici) e non si può dire che le pratiche di eguaglianza di genere finora
messe in pratica abbiano prodotto una sensibile inversione di tendenza. Quando
nei sondaggi gli italiani criticano la politica pare proprio non avvertano
alcuna differenza tra la politica al maschile e quella al
femminile.
12. Nonostante – come s’è ampiamente visto – i grandi
protagonisti della competizione elettorale siano i partiti e i gruppi politici
organizzati, la nuova legge dà un certo spazio ai nominativi
dei candidati. Ciò introduce la questione alquanto interessante del ruolo della
personalizzazione nel Rosatellum.
La principale fonte di personalizzazione è legata al fatto che il collegio
maggioritario uninominale non può che essere riferito a una
persona ben precisa (che dovrebbe essere ben conosciuta dal pubblico, poiché
il collegio è di piccole dimensioni). La seconda è dovuta al fatto che i collegi
maggioritari plurinominali sono caratterizzati dalle liste
corte (da due a quattro nominativi che devono essere stampati sulla scheda.
Si badi bene che le liste corte non sono una saggia e originale iniziativa dei
legislatori ma sono state rese pressoché obbligatorie da una sentenza della
Corte.
La legge dunque, pur assegnando la regia fondamentale
del processo elettorale ai partiti e ai gruppi politici, almeno nella confezione
della scheda elettorale sembra voler evidenziare i nomi dei candidati,attraverso i collegi uninominali e le
liste corte, invitando così l’elettore a riflettere non solo sui simboli dei
partiti e dei gruppi ma anche sulle caratteristiche personali dei candidati.
La scheda, in effetti, mostra
implacabilmente all’elettore: a) quali simboli di lista stanno dietro, o
accanto, ai nomi; b) quali nomi stanno dietro ai simboli partitici. È
indubbiamente una giusta complementare
informazione.
Questo è senz’altro un interessante elemento di novità
che potrebbe però anche creare esiti imprevisti. Siamo nell’epoca
dell’antipolitica e i simboli dei partiti possono suscitare forti attrazioni ma
anche forti repulsioni. Ma siamo anche nell’epoca della personalizzazione
e della politica del rancore[11] per
cui la presenza esplicita dei nomi in un collegio uninominale o in una lista può
condurre a effetti inaspettati. Può indurre un guadagno di consensi se il nome
è prestigioso e universalmente apprezzato, ma può anche indurre a una perdita
secca di consensi se il nome è controverso (chi non ha mai sentito dire: “Io
quello/a non lo/a voto manco morto!”). Siccome nell’epoca della politica del
rancore è più facile odiare che
amare, è possibilissimo che questo fatto banale produca delle sorprese in
termini di risultati (questo perché i meccanismi del rancore, come del resto
quelli del cuore, possono essere i più vari e i più
misteriosi).
Resta sullo sfondo di tutto ciò una domanda: che fine
ha fatto la retorica delle primarie?
È pur vero che per la scelta dei candidati potrebbero essere usate le
primarie, anche se queste si addicono soprattutto nell’ambito del
maggioritario. Pare però che le primarie siano sempre meno di moda. Nell’ambito
del Rosatellum ci sarebbero poi dei
limiti tecnici: è difficile immaginare l’uso delle “primarie di coalizione”
poiché i singoli partiti e le coalizioni vorranno mettere in atto liberamente
tutte le loro alchimie distributive dei candidati. E poi le coalizioni non hanno
necessariamente nemmeno un leader, perché servono – come si è visto – a ben
poco.
Quella delle primarie è un’altra delle riforme
fondamentali mai fatte: sarebbe ora di fare una legge sulle primarie che renda
le primarie vere e proprie istituzioni e non semplicemente
espedienti propagandistici di legittimazione che si possono usare o meno quando
fa comodo, come succede oggi in Italia. Ma le primarie sono legate a qualche
forma di maggioritario effettivo e non solo di facciata. E poi, per una simile
legge, occorrerebbe anche una riforma
dei partiti; anche questa è una riforma fondamentale mai fatta e che è ben
lontano anche solo dal prospettarsi.[12]
13. Nel Rosatellum dunque, il ruolo
oggettivamente preponderante delle liste è in conflitto con la
personalizzazione, cioè con la puntuale esibizione dei nominativi dei candidati.
Ciò si vede in particolare nella configurazione della scheda elettorale,
prevista nei minimi dettagli, che senz’altro avrà un suo peso nel determinare
l’effetto finale sull’elettore dell’intero
sistema.
In evidenza, in testa a ogni blocchetto di lista o di
coalizione, è riportato, a caratteri cubitali, il nome del candidato per il
collegio maggioritario. Questo sarà indubbiamente un nome conosciuto
dall’elettore, poiché i collegi del maggioritario sono più piccoli di quelli del
proporzionali. Sotto, ci sono i simboli dei partiti o gruppi che lo sostengono e
cui andrà la parte proporzionale del voto (quella che distribuirà più del 60%
dei seggi, cioè la gran parte della
posta in palio!). Come a dire che il nome cubitale è lo specchietto per attirare
le allodole verso le liste che sono il vero bottino.
Pur tuttavia accanto ai simboli ci sono anche, in
rigoroso ordine di valore e di alternanza di genere, i nomi dei candidati delle
liste dei singoli partiti o gruppi. Qui potranno esserci anche degli sconosciuti
(poiché il collegio proporzionale è decisamente più grande del collegio
maggioritario e poi perché ci saranno gli stranieri paracadutati presentati in
più collegi). Sulla base dell’effetto
complessivo (il mix persona - partito) l’elettore farà la sua scelta. Tutto
ciò dunque – dal punto di vista dell’elettore – può andare liscio se l’elettore
incontrerà perfetta congruenza
politica tra i simboli di lista e i nomi stampati sulla scheda. Qualora
l’elettore riscontri incongruenze (ad es. uno o più nomi detestati, oppure un
nome prediletto finito in una lista detestata, oppure un nome che “viene da
fuori”) potrebbe essere indotto a comportamenti di accettazione o rifiuto
strani e imprevedibili. Insomma anche il format
della scheda può amplificare le attrazioni e/o le repulsioni, rendendo
difficile prevedere l’esito della
consultazione.
14. L’elettore ha a disposizione poche e semplici
strategie per votare. A) L’unica strategia che permetterà all’elettore di
massimizzare le sue (già scarse) opzioni di scelta è quella di crocettare una
lista (cioè la patacca di un partito o di un gruppo politico organizzato). Così
facendo, il voto andrà automaticamente al candidato uninominale della
coalizione, ma ciò contribuirà anche a incrementare la proporzione di voti
distribuiti a quella specifica lista rispetto alle altre liste della coalizione.
Insomma, in un certo senso, votando la lista si può contemporaneamente mandare
avanti il nominativo uninominale preferito e decidere di
mandare avanti quella lista rispetto alle altre della coalizione. B)
L’elettore particolarmente sensibile alla personalizzazione del voto tuttavia
può scegliere di apporre soltanto la croce sul nome del candidato uninominale
maggioritario. In tal caso l’elettore rinuncia a decidere quale lista della
coalizione preferisce ma il suo voto
sarà comunque ereditato dalle liste della coalizione. In tal caso, attenti
bene, il suo voto sarà distribuito tra le liste coalizzate in
proporzione ai voti che queste hanno esplicitamente ricevuto nel collegio.
C) Nel caso in cui la lista prescelta non sia in coalizione, sarà ovviamente
indifferente votare per il candidato maggioritario o per la sua lista: la scelta
per l’uno scivolerà implacabilmente sull’altra e viceversa. Segno che il
maggioritario è più che altro illusorio.
Si sentono spesso mugugni per il fatto che non è stato
previsto il voto disgiunto (come
avviene per l’elezione dei sindaci). Molti vorrebbero scegliere una lista e,
poi, beati loro, scegliere il nome del candidato maggioritario di un’altra lista
o coalizione. Il fatto è che la filosofia della legge elettorale è nettamente
proporzionale e, quindi, non avrebbe senso scegliere prima una lista e poi
– scegliendo il nome nel collegio uninominale – scegliere ancora un’altra lista
per collegamento. O scegli una lista o ne scegli un’altra, non puoi fare due
scelte che si contraddicono. Bisognava allora separare nettamente i collegi
uninominali dalle liste plurinominali. Ma questa sarebbe stata un’altra
legge elettorale e probabilmente non sarebbe stata mai approvata. Dietro a
questa ingenua richiesta di voto
disgiunto sta tuttavia una sorta di nostalgia per il maggioritario, ma come
s’è detto, il maggioritario è stato ammazzato dal Referendum del 4 dicembre
2016. Non puoi ammazzare il maggioritario e poi rivendicare i benefici del
maggioritario!
15. Questi che abbiamo fin qui presentati ci sono parsi
gli elementi essenziali che caratterizzano il nuovo Rosatellum
e quindi i punti da tener presenti nel formularne una valutazione critica
complessiva. Naturalmente sono anche i punti da tenere presenti per esercitare
il proprio diritto di voto con consapevolezza. Secondo noi, in estrema sintesi, anche se le nostre valutazioni
sono già state spesso anticipate producendo le diverse analisi dei singoli
aspetti, il Rosatellum si
caratterizza per questi elementi di fondo:
A) Il nuovo sistema elettorale è un sistema strettamente
proporzionale con qualche mascheratura superficiale da maggioritario che
tuttavia non ne intacca la natura di fondo. Si è visto ampiamente, nell’analisi
che abbiamo fin qui condotto, che la componente proporzionale emerge
costantemente dietro a tutti i dettagli. La componente maggioritaria dunque
funziona più che altro come uno specchietto per le
allodole.
B) La frammentazione politica, uno dei mali estremi del
sistema politico italiano, è scarsamente mitigata anzi, se possibile è
accentuata dalle numerose ma confuse soglie di sbarramento. Il chiacchiericcio
intorno alle coalizioni è solo aria fritta, poiché le coalizioni secondo il Rosatellum non hanno alcun rilievo nel
momento della formazione del governo. Chiunque potrà coalizzarsi e avere qualche
seggio, per poi riprendere subito la propria libertà e decidere da che parte
stare al momento della formazione del governo. Nessun limite è stato posto alle
fratture e alle moltiplicazioni dei gruppi parlamentari che decidano di dar vita
a nuove micro formazioni politiche. Non è previsto nessun provvedimento contro i
cambi di casacca. Basterebbe una legge di due righe che dichiari che chi cambia
la casacca con la quale è stato eletto decade obbligatoriamente e subentra il
successivo (tanto più che gli elettori sono costretti a scegliere le liste dei
partiti più che le persone).
C) Le liste (cioè “i partiti e le forze politiche
organizzate”) hanno un ruolo preponderante in tutti i passaggi del processo
elettorale, nella scelta delle candidature e delle coalizioni e nel computo per
la distribuzione dei seggi. Ciò significa in Italia – lo ribadiamo ancora - una
sola cosa: il ritorno dei
partiti. Alla faccia
dell’antipolitica e della lotta contro la partitocrazia. Alla faccia soprattutto
di tutti coloro che, per anni, si sono lamentati per i governi che non
erano votati dagli italiani. A parte il fatto che in Italia c’è un regime
parlamentare e i governi non possono
essere “votati” dagli italiani, d’ora in avanti, e per un bel po’, i governi
in Italia saranno fabbricati, tenuti in vita e fatti decadere dalle segreterie
dei partiti, dai loro leader o, peggio, da gruppetti di parlamentari
scissionisti. E questi partiti sono, si badi bene, senza alcun vincolo legale,
perché una legge sui partiti secondo
l’art. 49 della Costituzione proprio non la vogliamo fare. E, come conseguenza
di tutto ciò, il Parlamento, inteso
come il luogo della formazione della volontà politica,
conterà sempre meno – a dispetto di ben due Camere e di uno spropositato
numero di parlamentari. Si noti, tra parentesi, per tutti quelli che se ne sono
scordati, che è proprio il Parlamento l’organo istituzionale direttamente
votato dagli italiani.
D) Per conseguenza dei punti precedenti, il principio
della personalizzazione (attraverso
le liste brevi nominative e la quota
di seggi nominativi assegnati col maggioritario) che è stato sventolato come una
conquista è stato implementato solo in termini superficiali e quindi funge solo
da complemento (o al più da disturbo) al proporzionale. Scegliere un nominativo
equivale a scegliere un simbolo e viceversa. Così non si parlerà più di primarie
e chi cercherà di fare le acrobazie tra le liste per scegliere le persone
migliori, non potrà che ricascare in mezzo alle liste e trovarsi a dare il suo
supporto alle liste stesse, magari senza
volerlo.
E) In ultimo, l’aspetto più catastrofico. Il nuovo
sistema, per l’assenza di premi di governabilità e/o per l’assenza di un doppio
turno, ignora totalmente la questione della stabilità e della governabilità e
rinvia la formazione del governo alle contrattazioni post elettorali. Ciò
produrrà il ritorno massiccio del regime dei governi
di coalizione, con consistenti rendite di posizione per le piccole
formazioni. Si noti che, poiché i cambiamenti di casacca continueranno a esser
permessi, continueranno a nascere e morire movimenti e formazioni partitiche
sviluppatisi da scissioni avvenute dentro o fuori il Parlamento. Con scopi che
nulla hanno a che vedere con la funzione di rappresentare
gli italiani.
16. In sintesi ancora più estrema, questa legge
elettorale sembra un mesto tentativo – davvero fuori tempo – di ripristinare
il sistema politico della Prima repubblica. Un incredibile déjà-vu.
La risposta che la politica (stiamo parlando specificatamente della XVII
legislatura) ha saputo dare ai problemi insoluti di riforma istituzionale del
nostro Paese è, in pratica, un bel ritorno al passato. A quello che –
almeno noi nati negli anni ’50 - abbiamo già visto, già sperimento, e a tutto
quello che ha contribuito grandemente a ridurci in questo stato. Come tutto ciò
possa contribuire a rafforzare la democrazia e la partecipazione dei cittadini è
alquanto misterioso. A rovescio, è altrettanto misterioso come tutto ciò possa
combattere il populismo dilagante e la cattiva
politica.
In termini di conseguenze pratiche – come i sondaggi
attuali stanno delineando – l’unica cosa che si può esattamente prevedere è il
blocco del sistema politico. Il M5S
non riuscirà a governare da solo, come vorrebbe.[13] Probabilmente non
riuscirebbe a governare neanche con un eventuale apporto della Lega. Il Centro
destra, a meno di un miracolo non riuscirà a governare da solo. Il PD non
riuscirà a governare, né con l’apporto eventuale degli acerrimi nemici di LeU né
con l’apporto di Forza Italia. È oltremodo evidente che, se si vuol proprio
individuare un principio sotterraneo che abbia guidato le forze che hanno
promosso e sostenuto il Rosatellum,
questo principio non può che essere il seguente: «Piuttosto di far governare un
altro, è meglio che non governi nessuno!». Insomma, col proporzionale in fin
dei conti non vince nessuno così,
in un certo senso, vincono tutti. Un
tipico principio da Prima Repubblica o, se si vuole, da Repubblica dei Partiti.
Ritorniamo dunque alla politica del
rancore e alla teoria della
sconfitta utile di cui si è già ampiamente
parlato.[14]
17. Da dove origina tutto ciò? Storicamente, come
abbiamo già avuto più volte modo di sottolineare, questa legge elettorale è la
diretta conseguenza del Referendum del 4 dicembre 2016. Una sconfitta del
SÌ
per 40 a 60 che ha segnato la
fine (per qualche decennio) di qualsiasi tentativo di riforma istituzionale, la
fine del maggioritario, delle primarie, del premio di governabilità e del doppio
turno. Dunque sono padri di fatto di
questa legge, volontari o
involontari,[15] tutti gli appartenenti a quell’ampio eterogeneo fronte che
ha scelto di votare e far votare NO al referendum. Secondo Wikipedia, alla voce
relativa al Referendum del 4 dicembre, questi sono stati i principali
sostenitori del fronte del NO: «Partiti per il no: Conservatori e Riformisti,
Forza Italia, Fratelli d'Italia, Lega Nord, Movimento 5 Stelle, Rifondazione
Comunista, Sinistra Italiana - Sinistra Ecologia Libertà, Unione di Centro.
Altre organizzazioni per il no: ANPI, ARCI, CGIL, Cobas, CUB-Confederazione
Unitaria di Base, FIOM, Italianieuropei, Libertà e Giustizia, Magistratura
democratica, Rete degli studenti medi, Unione degli universitari, UGL-Unione
Generale del Lavoro, USB-Unione Sindacale di Base». L’elenco è sicuramente
incompleto. Questi sono i veri padri del Rosatellum, non certo il PD (che aveva
sostenuto il maggioritario a doppio turno) o il tanto vituperato Ettore Rosato.
Costoro si difenderanno certamente asserendo che,
votando NO, intendevano raggiungere ben altri validi obiettivi e non
intendevano avallare un sistema elettorale proporzionale da Prima
Repubblica. Certo, magari non intendevano, ma questo è stato oggettivamente
il risultato. Spesso gli sbadati producono dei disastri che non
intendevano. In sociologia si
chiamano effetti perversi, mentre in
psicologia si parla di effetto
boomerang. Gioverebbe anche una piccola riflessione sulla differenza tra
l’etica dell’intenzione e l’etica della responsabilità. Si è
preferito difendere improbabili
valori (su cui neanche si concordava – in un incredibile schieramento da
Fratelli d’Italia a Rifondazione Comunista!) che cercare di essere, una volta
tanto, responsabili.
Si badi bene che con ciò non si vuol sostenere che le
riforme istituzionali di Renzi e Napolitano fossero esenti da difetti. Avevano
anzi molti limiti, molti difetti, i quali certo hanno anche contribuito alla
loro mancata approvazione.[16] Senz’altro però non avevano proprio nulla a che
fare col proporzionale spinto e con le sue conseguenze che andremo a
sperimentare nella consultazione elettorale del prossimo marzo e nei successivi
tentativi che si faranno per formare un governo. Se le conseguenze saranno gravi
e oltremodo dannose per il sistema politico italiano, e per tutti noi, come
sembra si possa ragionevolmente prevedere, può darsi che la proposta di riforma
Renzi – Napolitano, col senno di poi, possa cominciare ad apparire come il male minore, anche a chi l’ha
avversata. Ormai però i giochi son fatti e non possiamo più rimettere il
dentifricio nel tubetto.
Giuseppe
Rinaldi
20/12/2017
NOTE
[1] I due sistemi che possono essere considerati in un
certo senso “puri”, e dunque non misti, sono il sistema maggioritario
e il sistema proporzionale.
[2] Per quanto possa essere dummy
il mio lettore ideale destinatario, do qui per scontata la conoscenza del
significato di proporzionale e maggioritario.
[3] Questa è la dizione ufficiale che si trova nello
stesso testo legislativo.
[4] Sulle liste bloccate esiste una polemica lunga. Le
liste furono bloccate perché si diceva che le preferenze fossero portatrici del
voto mafioso e clientelare. Il controllo dei partiti sulle candidature avrebbe
così impedito forme d’infiltrazione criminale. Tuttavia la degenerazione dei
partiti in gruppi affaristici e le stesse infiltrazioni mafiose nei partiti
hanno riproposto la opportunità di dare ai cittadini la possibilità di scegliere
i candidati. La svolta proporzionale
– derivata dal Referendum – non poteva però che portare con sé anche una ripresa
di controllo dei partiti sulle liste. Questa trasformazione tuttavia è avvenuta
senza alcuna riforma dei partiti e
di ciò si vedranno le conseguenze. La questione tuttavia è moderata dal fatto
che le liste sono brevi (2-4 nomi) e i nomi saranno stampati sulla scheda
elettorale. I diversi partiti e gli elettori quindi non potranno avere troppe
scuse se metteranno in lista e voteranno degli
impresentabili.
[5] Il premio di coalizione era previsto dal Porcellum.
Si noti che il PD, nonostante la cosiddetta non vittoria di Bersani del 2013, ha
potuto godere di un premio di coalizione. Sennò la XVII legislatura sarebbe
finita dopo poche settimane. L’Italicum prevedeva il doppio
turno.
[6] Si ricordi che la rappresentazione non è mai
perfetta. Qualche tipo di distorsione è comunque sempre presente in tutti i
sistemi elettorali.
[7] Su questo punto vedi il mio articolo: I
democratici con la patente (e quelli senza), del 1 agosto 2017, pubblicato
sul mio blog Finestrerotte.
[8] L’unico modo per contenere la protervia
partitocratica sarebbe stato quella di fare una legge di regolamentazione dei
partiti. Legge che ovviamente tra tanto populismo e tanta antipolitica nessuno
ha voluto fare.
[9] Vedi il mio articolo già citato I
democratici con la patente (e quelli senza), del 1 agosto 2017 sul blog Finestrerotte.
[10] La legge definisce esattamente cosa significa
partito e/o gruppo politico organizzato e quali siano i relativi adempimenti per
partecipare al processo elettorale.
[11] Così il CENSIS nel suo ultimo rapporto ha definito
la situazione attuale del nostro Paese.
[12] In molte occasioni pubbliche ho sostenuto
l’opportunità prioritaria di fare – nel nostro Paese – una legge sui partiti,
in ottemperanza dell’art. 49 della Costituzione, ma sono sempre stato ignorato
dagli astanti, quando non sberleffato. Tutti in Italia dicono di odiare i
partiti ma tutti rifiutano di fare l’unica cosa sensata per mettere al loro
posto i partiti: una bella legge di regolamentazione dei partiti, come ad
esempio quella tedesca.
[13] Molti affermano che il M5S sia il più danneggiato
dal Rosatellum. Che addirittura sia
stato studiato per questo scopo. Ma val proprio la pena di ricordare che “chi è
causa del suo mal, pianga se stesso”. Con il sistema elettorale che sarebbe
uscito se avesse vinto il SI’ al Referendum e quindi con un premio per la
governabilità e doppio turno (insomma, un Italicum
aggiustato – che avrebbe avuto comunque un premio di maggioranza) il M5S avrebbe
avuto molte più probabilità di vincere e di riuscire a
governare.
[14] Vedi il mio recente articolo: La
teoria della sconfitta utile, del 3 dicembre 2017 sul blog Finestrerotte.
L’articolo è stato pubblicato anche su Città Futura
on-line.
[15] Com’è noto, nel mondo sociale, gli effetti delle
scelte possono anche essere del tutto sconosciuti agli autori delle scelte
stesse. Esiste un’ampia letteratura sugli effetti
perversi del comportamento sociale che sarebbe il caso di
meditare.
[16] La maggior parte di coloro che hanno votato NO al
Referendum non erano certamente costernati per la cattiva qualità della legge di
riforma e avevano in mente di raggiungere ben altri obiettivi. L’Italia
purtroppo non è piena di Zagrebelsky. Per chi fosse eventualmente interessato,
la mia analisi approfondita della proposta di riforma costituzionale si trova
nell’articolo: Cronache marziane,
del 30 novembre 2016 sul blog Finestrerotte.