sabato 7 marzo 2015

Classe generale e interessi particolari



















1. Ci sono[1] dei casi in cui lo studio dei classici è indispensabile per comprendere il tempo presente. Anche e soprattutto se quei classici, direttamente o indirettamente, hanno contribuito così profondamente a dare forma al nostro mondo da giungere a costituire, ancora oggi, una parte del nostro senso comune. Così è nel caso del rapporto tra lavoro e cittadinanza, argomento quanto mai controverso che tende di quando in quando a guadagnare una qualche improvvisa centralità, per poi tornare nel dimenticatoio per lungo tempo.

È chiaro che la nozione comunemente diffusa del lavoro (e del lavoratore) è strettamente legata, almeno nel nostro Paese, alla tradizione socialista e marxista. Si tratta di una tradizione che tende a mettere l’accento sul carattere collettivistico e di classe del lavoro. Al contrario, la nozione comune della cittadinanza (e del cittadino) è strettamente legata alla tradizione illuministica, incentrata sul ruolo dell’individuo nelle diverse versioni repubblicana, liberale e democratica. Sono due nozioni che, per molti aspetti e per molto tempo, sono state considerate come mutualmente esclusive. Si trattava di definire se nel campo politico le unità fondamentali che dovevano entrare in gioco dovevano essere gli individui singoli, oppure piuttosto gli aggregati di individui (intesi come classi e/ o anche corporazioni).

In proposito si ha la sensazione diffusa che, in Occidente, stiamo passando lentamente da un periodo storico nel quale il conflitto nel campo politico avveniva prevalentemente tra aggregati di individui a un nuovo periodo in cui il conflitto politico avviene prevalentemente a livello delle individualità singole. Con ciò si registra una progressiva perdita di importanza delle aggregazioni. È chiaro che un simile cambiamento è tale da comportare un mutamento radicale della natura stessa dell’azione collettiva.

In questo articolo cercheremo, in termini teorici e storico filosofici, di andare alla radice della questione, con la convinzione che solo una prospettiva sparsa su un ampio arco temporale possa consentire una effettiva comprensione. Solo così si potranno comprendere le ragioni delle origini, degli sviluppi di certe persistenze, ormai non più fondate. E le prospettive che nel contempo si aprono. La radice della questione che ci interessa si trova nella Germania della prima metà dell’Ottocento e il protagonista è il giovane Marx.

2. Tra il 1843 e il 1844, dopo avere dovuto rinunciare alla sua attività giornalistica, il giovane Marx si apprestava a lasciare la Germania per la Francia. Nelle sue intenzioni c’era un ambizioso progetto di costruire un qualche tipo di collegamento militante tra intellettuali francesi e tedeschi. Il primo risultato di questa impresa fu la pubblicazione degli Annali franco tedeschi – rivista di impianto politico filosofico che ebbe una vita travagliata e della quale uscì un solo numero nel 1844. Quivi Marx pubblicò una sua Introduzione alla critica della filosofia del diritto di Hegel. Si trattava di uno scritto di poche pagine che tuttavia, ancor oggi, è piuttosto importante per la comprensione del suo pensiero e dei suoi successivi sviluppi. In questo piccolo scritto sono contenuti alcuni motivi che ebbero grande diffusione e che hanno continuato a essere trasmessi, più o meno consapevolmente, fino ai giorni nostri. E ciò è avvenuto nell’ambito della visione del mondo e della cultura politica del movimento operaio. Mi riferisco a due motivi in particolare: una prospettiva sociale di tipo organicistico e la concezione dialettica del particolare che diventa universale. Queste due strutture di pensiero sono ancora rintracciabili a tutt’oggi, nella polemica politica quotidiana, nei dibattiti intorno al lavoro e al movimento sindacale. Esse continuano a operare indisturbate, proprio perché date per scontate.

3. Gli Annali – nelle intenzioni di Marx e dei suoi collaboratori – avevano il compito di sviluppare un intervento politico culturale che fosse in grado di mettere in collegamento i rivoluzionari radicali francesi con quelli tedeschi. Il discorso contenuto nel saggio marxiano è dunque di tipo comparativo tra i due Paesi e tende sistematicamente a porre l’accento sull’arretratezza della Germania rispetto alla Francia – del resto Marx stava scappando dalla Germania.

Secondo Marx, l’unico settore in cui la Germania si trovava compiutamente alla pari con gli altri paesi era quello della filosofia.[2] Pur essendo, la Germania, un paese socialmente ed economicamente arretrato, i suoi filosofi (il riferimento va ovviamente a Hegel) avevano infatti compreso meglio di altri la natura dello Stato e della società civile moderni. Come ciò fosse stato possibile, anche dal punto di vista dello stesso Marx non è davvero facile da intendere. Pochi anni dopo Marx scriverà, infatti, pagine assai chiare sul condizionamento economico - sociale del pensiero. Qui, invece, abbiamo la rappresentazione di un paese arretrato, la Germania, in cui sorge un filosofo capace di comprendere, meglio di tutti gli altri, quel che succedeva nei paesi più avanzati. Questo miracolo era dovuto, secondo Marx, al fatto che Hegel era stato lo scopritore della dialettica.

È probabile che il giovane Marx cercasse di compensare il proprio senso di inferiorità nei confronti degli intellettuali francesi, inventandosi il caso di un grande filosofo tedesco (di cui egli stesso era in un certo senso seguace, avendo fatto parte del gruppo dei Giovani hegeliani) che, senza neanche accorgersene, aveva capito tutto quel che c’era da capire. Toccava tuttavia a Marx portare finalmente alla luce quel che Hegel aveva scoperto. Questo sarebbe stato il contributo dei transfughi tedeschi alla causa della rivoluzione mondiale.

Dal punto di vista rivoluzionario, si trattava dunque per Marx di sottoporre a critica questo prodotto avanzato del pensiero tedesco che era culminato proprio nella filosofia hegeliana del diritto. Probabilmente egli riteneva che questo tipo di critica sarebbe stata utile ai rivoluzionari francesi, che egli considerava, con una punta di presunzione, alquanto capaci nella pratica ma alquanto scarsi nella teoria. Marx aveva in mente di far seguire, a questa Introduzione, la pubblicazione di un suo ampio scritto di analisi dettagliata del diritto hegeliano dal titolo di Per la critica della filosofia del diritto pubblico di Hegel. Di cui ci sono rimaste alcune bozze incompiute,

4. Il problema generale che Marx affronta nella sua Introduzione è ben noto e non ha mai smesso di essere di storica attualità: come si possa mettere in atto un processo di cambiamento radicale in una situazione sociale di tipo arretrato. Come fare la rivoluzione in un Paese sotto sviluppato. Marx aveva ben chiaro che lo sviluppo storico seguiva diversi ritmi e che, dal punto di vista rivoluzionario, c’erano situazioni che potevano essere considerate più avanzate e altre decisamente più arretrate. Come s’è detto, Marx all’epoca aveva effettivamente in mente due modelli di cambiamento politico che stavano davanti ai suoi occhi: quello avanzato della Francia e quello arretrato della Germania.

5. In Francia si erano succedute ormai due rivoluzioni e così si era evidenziato il ruolo politico delle diverse classi sociali che in maniera sempre più radicale – e talvolta conflittuale – avevano cercato e stavano cercando di prendere in mano il destino del Paese. In altri termini, ogni classe sociale aveva sviluppato una sua coscienza politica e una sua precisa azione politica. Afferma Marx: «In Francia ogni classe del popolo è politicamente idealista, e soprattutto sente se stessa non come classe particolare, ma come rappresentante dei bisogni generali della società. La funzione di emancipatore passa dunque successivamente, con un andamento drammatico, alle differenti classi del popolo francese, finché perviene alla classe che realizza la libertà sociale, non più presupponendo certe condizioni estranee all’uomo, e tuttavia create dalla società umana, ma organizzando piuttosto tutte le condizioni dell’esistenza umana nel presupposto della libertà sociale».[3]

6. Saremmo stati cioè in presenza, in Francia, di una situazione in cui ciascuna parte della società sviluppava una pretesa universalistica e si poneva come rappresentante degli interessi generali. Naturalmente, queste diverse parti della società che aspiravano a rappresentare gli interessi generali erano in conflitto tra loro e, affermandosi storicamente in successione sulla scena sociale e politica, esse avevano provveduto ad allargare progressivamente l’emancipazione stessa. Questo processo sarebbe continuato, fino alla classe che per sua natura sarebbe stata in grado effettivamente di assicurare l’emancipazione definitiva (e quindi di rappresentare, non solo in modo illusorio ma autenticamente, gli interessi generali della società intera).[4] Alle diverse rivoluzioni parziali, avrebbe dunque fatto seguito una rivoluzione totale e definitiva, nell’interesse di tutti.

7. Come si vede da queste brevi citazioni, nell’argomentazione del giovane Marx, giocava un ruolo fondamentale la contrapposizione tra particolare e universale. Le classi sociali francesi non possono costituire altro che punti di vista particolari, i quali tuttavia, in una situazione di maturità rivoluzionaria, nella loro coscienza aspirano a porsi come universali, aspirano cioè a ordinare l’intera società dal loro punto di vista, nell’interesse della società stessa. Si noti che ciò che era “particolare” tuttavia non era l’individuo singolo, il quale era considerato da Marx (e da Hegel) come una mera accidentalità. Gli interessi particolari di cui tratta Marx non sono mai interessi individuali, sono sempre interessi organici di una parte organica, oppure della totalità. Si usava spesso la metafora dei corpi.

8. Secondo Marx, la situazione dell’arretrata Germania era assai diversa dalla Francia: «In Germania, invece, dove la vita pratica è altrettanto priva di spirito quanto poco pratica è la vita spirituale, nessuna classe della società civile ha il bisogno e la capacità dell’emancipazione universale, finché non vi sia obbligata dalla sua situazione immediata, dalla necessità materiale, dalle sue stesse catene».[5] Marx dunque, costatata l’arretratezza della Germania, prende atto della mancanza di un progetto consapevole di trasformazione sociale da parte delle varie parti sociali tedesche e perciò va alla ricerca di un meccanismo di trasformazione sociale che fosse indipendente dal grado di maturazione della coscienza rivoluzionaria. Lo troverà in una specie di meccanica dell’oppressione, del tutto indipendente dalla coscienza dei protagonisti in campo. L’oppressione dovrà cioè giungere a un livello così insopportabile da suscitare necessariamente una reazione.[6]

9. Così, infatti, Marx sintetizza la sua ricetta per la Germania: «Dov’è dunque la possibilità positiva dell’emancipazione tedesca? Risposta: nella formazione di una classe con catene radicali, una classe della società civile che non sia una classe della società civile, una classe che sia la dissoluzione di tutte le classi, una sfera che, per la sua sofferenza universale, possieda un carattere universale e non rivendichi un diritto particolare, poiché non ha subito un torto particolare, bensì l’ingiustizia di per sé, assoluta, una classe che non possa più appellarsi a un titolo storico, bensì al titolo umano, che non si trovi in contrasto unilaterale con le conseguenze, ma in contrasto totale con tutte le premesse del sistema politico tedesco, una sfera, infine, che non possa emancipare se stessa senza emanciparsi da tutte le altre sfere della società, emancipandole di conseguenza tutte, e che sia, in una parola, la perdita completa dell’uomo e, possa quindi conquistare nuovamente se stessa soltanto riacquistando completamente l’uomo. Questa decomposizione della società, in quanto classe particolare, è il proletariato».[7]

10. Marx, in questo passo, dove la verbosità ha un ruolo assai più importante dell’argomentazione logica, gioca retoricamente sui diversi significati di universale. Universale può alludere al numero (la sofferenza universale sarebbe la sofferenza che investe tutti) oppure al carattere totalmente disumano dell’oppressione (la negazione dell’umanità), che potrebbe tuttavia anche realizzarsi solo in una parte. La cancellazione totale dell’umanità di una parte indurrebbe così i cancellati totalmente a conquistare nuovamente loro stessi liberando così anche tutti gli altri. È chiaro che tutto ciò non significa proprio nulla, ma ha sicuramente un certo impatto retorico.

11. Per Marx, dunque, l’oppressione assoluta che si esercita su una parte, proprio perché assoluta – cioè perché è negazione dell’umano – è l’oppressione che può condurre alla riconquista dell’umano e dunque all’emancipazione di tutta la società. Con linguaggio meno metafisico, e con qualche carità nei confronti dell’Autore, si può dire che verrebbe a determinarsi una situazione nella quale l’interesse di una parte verrebbe a coincidere con l’interesse di tutti. Dunque il proletariato, classe particolare, di suo non avrebbe interessi particolari, bensì soltanto universali.[8] Il proletariato quindi nella sua lotta contro l’oppressione, a differenza delle altre classi, non condurrebbe una battaglia egoistica, particolaristica, ma una battaglia altruistica, per tutti. Solo in questo senso il proletariato sarebbe moralmente legittimato a combattere la propria battaglia. Altrimenti sarebbe tacciato di voler affermare i propri interessi particolari a discapito di altri, quindi di essere potenzialmente oppressore di altri. Non distinguendosi così da qualsiasi altra classe in lizza.

12. Il correlato di questo ragionamento è che l’oppressore, anche se non se ne rende conto, è a sua volta disumanizzato, perché essendo un oppressore che ha interessi particolari, non è in grado di sussistere come universale. In sostanza ha perso la propria umanità.[9] La lotta del proletariato avrebbe, quindi, l’importante conseguenza di umanizzare – contro la loro stessa volontà – gli oppressori che sono strutturalmente particolaristi e quindi disumani. In ciò sta la connessione tra interesse di parte e moralità universale che è tipico di tutte le teorie della lotta di classe di stampo marxiano. La lotta di classe, pur essendo, nei fatti, una lotta di una parte, non sarebbe una lotta particolaristica, perché moralmente legittimata dal riferimento all’universale (ciò per cui si combatte è universale, poiché la nuova società che sarà instaurata assicurerà l’interesse di tutti). Si noti che qui il “tutti” ha una ovvia implicazione organicistica.

13. A questo punto abbiamo tutti gli elementi per un confronto con la teoria rivoluzionaria opposta a quella marxiana. Com’è noto, il conflitto tra particolare e universale è tipico anche della dottrina di Rousseau, il padre della teoria della democrazia moderna. Nella prospettiva di Rousseau tuttavia non c’è alcuno spazio per diverse parti sociali, per i diversi corpi sociali; c’è un unico corpo, il corpo politico, il quale è formato da tutti i singoli cittadini in quanto singoli. Il conflitto tra particolare e universale si sviluppa dunque all’interno del singolo individuo – nella sua mente, nel momento della deliberazione – il quale deve scegliere tra il proprio interesse particolare e l’interesse generale. Qualunque costituzione di corpi sociali separati avrebbe comportato diverse volontà in conflitto (volontà che avrebbero aspirato a diventare generali). Anche una totalità organica di cittadini non sarebbe stata gradita da Rousseau, poiché questa avrebbe soffocato il processo di formazione della volontà generale. Per Rousseau, la scelta politica è una questione morale, mentre per Marx è una questione di interesse: per Marx l’interesse particolare del proletariato viene a coincidere automaticamente (retoricamente) con l’interesse di tutti. Marx riteneva che l’interesse fosse una questione oggettiva, non soggetta a opzioni individuali.

14. Mentre Rousseau mostra di avere colto la lezione individualistica dell’illuminismo, Marx è ancora attestato su una visione organicistica. La visione dei corpi sociali di Marx proviene proprio da Hegel, dalla sua Filosofia del diritto, dove il filosofo di Stoccarda aveva sviluppato la teoria degli Stände,[10] cioè dei corpi organici della società che erano collocati nell’ambito del sistema dei bisogni. Gli Stände secondo Hegel si occupano di interessi particolari e da soli non sarebbero in grado di coordinarsi. Devono perciò essere coordinati dall’esterno, l’universale deve imporsi sulla loro particolarità. Per questo, tra i diversi Stände, Hegel ne aveva individuato uno che svolgeva una funzione universale: un ceto ambiguamente definito come universale (allgemein Stand). Si trattava del corpo dei funzionari pubblici che servivano lo Stato. Affermava Hegel: «Il ceto universale ha per propria occupazione gli interessi generali della situazione sociale. Esso, pertanto, dev’essere dispensato dal lavoro diretto a soddisfare i bisogni, e dev’esserlo o grazie al patrimonio privato, oppure mediante un compenso da parte dello Stato che pretende la sua attività. In tal modo, l’interesse privato trova qui il proprio appagamento lavorando per l’universale».[11]

È probabile che questa sia la fonte filosofica del conflitto tra particolare e universale che è presente nella filosofia marxiana. La fonte empirica invece, com’è noto, è stata fornita da Engels con la sua analisi della classe operaia inglese.

15. La lotta di classe marxiana trova dunque il suo fondamento teorico proprio nel permanere della nozione totalizzante di un corpo sociale composto di parti, là dove invece Rousseau l’aveva risolta nel cittadino. È chiaro che l’individuo di Rousseau può universalizzarsi solo tramite la sua partecipazione, come individuo, alle deliberazioni del corpo politico. Il conflitto è interno al singolo individuo ed è vissuto come conflitto tra l’interesse particolare e il bene comune. Si tratta di un conflitto che si può risolvere a livello morale razionale, attraverso il discorso pubblico nell’Assemblea. Che deve essere ispirato a criteri di razionalità.

Il corpo sociale marxiano invece non deve avere conflitti al proprio interno, non ha alcuna decisione da prendere, poiché esso è di già la incarnazione di una unica missione morale storica. Il recupero della propria umanità, per sé e per tutti. L’interesse è quello e la sua caratteristica non può che essere la unanimità. Il corpo sociale marxiano, la classe, è una parte organica sovra individuale della società che intende diventare il tutto.

16. Nel 1844, tuttavia, Marx andrà oltre lo studio della Filosofia del diritto di Hegel, come testimoniano i Manoscritti. Qui ora la generica oppressione si precisa e diventa alienazione. Alla generica perdita dell’umanità si aggiungono lo sfruttamento economico e la reificazione. Nei Manoscritti la pretesa della classe particolare di avere una missione universale di trasformazione della società è sostenuta sulla base dell’oggettività della situazione socio economica del proletariato. Qualsiasi elemento soggettivo viene soppresso, in nome della ferrea necessità che promana dalle leggi dello sviluppo del capitalismo. Nei Manoscritti Marx semplicemente indaga la natura delle catene radicali che – oltre ogni soggettività – legittimano la pretesa necessità del proletariato di diventare classe universale. Non serviranno più elaborati progetti politici, come nel caso dei francesi. Basterà essere materialmente dei proletari per poter rivendicare un ruolo di classe generale, di allgemein Stand. La condizione sociale basta e avanza, immediatamente. La condizione sociale si trasforma immediatamente in legittimazione morale e politica. In quanto espressione della medesima condizione materiale, si avrà immediatamente la unità morale della classe. La coscienza di classe. La coscienza di classe dunque è la consapevolezza della propria condizione materiale di alienazione e la prospezione della nuova società futura ove avverrà l’emancipazione della classe e, con essa, di tutta l’umanità.

17. Nel Manifesto, la classe generale del proletariato troverà poi una descrizione più approfondita, cioè una sua articolazione interna, per cui avremo la nota distinzione tra la classe oggettivamente intesa e la classe soggettivamente intesa, da cui emergerà il ruolo necessario delle avanguardie nella lotta di classe. Anche in questo caso l’impianto rimane tipicamente hegeliano: era stato proprio Hegel che aveva spiegato come un popolo in sé diventa cosciente e si dà una Costituzione. Del tutto analogamente, la classe universale diventa cosciente di sé e si dà un’organizzazione politica che è il Partito comunista.

18. A partire dal 1848, lo schema marxiano della classe generale o universale avrà una lunga storia. Nel leninismo – pur nelle sue diverse versioni – la classe generale, pur essendo parte, financo minoritaria, sarà legittimata a conquistare il potere politico con la forza e a instaurare la repubblica socialista. Questo è il senso del colpo di stato del 18 gennaio 1918, quando la rappresentanza democratica dei cittadini fu soppressa dal potere dei soviet (che nell’intendimento rappresentavano, appunto, la classe universale). Ovviamente, essendo unica la classe universale (rappresentando cioè tutta la società), non poteva più sussistere alcun pluralismo politico.

Secondariamente, all’interno del partito unico, al potere dal basso della pluralità dei membri dei soviet si sostituì ben presto il potere dall’alto della oligarchia del partito.[12] La concezione della classe generale si mantenne – anche se i suoi effetti furono di minore peso – all’interno dei partiti socialisti e socialdemocratici. I partiti socialdemocratici avevano accettato la via pacifica per l’instaurazione del socialismo, ma l’obiettivo era pur sempre quello di dare il potere alla classe generale – sempre nell’interesse dell’intera società. Mentre nella politica quotidiana si cercava di realizzare il programma minimo, restava pur sempre sullo sfondo il programma massimo.

19. La rottura esplicita di questo schema avvenne per la prima volta solo nel 1959. Nel 1959 a Bad Godesberg la SPD, la socialdemocrazia tedesca, rinunciò non solo alla rivoluzione (ci aveva già pensato Bernstein) ma anche al marxismo. Solo con questo cambiamento radicale di prospettiva il riferimento cessò di andare alla pars pro toto, ai proletari, agli operai, ai lavoratori intesi ancora come classe generale, per rivolgersi ora solo ed esclusivamente cittadini. Solo nel 1959 lo spirito di Rousseau era riuscito a vincere contro l’organicismo marxiano e contro la dialettica del particolare che diventa universale. Dopo Bad Godesberg il compito non sarà più quello di realizzare il socialismo, bensì di realizzare la democrazia. Il soggetto della politica non sarà più il proletario, il lavoratore, bensì il cittadino.

Storia finita? Neanche per sogno. Diversi (e numerosi) altri sindacati e partiti socialisti o comunisti dell’occidente, insieme a diversi movimenti che nasceranno in ambito operaio e giovanile, non compresero affatto la novità di Bad Godesberg. E così continuarono a sognare la classe generale, la parte degli sfruttati che si assume la missione di emancipare l’intera società, nell’interesse del rifiuto dell’alienazione e della ricostituzione dell’umano. A ottundere la consapevolezza di quanto deciso a Bad Godesberg diede un contributo abbastanza decisivo la ripresa, nel secondo Novecento, dei movimenti socialisti e leninisti nei paesi extra europei e dei movimenti rivoluzionari nati sull’onda della decolonizzazione. Un duro colpo alla prospettiva di Bad Godesberg venne ovviamente dalla Guerra fredda, nell’ambito della quale le democrazie occidentali furono accusate di essere asservite al capitalismo e all’imperialismo americano. Insomma, i socialisti scoprivano l’obiettivo della democrazia proprio nel momento in cui le democrazie venivano sepolte di improperi. Avvenne dunque che l’Europa occidentale fu temporaneamente ri-marxistizzata, o ri-leninizzata, più o meno come l’Europa del secolo fu ri-cristianizzata dai monaci irlandesi, tra il VI e l’VIII secolo. E diverse organizzazioni sindacali seguirono i partiti di classe, attraverso il noto meccanismo della cinghia di trasmissione.

20. Oggi, per lo meno in Occidente, nessun partito politico (che non si tratti di fenomeni folkloristici) pretende più di essere un partito di classe. Nessun partito politico pretende più di guidare la classe operaia, a partire dalla sua posizione di classe particolare, fino a dirigere la società svolgendo un ruolo di classe generale. L’impianto marxiano è stato superato dalle amare sconfitte della storia del XX secolo. Per effetto degli sconvolgimenti storici tuttavia permane ancora oggi una ambiguità non chiarita a proposito della rappresentanza. Si tratta di quella ambiguità che abbiamo segnalato in apertura. Da un lato la rappresentanza democratica dei cittadini che, attraverso le istituzioni, uti singuli, provvedono alla legislazione e al governo. Dall’altro la rappresentanza dei cittadini come lavoratori, dietro alla quale continua a riecheggiare, problematicamente, la classe universale. Può accadere che i cittadini in quanto lavoratori cerchino di abbattere un governo che i cittadini stessi hanno eletto in quanto elettori. Quello che abbiamo ancor oggi sotto gli occhi è il conflitto aspro tra due modalità della rappresentanza che pretendono di avere una diversa fonte di legittimazione.

Così la prospettiva di una classe operaia (o classe lavoratrice) intesa come classe generale continua a sopravvivere almeno in alcune frange del movimento sindacale del nostro Paese e in alcuni partiti e movimenti politici. E continua a sopravvivere in alcuni artefatti ideologici e retorici che sono assai più diffusi di quanto non si pensi. Mi riferisco a quella sorta di «metafisica del lavoro» che può essere denominata operaismo o, più precisamente, lavorismo, su cui varrà la pena di tornare.


Giuseppe Rinaldi

07/03/2015 - 16/04/2018 - 10/06/2025

                                    

 

TESTI CITATI

2006  Hegel, G. W. F., Lineamenti di filosofia del diritto (A cura di Vincenzo Cicero), Bompiani, Milano. [1820]

1844  Marx, Karl, Zur Kritik des Hegel’schen Rechts-Philosophie, in Ruge, Arnold & Marx, Karl (a cura di), Deutsch-Französische Jahrbücher, Paris. Tr. it.: Critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione, in Ruge, Arnold & Marx, Karl  (a cura di), Annali franco-tedeschi (A cura di Gian Mario Bravo), Massari Editore, Bolsena, 2001.

 

NOTE

[1] Questo saggio è stato originariamente pubblicato il 7/03/2015, su questo blog Finestre rotte. La presente versione è una revisione realizzata il 7/06/2025.

[2] Questa valutazione di Marx, col senno di poi, possiamo dire che era tragicamente errata.

[3] Cfr. Marx 1844: 133.

[4] Marx esclude, come si vede, la possibilità della democrazia come sistema di rappresentanza simultanea degli interessi di tutti secondo il principio «una testa, un voto». Ogni avvicendamento di nuove classi avrebbe dovuto comportare l’allargamento dell’emancipazione.

[5] Cfr. Marx 1844: 133.

[6] Oggi sappiamo che questo è un luogo comune. Quanto più forte è l’oppressione, tanto minori sono in generale le possibilità di una rivolta.

[7] Cfr. Marx 1844: 133.

[8] Cioè, avrebbe sì interessi particolari, ma i suoi interessi particolari (poiché vive una oppressione assoluta) coincidono con gli interessi universali.

[9] Ciò sarà precisato da Marx nei Manoscritti.

[10] Il termine talvolta è stato tradotto come classi. Più propriamente si tratta di stati o ceti.

[11] Cfr. Hegel 2006: 359.

[12] Roberto Michels elaborerà la sua legge ferrea dell’oligarchia proprio a partire dallo studio degli sviluppi delle organizzazioni di massa della classe operaia.

 



.