1. L’8 e 9 giugno 2025
si sono tenuti, nel nostro Paese, i Referendum sul lavoro e la cittadinanza.[1]
Quattro Referendum riguardanti il lavoro erano stati proposti dalla CGIL e uno,
quello sulla Cittadinanza, era stato proposto da Più Europa. È noto che
un’altra proposta di Referendum, quella sull’Autonomia differenziata, non era
stata accolta dalla Corte costituzionale. Nessuno dei referendum ha raggiunto
il quorum necessario per la validità. Il numero dei votanti si è
attestato intorno al 30,58% degli aventi diritto. Subito dopo è iniziata la
sarabanda delle interpretazioni. La sconfitta dei Referendum ha prodotto
l’esultanza di coloro che si erano pronunciati per il No o che avevano fatto propaganda
per l’astensione. Da parte dei sostenitori del Sì ci sono stati ampi tentativi
per mostrare come anche il risultato negativo non era poi così negativo. I
commenti circa i risultati tuttavia non si sono allontanati più di tanto dalle
considerazioni da dopo partita, su chi ha vinto e chi ha perso, chi ha segnato
e chi no.
2. Ci si poteva
attendere come risultato collaterale, indipendentemente dall’esito positivo o
meno, un generale approfondimento circa le questioni riguardanti la condizione
del lavoro nel nostro Paese o sulla questione della cittadinanza. Soprattutto
nel campo della sinistra, il campo politico che ha promosso i Referendum, ci si
poteva attendere, come risultato secondario, l’elaborazione di idee per una
proposta organica di riforma sulle questioni del lavoro, una specie di
nuovo Statuto dei lavoratori, oppure una altrettanto organica proposta di riforma
sulle questioni della cittadinanza e dei migranti. Il risultato invece è
stato una focalizzazione su singole minuzie, peraltro assai tecniche, e una
distrazione dalle questioni politiche fondamentali. Forse l’impresa di un
progetto organico di riforma su lavoro e cittadinanza è una questione che va
oltre le capacità dei soggetti coinvolti. Invece le divisioni e le
incomprensioni sono rimaste, e forse si sono anche aggravate. In altri termini,
non si è andati gran che oltre al tifo per le diverse squadre.
In questo saggio
cercherò di mettere in ordine alcune riflessioni circa quanto è avvenuto, sulle
cause e sulle conseguenze di questo evento, che costituisce senz’altro un
importante elemento di svolta proprio sulle questioni riguardanti il lavoro e
la cittadinanza nel nostro Paese.
3. Possiamo anzitutto
fare un ragionamento sugli antecedenti istituzionali. Val la pena, cioè,
di fare qualche considerazione generale sui Referendum in Italia. Quando i
Referendum erano stati pensati, il quorum era l’ultimo dei problemi. Le
percentuali dei votanti alle elezioni in genere erano altissime. Alle ultime
elezioni politiche del 2022, invece, l’affluenza in Italia (senza considerare i
votanti all’estero) alla Camera si è attestata al 63,91% (29 475 383) su un
corpo elettorale di 46 120 143. Gli astenuti dunque ammontavano al 36,09% (16
644 760). Questa attuale situazione della partecipazione elettorale nel nostro
Paese significa che la competizione tra chi propone un Referendum e chi lo
rifiuta e/o si astiene è di estrema disparità. I No, senza far proprio
niente, partono mediamente con il vantaggio di un terzo. Per superare il
quorum, occorre, dunque, che i referendum siano altamente attrattivi.
4. Il corpo
elettorale per i 5 quesiti referendari era di 51 301 377
elettori, di cui 45 997 941 in Italia (registrati in 61 591
sezioni) e 5 303 436 all’estero (registrati in 1 863
circoscrizioni consolari).[2] Dunque il quorum, riguardante l’Italia più
estero, avrebbe dovuto essere di 25 650 689. Proviamo ora a fare un
esercizio teorico, domandandoci quanti dei votanti abituali dovremmo
coinvolgere per riuscire a raggiungere questo quorum. Se usiamo come indicatore
di astensionismo il tasso di astensione alla Camera del 2022 e cioè il
36,09% e lo applichiamo al corpo elettorale del referendum avremo una
aspettativa di astensione di 18 514 667. E un corpo di ipotetici votanti
effettivi di 32 786 710. Poiché il quorum è fissato in 25 650 689, allora, per
ottenere il quorum, si sarebbe dovuto portare a votare il 78% di coloro che di
solito vanno a votare. Quasi l’80%! Il calcolo qui presentato ovviamente è
puramente teorico, ma dovrebbe far capire la difficoltà a raggiungere il quorum
in un’epoca in cui l’astensionismo standard si attesta a un terzo del corpo
elettorale.
Certo, si può pensare
che il Referendum possa pescare tra gli astenuti, ma potrebbe anche ugualmente
allontanare un contingente dei votanti abituali. Si tratta di fenomeni non
univoci e decisamente poco prevedibili. Secondo Wikipedia, “Dal 1946 a oggi in
Italia si sono svolti 83 referendum nazionali, di cui 77 referendum abrogativi,
un referendum istituzionale, un referendum di indirizzo e quattro referendum
costituzionali”. Tra i 77 referendum abrogativi, dunque 38 non hanno raggiunto
il quorum. In pratica la metà. Come tirare a testa o croce.
5. Tutto questo
significa che i due promotori dei Referendum (la CGIL e Più Europa), solo
considerando la natura intrinseca dell’istituto referendario, si sono assunti un
rischio molto alto di insuccesso. A queste argomentazioni si obietta
solitamente che se la Corte avesse ammesso il Referendum sulla Autonomia
differenziata, questo avrebbe fatto da elemento trainante, tanto da far
raggiungere il quorum con buona probabilità. Forse questo ragionamento ha
qualche fondamento. Questa argomentazione tuttavia non fa molto onore a chi la
propone e sa di espediente furbesco. Ci sarebbero allora due tipi di Referendum,
quelli che interessano davvero il pubblico (quelli sicuri) e
quelli che già in partenza si presume che non siano granché attrattivi. Mettere
dei referendum considerati in partenza poco attrattivi in coda a quelli sicuri,
pensando di sfruttare l’effetto scia, getta un’ombra sul merito stesso dei
quesiti e sulle buone intenzioni dei proponenti.
6. Va poi considerato
che il Referendum abrogativo è un istituto per sua natura alquanto delicato e
andrebbe usato con ogni cautela. Dovrebbe vertere su grandi questioni, di
interesse davvero generale, che implichino un Sì o un No, chiaro e distinto.
Non dovrebbe essere usato come sostituzione della legislazione corrente
e, soprattutto, con riferimento a tecnicalità poco comprensibili alla maggior
parte degli elettori. La stessa natura abrogativa dello strumento fa sì
che spesso si proceda con la soppressione di “pezzi” di leggi (aggettivi,
commi, articoli) che comunque rendono monco un dispositivo giuridico che abbia
comunque avuto una sua qualche organicità all’origine. Leggi monche non è detto
che diventino ipso facto delle buone leggi. Ad esempio, nel caso della
Cittadinanza, che è questione oltremodo complessa, la semplice riduzione
temporale da dieci a cinque anni per ottenere la cittadinanza, è una soluzione
monca, che può magari avere anche un nobile valore simbolico, ma che non
entra neppure nel merito effettivo delle questioni coinvolte. E non garantisce
l’efficacia della soluzione derivante.
7. Era prevedibile la
sconfitta? Soprattutto, era prevedibile una sconfitta di queste proporzioni?
Abbiamo già considerato la difficoltà in sé a raggiungere il quorum in un’epoca
nella quale l’astensione elettorale media vale più di un terzo degli elettori.
Tuttavia si poteva ben fare qualche sondaggio empirico preventivo. È appena il
caso di considerare che ormai siamo dotati di notevoli strumenti per indagare
gli orientamenti della opinione pubblica. Un banale sondaggio – se fatto bene –
con un campione tra 2000 e 5000 soggetti può fotografare gli orientamenti della
opinione pubblica e prevedere gli esiti di una consultazione con margini di
errori minimi, dal più o meno 4% fino al 1,5%. Un sondaggio ben fatto, dal
costo irrisorio rispetto ai costi materiali e politici di un referendum
perso, avrebbe potuto consigliare circa l’opportunità di procedere o di
desistere. Avrebbe permesso di quantificare il rischio. La presunzione
di conoscere direttamente il mondo sociale è un brutto vizio, che
viene da lontano. Soprattutto da chi è abituato a investirsi della
rappresentanza del mondo sociale, senza darsi però la pena di consultare il
mondo sociale stesso. Il sindacato (la CGIL) si vanta di navigare nel sociale,
come “un pesce nell’acqua”, ma poi si dimostra incapace di usare gli strumenti
di conoscenza del mondo sociale che abbiamo a disposizione. Aggiungo che, nella
tradizione culturale della CGIL, il motivo dell’uso delle scienze sociali è
stato ben presente e ha dato risultati consistenti. Basti ricordare la rigorosa
rivista Inchiesta, diretta da Vittorio Capecchi o i gloriosi Quaderni
di Rassegna sindacale. Sarebbe utile anche dare un’occhiata alla rivista I
Consigli della soppressa FLM.
8. Proviamo però ora a
entrare nel merito dei quesiti posti. Se consideriamo anche il Referendum
sull’Autonomia differenziata che è stato cassato dalla Corte, si trattava
indubbiamente di quesiti che andavano contro l’operato del Governo della
attuale maggioranza, ma anche contro l’operato di governi precedenti (nella
fattispecie il governo Renzi). Due dei Referendum sul lavoro si riferivano a
norme varate dal governo Renzi. Sul piano formale è del tutto legittimo che
forze varie di opposizione (partiti, sindacati, alcune Regioni dissidenti dal
governo) usino i referendum per contestare i provvedimenti della maggioranza o
di governi precedenti. Il Referendum è a pieno titolo un’istituzione di carattere
politico. Tuttavia occorre che i quesiti siano considerati rilevanti non
solo per chi li propone ma anche per l’opinione pubblica degli elettori che li
riceve.
9. Dirò poche cose sul
Referendum sulla Cittadinanza. Nasce probabilmente da un’oggettiva debolezza
dell’attuale opposizione sulla questione dei migranti. Si tratta di una
delle questioni più divisive all’interno dell’opposizione, la quale, nella
legislatura precedente, essendo in maggioranza, non era riuscita neanche a
promuovere una legge per dare la cittadinanza ai nati in Italia. Ed è
anche una questione davvero complessa. La sinistra, quando ha governato, non ha
mostrato effettivamente la capacità di affrontare il fenomeno e di dare una
risposta soddisfacente alle apprensioni dei comuni cittadini. In merito ai
promotori, così spiega Wikipedia: «Il quesito referendario che richiedeva il
dimezzamento del numero di anni (da dieci a cinque) di legale soggiorno del
cittadino straniero extracomunitario per poter presentare la richiesta di
concessione della cittadinanza italiana è stato ideato dal segretario di
+Europa, Riccardo Magi, che lo ha depositato in Cassazione il 4 settembre 2024.
[…] Tra i promotori del referendum, oltre a +Europa, figuravano il Partito
della Rifondazione Comunista, il Partito Socialista Italiano, Possibile e i
Radicali Italiani, […] numerose associazioni di persone con background
migratorio come Italiani senza cittadinanza, il Coordinamento Nazionale Nuove
Generazioni Italiane (CoNNGI) e Idem Network, e diverse organizzazioni della
società civile, fra cui Libera, A Buon Diritto, Gruppo Abele e ARCI, oltre a
varie personalità come Mauro Palma, Luigi Manconi e Ivan Novelli». Nelle
intenzioni, dimezzare i tempi per ottenere la cittadinanza avrebbe ottenuto un
effetto d’integrazione, evitando di lasciare gli aspiranti in un limbo di
incertezza.
Naturalmente, l’ipotesi
dei promotori era che l’elettorato – su questa questione – fosse enormemente
più maturo del sistema politico nel suo complesso e rispetto ai discutibili
provvedimenti sull’emigrazione della attuale maggioranza. Col senno di poi, i
risultati del voto hanno invece mostrato la sussistenza di una notevole
spaccatura tra gli stessi elettori votanti, una parte consistente dei quali ha
indicato il No (34,66%), pur avendo risposto positivamente ai quesiti sul
Lavoro. La attuale opposizione sembra dunque fortemente spaccata tra i fautori
dei diritti civili e i fautori dei diritti economico sociali.
10. Notevolmente più
complessa è la questione della iniziativa referendaria legata ai quesiti sul
lavoro. I quattro Referendum sono stati proposti da un Comitato presieduto da
Maurizio Landini e comprendente numerosi soggetti: CGIL, Auser, Camere del
Lavoro, Libera, Libertà e Giustizia, Federconsumatori, Articolo 21, ARCI, UDU,
Rete degli studenti medi, Medicina Democratica, Magistratura democratica, Forum
Disuguaglianze e Diversità, Giuristi democratici, USiGRai, FNSI.[3] C’è una storia
pregressa che è assai significativa. La lontana origine della questione può
essere individuata – anche in questo caso – in una radicale spaccatura nella
sinistra determinata dal governo Renzi e dalla sua riforma dei rapporti di
lavoro denominata Jobs Act, che risale al 2014-2015. Renzi compì una forzatura,
portò con sé la maggioranza nel PD ma determinò sostanziose reazioni di
rigetto. Determinerà anche – la cosa riguarda molto da vicino il nostro
argomento – la costituzione, da parte dell’allora segretario della FIOM,
Maurizio Landini, della cosiddetta Coalizione sociale, che anticipava
diversi temi dei Referendum del 2025. Sulla Coalizione sociale di Landini posso
rinviare a un mio saggio analitico, scritto nel 2015 e appena rivisto per
questa occasione.[4]
La spaccatura indotta
dal Jobs Act determinò, nel 2017, la scissione dal PD della formazione che si
chiamerà significativamente Articolo 1. Risale poi fin dal 2015 il
tentativo di una parte del movimento sindacale di ricorrere al Referendum
contro il Jobs Act. Da Wikipedia: «Dopo uno sciopero e numerose manifestazioni
contro la riforma del lavoro introdotta dal Jobs Act nel marzo 2014 dal governo
Renzi,[…] nel 2016 la CGIL, allora guidata da Susanna Camusso, lanciò una
campagna di raccolta firme a favore di un referendum per ripristinare le tutele
dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per i licenziamenti illegittimi
ed estenderle a tutte le aziende con almeno cinque dipendenti: questo articolo,
che prevedeva la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro in caso di
licenziamento illegittimo, era stato modificato nel 2015 dal Jobs Act, che
invece prevedeva un risarcimento economico.[…] La CGIL riuscì a raccogliere 3,3
milioni di firme in tutta Italia.[…] Tuttavia, l’11 gennaio 2017, la Corte
costituzionale dichiarò inammissibile il quesito referendario,[…] poiché era
stato erroneamente formulato». Quella del Referendum del 2025 è dunque una
storia che viene da lontano, da una radice di scontri e scissioni all’interno
del mondo del lavoro e della sinistra stessa.
11. Cardine della
analisi di Landini (con assoluta coerenza, dal 2015 a oggi) era ed è la
convinzione che la legislazione sul lavoro degli ultimi decenni abbia tolto
dei diritti ai lavoratori e abbia prodotto la precarizzazione del
lavoro. C’è senz’altro del vero in quel che dice Landini, anche se non possiamo
qui entrare nel merito. Secondo Landini le peggiori leggi sul lavoro erano
state prodotte dal Governo Renzi, cioè dalla Sinistra al governo, proprio con
il Jobs Act del 2015. Di qui l’esigenza di correggere questo andamento, di
difendere e ripristinare i diritti dei lavoratori. Ben due dei quattro
Referendum sul lavoro riguardano il Jobs Act di Renzi. Si tratta dunque
effettivamente di un conflitto interno alla Sinistra, oltre che di un conflitto
con l’attuale maggioranza di Governo. Un conflitto che è perfettamente
riprodotto dentro all’odierno PD. Per questo la decisione di Elly Schlein di
appoggiare tutti e quattro i referendum proposti dalla CGIL è stata considerata
come una vera e propria svolta da parte del PD. Anche se i malumori di una
parte del PD sono decisamente evidenti.
12. In termini teorici,
tuttavia, c’è dell’altro. Siamo in presenza di una analisi ben più generale
intorno alle modalità relative alla rappresentanza dei cittadini e dei
lavoratori. Landini ritiene che l’attuale sistema politico italiano (non
solo la attuale maggioranza!) non abbia rappresentato e non rappresenti
adeguatamente i lavoratori. I partiti stessi della sinistra avrebbero tradito
gli interessi dei lavoratori. Quindi sarebbe del tutto lecito e giusto mettere
in campo un’opposizione contro tutto ciò. Lo slogan ufficiale dei
Referendum sul lavoro è «Il voto è la nostra rivolta». Le modalità di questa
opposizione vanno appunto dalla “rivolta sociale” cui Landini ha fatto spesso
riferimento, alla “coalizione sociale” del 2015/ 2016. Una delle possibilità
messe in campo fin dal 2015 era proprio l’uso del referendum abrogativo nei
confronti delle norme sul lavoro ritenute maggiormente vessative. Fino all’ipotetico
tentativo – ed è questo un motivo ricorrente – di formare un nuovo soggetto
politico, un partito del lavoro. Circa la ipotesi di fondazione di un
partito politico che avesse come fulcro il mondo del lavoro va ricordato che,
in seguito a una scissione del PD di Matteo Renzi, si ebbe la formazione, il 25
febbraio 2017, di Articolo 1 - Movimento
Democratico e Progressista, partito
politico che venne sciolto il 10 gennaio 2023. Molti degli scissionisti
tornarono nel PD. Si tratterebbe dunque di dejà vu. Landini
comunque ha recentemente affermato che non intende riprendere l’idea del
partito.
13. La ricerca di
Landini è comunque sempre andata nella direzione di una rappresentanza
alternativa, capace di sostituirsi o contrapporsi alla mancata
rappresentanza del lavoro da parte degli ufficiali canali democratici. Come
si è visto tuttavia, Landini in questo progetto non è riuscito neppure a
trovare l’alleanza delle altre sigle sindacali. La sua è stata una sorta di
auto investitura di rappresentanza politica del lavoro, e non
semplicemente degli interessi particolari dei lavoratori. L’insuccesso
dei quattro Referendum sul lavoro sta mettendo in rilievo un vero e proprio conflitto
nell’ambito della rappresentanza. I cittadini italiani, attraverso le loro
istituzioni politiche rappresentative, hanno prodotto e producono leggi che
precarizzano il lavoro. Allora, quegli stessi cittadini, mobilitati e
consultati idealmente in quanto lavoratori, dovrebbero disfare quelle
stesse leggi che essi stessi, indirettamente, avevano prodotto come cittadini.
A partire dallo slogan «Il voto è la nostra rivolta», saremmo tentati di
suggerire che si tratti di una rivolta dei cittadini contro se stessi. Tutto
legale, certo, ma per lo meno problematico e bizzarro.
È fuor di dubbio che il rendimento
del sistema politico italiano in generale sia catastrofico. Ne ho scritto
recentemente.[5] Che con i Referendum abrogativi si possa correggere il basso
rendimento della politica italiana è in generale alquanto discutibile. Anche
perché dietro si nasconde una tentazione populista. Si tratterebbe di rimettere
in sesto il funzionamento della politica. E certo si tratta di una mission
pressoché impossible.[6] L’invocazione di una rappresentanza politica
alternativa per i lavoratori, rispetto a quella della cittadinanza
democratica, implica una dichiarazione di rottura nei confronti delle
malferme istituzioni politiche che abbiamo. Implica che ci sia ormai una
frattura inemendabile. Nella tradizione del movimento operaio del secolo scorso
questa cosa si chiamava conflitto di classe. La ideologia che sostiene
la legittimità di una rappresentanza politica dei lavoratori, da far
valere anche contro la rappresentanza politica dei cittadini, ha una
precisa definizione concettuale: si chiama lavorismo. Se si vuole, in
italiano si è parlato spesso anche di operaismo. Il lavorismo è dunque
una precisa concezione politica che pare sia stata di fatto adottata
dalla CGIL di Landini e che pare stia dietro alla scelta del Referendum.
Storicamente, è uno schema d’azione che è definibile come novecentesco.
Questo non significa che sia per ciò stesso sbagliato. Si tratta di capire fino
in fondo e di valutare quanto sia corretta l’analisi di cui sopra, che dà per
scontata, almeno nel nostro Paese, la inefficacia totale della
rappresentanza politica e l’impossibilità di porvi rimedio. È una
scelta che implica, tra l’altro, oltre alla conflittualità permanente,
una condizione minoritaria permanente di chi intende rappresentare il
lavoro.
14. E veniamo alle
conseguenze. Sul piano delle conseguenze, la sconfitta dei Referendum,
dovuta al mancato raggiungimento del quorum, con uno scarto pesante di
ben venti punti percentuali, è un fatto assai grave, soprattutto perché
dei problemi posti nei quesiti referendari non si parlerà più per un bel po’.
E ciò costituisce senz’altro un grave danno in prospettiva per la causa del
lavoro e della cittadinanza. Ci saranno probabilmente anche delle conseguenze
concernenti l’istituto referendario. Il Referendum è andato soggetto, per
l’ennesima volta, a una sorta di stiramento, quando non di snaturamento
vero e proprio. Con il rischio di aprire le porte a modifiche estemporanee
che non si sa dove potrebbero portare. Si parla di aumentare il numero delle
firme necessarie, di un abbassamento del quorum, di introdurre il referendum
propositivo. Con tutti gli ingegneri costituzionali che abbiamo, c’è il serio
rischio di decisioni avventate che potrebbero anche peggiorare le cose. L’uso
dell’astensione, fatto spregiudicatamente e perigliosamente dai sostenitori del
No, ha poi finito oltretutto per confondersi con la pericolosa tendenza
all’astensionismo elettorale che si registra da tempo nel nostro Paese, e
che sta mettendo a repentaglio la nostra stessa democrazia.
15. Ma veniamo ora a
costatare alcune conseguenze più specifiche. Il Referendum intanto ha
costituito l’ennesima occasione per celebrare la disunità sindacale nel
nostro Paese. Mentre la CGIL ha dato ovviamente l’indicazione di votare Sì ai
cinque quesiti, la CISL ha indicato nientemeno che l’astensione generalizzata,
mirando così al mancato raggiungimento del quorum e alla invalidazione
della consultazione. Il secondo sindacato italiano, per numero di aderenti si è
schierato dunque nettamente contro la teoria della rappresentanza del lavoro di
Landini. La UIL ha dato l’indicazione di votare Sì al Reintegro e ai Subappalti
e ha lasciato libertà per gli altri quesiti, considerando quindi come opinabili
i tre quesiti sulla Indennità, i Contratti a termine e la Cittadinanza. Cose
non da poco. In generale, la decisione della CISL pare proprio abbia messo la pietra
tombale sull’unità sindacale. Se è senz’altro vero che certe leggi recenti
hanno danneggiato i lavoratori, è senz’altro vero che un danno ancor più grande
è stato fatto loro proprio dalla disunità sindacale.
16. Il Referendum ha
messo in luce anche la disunità politica della opposizione, il
cosiddetto campo largo, e ha anche segnato notevoli disparità di
opinioni all’interno del PD, il principale partito di opposizione. Il M5S ha
dato indicazione di votare Sì per i quattro quesiti sul lavoro e ha lasciato
libertà per Cittadinanza. Italia Viva ha dato indicazione di votare No ai
quesiti sul lavoro, lasciando tuttavia libertà per Indennità e Subappalti, e di
votare Sì alla Cittadinanza. Azione di Calenda ha proposto quattro No ai
quesiti sul lavoro e Sì a quello sulla Cittadinanza. AVS di Bonelli e
Fratoianni ha proposto cinque Sì. Più Europa ha proposto No a Reintegro,
Indennità e Contratto a termine e Sì per Subappalti e Cittadinanza. I Radicali
hanno dato indicazione di votare No ai Referendum sul lavoro e sì a
Cittadinanza. Un pluralismo davvero straordinario! Che cento fiori fioriscano,
che cento scuole gareggino!
Il fatto che le
formazioni dell’opposizione, candidate alla costituzione del cosiddetto campo
largo, abbiano manifestato posizioni così contrastanti su questioni così
cardinali come il lavoro e la cittadinanza è indicativo del profondo malessere
dell’opposizione. In termini di previsione, possiamo dire che nelle
elezioni politiche nazionali che si terranno – presumibilmente – nel 2027 le
prospettive di vittoria della sinistra siano prossime pressoché allo zero.
Va detto, in margine a
queste giravolte, che la campagna elettorale è stata quasi priva di dibattito,
tra le diverse forze politiche e sindacali, e l’onere della mobilitazione –
invero assai generosa – è caduto di fatto sulla CGIL e pochi altri. Ovviamente
le centrali della disinformazione hanno fatto il loro mestiere. Come al solito
si sono sentite, da parte dei sostenitori del Sì, aspre recriminazioni nei
confronti della informazione e soprattutto del Servizio pubblico televisivo.
Fino a sostenere che il Sì avrebbe perso a causa del boicottaggio
dell’informazione. L’ipotesi ci pare un tantino esagerata, anche se un qualche
fondamento ce l’ha.
17. E, per finire, uno
sguardo sui destinatari dei Referendum. Quando si perde, sorge spontanea la
tentazione di colpevolizzare gli elettori. Questa tendenza si mescola volentieri
con le interpretazioni o con le spiegazioni. Elettori cattivi cittadini che
hanno preferito “andare al mare”, oppure che hanno obbedito al consiglio di
“andare al mare” da parte degli astensionisti. Elettori poco informati dai
media. O elettori distratti. Elettori che hanno ceduto alla politicizzazione
del discorso referendario e quindi, invece di entrare nel merito delle
questioni, hanno seguito i consigli della loro parte politica. Elettori che
hanno ritenuto che gli argomenti specifici dei cinque Referendum non li
riguardassero direttamente. Elettori che hanno desistito per repulsione nei
confronti degli immigrati – per cui la colpa del basso afflusso ai seggi
sarebbe stata dovuta, secondo taluni, alla presenza del quinto Referendum. Se
ne potrebbero citare altre ancora.
18. Ho sentito Landini
affermare con grande convinzione che si trattava di convincere ad andare a
votare gli astenuti (alle elezioni politiche). Beata speranza. È questo il sogno
eterno della sinistra che dentro/ dietro gli astenuti del voto ci sia un
grande potenziale di protesta. Dal mio punto di vista, questa è una
prospettiva che sta fuori dal mondo. Gli astenuti, purtroppo, sono cittadini
deteriorati, cittadini perduti. Sono la feccia della cittadinanza. Sono in gran
parte irrecuperabili, carne da macello mobilitabile solo dal populismo becero.
Sono la conseguenza della sparizione progressiva della cultura civica
repubblicana e democratica dal nostro Paese. E anche questa sparizione ha le
sue cause ben precise. Non entro nel merito per brevità. La narrazione circa il
potenziale di protesta degli astenuti si basa sul mito dei cittadini buoni
e delle istituzioni cattive. Gli astenuti si sentono messi da parte
dalle cattive istituzioni, non vanno a votare per protesta ma conservano un
istinto certo circa i loro autentici interessi: se proponi loro qualcosa
di conveniente (vedi i motivi assai concreti dei quattro referendum) questi non
potranno che rispondere positivamente! Non sembra proprio sia andata così.
19. Nel ragionamento di
Landini si vede all’opera, forse inconsapevolmente, l’economicismo che è
stato tipico da sempre della sinistra. L’elettore considerato come homo
oeconomicus. Ebbene, questa visione è smentita dai risultati. La maggior
parte degli elettori (cittadini e lavoratori) non ha ritenuto
rientrassero nel proprio interesse una serie di vantaggi elementari,
come il Reintegro, l’Indennità, i Contratti a termine e i Subappalti. Come mai?
Hanno avuto ragione o si sono sbagliati?
C’è innanzitutto da
considerare un dato statistico; da noi il lavoro dipendente contrattualizzato
o contrattualizzato a termine (tale da rientrare nelle fattispecie di
rischio e precarietà previste dai Referendum) è una minoranza rispetto ai 51 301 377 di
aventi diritto al voto, sui quali si calcola il quorum. E poi non dappertutto
ci sono cose come i subappalti. Anzi, questi sono caratteristici solo di taluni
settori. Molti lavori addirittura sono in nero o non contrattualizzati. Poi
abbiamo l’economia degli schiavi.[7] Ma ci sono anche gli ultra garantiti che
hanno il posto fisso, dove le probabilità di essere licenziati o di cadere da
un’impalcatura sono altrettanto minime. Si consideri poi l’intero pubblico
impiego, non coinvolto. Ma ci sono anche le partite IVA che cadono fuori dal
discorso, oppure gli ultra professionalizzati che, se perdono il lavoro, devono
solo alzar mano per trovarne subito un altro. Poi c’è la valanga di coloro che
sono in pensione, certo poco interessati al mondo del lavoro. Insomma, i
quattro referendum si rivolgono a uno specifico tipo ideale di
lavoratore, sottoposto a rischio e precarietà, effettivamente danneggiato dal
Jobs Act e dalle altre disposizioni sul lavoro. Un tipo di lavoratore per il
quale potrebbe avere effettivamente senso una battaglia per recuperare uno
straccio di dignità, come sostiene Landini.
20. Quanti sono costoro?
Se non fosse un lavoraccio (ahimè nessuno mi paga!), sarebbe utile, a partire
dai dati statistici, fare una stima del numero dei possibili diretti
destinatari dei provvedimenti referendari. Per brevità, tanto per dare
un’idea approssimativa dell’entità di questo “popolo”, userò la tabella
sintetica recentemente pubblicata da Pier Giorgio Ardeni[8], che è relativa a
dati del 2023. Com’è noto, Ardeni segue lo schema delle classi sociali proposto
da Paolo Sylos Labini. Gli occupati complessivi, relativi a tutte le classi
sociali, risultavano 23 647 390. Di questi, coloro che sono qualificabili
come classe operaia ammontano a 5 528 599. Questi comprendono salariati
agricoli (340 317), salariati dell’industria (2 630 698), salariati
dell’edilizia (716 230), salariati del commercio (511 603) e salariati di
trasporti e servizi (1 329 751). A questi 5,5 milioni andrebbero aggiunti – se
comprendiamo bene la tabella di Ardeni – gli impiegati e i dipendenti privati,
classificati sotto “piccola borghesia impiegatizia” e che ammontano a 8 241
009. Non vanno inclusi gli impiegati pubblici, cui non si applicano le
tematiche referendarie.
Il target dei
direttamente interessati dunque, in senso stretto ammonterebbe ai 5 milioni e
mezzo, cioè i classificati come classe operaia. Se aggiungiamo a costoro gli
impiegati e i dipendenti privati (per i quali tuttavia la condizione di rischio
e precarietà senz’altro meno impellente) possiamo allargare la cifra fino a 13
769 608. Ricordo che il quorum per il Referendum 2025 ammontava a 25 650 689. Anche solo ragionando
in termini di interesse individuale, anche pensando che ognuno di costoro
avesse un parente che vota per lui, l’impresa del quorum era piuttosto in
salita.
21. I quattro
Referendum, nella loro specificità tematica, sembrano tendere a ridurre
piuttosto che ad ampliare la platea dei diretti interessati. Allora bisogna
riconoscere che la fattispecie dei destinatari dei quattro referendum sul
lavoro corrisponde a un tipo ideale di lavoratore – perfettamente
coerente con una certa ideologia del lavoro, quella che abbiamo chiamato
lavorismo – che tuttavia è ben lungi dal corrispondere all’intero
universo statistico dei lavoratori in generale. Non sto dicendo che la
fattispecie di rischio e precarietà individuata dai quattro Referendum non
esista. Esiste eccome e probabilmente è anche in aumento. Ma questa è solo
una delle multiformi facce del lavoro odierno. Non dappertutto ci sono
subappalti o contratti a termine. I promotori dei quattro Referendum sul lavoro
hanno preso una casistica specifica, senz’altro moralmente e
politicamente degna di ogni attenzione, senz’altro di grande valore simbolico,
e l’hanno estesa a tutto il mondo del lavoro. Perché? Qui si potrebbero
sprecare i riferimenti storici. Si ricordi il proletariato tedesco di Marx che
da classe particolare diventava classe generale, tanto da
liberare l’intera umanità dall’alienazione. Tempo fa scrissi un ampio saggio su
questo argomento.[9] Ebbene, l’ampio mondo del lavoro e l’ancor più
ampio elettorato sembra non si sia riconosciuto più di tanto nel tipo
ideale di lavoratore emergente dai quesiti referendari.
22. Ma c’è un altro
fatto più generale da considerare, che prescinde dall’homo oeconomicus e
che anzi lo rende decisamente meno importante di quanto non si creda
comunemente. Il fatto è che l’elettore medio odierno è assolutamente incapace
anche solo di fare un calcolo oggettivo dei propri interessi che vada oltre
l’immediato. Per avere un atteggiamento realistico verso il mondo, per essere
in grado di fare un calcolo non distorto dei propri interessi, occorrerebbe un
elettore lucido, correttamente informato, liberato da tutta la fuffa accumulata
nel proprio cervello dai social media e dalla comunicazione populista.
La sovrastruttura mediatica imperante, che ha preso il posto dell’opinione
pubblica, impedisce sistematicamente all’elettore medio di fare il calcolo dei
propri effettivi interessi. Landini dice all’elettore medio «Vota per me, nel tuo
interesse!». Ma l’elettore medio è così internamente strutturato che
quell’interesse proprio non lo vede, non può vederlo. Non nell’immediato e
neanche in prospettiva. È purtroppo finita l’epoca dei calcolatores.
L’epoca della rational choice.[10] L’elettore medio sceglie sulla base
del “noi”, di quelli che più ritiene gli somiglino, sotto i profili più vari. È
istintivamente identitario! E chiunque, per la sua preziosa identità,
sarebbe disposto a scordare anche i propri interessi immediati. Ho trattato diffusamente
di questo tipo umano nel mio recente saggio sulle elezioni
americane.[11]
23. Sembra che non
abbiamo imparato proprio niente da Berlusconi e da Trump. Le famose casalinghe
votavano per Berlusconi, il quale aveva un profondo disprezzo per le donne. Gli
americani poveri, magari per una legittima antipatia verso i democratici delle
due Coste, hanno votato per un uomo ultra ricco che disprezza i poveri e li usa
per i suoi interessi di parte e tornaconti personali. È, questo, esattamente un
atteggiamento di pancia, come quello che consigliava Grillo, alla
lettera, qualche tempo fa ai suoi seguaci. Non a caso, i Referendum di Landini
sono andati meglio nei soliti posti, tipo ZTL, tra i laureati e gli antipatici
intellettuali. Si tratta tuttavia ahimè di una minoranza. Purtroppo la laurea è
ancora soggetta a qualche restrizione, anche se ben presto la regaleremo
proprio a tutti. Ma allora sarà cosi squalificata che non farà più alcuna
differenza.
Giuseppe Rinaldi (11/06/2025)
OPERE
CITATE
2024 Ardeni, Pier Giorgio, Le classi sociali in Italia oggi, Laterza, Bari.
2019 Ricolfi, Luca, La società signorile di massa, La nave di Teseo, Milano.
NOTE
[1] Sull’argomento trattato in questo saggio ho
potuto beneficiare di uno scambio di idee, aperto e partecipato, con gli amici
di Città Futura, che ringrazio sentitamente. Ovviamente la responsabilità di
quanto qui vien sostenuto è esclusivamente mia. Preciso che nella redazione di
questo saggio non ho fatto uso di alcuno strumento di intelligenza artificiale.
Nel corso di questo scritto, adotterò le seguenti abbreviazioni per indicare i
diversi Referendum: Reintegro, Indennità, Contratto a termine, Subappalti,
Cittadinanza.
[2] Fonte Wikipedia.
[3] Fonte Wikipedia.
[4] Rinvio al mio saggio del 2015 Dal sociale
non nasce niente che rappresentava un tentativo di analisi della Coalizione
sociale, di cui all’epoca si discuteva alquanto. Cfr. Finestre
rotte: Dal sociale non nasce niente .
[5] Cfr. il mio recente saggio: Finestre rotte: Finestre
rotte: Toh, chi si rivede. Etica e politica! Soprattutto
l’ultima parte.
[6] Si tratterebbe di capire perché, nella
storia recente del nostro Paese, si siano fatti innumerevoli tentativi, almeno
da Tangentopoli in poi, per riformare il sistema politico complessivo.
Tentativi che non hanno risolto nulla. L’Autonomia differenziata e il
Premierato di Calderoli/ Meloni sono solo l’ennesima favola che promette il
rinnovamento della politica. Dati i trascorsi conflittuali del passato e del
presente, la sinistra, nel suo complesso, sembra avere totalmente rinunciato
all’obiettivo in questione e sembra essersi totalmente rassegnata alla politica
inconcludente.
[7] Si veda il saggio di Luca Ricolfi La
società signorile di massa. Cfr. Ricolfi 2019.
[8] Cfr. Ardeni 2024.
[9] Si veda in proposito il mio saggio storico
filosofico, sempre del 2015, Classe generale e interessi particolari.
Cfr. Finestre
rotte: Classe generale e interessi particolari.
[10] Come studioso di scienze sociali sono
affranto. Tutti i valorosi modelli economici e sociologici basati sulla rational
choice sono sempre più destituiti di fondamento! Ormai le idee distorte che
stanno nella testa di ciascuno sopravanzano completamente gli interessi
oggettivi, per cui ogni previsione nel mondo sociale è sempre più difficile.
[11] Chi è interessato a queste tematiche può
approfondire il concetto di mutazione antropologica, che ho usato per
interpretare il comportamento degli elettori americani che hanno votato per
Trump contro i loro stessi interessi. Cfr. Finestre
rotte: Le elezioni americane e noi .
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