giovedì 2 luglio 2015

“Stronzate”, un concetto sempre più attuale

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1. Non si può che condividere[1] l’assunto contenuto nel famoso libretto di H. G. Frankfurt secondo cui «Uno dei tratti salienti della nostra cultura è la quantità di stronzate in circolazione».[2] Visto e considerato che «…non abbiamo una chiara consapevolezza di cosa sono le stronzate, del perché ce ne siano così tante in giro, o di quale funzione svolgano»,[3] l’Autore si è solertemente impegnato nel costruire le fondamenta di questo nuovo campo di indagine, e di ciò dobbiamo essergli davvero riconoscenti. Egli ha dichiarato peraltro di aver mosso soltanto i primi passi e che l’esplorazione di questa tematica, per forza di cose, è appena all’inizio.
Nel mio piccolo, pur attenendomi ai basilari risultati di Frankfurt, mi proverò ad aggiungere qualche modesta elucubrazione personale, per discutere e consolidare la definizione dell’oggetto di cui l’Autore si è occupato. Sono ben consapevole di correre, con ciò, il rischio di essere annoverato tra i cultori di una così poco nobile materia, ma ritengo che ne valga la pena, poiché la questione è grave e va affrontata con urgenza, se non altro per rafforzare il morale dei pochi volenterosi che ancora non si sono arresi al dilagare delle stronzate.
 
2. Intuitivamente tutti sanno, o credono di sapere, cosa siano le stronzate, ma è difficile darne una definizione e ciò è stato abbondantemente dimostrato da Frankfurt. È probabile che, a proposito delle stronzate, operi pienamente il noto meccanismo delle somiglianze di famiglia. Secondo Wittgenstein possono sussistere, nell’uso pratico del linguaggio, delle famiglie di similarità che sono molto sfrangiate ma che sono assai efficaci nell’organizzare la nostra visione del mondo. Le somiglianze di famiglia non sono guidate da regole precise, sono difficilmente formalizzabili, sono tuttavia ben riconosciute dei membri competenti di una determinata cultura, grazie al meccanismo dei giochi linguistici. Insomma, poiché siamo membri competenti della nostra cultura siamo in grado di individuare le stronzate con una certa precisione, anche se non sappiamo bene come facciamo a farlo. Insomma, delle stronzate abbiamo tutti più o meno una qualche conoscenza tacita.
Se vogliamo però andare oltre alla vaga rassomiglianza di famiglia, dobbiamo sforzarci di produrre una definizione più formale, cercando di individuare un nucleo stabile di significato e cercando accuratamente di distinguerlo da significati affini. Perciò occorre anzitutto delimitare il campo d’indagine. In italiano, il termine è comunemente usato come insulto, oppure per squalificare qualcosa che non piace. Non è questo l’uso che ci interessa. Secondariamente, non ci interessa neppure l’uso di chiamare “stronzata” un comportamento considerato particolarmente cattivo. Ad esempio, talvolta si dice: «Mi hanno fatto una stronzata», oppure «Si è comportato da stronzo». Le stronzate che faremo oggetto di attenzione sono invece certi contenuti del discorso che infestano la comunicazione del nostro tempo. Rientrano nella nostra attenzione situazioni come «Alla conferenza di Tizio ho sentito tre quarti d’ora di stronzate»; oppure «Questo telegiornale è pieno di stronzate»; oppure ancora «Caio è diventato insopportabile, da un po’ di tempo dice un sacco di stronzate», o anche «Come si fa a credere a tutte queste stronzate?». Si tratta dunque di trovare un criterio relativamente certo e intersoggettivo per identificare le stronzate in quanto contenuti del discorso. Certo, restringendo il campo in questo modo c’è il rischio di lasciar fuori molta materia oscura, ma in qualunque indagine seria la delimitazione del campo purtroppo s’impone, pena la genericità e l’inconcludenza.
 
3. Sulla scorta della rigorosa analisi condotta da Frankfurt, possiamo azzardarci a proporre una definizione del nostro oggetto: la stronzata è un prodotto linguistico grezzo e sommario che fornisce una rappresentazione non adeguata, insignificante o futile della realtà. Il carattere principale della stronzata sembra dunque essere la mancanza di aderenza nei confronti della realtà. Vediamo cosa può significare tutto ciò. Fa parte dell’opinione comune che i prodotti comunicativi dovrebbero essere, come del resto ogni altro prodotto, ben lavorati, possibilmente esenti da imperfezioni, curati nei minimi particolari. Quando i prodotti comunicativi sono invece scadenti, realizzati senza cura, rozzi, pretenziosi, fasulli, inadeguati, accade allora che vengano individuati più o meno come stronzate. Possiamo ancora aggiungere che il prodotto in questione può anche apparire come valido e ben fatto, ma la presenza nascosta di un qualche difetto, qualche baco, può renderlo ugualmente una stronzata. Questo è il motivo per cui il riconoscimento della stronzata avviene spesso in seguito alla scoperta del punto debole, quasi come per illuminazione. Per tornare a Frankfurt, la stronzata è un’affermazione fatta «senza sottomettersi sul serio alle costrizioni imposte dall’impegno di fornire un’accurata rappresentazione della realtà».[4] L’Autore prosegue affermando «È proprio questa assenza di un legame con un interesse per la verità – questa indifferenza per come stanno davvero le cose – che ritengo essenziale per la definizione delle stronzate».[5] 
Si tratta, insomma, di una comunicazione che mostra superficialità nel descrivere la realtà, disinteresse per un lavoro comunicativo fatto bene e scarsa considerazione nei confronti dei destinatari della comunicazione. Chi si appresta a ricevere una comunicazione, tranne casi particolari, ha, in effetti, delle aspettative standard di accuratezza, coerenza, correttezza. Quando ci si accorge invece di stare ricevendo un prodotto fasullo allora scatta il riconoscimento della stronzata. La stronzata ha dunque il potere di corrompere l’universo comunicativo poiché tradisce il patto implicito che sta alla base della comunicazione. Del resto la stessa origine del termine (lo “stronzo”) evoca una sgradevole massa informe e pertanto priva di qualsiasi valore informativo.
Sul piano etico, nella produzione delle stronzate c’è una certa mancanza di cautela, una certa attenuazione della vigilanza critica e, soprattutto, una certa mancanza di responsabilità. Il fatto comunicativo si regge fintantoché coloro che ne sono coinvolti rispettano alcune regole elementari, una sorta di etica implicita della comunicazione che si è instaurata nel corso dell’evoluzione culturale. I produttori delle stronzate pretendono di comunicare senza osservare le regole, o addirittura, pretendono di riformare le regole della comunicazione stessa (naturalmente a loro vantaggio). Poiché la moneta cattiva scaccia quella buona, ne deriva che qualunque buona argomentazione può essere sepolta sotto un mare di stronzate. In questo consiste soprattutto la pericolosità sociale, culturale e, sicuramente, politica dei produttori di stronzate.
 
4. Il termine originariamente usato da Frankfurt, nel suo aureo libretto, è bullshit che, in tutta la sua specificità espressiva, è senz’altro di non facile traduzione. “Stronzata” è probabilmente il termine che più si avvicina all’originale. In italiano ci sono molti concetti che vengono usati per dire quasi la stessa cosa, ma il cui significato non coincide esattamente con la stronzata: cazzate, belinate, menzogne, sciocchezze, stupidaggini, aria fritta, sproloqui, fesserie, ciance, cavolate, balle, ciarlatanerie. Val la pena di fare ancora qualche precisazione in proposito. Anzitutto, sempre sulla scorta di Frankfurt, va chiarito che di per sé le stronzate non sono menzogne. La menzogna implica che chi la proferisce abbia la nozione di quale sia la verità e implica un’esplicita intenzione di occultare la verità. «È impossibile che una persona menta se non crede di conoscere la verità. Ebbene, produrre stronzate non richiede questa convinzione».[6] La stronzata invece è semplicemente indifferente alla verità e in ciò sta la sua principale inadeguatezza nei confronti della realtà. Ma in ciò sta anche la sua estrema diffusione e la relativa tolleranza con cui viene accolta. Le stronzate poi non sono neppure, genericamente, assimilabili a sciocchezze (o simili): in italiano questo termine porta con sé un che di autoassolutorio, come se si trattasse d’inezie divertenti. Le stronzate non sono sicuramente inezie e spesso non sono neppure divertenti. Prodotte su scala di massa possono distruggere qualunque universo comunicativo, qualunque  assetto culturale. Andrebbe chiarito meglio anche il rapporto tra le stronzate e la stupidità. Per ora ci limiteremo a dire che se alcune stronzate sono senz’altro stupide, la stupidità non è un loro requisito indispensabile. Molte stronzate in circolazione sono tutt’altro che stupide, anzi talvolta sono prodotte con perfida razionalità e fanno sfoggio di intelligenza sopraffina.[7]
 
5. Se le distinzioni tracciate hanno un qualche fondamento, ci troviamo ad aver circoscritto un concetto che ci mancava, adatto a riempire un qualche vuoto nella nostra descrizione del mondo. Senza il concetto delle stronzate la nostra conoscenza del mondo sarebbe ridotta e impoverita e la nostra prassi, conseguentemente, ne risulterebbe limitata. Possiamo ora cercare di fare un altro passo avanti. Occorrerà proporre una qualche classificazione delle stronzate, anche se, data l’estensione che presenta oggi il fenomeno, dovranno essere profusi molti sforzi prima che si possa giungere a un risultato esaustivo.
Per un primo orientamento, seguendo un criterio alquanto tradizionale, possiamo provare a distinguere tra le stronzate a caratterizzazione prevalentemente sintattica, semantica o pragmatica. Le stronzate di carattere sintattico sono caratterizzate dalla tendenza a produrre mucchi informi d’informazione, senza capo né coda. Si rovescia sull’interlocutore una quantità di materiali tenuti insieme da legami labili o del tutto improbabili. Si riconoscono dal  fatto che chi li riceve è immediatamente tentato di reagire dicendo “Non sono riuscito a seguirlo!”,  “Cosa ha detto?”, oppure “Non ho capito niente!”, esponendosi naturalmente a essere considerato come un critico insopportabile. Insomma, come si è espresso una volta K. Popper, ci si trova in presenza di qualcosa che è «non abbastanza comprensibile per poter dire che è sbagliato». In questo caso l’inadeguatezza nei confronti della realtà deriva dal difetto formale, dall’impossibilità di accedere a un contenuto sensato.
La stronzata a caratterizzazione semantica è invece perfettamente comprensibile sul piano del contenuto, la coerenza interna del discorso è a grandi linee assicurata ma, ciò nonostante, resta una stronzata. Per la sua valutazione di inadeguatezza occorre dunque  entrare nel merito, farne un’analisi dettagliata aprendo un contenzioso in termini di critica del contenuto, il che spesso è un lavoro improbo. Poiché ogni esame critico è lento e ponderato, di fronte alla facilità e alla velocità con cui le stronzate contenutistiche vengono prodotte, la loro confutazione è destinata a restare un’opera incompiuta. Del resto raramente i produttori di stronzate sono disposti a diventare interlocutori di obiezioni argomentate e approfondite. Per quel che concerne le stronzate di contenuto siamo ancora in una giungla inesplorata e si tratterà di individuare per lo meno una casistica dettagliata, magari in base al principio debole delle somiglianze di famiglia.
Infine, le stronzate proferite possono avere una caratterizzazione prevalentemente pragmatica cioè, indipendentemente dalla coerenza sintattica e dalla validità del contenuto, possono servire per fare cose con le parole. In questo caso, contro ogni apparenza, produrre stronzate non serve prioritariamente a informare (o a ingannare), ma a produrre effetti secondari, come assolvere un obbligo burocratico, essere al centro dell’attenzione, far passare il tempo, riempire i vuoti, millantare le proprie capacità, ottenere considerazione, identificare complici che siano disponibili a proferire stronzate, e così via. In questi casi la stronzata diventa un espediente comportamentale che si colloca ai limiti dei processi comunicativi, per diventare un vero e proprio fatto sociale di per sé. Tutto ciò ci porta già un po’ al di fuori dall’ambito d’indagine che abbiamo definito.
La sommaria distinzione che abbiamo proposto può avere qualche utilità, poiché il destinatario può trovarsi in serio imbarazzo se non riesce immediatamente a chiarire con quale tipo di stronzata abbia a che fare. Ad esempio, si possono fare molti sforzi inutili per cercare di comprendere un contenuto che non c’è nelle stronzate di tipo sintattico, oppure si può fare una gran fatica argomentativa per obiettare al contenuto di una stronzata per rendersi infine conto che questa non aveva alcuna pretesa semantica, ma aveva solo un intento pragmatico, e così via. Naturalmente le tre caratterizzazioni prevalenti possono essere variamente compresenti nella stessa stronzata, per cui avremo delle interessanti combinazioni, la cui esplorazione può essere lasciata al lettore.
 
6. Le stronzate che circolano vengono di solito imputate ai loro produttori. Tuttavia non sempre la paternità delle stronzate è chiara, per cui si tratterà di distinguere, come minimo, tra la produzione consapevole e inconsapevole delle stronzate. Corrisponde al primo caso l’intento deliberato di ottenere un qualche effetto producendo stronzate. Di ciò costituisce un perfetto esempio il caso, citato da Frankfurt, del consiglio paterno «Mai dire una bugia quando puoi cavartela a forza di stronzate».[8] In tal caso, chi mette in pratica il consiglio sa di stare deliberatamente producendo stronzate.
Il caso dell’inconsapevolezza è più complesso. Si può essere del tutto convinti del fatto che il proprio prodotto comunicativo non sia una stronzata, si può essere cioè in presenza del produttore sincero e inconsapevole di stronzate. È probabile che costui altro non sia che una varietà ben nota dello stupido, studiato dettagliatamente da Cipolla.[9] Lo stupido che produce sinceramente stronzate può essere comunque più o meno pervicace, cioè può essere in grado di riconoscere gli avvertimenti del pubblico e quindi ravvedersi e fare ammenda, oppure può perseverare oltre ogni ritegno (… ho prodotto una stronzata, ma a mia insaputa!).
Ci sono però obiettivamente molti casi intermedi, di situazioni borderline, più difficili da decifrare. Il produttore può non avere ben chiara la natura di stronzata del proprio prodotto. A questo punto, invece di impegnarsi in un lavoro autocritico di riflessione, invece di un serio esame che, in caso di esito incerto, potrebbe anche risolversi nell’opportunità di tacere, il produttore può essere spinto ad adottare un criterio utilitaristico pragmatico. Se ha funzionato una volta, non si vede perché non possa continuare a funzionare. Non si sa perché funziona ma, poiché funziona, val la pena di insistere. Questa è senz’altro una delle cause per cui le stronzate vengono riprodotte e moltiplicate. Spesso le stronzate funzionano! Da ciò si desume anche che è possibile che si costituiscano delle microsocietà dove tutti coloro che sono bene inseriti producono, senza porsi alcun problema, stronzate che raggiungono i loro scopi e che, siccome funzionano, vengono riprodotte in forma allargata. Così sono tutti contenti. È chiaro che si tratta di micro società che possono funzionare fino a quando non devono fare i conti con la realtà, la quale essendo in ultima analisi inemendabile, come insegna Ferraris, prima o poi presenta il suo conto.[10]
 
7. Non si può non dedicare qualche attenzione al bullshit artist (ho evitato di tradurre, perché in originale suona troppo bene), cioè a colui che è specializzato nell’arte di produrre stronzate. Si tratta sicuramente di una figura in costante diffusione, in perfetta sintonia con i nostri tempi. Anche in questo caso abbiamo una duplice veste: c’è chi lo fa in modo spontaneo, cioè gli viene naturale, come se avesse un vero dono di natura, e chi invece ha maturato la propria abilità attraverso un lungo e consapevole esercizio, sotto la guida di maestri illustri. Come i giullari medievali i bullshit artist godono di ampia popolarità e di una certa impunità. Ciò significa che fino a quando non si ha la percezione che facciano dei danni gravi sono tollerati e talvolta assai ricercati.
 Che i produttori di stronzate siano tollerati dai loro consimili (e quindi godano anche di un’ampia fascia di sostenitori…) può essere del tutto comprensibile.  Spesso però sono anche tollerati da coloro che li hanno già smascherati. E questo è meno spiegabile. Ciò accade forse perché smascherare pubblicamente un bullshit artist e la folla dei complici e seguaci è davvero un compito titanico; si rischia si dover combattere non solo contro il diretto responsabile, ma contro tutti i suoi fan. Si rischia, con buona probabilità, di rimanere isolati e di perdere la battaglia. Nella società del bullshit può essere conveniente lasciar perdere, non andarsi a cercare delle grane, tanto più che l’oggetto del contendere sembra irrilevante. Chi grida “Il re è nudo!” corre il rischio non di risvegliare i dormienti, ma di essere egli stesso individuato come stravagante, come qualcuno che vuole differenziarsi, collocarsi in posizione superiore, o semplicemente come uno cattivo. Ci si ricordi dell’invettiva di Eraclito contro i suoi concittadini che avevano fatto virtù della mediocrità. Del resto è forte la tentazione di considerare come inoffensivi i produttori di stronzate, nella convinzione che il fatto di averli individuati come tali sia più che sufficiente, che ciò basti a tenerli sotto controllo. Può capitare però che ci si accorga troppo tardi della loro presenza pervasiva e del loro potere distruttivo. Se il mondo tende a peggiorare, ciò dipende anche dal numero sempre crescente di bullshit artist che riescono a conquistare visibilità e potere.
 
8. Definito con qualche minima precisione il nostro oggetto, si tratta ora di cercare di spiegarne l’origine, la persistenza e il suo dilagare nella società contemporanea. È sicuramente il compito più difficile, anche perché non disponiamo ancora di una teoria attendibile. In via di ipotesi, e qui mi allontano un po’ da Frankfurt, si ha l’impressione che la produzione delle stronzate sia venuta via via aumentando, per raggiungere il culmine proprio nella nostra epoca. È probabile dunque che il fenomeno abbia a che fare con la nostra storia sociale e culturale recente. Nella società tradizionale, dove i meccanismi di socializzazione funzionavano a senso unico, c’erano regole piuttosto univoche, c’era un’elevata condivisione, magari un po’ manichea, e c’era, probabilmente, una certa capacità d’individuazione e di isolamento, magari anche violento e intollerante, delle stronzate. Se sopravvivevano delle stronzate, queste erano condivise da tutti e imposte dalle autorità. Non era un bel vivere, ma veniva con ciò assicurata una certa omogeneità culturale, e una certa prevedibilità comunicativa.
Nei secoli scorsi tuttavia le società tradizionali sono state scalzate dalla scienza moderna, la quale ha imposto, a tutta la società, un rigoroso esame di realtà. Così abbiamo dovuto rinunciare a molte stronzate condivise, abbiamo dovuto imparare, nostro malgrado, che non siamo al centro dell’universo, che non ci sono gli spiriti, che certe malattie sono causate da virus microscopici, che siamo parenti stretti delle scimmie, che l’acqua non scorre in salita, che non si sconfigge il cancro con la meditazione, che la posizione degli astri non influenza il nostro destino, che l’Io trascendentale non c’è, che “l’essere si dice in molti modi”, e così via. Tutto ciò è servito per migliorare la nostra vita e pochi oggi tornerebbero alle superstizioni o rinuncerebbero ai vantaggi della tecnologia.
La società di massa tuttavia ha rimescolato le carte, al posto dello sgradevole esame di realtà procurato dalla scienza moderna, per opera comunque di una ristretta élite intellettuale, ha messo al centro la soggettività individuale, liberata dalla tradizione, liberata da qualunque autorità, finalmente autorizzata a esprimersi senza vincoli di sorta. E così l’esame di realtà ha avuto i suoi giorni contati. Ha osservato acutamente Frankfurt: «Le stronzate sono inevitabili ogni volta che le circostanze obbligano qualcuno a parlare senza sapere di cosa sta parlando. Pertanto la produzione di stronzate è stimolata ogniqualvolta gli obblighi o le opportunità di parlare di un certo argomento eccedono le conoscenze che il parlante ha dei fatti rilevanti attorno a quell’argomento. Questa discrepanza è comune nella vita pubblica, in cui le persone sono spesso spinte – vuoi dalle proprie inclinazioni, vuoi dalle richieste altrui – a parlare in lungo e in largo di materie nelle quali sono, in grado maggiore o minore, ignoranti. Questioni strettamente correlate emergono dalla diffusa convinzione che in una democrazia ogni cittadino debba avere un’opinione su tutto, o almeno su tutto ciò che attiene alla gestione della cosa pubblica della propria nazione».[11]
Il risultato di questo soggettivismo di massa è che, nella società contemporanea, i punti di vista più strani si sono moltiplicati, le regole consolidate sono state sbeffeggiate, ogni gruppo ha preteso di costruirsi e portare con sé i propri criteri, i propri parametri di giudizio.  Tutti si sentono autorizzati a esprimersi perché tutti possono pensare di avere ragione, almeno da uno dei tanti punti di vista possibili. E poi non ci sono più autorità che non possano essere messe in discussione. Il tutto ha finito per risolversi in una generale tolleranza, in una sorta di relativismo di maniera.[12] Non importa se dico o faccio una stronzata, tu mi devi rispettare, tu mi devi accettare, tu mi devi riconoscere! Noi siamo liberi di costruire la nostra realtà, i nostri mondi e di vivere in coerenza con quello che crediamo. Se non sei d’accordo, costruisciti anche tu il tuo mondo e non rompere! Insomma, il partito delle libere stronzate è sicuramente il partito di massa più numeroso.
 
9. Al di là della cultura di massa, la moltiplicazione delle stronzate ormai ha guadagnato anche una sua piena legittimità filosofica. Infatti, secondo Frankfurt: «La contemporanea proliferazione delle stronzate ha anche origini più profonde in svariate forme di scetticismo, secondo le quali noi non abbiamo alcun accesso affidabile a una realtà oggettiva, e pertanto non possiamo conoscere la realtà vera delle cose. Simili dottrine “anti realistiche” minano la fiducia nel valore degli sforzi disinteressati per determinare cosa è vero e cosa è falso, e perfino nell’intellegibilità dell’idea stessa di indagine obiettiva. Le conseguenze di questa perdita di fiducia sono state l’abbandono della disciplina richiesta dalla fedeltà all’ideale dell’esattezza e l’adozione di una disciplina di genere del tutto diverso, imposta dal perseguimento dell’ideale alternativo della sincerità. Invece di cercare in primo luogo di giungere a rappresentazioni accurate di un mondo condiviso, l’individuo si volge al tentativo di fornire una rappresentazione sincera di se stesso».[13] Insomma, siamo in presenza di un orizzonte filosofico dove il problema fondamentale non è più quello di conoscere, ma quello di esprimersi.
 
10. Per parte nostra, sempre in via di ipotesi, possiamo aggiungere che questa centratura egocentrica della comunicazione ha finito per generare quel che abbiamo costantemente sotto i nostri occhi, un universo cioè dove tutti sono convinti di avere delle cose molto importanti da dire, dove nessuno ritiene di avere qualcosa da imparare, dove tutti parlano e nessuno ascolta, e soprattutto dove nessuno si prende la briga di verificare quel che dice. Di conseguenza, anche se la chiacchiera universale viene accuratamente registrata con strumenti sofisticatissimi, il contenuto effettivo di quel che vien detto (o scritto) diventa sempre meno rilevante e la quantità della comunicazione tende così costantemente a prevalere sulla sua qualità. Quando poi la centratura egocentrica della comunicazione si sposa col potere, quando cioè il partito delle stronzate si organizza, allora possiamo trovarci obiettivamente nella situazione della “favola che diventa realtà”, grazie al principio nicciano secondo cui “non ci sono fatti, ma solo interpretazioni”. Questa situazione la conosciamo fin troppo bene. Una situazione in cui tanti oltre uomini, che si considerano degli artisti e che profetizzano una montagna di stronzate, ottengono magicamente il seguito delle masse, le quali, per oscure assonanze intuitive, si riconoscono in loro immediatamente, cioè senza tutte quelle noiose mediazioni intellettualistiche.
 
18/7/2012
03/07/2015 (rev.)
                                                                      Giuseppe Rinaldi
 
 
 
 
OPERE CITATE
 
Cipolla, Carlo M., Allegro ma non troppo, Il Mulino, Bologna, 1988.
 
Ferraris, Maurizio, Manifesto del nuovo realismo, Laterza, Bari, 2012.
 
Frankfurt, Harry G., Bullshit, Princeton University Press, Princeton, 2005.  Tr. it.:  Stronzate. Un saggio filosofico, Rizzoli, Milano, 2005.
 
Jervis, Giovanni, Contro il relativismo, Laterza, Bari, 2005.
 
 
 
 
 
 
NOTE
 
[1] Questo articolo non va inteso come una recensione, bensì come lo sviluppo libero di una serie di riflessioni, a partire dal delizioso (si fa per dire) volumetto di H. G. Frankfurt, Stronzate. Un saggio filosofico, Rizzoli, 2005, che comunque è ampiamente ripreso e commentato.
[2] H. G. Frankfurt (2005: 11).
[3] H. G. Frankfurt (2005: 11).
[4] H. G. Frankfurt (2005: 37).
[5] H. G. Frankfurt (2005: 37).
[6] H. G. Frankfurt (2005: 53).
[7] Sulla catalogazione della stupidità, si veda il divertente C. M. Cipolla (1988).
[8] H. G. Frankfurt (2005: 47).
[9] Cfr. C. M. Cipolla (1988).
[10] Cfr. M. Ferraris (2012).
[11] H. G. Frankfurt (2005: 60).
[12] Sul relativismo,  cfr. Jervis (2005).
[13] H. G. Frankfurt (2005: 61).