martedì 1 agosto 2017

I democratici con la patente (e quelli senza)

democrazia_10
1. Non ho ben capito perché Città Futura e Nuccio Lodato abbiano messo in editoriale la lettera di Edward Lync, pubblicata sul manifesto («il manifesto», 26 luglio 2017, pag. 14). Non ho capito, in altre parole, se è stata messa lì per significarne la grande pregnanza in termini di analisi politica, oppure per denunciarne l’intrinseca inconsistenza. Di solito gli editoriali esprimono la linea di un giornale e ciò mi rende un po’ perplesso. Prendo per buono il fatto che – come si dice nell’introduzione - la lettera costituisca un invito alla discussione.

2. La lettera è ovviamente relativa al tormentone attuale riguardante le mosse di Pisapia e le contromosse degli avversari. Riguarda cioè l’annoso problema dell’unità delle forze alla sinistra del PD e del loro rapporto con il PD. Sono convinto che l’attuale situazione politica del centro sinistra sia stata accuratamente descritta – e soprattutto davvero ben sintetizzata nel titolo - dal recente articolo su Città Futura di Franco Livorsi, intitolato appunto Il suicidio della sinistra. Mi permetto di aggiungere all’analisi di Franco che, secondo me, la ultima conseguenza logica del suo discorso - che egli forse per un eccesso di correttezza non è giunto a trarre - è il fatto che, nella attuale situazione, il PD deve assolutamente andare da solo alle elezioni e che qualunque legge elettorale last minute che conceda un premio alla coalizione sarebbe una sciagura. Ripeterebbe a livello nazionale quel che è successo in Alessandria.
Al di là di questa generale situazione demenziale, ormai priva di soluzione, credo valga la pena di occuparsi della lettera in questione perché essa mette in mostra lo stato drammatico, il livello davvero sotto zero, che sta attraversando l’attuale dibattito politico nella sinistra. Mette in mostra - in un periodo in cui in autunno andremo ad assistere all’ultimo atto della sceneggiata sulla legge elettorale, che senz’altro si concluderà in un nulla di fatto o, comunque, con una soluzione che sarà ben più disastrosa delle già disastrose soluzioni precedenti – che una buona parte dei contendenti non sa effettivamente di cosa si parla. Soprattutto quelli che credono di saperla molto lunga.

3. Il signor Lync che ha scritto al manifesto mostra di non saper distinguere (mi spiace sempre fare questi interventi da prof ma qui mi pare manchino proprio le basi elementari) tra democrazia e legge elettorale. Sostiene in pratica che, secondo lui, certe leggi elettorali – tutte, tranne quella proporzionale pura da lui preferita – non sono democratiche, oppure sono democratiche solo “tra virgolette”. In altri termini, Lync distribuisce patenti di democrazia alle leggi elettorali, ai loro sostenitori e al povero Pisapia. Nella sinistra alla sinistra del PD i distributori di patenti di democrazia sono pericolosamente in aumento e questa è senz’altro una delle cause della frammentazione irrisolvibile di quell’area. Si è sostenuto che la recente proposta di riforma costituzionale non fosse democratica. L’ha detto anche l’ANPI. Landini è una vita che sostiene che il Jobs Act non è democratico. Il MDP è uscito dal PD perché il PD non era democratico. Insomma, quelli che non sono d’accordo con te non sono mai democratici. Il signor Lync e gli altri come lui purtroppo costituiscono il problema, non rappresentano in alcun modo la soluzione.

4. La democrazia è una filosofia politica ed è una forma di governo. Do qui per scontato quali siano i principali requisiti perché una forma di governo sia democratica. Certo, tra questi requisiti ci sono anche le libere elezioni. E certo, per poter effettuare le libere elezioni è necessaria una legge elettorale. La legge elettorale dunque fa parte della tecnica procedurale della democrazia. La legge elettorale ha certo dei vincoli, dei limiti oltre i quali non sarebbe più compatibile con una Costituzione democratica. Su questi vincoli veglia appunto la Corte costituzionale. Una legge elettorale quindi è democratica in virtù della procedura formale che l’ha varata e in virtù del vaglio di costituzionalità. Al di là di questi vincoli, nel nostro ordinamento per fortuna sono possibili diversi modelli di leggi elettorali e sono tutti – con buona pace di Lync - democratici senza virgolette. Sono le forme di governo che possono essere democratiche o non democratiche. Le leggi elettorali, in un quadro costituzionale dato, servono la democrazia che c’è. Lync non fa riferimento a questioni di costituzionalità o di legittimità. Parla sempre e solo di democrazia in termini dottrinali. Non fa neppure riferimento a questioni tecnicali. Secondo lui un solo tipo di legge elettorale, quello che piace a lui, sarebbe democratico. Gli altri non lo sarebbero proprio. Si vada a vedere il nostro miglior dizionario di politica, il Bobbio Matteucci, dove alla voce sistemi elettorali si propongono le più svariate questioni di classificazione dei sistemi elettorali. Ebbene, l’ultima cosa che si sognano di fare gli estensori è di catalogare i sistemi elettorali in democratici e non democratici.

5. La questione che sta dietro alle leggi elettorali è quella della rappresentanza. La nozione di rappresentanza – a discapito dei molti portatori del pensiero schematico che ci sono in giro - purtroppo non è univoca e non è sempre chiaro sotto quale profilo i rappresentanti rappresentino effettivamente i rappresentati. Ci sono molti volumi di filosofia e scienza politica intorno alla questione di cosa voglia dire “rappresentare” (si veda in proposito l’ottimo Principi del governo rappresentativo di Bernard Manin). Potrebbe essere rappresentativo anche un organo di estratti a sorte, come si faceva talvolta in Grecia.
Certo, c’è anche una nozione davvero ingenua di rappresentanza – come quella condivisa sembra da Lync – che suggerisce che questa vada cercata in una sorta di riproduzione proporzionata, come si fa con i modellini dei treni o delle automobili. Il problema è che, anche costruendo un modellino in scala ridotta, non è ancora detto quali proprietà si debbano effettivamente riprodurre o, se si preferisce, quali tra le infinite proprietà dei rappresentati si debbano trascurare. Ad esempio, da poco tempo si ritiene, invero piuttosto discutibilmente, che l’organo rappresentativo debba rappresentare anche il genere dei rappresentati. Ciò - come si è visto - può essere realizzato escogitando meccanismi complessi e talora contorti. E comunque la corretta rappresentazione del genere può mettere in secondo piano altre proprietà che altri potrebbero considerare importanti.

6. Se le proprietà da riprodurre sono più di una – come è lecito attendersi nel caso di una rappresentanza politica – può facilmente accadere che la riproduzione corretta di una proprietà impedisca la riproduzione di un’altra. Quindi si dovranno fare inevitabilmente dei compromessi. Bisognerà dunque ammettere – con buona pace di Lync – che tutte le rappresentazioni implicano delle distorsioni. Discutere di leggi elettorale non significa trovare la soluzione magica priva di distorsioni ma soppesare e valutare quali distorsioni siamo disposti a sopportare per ottenere certi risultati desiderabili. Il fatto che in certi sistemi elettorali sia previsto un premio per la governabilità è perché si ritiene che sia un bene il fatto che la maggioranza ottenuta, oltre che relativamente proporzionata, sia anche in grado di governare effettivamente e che sia invece un male il fatto che una maggioranza, magari esattamente proporzionata, non sia però in grado di decidere nulla. Si preferisce cioè accettare una qualche distorsione della proporzionalità per ottenere un risultato considerato come indispensabile in termini di governabilità. Non stiamo parlando dunque di Armageddon, della lotta finale tra il bene e il male, tra democratici e antidemocratici. Stiamo parlando di un banale calcolo di costi e benefici.

7. Per il signor Lync (sia chiaro che non ce l’ho particolarmente con lui - uno che si prende la briga di scrivere una lettera a un giornale non può che starmi molto simpatico – mi sto riferendo a lui soltanto in modo retorico per articolare il mio ragionamento) evidentemente deve risultare un mistero – o un colossale imbroglio - il fatto che l’attuale presidente Trump governi legittimamente pur avendo ricevuto in assoluto meno voti della concorrente Clinton. Il sistema elettorale americano allora non sarebbe democratico? Per venire all’Italia, la legge elettorale dei sindaci non sarebbe “democratica” e tutti i comuni italiani sarebbero governati solo “tra virgolette”. Del resto il sindaco Pisapia viene accusato da Lync di ritenere democratico proprio il sistema di elezione dei sindaci.
Potrebbe essere utile al signor Lync, che è amante del sistema proporzionale puro, riflettere sul fatto che la democrazia rappresentativa moderna (intesa qui come forma di governo) è nata e si è sviluppata proprio sulla base di sistemi maggioritari e che l’introduzione di sistemi proporzionali è stata storicamente piuttosto tarda. E non è detto che i sistemi che sono venuti più tardi siano risultati, solo per questo, migliori dei precedenti. In Italia è storicamente comprovato che il sistema proporzionale ha contribuito a generare quell’instabilità politica che poi ha prodotto il fascismo. Il sistema elettorale della Germania di Weimar era proporzionale puro e anche in quel caso si generò quell’instabilità politica che facilitò l’avvento del nazismo. I tifosi del proporzionale queste cose le dovrebbero almeno sapere. La loro fede potrebbe avere qualche lieve scotimento.

8. Lync - e quelli che la pensano come lui - non si rende probabilmente conto di avere elaborato una sua concezione del tutto privata di democrazia, in stretta connessione con la sua legge elettorale preferita, e di usarla come una clava per distinguere gli amici dai nemici, in puro stile schmidtiano (questo sì, davvero poco democratico). Se tutti coloro che non condividono il sistema elettorale proposto da Lync sono antidemocratici, o “democratici tra virgolette”, cioè democratici adulterati, direi che il signor Lync non si rende conto con ciò di insultare mezzo mondo e con ciò di confinarsi a un ristretto giro di aficionados che, raccontandosi tra loro sempre la stessa storia, finiranno per crederci come in una setta religiosa. E staranno bene attenti a non mescolarsi con i miscredenti. È chiaro che la diffusione di simili posizioni nell’attuale dibattito sul che fare alla sinistra del PD non può che essere foriera di futili motivi di divisione. Si spera poi che dietro alle sottili argomentazioni teoriche non ci siano soltanto gli interessi immediati dei partitini dello zero virgola che temono di sparire nel caso fossero adottati sistemi di tipo maggioritario o premi di governabilità.

9. Se la smettessimo una volta per tutte di distribuire le patenti di democrazia, allora potremmo discutere, con qualche speranza di trovare un accordo, sui meriti e demeriti dei diversi sistemi elettorali. E soprattutto sulla loro concreta fattibilità. Sui sistemi elettorali in generale è già stato detto tutto o quasi ed è difficile aggiungere qualcosa a quanto gli studiosi hanno già acclarato. Basterebbe studiare un po’. Esistono ottimi libretti divulgativi. Basta riconoscere di averne bisogno. Se una cosa emerge con chiarezza dalla riflessione politologica è il fatto che nessun sistema elettorale è perfetto. Ogni sistema ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi. Chi ne accetta i vantaggi deve accettarne anche gli svantaggi. Per questo, da un bel po’ di tempo, si sostiene che una legge elettorale è sempre un compromesso tra diverse esigenze, le quali non si possono tutte insieme massimizzare. Per questo non ci sono quasi mai sistemi maggioritari o proporzionali puri, ma ci sono sempre sistemi dotati di molteplici correzioni e aggiustamenti. Si sono anche formati svariati sistemi misti. A parte la teoria, poi bisogna vedere come un sistema si adatta alle particolarità delle singole società e delle singole culture. Nel mondo ci sono più di 300 diversi sistemi elettorali che, bene o male, fanno il loro sporco lavoro (nel senso delle mani sporche). I sistemi elettorali sono il prodotto della storia politica di un Paese e soprattutto della cultura politica dei suoi abitanti. Mettere a punto una legge elettorale va sempre pensato in rapporto a uno specifico sistema politico, in termini di riforma dell’esistente. Nei termini cioè dell’evoluzione o dell’adattamento di uno specifico sistema politico. Va pensato quindi responsabilmente in rapporto alle conseguenze. Non nei termini dell’instaurazione chiliastica del paradiso democratico in terra.

10. È abbastanza inutile poi progettare a tavolino il proprio sistema elettorale, anche perché, banalmente, le leggi elettorali le fanno, di volta in volta, le maggioranze che si determinano concretamente, le quali spesso scelgono in base a motivi di comodo o peggio. Oltre ai compromessi intrinseci a un modello elettorale ci sono infatti i compromessi estrinseci, quelli che si fanno perché il modello trovi una sua maggioranza. Spesso sono i compromessi estrinseci che rendono pessime le leggi elettorali, non quelli intrinseci. In proposito, segnalo a Lync che una buona norma procedurale vorrebbe che fosse proibito modificare la legge elettorale almeno nell’anno precedente le elezioni, per impedire la presenza di eccessivi interessi di parte nella sua elaborazione. Io sottoscriverei subito una simile restrizione. Perché sono sicuro che una legge elettorale fatta a sei mesi dalle elezioni non possa meritare altro aggettivo che quello già usato per la legge Calderoli. Il signor Lync, di ciò proprio non si preoccupa e, a pochi mesi dalle elezioni, fa l’esame a Pisapia per sapere se è proporzionalista o maggioritario e subordina, si evince, la sua adesione alla risposta. Pensando che magari un Pisapia proporzionalista possa influire su un’ipotetica legge elettorale da farsi a settembre. Per Lync l’unità della sinistra (o del centro sinistra) comincia e finisce col proporzionale puro.

11. Già che Lync ha propagandato il suo modello, posso permettermi a questo punto di propagandare il mio, tanto per fornire una qualche alternativa ai proporzionalisti puri. Il politologo Giovanni Sartori, in uno dei suoi ultimi libretti, dal titolo davvero profetico di La corsa verso il nulla, uscito nel 2015 da Mondadori, ha scritto un capitoletto, ironico ma non troppo, dal titolo: Il sistema elettorale perfetto esiste. Naturalmente Sartori espone qui la sua ricetta. Chi scrive la condivide in toto. Riporto alcuni brani di Sartori, assicurando che comunque diverse soluzioni non sarebbero da me considerate non democratiche, anche se nel merito potrei criticarle e combatterle strenuamente.
11.1. Dice Sartori: «Ho spesso ripetuto che un modo autentico di consentire all’elettore di esprimere le sue preferenze sui candidati esiste, Ma non l’ho mai precisato. […] un sistema che consente e, anzi, produce una genuina espressione delle preferenze degli elettori esiste. È il maggioritario a doppio turno. L’ho proposto più volte, ma i nostri legislatori non lo vogliono, Né vogliono capire che il doppio turno è anche indicatore di preferenze».
11.2. Prosegue Sartori: «Comincio con il ricordare che il sistema maggioritario a doppio turno (che funziona bene nella V Repubblica francese) è, al primo turno, come un sistema proporzionale: ogni elettore esprime liberamente la sua prima preferenza e, così facendo, immette la sua scelta nel meccanismo elettorale. Ovviamente, questo è un meccanismo che scarta le preferenze dei meno. Supponiamo, per esempio, che la mia preferenza sia Marco Giacinto Pannella. So benissimo che il mio sarà un voto perduto. Ma lo voto lo stesso, e nessuno potrà dire che non mi è stata data la libertà di preferire e di scegliere. Al secondo turno, la seconda volta, mi toccherà invece scegliere un candidato di mia seconda preferenza, oppure il meno sgradito. Ma anche questa è una scelta mia, non del partito o della mafia. In nessun caso sono mai un sovrano esautorato, imbrogliato o coercito».
11.3. E prosegue ulteriormente con un’importantissima precisazione: «Ma veniamo al punto. La premessa di un sistema elettorale perfetto (quasi perfetto) è che debbano essere vietate le coalizioni. Ogni partito si deve presentare da solo, indicando un solo candidato. In questo modo, ogni partito ha interesse a presentare il suo candidato migliore o, comunque, il candidato ritenuto elettoralmente il più forte, e i partitini spariscono da soli (si capisce, per elezioni nazionali presidenziali). Al ballottaggio i designati saranno quattro o poco più. E, al secondo turno, i candidati – diciamo – minori hanno la scelta tra ritirarsi, e in tal caso otterranno un diritto di tribuna, oppure restare in lizza, ma in tal caso perderanno il diritto di tribuna». Naturalmente è bene specificare che un simile sistema prevede piccoli collegi uninominali. Sartori prosegue poi con ulteriori specificazioni che qui possiamo tralasciare. Il divieto di coalizione è particolarmente importante perché in questo modo l’elettore conosce esattamente il programma di chi verrà eletto con i suoi voti, al primo e al secondo turno, e non si darà luogo alle manfrine degli stiracchiamenti programmatici – con contrattazioni, scambi di favori, veti incrociati e quant’altro – che si realizzano nei sistemi proporzionali puri quando (ed è la norma) un partito non ha la maggioranza per governare e deve fare delle coalizioni con molti e diversi altri partiti e partitini, cui si deve assicurare a ciascuno la rendita di posizione. Tanti piccoli Alfano.
Sfido Lync a sostenere che questa proposta di Sartori non sia coerente con un quadro costituzionale democratico o sia solo “democratica tra virgolette”. Perché allora questa proposta non piace – oltre che ai grandi partiti - ai diversi cespugli alla sinistra del Pd? Io un sospetto ce l’ho.

12. La sinistra purtroppo quando parla di democrazia spesso non sa quello che dice perché a sinistra non c’è una decente conoscenza né della filosofia della democrazia né delle questioni procedurali. La democrazia è la forma di governo più delicata e complessa che ci sia e necessita di una costante manutenzione. Necessita di cittadini preparati e riflessivi e non di bande faziose che usano qualsiasi argomento grossolano, superficiale, retorico o di senso comune contro gli avversari del momento. Spiace di constatare ancora una volta che la cura per la manutenzione della democrazia proprio non c’è. Soprattutto a sinistra.

Giuseppe Rinaldi
01/08/2017

 
       APPENDICE
 
Si riporta qui, per comodità del lettore, la lettera cui si fa riferimento nel testo.

L’abbraccio in sé fra Pisapia e Boschi è irrilevante. L’importante è quello che pensa Pisapia. Su «la Repubblica» l’ex-sindaco di Milano ha ribadito la sua contrarietà a una legge elettorale proporzionale. Lui vuole una legge elettorale nazionale simile a quella delle città dove il cittadino vota per una coalizione che se vince governerà. Dice: così l’elettore non verrà tradito. Mentre con una legge elettorale proporzionale i compromessi per fare il governo si fanno dopo le elezioni e così, sostiene, la volontà dell’elettore sarà inevitabilmente tradita. Ecco, io posso abbracciare Pisapia e anche la Boschi (ma non, per esempio, Salvini o Meloni) ma non sposo la loro visione della democrazia. Noi non votiamo il governo, ma i nostri rappresentanti al parlamento. Se un partito (o una lista) prende almeno il 50% più uno dei voti può formare un governo da solo. Se no, no. Pisapia, suppongo che tu sia per un premio di “maggioranza” alla lista vincente. Io no. Nella tua democrazia una coalizione che prende, per esempio, il 40% dei voti prenderebbe più del 50% dei seggi. Quel 40% dei votanti non vengono traditi - è vero - ma anzi vengono premiati. Peccato che il restante 60% dei voti viene tradito e fregato. Inoltre, con i sistemi elettorali maggioritari che tu prediligi i cittadini non sono invogliati ad andare a votare perché non possono votare per chi si sentono più vicini ma debbono tenere conto del voto utile. Il tuo 40% rischia di rappresentare forse il 20% dei cittadini che hanno diritto a votare. Chiamalo pure democrazia ma, per favore, solo fra virgolette. Con un sistema proporzionale i cittadini tornerebbero a votare. Ripeto, si vota per il parlamento e non per il governo. Se nessuna lista prende 50% si dovrà - è vero - fare compromessi dopo le elezioni. Io voto un partito e do la mia delega ad un partito. Ma stai tranquillo studierò bene prima di decidere per chi votare. La partecipazione attiva è un elemento fondamentale della democrazia – almeno come la concepisco io. Caro Pisapia stai con noi? Ti senti di sostenere una legge elettorale proporzionale senza premio di maggioranza ma con uno sbarramento al 5% massimo)?

 Edward Lync («il manifesto», 26 luglio 2017, pag. 14)