mercoledì 20 dicembre 2017

Rosatellum for Dummies

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1. La nuova legge elettorale (il cosiddetto Rosatellum, approvato in via definitiva il 24 ottobre 2017) contiene diversi aspetti inconsueti e alquanto poco intuitivi che tuttavia è bene conoscere, allo scopo di comprendere quel che ci possiamo attendere dalle prossime consultazioni elettorali. Si tratta, insomma, di capire cosa potrebbe succedere nel sistema politico italiano per effetto della nuova legge elettorale, poiché, com’è noto, le leggi elettorali sono elementi davvero centrali nella strutturazione e nella manutenzione dei sistemi politici. In quel che segue, si cercherà di esporre in forma critica e nella maniera più chiara possibile le caratteristiche di fondo del nuovo sistema elettorale. Si cercherà altresì di produrne una valutazione complessiva e di formulare qualche previsione sul suo funzionamento. Premetto che non sono un esperto della materia. Le mie conoscenze sono quelle che ci si può attendere da un cittadino appena decentemente informato e le mie valutazioni saranno basate sul comune spirito critico che dovrebbe essere patrimonio di tutti e non solo degli specialisti.

2. Considerato in termini generali, il Rosatellum è un sistema elettorale misto[1] che può essere concepito essenzialmente come un proporzionale corretto con una piccola quota di maggioritario.[2] Si tratta dunque di un sistema dove a competere sono per lo più le liste (dei partiti e dei gruppi politici organizzati[3]) e non i candidati in qualità di singoli individui. Il Rosatellum prevede, infatti, che il 61% dei seggi sia distribuito tra le liste con un criterio proporzionale ai voti ottenuti. Le liste sono bloccate in ordine rigoroso di graduatoria e sono decise dalle forze politiche.[4] Solo il 37% dei seggi è distribuito con un sistema maggioritario uninominale, dove a competere, per l’unico seggio in palio in ciascun collegio, sono i singoli candidati. Tuttavia, come si vedrà, questi candidati uninominali sono indissolubilmente collegati alle liste, ricevono il voto dalle liste e trasferiscono automaticamente il loro voto alle liste stesse. Per completezza d’informazione, diremo che il restante 2% dei seggi è destinato al voto degli italiani all’estero, definito con un meccanismo particolare.

3. La nuova legge elettorale si applica – è forse il caso di sottolinearlo - all’attuale sistema bicamerale che è stato salvato e rimesso in vigore dalle note vicende relative al Referendum del 4 dicembre 2016. In proposito, va aggiunto che il Rosatellum si è reso necessario (questa è forse la sua unica e sostanziale giustificazione) per omogeneizzare le regole elettorali tra i due rami del Parlamento, le quali erano state rese disomogenee dal fatto che l’italicum era stato previsto solo per la Camera e, poi, dalla sforbiciatura operata dalla Corte costituzionale. Almeno in quest’opera di omogeneizzazione, l’intento pare riuscito. Per molti aspetti il nuovo sistema elettorale, in effetti, è analogo sia per la Camera sia per il Senato. La differenza di maggior rilievo è quella tradizionale per cui la distribuzione dei seggi per la Camera avviene a livello nazionale, mentre per il Senato avviene su base regionale. Va detto che, in ogni caso, il nuovo sistema, per quanto reso relativamente omogeneo, non è in grado di scongiurare una situazione di maggioranze diverse alla Camera e al Senato, dovute magari a differenze di pochi seggi. Si tratta anzi di un’eventualità molto probabile, visto l’accentuato tripolarismo del nostro attuale spazio politico.

4. L’aspetto politico più rilevante della nuova legge, elemento questo spesso trascurato dai commentatori, è il fatto che non è previsto alcun premio di maggioranza o di governabilità alla lista o alla coalizione che abbia ottenuto il maggior numero di voti. Non è neppure previsto un doppio turno che consenta lo spareggio tra i primi classificati.[5] Questo vuol dire che ciascuna lista tiene esattamente i voti/ seggi che ha preso nel corso del processo elettorale (da sola o in coalizione con altre). Lo scopo fondamentale del processo elettorale, come previsto dalla nuova legge, sarebbe dunque quello di “rappresentare” in maniera relativamente fedele gli schieramenti di partito presenti nell’elettorato.[6] «Poi si vedrà», come ha asserito Bersani.
Insomma, invece di assicurare a priori la governabilità attraverso un qualche meccanismo di premio o di doppio turno (per riuscire finalmente a “sapere il giorno dopo le elezioni chi ha vinto e chi governa per un’intera legislatura”) il Rosatellum rimanda a dopo le elezioni ogni decisione circa la formazione del governo (tranne il raro caso in cui una singola lista riesca a guadagnare più del 50% dei seggi, sia alla Camera sia al Senato). Un certo fondamentalismo rappresentazionale sembra abbia dunque definitivamente vinto sull’esigenza di dare un governo stabile al Paese.[7]
Questa scelta di fondo, si noti bene, è avvenuta nella attuale situazione dell’arena politica che è  praticamente tripolare, una situazione per di più in cui un importante partito, il M5S, non è disposto a fare alcuna alleanza di governo con chicchessia. Ciò non potrà che conferire ai partiti (quelli grandi e soprattutto quelli piccoli) la facoltà ultima di decidere la composizione del governo. Insomma, i partiti sono al centro del nuovo sistema elettorale e saranno soprattutto al centro nel momento della composizione del governo. Se questo è l’approdo dell’antipolitica degli ultimi anni, se questo è il risultato finale delle varie proposte di riforma istituzionale che si sono succedute, c’è veramente da allibire. Tutto questo – lo ribadiamo - significa una cosa sola: i partiti sono tornati.[8]

5. La nuova legge elettorale ammette le coalizioni ma queste servono soltanto per il computo dei voti e la distribuzione dei seggi durante il processo elettorale e non hanno alcun effetto diretto sulla formazione del governo. Una coalizione tra liste che sia costituita secondo il Rosatellum vale ai soli fini elettorali e, di fatto, è sciolta il giorno dopo le elezioni, salvo la volontà delle liste coalizzate di proseguire la loro collaborazione in altri modi. L’unica traccia materiale della coalizione avvenuta saranno quei parlamentari eletti col maggioritario che dovranno il loro seggio al concorso dei voti di diverse liste, alle quali dovranno in qualche modo fedeltà. In caso di rottura politica tra le liste che li hanno sostenuti, fatto non impossibile, anzi piuttosto probabile, molti di costoro dovranno scegliere a chi obbedire. Ciò perché, nonostante l’apparenza, i veri protagonisti sono i singoli partiti (con le loro liste) e non le coalizioni.
La filosofia di fondo accolta dal legislatore è dunque la solita di tutti i sistemi proporzionali: prima si costruisce la rappresentanza in parlamento (alla quale si attribuisce una finzione di oggettività) e poi si vede se e come è possibile formare un governo. Con ciò avremo sempre governi deboli, sottoposti continuamente ai ricatti di gruppi e gruppetti, e di breve durata. Il tutto sacrificato in nome del mito della rappresentazione oggettiva dell’elettorato. I sostenitori del proporzionale spinto sono stati dunque ampiamente accontentati.[9] Costoro però sembrano non essersene accorti, perché i mugugni contro il Rosatellum vengono anche e soprattutto da parte dei proporzionalisti delusi. Delusi da cosa? Questo è il sistema che i proporzionalisti hanno sempre sognato! Certuni non si accorgono neppure d’aver vinto, quando hanno vinto.

6. Se così stanno le cose, perché nel dibattito politico di queste settimane si parla tanto di coalizioni, prefigurando addirittura delle coalizioni di governo e dei premier di coalizione? In verità, il fatto che in questi giorni si parli di programmi della coalizione e di premier (cose di cui si sta ampiamente discutendo ad es. nel Centro Destra) non c’entra nulla col Rosatellum. Il Rosatellum in realtà non prevede affatto programmi di coalizione e leader di coalizione. Si tratta evidentemente di espedienti puramente propagandistici e spettacolari, allo scopo di presentarsi apparentemente uniti di fronte agli elettori. Sintomatico di questa volatilità delle coalizioni realizzate col Rosatellum è il fatto che qualche tempo fa qualcuno ha proposto di andare dal notaio per siglare un patto di coalizione (come fosse contratto privato!). Nel Centro Destra, Salvini ripete sempre, un giorno sì e uno no, che il premier della coalizione candidato al governo sarà il capo della lista che ha ricevuto maggiori voti (cioè il premier si decide dopo). Queste pratiche retoriche e queste acrobazie verbali tradiscono tuttavia una certa nostalgia per i premi di coalizione e per un leader della coalizione che sia anche premier in pectore. Signori miei, non è più così. Il premio di coalizione e il candidato premier erano previsti dalle leggi elettorali che voi stessi avete rifiutato e affondato. Forse avete perso qualche puntata.
Si noti che la nuova formazione denominata Liberi e Uguali, nata esclusivamente per partecipare alle elezioni (anche se taluni speranzosi vorrebbero si trasformasse in un partito politico vero e proprio) non è affatto una coalizione bensì una lista singola (cioè, essa figura giuridicamente, ai sensi del Rosatellum, non come un partito bensì come un gruppo politico organizzato).[10] I tre partiti che hanno dato vita alla lista infatti non compariranno in coalizione. Sulla scheda elettorale i simboli di MDP, di Possibile e di SI non ci saranno. Ci sarà solo il simbolo di LeU e il nome di Grasso in quanto leader. Siamo dunque di fronte a una lista di un singolo movimento politico organizzato, che s’identifica con un leader (tanto da avere il suo nome stampato sul simbolo) e che dovrebbe presentare un suo specifico programma politico. Dietro alla lista ci sono tre micro partiti politici che non si presenteranno alle elezioni, che sosterranno la lista ma che manterranno pienamente la loro autonomia organizzativa. La ragione fondamentale di questa scelta sta nel fatto che il Rosatellum per le coalizioni prevede uno sbarramento al 10%, mentre lo sbarramento per le liste è al 3%. Evidentemente i partiti promotori non si sono sentiti di rischiare la soglia del 10%.

7. Quali sono allora i veri vantaggi in termini elettorali delle coalizioni secondo il Rosatellum? Ci sono due tipi di vantaggi:
a) Le coalizioni tra liste possono sperare di vincere più facilmente nei collegi uninominali. Infatti il candidato uninominale deve essere associato alla coalizione e dunque questi può sperare di ottenere un voto in più degli altri per avere il seggio che è messo in palio. Insomma, in una coalizione, le diverse liste si mettono d’accordo sul nome di un candidato nel collegio maggioritario e si impegnano a votarlo e farlo votare. Così hanno più probabilità di farlo vincere.
b) Le coalizioni tra liste, nella parte proporzionale, possono accedere al riparto dei seggi in quanto coalizioni e quindi possono godere di qualche vantaggio aritmetico. In particolare poi le coalizioni hanno dei vantaggi per quel che concerne le soglie. Possono incamerare anche i voti delle piccole formazioni coalizzate che non abbiano superato la soglia del 3% (purché abbiano conseguito almeno l’1%). In sostanza le coalizioni consentono di abbassare lo sbarramento per le singole liste dal 3% all’1%. Ciò può dare qualche spazio più agevole alle piccole formazioni, allargando il voto utile. Ad esempio, se una lista Bonino fosse coalizzata col PD, un elettore radicale potrebbe tranquillamente votare la lista Bonino, certo che il suo voto andrebbe a beneficio della coalizione e non andrebbe disperso (la soglia minima in tal caso sarebbe quella di avere l’1% a livello nazionale).

8. Un altro aspetto politicamente rilevante da considerare, nel valutare le conseguenze del Rosatellum, è la questione della frammentazione politica. Tutti, a parole, ammettono che la frammentazione politica sia un male, ma poi nessuno vuole davvero evitarla. Le soglie di sbarramento costituiscono uno dei classici metodi per impedire la frammentazione politica. Nel Rosatellum ci sono davvero tante soglie, assai contorte, che però, complessivamente, hanno scarsi effetti di contenimento della frammentazione. Molto rumore per nulla.
La svolta proporzionalista implica che le soglie siano piuttosto basse e che, quindi, anche partiti molto piccoli possano avere qualche seggio. Quest’opportunità è accresciuta dalla permanenza del bicameralismo e dal numero davvero alto di parlamentari. Insomma, c’è posto per tutti. Tutte le sacrosante sensibilità politiche saranno accuratamente rappresentate in modo veramente democratico. E, soprattutto, tutti potranno poi entrare – a elezioni avvenute - nel mercato per la formazione del governo, chiedendo ovviamente in cambio qualcosa.
  Il meccanismo delle soglie previste dal Rosatellum è piuttosto intricato (e per questo non ci inoltreremo in tutti i dettagli). Ridotta la questione all’osso, ci sono due soglie che possono avere effetti sensibili di ordine generale: a) la soglia del 3% per le liste (cioè partiti e gruppi politici organizzati) e la soglia del 10% per le coalizioni. Diciamo subito che si tratta di soglie che, lungi dall’esser rigide, possono essere aggirate facilmente.
A) La soglia più autentica è quella del 3% per le liste. In generale un partito o gruppo politico organizzato che abbia presentato una lista concorre alla spartizione dei seggi solo se ha superato la soglia del 3%. La soglia è tuttavia in un certo senso aggirabile. Come abbiamo già anticipato, se la lista che non ha superato la soglia del 3% sta in una coalizione, i suoi voti al di sopra dell’1% non sono completamente gettati ma sono ereditati dalla coalizione stessa e concorrono alla distribuzione dei seggi. Solo i voti sotto all’1% sono effettivamente persi. Quindi, in questo caso, le coalizioni possono essere in grado di rastrellare e utilizzare i voti di formazioni che altrimenti non arriverebbero al 3%.
B) Vediamo ora il limite per le coalizioni. Le coalizioni tra liste devono raggiungere come minimo il 10% dei voti a livello nazionale (sia alla camera che al senato). Qualora però ciò non accada, le conseguenze non sono molto gravi: i seggi sarebbero attribuiti alle singole liste come se fossero non coalizzate (in questo caso, le singole liste incorrerebbero però nello sbarramento del 3%).
Da tutto ciò si comprende come il contrasto alla frammentazione politica previsto dal Rosatellum sia davvero debole. C’è il modo per dare la speranza di un posto quasi a tutti. Come dire, quasi tutti potranno avere nei fatti una specie di diritto di tribuna. Maggiore è la frammentazione politica, ovviamente più difficile sarà, dopo le elezioni, costruire delle alleanze di governo per arrivare ad avere la maggioranza sia alla Camera sia al Senato. In questo processo, le piccole formazioni potranno essere anche determinanti (soprattutto se ci saranno maggioranze diverse alla Camera e al Senato) e potranno imporre le loro richieste e i loro veti.

9. Possiamo passare ora a questioni leggermente più concrete. Tanto per capire il funzionamento del meccanismo, vale la pena di riportare qualche informazione sulle ripartizioni territoriali previste nel processo elettorale. La legge determina il numero delle circoscrizioni che sono lievemente diverse per la Camera e il Senato. Per il Senato, le circoscrizioni sono 20, coincidenti senza eccezioni con il territorio delle Regioni. Per la Camera dei deputati, le circoscrizioni sono 28. Esse coincidono prevalentemente con il territorio delle Regioni. Tuttavia per alcune Regioni più popolose si hanno più circoscrizioni: 4 per la Lombardia; 2 per il Piemonte, per il Veneto, per il Lazio, per la Campania, per la Sicilia. Ciascuna circoscrizione è poi suddivisa in collegi uninominali (maggioritari) e in collegi plurinominali (proporzionali). Di norma i collegi uninominali sono più piccoli e i collegi plurinominali sono costituiti dall’aggregazione di un certo numero di collegi uninominali contigui. Da tutto ciò deriva che la suddivisione territoriale del voto è diversa per la Camera e il Senato, anche se possono esserci delle sostanziose sovrapposizioni. Si ricordi anche che i seggi per la Camera sono assegnati su base nazionale, mentre al Senato sono assegnati su base regionale.
Vediamo in pratica come funziona. Un elettore alessandrino, mettendo una crocetta sulla scheda elettorale della Camera e una su quella del Senato:

- contribuirà a eleggere 1 deputato in collegio uninominale (collegio di Alessandria – senza però Acqui e Casale!)
- contribuirà a eleggere 8 deputati in collegio plurinominale, su lista breve bloccata (collegio di Alessandria, Asti, Cuneo e Alba)
- contribuirà a eleggere 1 senatore in collegio uninominale (collegio di Alessandria, Asti e Acqui – ma non Casale!)
- contribuirà a eleggere 7 senatori in collegio plurinominale, su lista breve bloccata (collegio di Vercelli, Novara, Cuneo, Alessandria/Asti)

 Cioè, le due crocette del nostro elettore, come si può ben vedere, andranno a spalmarsi su quattro entità territoriali davvero molto diverse per dimensione, popolazione e un’infinità di altre caratteristiche. Per lo meno, in caso di bisogno, gli elettori alessandrini avranno un sacco di Santi in paradiso cui rivolgersi! Si tenga conto comunque che, mentre si può presumere (anche se niente lo obbliga) che i candidati nei collegi uninominali appartengano al territorio locale, i candidati nei collegi plurinominali non è detto che provengano dal territorio, possono anzi essere paracadutati nelle liste da ovunque, per scelta dei partiti e dei gruppi politici organizzati.

10. Un’importante caratteristica dei sistemi elettorali concerne le modalità di selezione dei candidati. In teoria, le candidature dovrebbero nascere dal territorio ove risiedono gli elettori, cioè i candidati dovrebbero essere legati in qualche modo alla zona cui si raccolgono i voti. Vediamo come il Rosatellum realizza questo principio. Anzitutto, come si è detto, nel Rosatellum le zone di riferimento dei diversi collegi sono ben quattro e molto diverse tra loro per dimensione e popolazione. Perciò la condizione della territorialità dei candidati sarà soddisfatta molto confusamente. Inoltre, secondo un certo senso comune diffuso, i candidati territoriali dovrebbero essere scelti sul territorio. In realtà accade spesso che i candidati siano paracadutati da altrove, solo per il fatto che si ritiene che un certo collegio o una certa lista siano sicuri. Ebbene, nel Rosatellum non è posto alcun limite a questo fenomeno. Un politico di Reggio Calabria può tranquillamente essere presentato a Bergamo. Le liste sono sovrane nella dislocazione dei candidati. Infine, una buona norma sarebbe quella che dice «una testa una candidatura», cioè un singolo si candida una sola volta in un solo posto. Se non ti vogliono quelli del collegio A, perché mai dovrebbero volerti quelli del collegio B, C, D o E? Invece nel Rosatellum accade tutt’altro. Sono previsti dei vincoli sul numero delle candidature individuali, tuttavia si tratta di vincoli abbastanza deboli. Un singolo candidato può presentarsi in un solo collegio uninominale e tuttavia può presentarsi anche in cinque diverse liste plurinominali. In caso di vittoria in diversi ambiti non potrà però scegliere e per lui è previsto un meccanismo di attribuzione prefissata del seggio.
Il Rosatellum di fatto dà facoltà ai partiti e ai gruppi politici organizzati di decidere le candidature singole nei collegi maggioritari e le candidature multiple nei collegi proporzionali. Saranno i partiti e i gruppi politici organizzati a decidere di permettere a un candidato – ritenuto prezioso – di presentarsi in molte diverse liste plurinominali, aumentando così le sue probabilità di vittoria. Insomma, se si vuol far vincere qualcuno a tutti i costi, la strada è comunque aperta. Ci saranno dunque candidati di serie A, presentati in più liste, con enormi probabilità di uscire da una parte o dall’altra, e candidati di serie B, poveretti loro, presentati in una sola lista (magari neanche in prima posizione).

11. Un altro vincolo sulle candidature che va per la maggiore è quello di genere. Non entriamo qui nella questione complessa circa l’opportunità o meno di introdurre vincoli di genere alle candidature. Ci basta costatare che il politically correct di genere è stato ampiamente accolto nel Rosatellum. Sono previsti, infatti, dei vincoli di genere piuttosto tassativi: gli esponenti di ciascuna lista (da due a quattro) devono seguire la regola dell’alternanza di genere. In più, nel complesso dei collegi uninominali e nelle posizioni di capolista nei collegi plurinominali, i candidati di ciascun genere devono essere compresi tra il 40% e il 60% del totale. Il calcolo è effettuato a livello nazionale per la Camera e a livello regionale per il Senato.
Sul politically correct di genere di solito nessuno si lamenta, poiché non si vuol fare brutta figura, soprattutto con l’elettorato femminile. Questo meccanismo costituirà tuttavia una limitazione oggettiva alla formazione delle liste poiché, oltre alla bontà in sé della candidatura, i partiti dovranno considerare anche il genere del candidato. Candidati buoni ma di genere sbagliato potrebbero non essere messi in lista, come potrebbero essere messi in lista candidati meno buoni però di genere giusto. Poiché solitamente in politica nel nostro Paese c’è un’eccedenza di uomini rispetto alle donne, in molte situazioni ci sarà la rincorsa a cercare il candidato donna - diciamolo pure chiaro - anche col rischio di designare un candidato di minore qualità o puramente di facciata. L’obiezione secondo la quale ci sarebbe abbondanza di buone candidature in entrambi i generi è ridicola e consolatoria. La classe politica italiana è pessima in generale (si vedano i sondaggi sulla fiducia degli italiani nei politici) e non si può dire che le pratiche di eguaglianza di genere finora messe in pratica abbiano prodotto una sensibile inversione di tendenza. Quando nei sondaggi gli italiani criticano la politica pare proprio non avvertano alcuna differenza tra la politica al maschile e quella al femminile.

12. Nonostante – come s’è ampiamente visto – i grandi protagonisti della competizione elettorale siano i partiti e i gruppi politici organizzati, la nuova legge dà un certo spazio ai nominativi dei candidati. Ciò introduce la questione alquanto interessante del ruolo della personalizzazione nel Rosatellum. La principale fonte di personalizzazione è legata al fatto che il collegio maggioritario uninominale non può che essere riferito a una persona ben precisa (che dovrebbe essere ben conosciuta dal pubblico, poiché il collegio è di piccole dimensioni). La seconda è dovuta al fatto che i collegi maggioritari plurinominali sono caratterizzati dalle liste corte (da due a quattro nominativi che devono essere stampati sulla scheda. Si badi bene che le liste corte non sono una saggia e originale iniziativa dei legislatori ma sono state rese pressoché obbligatorie da una sentenza della Corte.
La legge dunque, pur assegnando la regia fondamentale del processo elettorale ai partiti e ai gruppi politici, almeno nella confezione della scheda elettorale sembra voler evidenziare i nomi dei candidati,attraverso i collegi uninominali e le liste corte, invitando così l’elettore a riflettere non solo sui simboli dei partiti e dei gruppi ma anche sulle caratteristiche personali dei candidati.  La scheda, in effetti, mostra implacabilmente all’elettore: a) quali simboli di lista stanno dietro, o accanto, ai nomi; b) quali nomi stanno dietro ai simboli partitici. È indubbiamente una giusta complementare informazione.
Questo è senz’altro un interessante elemento di novità che potrebbe però anche creare esiti imprevisti. Siamo nell’epoca dell’antipolitica e i simboli dei partiti possono suscitare forti attrazioni ma anche forti repulsioni. Ma siamo anche nell’epoca della personalizzazione e della politica del rancore[11] per cui la presenza esplicita dei nomi in un collegio uninominale o in una lista può condurre a effetti inaspettati. Può indurre un guadagno di consensi se il nome è prestigioso e universalmente apprezzato, ma può anche indurre a una perdita secca di consensi se il nome è controverso (chi non ha mai sentito dire: “Io quello/a non lo/a voto manco morto!”). Siccome nell’epoca della politica del rancore è più facile odiare che amare, è possibilissimo che questo fatto banale produca delle sorprese in termini di risultati (questo perché i meccanismi del rancore, come del resto quelli del cuore, possono essere i più vari e i più misteriosi).
Resta sullo sfondo di tutto ciò una domanda: che fine ha fatto la retorica delle primarie? È pur vero che per la scelta dei candidati potrebbero essere usate le primarie, anche se queste si addicono soprattutto nell’ambito del maggioritario. Pare però che le primarie siano sempre meno di moda. Nell’ambito del Rosatellum ci sarebbero poi dei limiti tecnici: è difficile immaginare l’uso delle “primarie di coalizione” poiché i singoli partiti e le coalizioni vorranno mettere in atto liberamente tutte le loro alchimie distributive dei candidati. E poi le coalizioni non hanno necessariamente nemmeno un leader, perché servono – come si è visto – a ben poco.
Quella delle primarie è un’altra delle riforme fondamentali mai fatte: sarebbe ora di fare una legge sulle primarie che renda le primarie vere e proprie istituzioni e non semplicemente espedienti propagandistici di legittimazione che si possono usare o meno quando fa comodo, come succede oggi in Italia. Ma le primarie sono legate a qualche forma di maggioritario effettivo e non solo di facciata. E poi, per una simile legge, occorrerebbe anche una riforma dei partiti; anche questa è una riforma fondamentale mai fatta e che è ben lontano anche solo dal prospettarsi.[12]

13. Nel Rosatellum dunque, il ruolo oggettivamente preponderante delle liste è in conflitto con la personalizzazione, cioè con la puntuale esibizione dei nominativi dei candidati. Ciò si vede in particolare nella configurazione della scheda elettorale, prevista nei minimi dettagli, che senz’altro avrà un suo peso nel determinare l’effetto finale sull’elettore dell’intero sistema.
In evidenza, in testa a ogni blocchetto di lista o di coalizione, è riportato, a caratteri cubitali, il nome del candidato per il collegio maggioritario. Questo sarà indubbiamente un nome conosciuto dall’elettore, poiché i collegi del maggioritario sono più piccoli di quelli del proporzionali. Sotto, ci sono i simboli dei partiti o gruppi che lo sostengono e cui andrà la parte proporzionale del voto (quella che distribuirà più del 60% dei seggi, cioè la gran parte della posta in palio!). Come a dire che il nome cubitale è lo specchietto per attirare le allodole verso le liste che sono il vero bottino.
Pur tuttavia accanto ai simboli ci sono anche, in rigoroso ordine di valore e di alternanza di genere, i nomi dei candidati delle liste dei singoli partiti o gruppi. Qui potranno esserci anche degli sconosciuti (poiché il collegio proporzionale è decisamente più grande del collegio maggioritario e poi perché ci saranno gli stranieri paracadutati presentati in più collegi). Sulla base dell’effetto complessivo (il mix persona - partito) l’elettore farà la sua scelta. Tutto ciò dunque – dal punto di vista dell’elettore – può andare liscio se l’elettore incontrerà perfetta congruenza politica tra i simboli di lista e i nomi stampati sulla scheda. Qualora l’elettore riscontri incongruenze (ad es. uno o più nomi detestati, oppure un nome prediletto finito in una lista detestata, oppure un nome che “viene da fuori”) potrebbe essere indotto a comportamenti di accettazione o rifiuto strani e imprevedibili. Insomma anche il format della scheda può amplificare le attrazioni e/o le repulsioni, rendendo difficile prevedere l’esito della consultazione.

14. L’elettore ha a disposizione poche e semplici strategie per votare. A) L’unica strategia che permetterà all’elettore di massimizzare le sue (già scarse) opzioni di scelta è quella di crocettare una lista (cioè la patacca di un partito o di un gruppo politico organizzato). Così facendo, il voto andrà automaticamente al candidato uninominale della coalizione, ma ciò contribuirà anche a incrementare la proporzione di voti distribuiti a quella specifica lista rispetto alle altre liste della coalizione. Insomma, in un certo senso, votando la lista si può contemporaneamente mandare avanti il nominativo uninominale preferito e decidere di mandare avanti quella lista rispetto alle altre della coalizione. B) L’elettore particolarmente sensibile alla personalizzazione del voto tuttavia può scegliere di apporre soltanto la croce sul nome del candidato uninominale maggioritario. In tal caso l’elettore rinuncia a decidere quale lista della coalizione preferisce ma il suo voto sarà comunque ereditato dalle liste della coalizione. In tal caso, attenti bene, il suo voto sarà distribuito tra le liste coalizzate in proporzione ai voti che queste hanno esplicitamente ricevuto nel collegio. C) Nel caso in cui la lista prescelta non sia in coalizione, sarà ovviamente indifferente votare per il candidato maggioritario o per la sua lista: la scelta per l’uno scivolerà implacabilmente sull’altra e viceversa. Segno che il maggioritario è più che altro illusorio.
Si sentono spesso mugugni per il fatto che non è stato previsto il voto disgiunto (come avviene per l’elezione dei sindaci). Molti vorrebbero scegliere una lista e, poi, beati loro, scegliere il nome del candidato maggioritario di un’altra lista o coalizione. Il fatto è che la filosofia della legge elettorale è nettamente proporzionale e, quindi, non avrebbe senso scegliere prima una lista e poi – scegliendo il nome nel collegio uninominale – scegliere ancora un’altra lista per collegamento. O scegli una lista o ne scegli un’altra, non puoi fare due scelte che si contraddicono. Bisognava allora separare nettamente i collegi uninominali dalle liste plurinominali. Ma questa sarebbe stata un’altra legge elettorale e probabilmente non sarebbe stata mai approvata. Dietro a questa ingenua richiesta di voto disgiunto sta tuttavia una sorta di nostalgia per il maggioritario, ma come s’è detto, il maggioritario è stato ammazzato dal Referendum del 4 dicembre 2016. Non puoi ammazzare il maggioritario e poi rivendicare i benefici del maggioritario!

15. Questi che abbiamo fin qui presentati ci sono parsi gli elementi essenziali che caratterizzano il nuovo Rosatellum e quindi i punti da tener presenti nel formularne una valutazione critica complessiva. Naturalmente sono anche i punti da tenere presenti per esercitare il proprio diritto di voto con consapevolezza. Secondo noi, in estrema sintesi, anche se le nostre valutazioni sono già state spesso anticipate producendo le diverse analisi dei singoli aspetti, il Rosatellum si caratterizza per questi elementi di fondo:
A) Il nuovo sistema elettorale è un sistema strettamente proporzionale con qualche mascheratura superficiale da maggioritario che tuttavia non ne intacca la natura di fondo. Si è visto ampiamente, nell’analisi che abbiamo fin qui condotto, che la componente proporzionale emerge costantemente dietro a tutti i dettagli. La componente maggioritaria dunque funziona più che altro come uno specchietto per le allodole.
B) La frammentazione politica, uno dei mali estremi del sistema politico italiano, è scarsamente mitigata anzi, se possibile è accentuata dalle numerose ma confuse soglie di sbarramento. Il chiacchiericcio intorno alle coalizioni è solo aria fritta, poiché le coalizioni secondo il Rosatellum non hanno alcun rilievo nel momento della formazione del governo. Chiunque potrà coalizzarsi e avere qualche seggio, per poi riprendere subito la propria libertà e decidere da che parte stare al momento della formazione del governo. Nessun limite è stato posto alle fratture e alle moltiplicazioni dei gruppi parlamentari che decidano di dar vita a nuove micro formazioni politiche. Non è previsto nessun provvedimento contro i cambi di casacca. Basterebbe una legge di due righe che dichiari che chi cambia la casacca con la quale è stato eletto decade obbligatoriamente e subentra il successivo (tanto più che gli elettori sono costretti a scegliere le liste dei partiti più che le persone).
C) Le liste (cioè “i partiti e le forze politiche organizzate”) hanno un ruolo preponderante in tutti i passaggi del processo elettorale, nella scelta delle candidature e delle coalizioni e nel computo per la distribuzione dei seggi. Ciò significa in Italia – lo ribadiamo ancora - una sola cosa: il ritorno dei partiti.  Alla faccia dell’antipolitica e della lotta contro la partitocrazia. Alla faccia soprattutto di tutti coloro che, per anni, si sono lamentati per i governi che non erano votati dagli italiani. A parte il fatto che in Italia c’è un regime parlamentare e i governi non possono essere “votati” dagli italiani, d’ora in avanti, e per un bel po’, i governi in Italia saranno fabbricati, tenuti in vita e fatti decadere dalle segreterie dei partiti, dai loro leader o, peggio, da gruppetti di parlamentari scissionisti. E questi partiti sono, si badi bene, senza alcun vincolo legale, perché una legge sui partiti secondo l’art. 49 della Costituzione proprio non la vogliamo fare. E, come conseguenza di tutto ciò, il Parlamento, inteso come il luogo della formazione della volontà politica, conterà sempre meno – a dispetto di ben due Camere e di uno spropositato numero di parlamentari. Si noti, tra parentesi, per tutti quelli che se ne sono scordati, che è proprio il Parlamento l’organo istituzionale direttamente votato dagli italiani.
D) Per conseguenza dei punti precedenti, il principio della personalizzazione (attraverso le liste brevi nominative e la quota di seggi nominativi assegnati col maggioritario) che è stato sventolato come una conquista è stato implementato solo in termini superficiali e quindi funge solo da complemento (o al più da disturbo) al proporzionale. Scegliere un nominativo equivale a scegliere un simbolo e viceversa. Così non si parlerà più di primarie e chi cercherà di fare le acrobazie tra le liste per scegliere le persone migliori, non potrà che ricascare in mezzo alle liste e trovarsi a dare il suo supporto alle liste stesse, magari senza volerlo.
E) In ultimo, l’aspetto più catastrofico. Il nuovo sistema, per l’assenza di premi di governabilità e/o per l’assenza di un doppio turno, ignora totalmente la questione della stabilità e della governabilità e rinvia la formazione del governo alle contrattazioni post elettorali. Ciò produrrà il ritorno massiccio del regime dei governi di coalizione, con consistenti rendite di posizione per le piccole formazioni. Si noti che, poiché i cambiamenti di casacca continueranno a esser permessi, continueranno a nascere e morire movimenti e formazioni partitiche sviluppatisi da scissioni avvenute dentro o fuori il Parlamento. Con scopi che nulla hanno a che vedere con la funzione di rappresentare gli italiani.

16. In sintesi ancora più estrema, questa legge elettorale sembra un mesto tentativo – davvero fuori tempo – di ripristinare il sistema politico della Prima repubblica. Un incredibile déjà-vu. La risposta che la politica (stiamo parlando specificatamente della XVII legislatura) ha saputo dare ai problemi insoluti di riforma istituzionale del nostro Paese è, in pratica, un bel ritorno al passato. A quello che – almeno noi nati negli anni ’50 - abbiamo già visto, già sperimento, e a tutto quello che ha contribuito grandemente a ridurci in questo stato. Come tutto ciò possa contribuire a rafforzare la democrazia e la partecipazione dei cittadini è alquanto misterioso. A rovescio, è altrettanto misterioso come tutto ciò possa combattere il populismo dilagante e la cattiva politica.
In termini di conseguenze pratiche – come i sondaggi attuali stanno delineando – l’unica cosa che si può esattamente prevedere è il blocco del sistema politico. Il M5S non riuscirà a governare da solo, come vorrebbe.[13] Probabilmente non riuscirebbe a governare neanche con un eventuale apporto della Lega. Il Centro destra, a meno di un miracolo non riuscirà a governare da solo. Il PD non riuscirà a governare, né con l’apporto eventuale degli acerrimi nemici di LeU né con l’apporto di Forza Italia. È oltremodo evidente che, se si vuol proprio individuare un principio sotterraneo che abbia guidato le forze che hanno promosso e sostenuto il Rosatellum, questo principio non può che essere il seguente: «Piuttosto di far governare un altro, è meglio che non governi nessuno!». Insomma, col proporzionale in fin dei conti non vince nessuno così, in un certo senso, vincono tutti. Un tipico principio da Prima Repubblica o, se si vuole, da Repubblica dei Partiti. Ritorniamo dunque alla politica del rancore e alla teoria della sconfitta utile di cui si è già ampiamente parlato.[14]

17. Da dove origina tutto ciò? Storicamente, come abbiamo già avuto più volte modo di sottolineare, questa legge elettorale è la diretta conseguenza del Referendum del 4 dicembre 2016. Una sconfitta del SÌ per 40 a 60 che ha segnato la fine (per qualche decennio) di qualsiasi tentativo di riforma istituzionale, la fine del maggioritario, delle primarie, del premio di governabilità e del doppio turno. Dunque sono padri di fatto di questa legge, volontari o involontari,[15] tutti gli appartenenti a quell’ampio eterogeneo fronte che ha scelto di votare e far votare NO al referendum. Secondo Wikipedia, alla voce relativa al Referendum del 4 dicembre, questi sono stati i principali sostenitori del fronte del NO: «Partiti per il no: Conservatori e Riformisti, Forza Italia, Fratelli d'Italia, Lega Nord, Movimento 5 Stelle, Rifondazione Comunista, Sinistra Italiana - Sinistra Ecologia Libertà, Unione di Centro. Altre organizzazioni per il no: ANPI, ARCI, CGIL, Cobas, CUB-Confederazione Unitaria di Base, FIOM, Italianieuropei, Libertà e Giustizia, Magistratura democratica, Rete degli studenti medi, Unione degli universitari, UGL-Unione Generale del Lavoro, USB-Unione Sindacale di Base». L’elenco è sicuramente incompleto. Questi sono i veri padri del Rosatellum, non certo il PD (che aveva sostenuto il maggioritario a doppio turno) o il tanto vituperato Ettore Rosato.
Costoro si difenderanno certamente asserendo che, votando NO, intendevano raggiungere ben altri validi obiettivi e non intendevano avallare un sistema elettorale proporzionale da Prima Repubblica. Certo, magari non intendevano, ma questo è stato oggettivamente il risultato. Spesso gli sbadati producono dei disastri che non intendevano.  In sociologia si chiamano effetti perversi, mentre in psicologia si parla di effetto boomerang. Gioverebbe anche una piccola riflessione sulla differenza tra l’etica dell’intenzione e l’etica della responsabilità. Si è preferito difendere improbabili valori (su cui neanche si concordava – in un incredibile schieramento da Fratelli d’Italia a Rifondazione Comunista!) che cercare di essere, una volta tanto, responsabili.
Si badi bene che con ciò non si vuol sostenere che le riforme istituzionali di Renzi e Napolitano fossero esenti da difetti. Avevano anzi molti limiti, molti difetti, i quali certo hanno anche contribuito alla loro mancata approvazione.[16] Senz’altro però non avevano proprio nulla a che fare col proporzionale spinto e con le sue conseguenze che andremo a sperimentare nella consultazione elettorale del prossimo marzo e nei successivi tentativi che si faranno per formare un governo. Se le conseguenze saranno gravi e oltremodo dannose per il sistema politico italiano, e per tutti noi, come sembra si possa ragionevolmente prevedere, può darsi che la proposta di riforma Renzi – Napolitano, col senno di poi, possa cominciare ad apparire come il male minore, anche a chi l’ha avversata. Ormai però i giochi son fatti e non possiamo più rimettere il dentifricio nel tubetto.

Giuseppe Rinaldi
20/12/2017


NOTE

[1] I due sistemi che possono essere considerati in un certo senso “puri”, e dunque non misti, sono il sistema maggioritario e il sistema proporzionale.

[2] Per quanto possa essere dummy il mio lettore ideale destinatario, do qui per scontata la conoscenza del significato di proporzionale e maggioritario.

[3] Questa è la dizione ufficiale che si trova nello stesso testo legislativo.

[4] Sulle liste bloccate esiste una polemica lunga. Le liste furono bloccate perché si diceva che le preferenze fossero portatrici del voto mafioso e clientelare. Il controllo dei partiti sulle candidature avrebbe così impedito forme d’infiltrazione criminale. Tuttavia la degenerazione dei partiti in gruppi affaristici e le stesse infiltrazioni mafiose nei partiti hanno riproposto la opportunità di dare ai cittadini la possibilità di scegliere i candidati. La svolta proporzionale – derivata dal Referendum – non poteva però che portare con sé anche una ripresa di controllo dei partiti sulle liste. Questa trasformazione tuttavia è avvenuta senza alcuna riforma dei partiti e di ciò si vedranno le conseguenze. La questione tuttavia è moderata dal fatto che le liste sono brevi (2-4 nomi) e i nomi saranno stampati sulla scheda elettorale. I diversi partiti e gli elettori quindi non potranno avere troppe scuse se metteranno in lista e voteranno degli impresentabili.

[5] Il premio di coalizione era previsto dal Porcellum. Si noti che il PD, nonostante la cosiddetta non vittoria di Bersani del 2013, ha potuto godere di un premio di coalizione. Sennò la XVII legislatura sarebbe finita dopo poche settimane. L’Italicum prevedeva il doppio turno.

[6] Si ricordi che la rappresentazione non è mai perfetta. Qualche tipo di distorsione è comunque sempre presente in tutti i sistemi elettorali.

[7] Su questo punto vedi il mio articolo: I democratici con la patente (e quelli senza), del 1 agosto 2017, pubblicato sul mio blog Finestrerotte.

[8] L’unico modo per contenere la protervia partitocratica sarebbe stato quella di fare una legge di regolamentazione dei partiti. Legge che ovviamente tra tanto populismo e tanta antipolitica nessuno ha voluto fare.

[9] Vedi il mio articolo già citato I democratici con la patente (e quelli senza), del 1 agosto 2017 sul blog Finestrerotte.

[10] La legge definisce esattamente cosa significa partito e/o gruppo politico organizzato e quali siano i relativi adempimenti per partecipare al processo elettorale.

[11] Così il CENSIS nel suo ultimo rapporto ha definito la situazione attuale del nostro Paese.

[12] In molte occasioni pubbliche ho sostenuto l’opportunità prioritaria di fare – nel nostro Paese – una legge sui partiti, in ottemperanza dell’art. 49 della Costituzione, ma sono sempre stato ignorato dagli astanti, quando non sberleffato. Tutti in Italia dicono di odiare i partiti ma tutti rifiutano di fare l’unica cosa sensata per mettere al loro posto i partiti: una bella legge di regolamentazione dei partiti, come ad esempio quella tedesca.

[13] Molti affermano che il M5S sia il più danneggiato dal Rosatellum. Che addirittura sia stato studiato per questo scopo. Ma val proprio la pena di ricordare che “chi è causa del suo mal, pianga se stesso”. Con il sistema elettorale che sarebbe uscito se avesse vinto il SI’ al Referendum e quindi con un premio per la governabilità e doppio turno (insomma, un Italicum aggiustato – che avrebbe avuto comunque un premio di maggioranza) il M5S avrebbe avuto molte più probabilità di vincere e di riuscire a governare.

[14] Vedi il mio recente articolo: La teoria della sconfitta utile, del 3 dicembre 2017 sul blog Finestrerotte. L’articolo è stato pubblicato anche su Città Futura on-line.

[15] Com’è noto, nel mondo sociale, gli effetti delle scelte possono anche essere del tutto sconosciuti agli autori delle scelte stesse. Esiste un’ampia letteratura sugli effetti perversi del comportamento sociale che sarebbe il caso di meditare.

[16] La maggior parte di coloro che hanno votato NO al Referendum non erano certamente costernati per la cattiva qualità della legge di riforma e avevano in mente di raggiungere ben altri obiettivi. L’Italia purtroppo non è piena di Zagrebelsky. Per chi fosse eventualmente interessato, la mia analisi approfondita della proposta di riforma costituzionale si trova nell’articolo: Cronache marziane, del 30 novembre 2016 sul blog Finestrerotte.