1. Ci sono[1] dei casi in cui lo studio dei classici è
indispensabile per comprendere il tempo presente. Anche e soprattutto se quei
classici, direttamente o indirettamente, hanno contribuito così profondamente a
dare forma al nostro mondo da giungere a costituire, ancora oggi, una parte del
nostro senso comune. Così è nel caso del rapporto tra lavoro e cittadinanza, argomento
quanto mai controverso che tende di quando in quando a guadagnare una qualche
improvvisa centralità, per poi tornare nel dimenticatoio per lungo tempo.
È chiaro che la nozione comunemente
diffusa del lavoro (e del lavoratore)
è strettamente legata, almeno nel nostro Paese, alla tradizione socialista e
marxista. Si tratta di una tradizione che tende a mettere l’accento sul carattere
collettivistico e di classe del lavoro. Al contrario, la nozione comune della cittadinanza (e del cittadino) è
strettamente legata alla tradizione illuministica, incentrata sul ruolo dell’individuo
nelle diverse versioni repubblicana, liberale e democratica. Sono due nozioni
che, per molti aspetti e per molto tempo, sono state considerate come mutualmente
esclusive. Si trattava di definire se nel campo
politico le unità fondamentali che dovevano entrare in gioco dovevano
essere gli individui singoli, oppure
piuttosto gli aggregati di individui
(intesi come classi e/ o anche corporazioni).
In proposito si ha la
sensazione diffusa che, in Occidente, stiamo passando lentamente da un periodo
storico nel quale il conflitto nel
campo politico avveniva prevalentemente tra aggregati
di individui a un nuovo periodo in cui il conflitto politico avviene
prevalentemente a livello delle individualità
singole. Con ciò si registra una progressiva perdita di importanza delle aggregazioni.
È chiaro che un simile cambiamento è tale da comportare un mutamento radicale della natura stessa dell’azione collettiva.
In questo articolo
cercheremo, in termini teorici e storico filosofici, di andare alla radice
della questione, con la convinzione che solo una prospettiva sparsa su un ampio
arco temporale possa consentire una effettiva comprensione. Solo così si potranno
comprendere le ragioni delle origini, degli sviluppi di certe persistenze,
ormai non più fondate. E le prospettive che nel contempo si aprono. La radice
della questione che ci interessa si trova nella Germania della prima metà dell’Ottocento
e il protagonista è il giovane Marx.
2. Tra il 1843 e il 1844, dopo avere dovuto rinunciare alla
sua attività giornalistica, il giovane Marx si apprestava a lasciare la
Germania per la Francia. Nelle sue intenzioni c’era un ambizioso progetto di
costruire un qualche tipo di collegamento
militante tra intellettuali francesi e tedeschi. Il primo risultato di
questa impresa fu la pubblicazione degli Annali
franco tedeschi – rivista di impianto politico filosofico che ebbe una vita
travagliata e della quale uscì un solo numero nel 1844. Quivi Marx pubblicò una sua Introduzione alla critica della filosofia del diritto di Hegel. Si
trattava di uno scritto di poche pagine che tuttavia, ancor oggi, è piuttosto
importante per la comprensione del suo pensiero e dei suoi successivi sviluppi.
In questo piccolo scritto sono contenuti alcuni motivi che ebbero grande
diffusione e che hanno continuato a essere trasmessi, più o meno
consapevolmente, fino ai giorni nostri. E ciò è avvenuto nell’ambito della
visione del mondo e della cultura politica del movimento operaio. Mi riferisco
a due motivi in particolare: una prospettiva
sociale di tipo organicistico e la concezione
dialettica del particolare che diventa universale. Queste due strutture di
pensiero sono ancora rintracciabili a tutt’oggi, nella polemica politica
quotidiana, nei dibattiti intorno al lavoro e al movimento sindacale. Esse continuano
a operare indisturbate, proprio perché date per scontate.
3. Gli Annali –
nelle intenzioni di Marx e dei suoi collaboratori – avevano il compito di sviluppare
un intervento politico culturale che fosse in grado di mettere in collegamento i
rivoluzionari radicali francesi con quelli tedeschi. Il discorso contenuto nel saggio
marxiano è dunque di tipo comparativo tra i due Paesi e tende sistematicamente
a porre l’accento sull’arretratezza della
Germania rispetto alla Francia – del resto Marx stava scappando dalla Germania.
Secondo Marx, l’unico settore
in cui la Germania si trovava compiutamente alla pari con gli altri paesi era
quello della filosofia.[2] Pur
essendo, la Germania, un paese socialmente ed economicamente arretrato, i suoi
filosofi (il riferimento va ovviamente a Hegel) avevano infatti compreso meglio
di altri la natura dello Stato e della società civile moderni. Come ciò fosse stato
possibile, anche dal punto di vista dello stesso Marx non è davvero facile da
intendere. Pochi anni dopo Marx scriverà, infatti, pagine assai chiare sul condizionamento economico - sociale del
pensiero. Qui, invece, abbiamo la rappresentazione di un paese arretrato,
la Germania, in cui sorge un filosofo capace di comprendere, meglio di tutti gli
altri, quel che succedeva nei paesi più avanzati. Questo miracolo era dovuto,
secondo Marx, al fatto che Hegel era stato lo scopritore della dialettica.
È probabile che il
giovane Marx cercasse di compensare il proprio senso di inferiorità nei
confronti degli intellettuali francesi, inventandosi il caso di un grande
filosofo tedesco (di cui egli stesso era in un certo senso seguace, avendo
fatto parte del gruppo dei Giovani hegeliani) che, senza neanche accorgersene, aveva capito tutto quel che c’era da
capire. Toccava tuttavia a Marx portare finalmente alla luce quel che Hegel
aveva scoperto. Questo sarebbe stato il contributo dei transfughi tedeschi alla
causa della rivoluzione mondiale.
Dal punto di vista
rivoluzionario, si trattava dunque per Marx di sottoporre a critica questo prodotto avanzato del pensiero tedesco che
era culminato proprio nella filosofia hegeliana
del diritto. Probabilmente egli riteneva che questo tipo di critica sarebbe
stata utile ai rivoluzionari francesi, che egli considerava, con una punta di
presunzione, alquanto capaci nella
pratica ma alquanto scarsi nella
teoria. Marx aveva in mente di far seguire, a questa Introduzione, la pubblicazione di un suo ampio scritto di analisi
dettagliata del diritto hegeliano dal titolo di Per la critica della filosofia del diritto pubblico di Hegel. Di
cui ci sono rimaste alcune bozze incompiute,
4. Il problema generale che Marx affronta nella sua Introduzione è ben noto e non ha mai
smesso di essere di storica attualità: come si possa mettere in atto un
processo di cambiamento radicale in
una situazione sociale di tipo arretrato. Come fare la rivoluzione in un Paese
sotto sviluppato. Marx aveva ben chiaro che lo sviluppo storico seguiva diversi
ritmi e che, dal punto di vista rivoluzionario, c’erano situazioni che potevano
essere considerate più avanzate e altre decisamente più arretrate. Come s’è
detto, Marx all’epoca aveva effettivamente in mente due modelli di cambiamento
politico che stavano davanti ai suoi occhi: quello avanzato della Francia e quello arretrato
della Germania.
5. In Francia si erano succedute ormai due rivoluzioni e così si
era evidenziato il ruolo politico delle diverse classi sociali che in maniera sempre più radicale – e talvolta
conflittuale – avevano cercato e stavano cercando di prendere in mano il destino
del Paese. In altri termini, ogni classe sociale aveva sviluppato una sua coscienza politica e una sua precisa azione politica. Afferma
Marx: «In Francia ogni classe del popolo è politicamente
idealista, e soprattutto sente se stessa non come classe particolare, ma
come rappresentante dei bisogni generali della società. La funzione di emancipatore passa dunque successivamente,
con un andamento drammatico, alle differenti classi del popolo francese, finché
perviene alla classe che realizza la libertà sociale, non più presupponendo
certe condizioni estranee all’uomo, e tuttavia create dalla società umana, ma
organizzando piuttosto tutte le condizioni dell’esistenza umana nel presupposto
della libertà sociale».[3]
6. Saremmo stati cioè in presenza, in Francia, di una
situazione in cui ciascuna parte
della società sviluppava una pretesa
universalistica e si poneva come
rappresentante degli interessi generali. Naturalmente, queste diverse parti della società che aspiravano
a rappresentare gli interessi generali erano
in conflitto tra loro e, affermandosi
storicamente in successione sulla scena sociale e politica, esse avevano provveduto
ad allargare progressivamente l’emancipazione stessa. Questo processo sarebbe
continuato, fino alla classe che per sua natura sarebbe stata in grado
effettivamente di assicurare l’emancipazione definitiva (e quindi di rappresentare, non solo in modo illusorio
ma autenticamente, gli interessi
generali della società intera).[4] Alle diverse rivoluzioni parziali, avrebbe
dunque fatto seguito una rivoluzione totale
e definitiva, nell’interesse di tutti.
7. Come si vede da queste brevi citazioni, nell’argomentazione
del giovane Marx, giocava un ruolo fondamentale la contrapposizione tra particolare e universale. Le classi sociali francesi non possono costituire altro
che punti di vista particolari, i quali tuttavia, in una situazione di maturità
rivoluzionaria, nella loro coscienza aspirano a porsi come universali, aspirano
cioè a ordinare l’intera società dal loro punto di vista, nell’interesse della
società stessa. Si noti che ciò che era “particolare” tuttavia non era l’individuo
singolo, il quale era considerato da Marx (e da Hegel) come una mera
accidentalità. Gli interessi particolari di cui tratta Marx non sono mai
interessi individuali, sono sempre interessi
organici di una parte organica,
oppure della totalità. Si usava spesso
la metafora dei corpi.
8. Secondo Marx, la situazione dell’arretrata Germania era
assai diversa dalla Francia: «In Germania, invece, dove la vita pratica è
altrettanto priva di spirito quanto poco pratica è la vita spirituale, nessuna
classe della società civile ha il bisogno e la capacità dell’emancipazione
universale, finché non vi sia obbligata dalla sua situazione immediata, dalla necessità materiale, dalle sue stesse catene».[5] Marx dunque, costatata
l’arretratezza della Germania, prende atto della mancanza di un progetto
consapevole di trasformazione sociale da parte delle varie parti sociali tedesche e perciò va alla ricerca di un meccanismo di
trasformazione sociale che fosse indipendente dal grado di maturazione della
coscienza rivoluzionaria. Lo troverà in una specie di meccanica dell’oppressione, del tutto indipendente dalla coscienza
dei protagonisti in campo. L’oppressione dovrà cioè giungere a un livello così
insopportabile da suscitare necessariamente una reazione.[6]
9. Così, infatti, Marx sintetizza la sua ricetta per la
Germania: «Dov’è dunque la possibilità positiva
dell’emancipazione tedesca? Risposta:
nella formazione di una classe con catene
radicali, una classe della società civile che non sia una classe della
società civile, una classe che sia la dissoluzione di tutte le classi, una
sfera che, per la sua sofferenza universale, possieda un carattere universale e
non rivendichi un diritto particolare,
poiché non ha subito un torto particolare,
bensì l’ingiustizia di per sé, assoluta,
una classe che non possa più appellarsi a un titolo storico, bensì al titolo umano, che non si trovi in contrasto unilaterale
con le conseguenze, ma in contrasto totale con tutte le premesse del sistema
politico tedesco, una sfera, infine, che non possa emancipare se stessa senza
emanciparsi da tutte le altre sfere della società, emancipandole di conseguenza
tutte, e che sia, in una parola, la perdita
completa dell’uomo e, possa quindi conquistare nuovamente se stessa
soltanto riacquistando completamente l’uomo.
Questa decomposizione della società, in quanto classe particolare, è il proletariato».[7]
10. Marx, in questo passo, dove la verbosità ha un ruolo assai
più importante dell’argomentazione logica, gioca retoricamente sui diversi
significati di universale. Universale
può alludere al numero (la sofferenza universale sarebbe la sofferenza che investe
tutti) oppure al carattere totalmente
disumano dell’oppressione (la negazione dell’umanità), che potrebbe tuttavia
anche realizzarsi solo in una parte.
La cancellazione totale dell’umanità di una parte indurrebbe così i cancellati
totalmente a conquistare nuovamente loro stessi liberando così anche tutti gli
altri. È chiaro che tutto ciò non
significa proprio nulla, ma ha sicuramente un certo impatto retorico.
11. Per Marx, dunque, l’oppressione assoluta che si esercita su
una parte, proprio perché assoluta – cioè perché è negazione dell’umano – è l’oppressione che può condurre alla riconquista dell’umano e dunque all’emancipazione
di tutta la società. Con linguaggio meno metafisico, e con qualche carità nei
confronti dell’Autore, si può dire che verrebbe a determinarsi una situazione
nella quale l’interesse di una parte verrebbe
a coincidere con l’interesse di tutti.
Dunque il proletariato, classe particolare, di suo non avrebbe interessi
particolari, bensì soltanto universali.[8]
Il proletariato quindi nella sua lotta contro l’oppressione, a differenza delle
altre classi, non condurrebbe una battaglia egoistica, particolaristica, ma una
battaglia altruistica, per tutti.
Solo in questo senso il proletariato sarebbe moralmente legittimato a combattere la propria battaglia. Altrimenti
sarebbe tacciato di voler affermare i propri interessi particolari a discapito
di altri, quindi di essere potenzialmente oppressore di altri. Non distinguendosi
così da qualsiasi altra classe in lizza.
12. Il correlato di questo ragionamento è che l’oppressore,
anche se non se ne rende conto, è a sua volta disumanizzato, perché essendo un oppressore che ha interessi
particolari, non è in grado di sussistere come universale. In sostanza ha perso la propria umanità.[9] La lotta
del proletariato avrebbe, quindi, l’importante conseguenza di umanizzare –
contro la loro stessa volontà – gli oppressori che sono strutturalmente
particolaristi e quindi disumani. In ciò sta la connessione tra interesse di parte e moralità universale che è tipico di
tutte le teorie della lotta di classe di stampo marxiano. La lotta di classe,
pur essendo, nei fatti, una lotta di una parte, non sarebbe una lotta particolaristica, perché moralmente
legittimata dal riferimento all’universale (ciò per cui si combatte è
universale, poiché la nuova società che sarà instaurata assicurerà l’interesse di tutti). Si noti che qui il “tutti”
ha una ovvia implicazione organicistica.
13. A questo punto abbiamo tutti gli elementi per un confronto
con la teoria rivoluzionaria opposta a quella marxiana. Com’è noto, il
conflitto tra particolare e universale è tipico anche della dottrina di
Rousseau, il padre della teoria della democrazia
moderna. Nella prospettiva di Rousseau tuttavia non c’è alcuno spazio per
diverse parti sociali, per i diversi corpi sociali; c’è un unico corpo, il corpo politico, il quale è formato da
tutti i singoli cittadini in quanto
singoli. Il conflitto tra particolare e universale si sviluppa dunque all’interno
del singolo individuo – nella sua mente, nel momento della deliberazione – il quale deve scegliere tra il proprio interesse particolare e l’interesse generale. Qualunque
costituzione di corpi sociali separati
avrebbe comportato diverse volontà in
conflitto (volontà che avrebbero aspirato a diventare generali). Anche una
totalità organica di cittadini non sarebbe stata gradita da Rousseau, poiché
questa avrebbe soffocato il processo di formazione della volontà generale. Per
Rousseau, la scelta politica è una questione
morale, mentre per Marx è una questione
di interesse: per Marx l’interesse particolare del proletariato viene a
coincidere automaticamente (retoricamente) con l’interesse di tutti. Marx
riteneva che l’interesse fosse una questione oggettiva, non soggetta a opzioni
individuali.
14. Mentre Rousseau mostra di avere colto la lezione
individualistica dell’illuminismo, Marx è ancora attestato su una visione organicistica. La visione dei corpi sociali di Marx proviene proprio
da Hegel, dalla sua Filosofia del diritto,
dove il filosofo di Stoccarda aveva sviluppato la teoria degli Stände,[10] cioè dei corpi organici
della società che erano collocati nell’ambito del sistema dei bisogni. Gli Stände
secondo Hegel si occupano di interessi particolari e da soli non sarebbero in
grado di coordinarsi. Devono perciò essere coordinati dall’esterno, l’universale
deve imporsi sulla loro particolarità. Per questo, tra i diversi Stände, Hegel ne aveva individuato uno
che svolgeva una funzione universale:
un ceto ambiguamente definito come universale (allgemein Stand). Si trattava del corpo dei funzionari pubblici che servivano lo Stato. Affermava
Hegel: «Il ceto universale ha per
propria occupazione gli interessi
generali della situazione sociale. Esso, pertanto, dev’essere dispensato
dal lavoro diretto a soddisfare i bisogni, e dev’esserlo o grazie al patrimonio
privato, oppure mediante un compenso da parte dello Stato che pretende la sua
attività. In tal modo, l’interesse privato trova qui il proprio appagamento
lavorando per l’universale».[11]
È probabile che questa
sia la fonte filosofica del conflitto
tra particolare e universale che è presente nella filosofia marxiana. La fonte empirica invece, com’è noto, è
stata fornita da Engels con la sua analisi
della classe operaia inglese.
15. La lotta di classe marxiana trova dunque il suo fondamento
teorico proprio nel permanere della nozione totalizzante di un corpo sociale composto di parti, là dove
invece Rousseau l’aveva risolta nel cittadino.
È chiaro che l’individuo di Rousseau può universalizzarsi
solo tramite la sua partecipazione, come individuo, alle deliberazioni del
corpo politico. Il conflitto è interno al singolo individuo ed è vissuto come
conflitto tra l’interesse particolare e il bene comune. Si tratta di un
conflitto che si può risolvere a livello morale razionale, attraverso il discorso pubblico nell’Assemblea. Che
deve essere ispirato a criteri di razionalità.
Il corpo sociale
marxiano invece non deve avere conflitti al proprio interno, non ha alcuna
decisione da prendere, poiché esso è di già la incarnazione di una unica missione
morale storica. Il recupero della propria
umanità, per sé e per tutti. L’interesse è quello e la sua caratteristica
non può che essere la unanimità. Il
corpo sociale marxiano, la classe, è una parte
organica sovra individuale della società che intende diventare il tutto.
16. Nel 1844, tuttavia, Marx andrà oltre lo studio della Filosofia del diritto di Hegel, come
testimoniano i Manoscritti. Qui ora la
generica oppressione si precisa e diventa alienazione.
Alla generica perdita dell’umanità si aggiungono lo sfruttamento economico e la reificazione.
Nei Manoscritti la pretesa della
classe particolare di avere una missione universale di trasformazione della
società è sostenuta sulla base dell’oggettività
della situazione socio economica del proletariato. Qualsiasi elemento
soggettivo viene soppresso, in nome della ferrea necessità che promana dalle
leggi dello sviluppo del capitalismo. Nei Manoscritti
Marx semplicemente indaga la natura delle catene
radicali che – oltre ogni soggettività – legittimano la pretesa necessità del
proletariato di diventare classe
universale. Non serviranno più elaborati progetti politici, come nel caso
dei francesi. Basterà essere materialmente dei proletari per poter
rivendicare un ruolo di classe generale, di allgemein
Stand. La condizione sociale
basta e avanza, immediatamente. La
condizione sociale si trasforma immediatamente in legittimazione morale e
politica. In quanto espressione della medesima condizione materiale, si avrà
immediatamente la unità morale della
classe. La coscienza di classe. La
coscienza di classe dunque è la consapevolezza della propria condizione
materiale di alienazione e la prospezione della nuova società futura ove
avverrà l’emancipazione della classe e, con essa, di tutta l’umanità.
17. Nel Manifesto, la
classe generale del proletariato troverà
poi una descrizione più approfondita, cioè una sua articolazione interna, per cui avremo la nota distinzione tra la
classe oggettivamente intesa e la classe
soggettivamente intesa, da cui emergerà
il ruolo necessario delle avanguardie
nella lotta di classe. Anche in questo caso l’impianto rimane tipicamente hegeliano:
era stato proprio Hegel che aveva spiegato come un popolo in sé diventa cosciente e si dà una Costituzione. Del tutto
analogamente, la classe universale
diventa cosciente di sé e si dà un’organizzazione
politica che è il Partito comunista.
18. A partire dal 1848, lo schema marxiano della classe generale o universale avrà una
lunga storia. Nel leninismo – pur nelle sue diverse versioni – la classe
generale, pur essendo parte, financo
minoritaria, sarà legittimata a conquistare il potere politico con la forza e a
instaurare la repubblica socialista.
Questo è il senso del colpo di stato del 18 gennaio 1918, quando la rappresentanza democratica dei cittadini
fu soppressa dal potere dei soviet
(che nell’intendimento rappresentavano, appunto, la classe universale). Ovviamente, essendo unica la classe universale
(rappresentando cioè tutta la società),
non poteva più sussistere alcun pluralismo
politico.
Secondariamente, all’interno
del partito unico, al potere dal basso della pluralità dei
membri dei soviet si sostituì ben presto il potere
dall’alto della oligarchia del
partito.[12] La concezione della classe
generale si mantenne – anche se i suoi effetti furono di minore peso – all’interno
dei partiti socialisti e socialdemocratici. I partiti socialdemocratici avevano
accettato la via pacifica per l’instaurazione del socialismo, ma l’obiettivo
era pur sempre quello di dare il potere alla classe generale – sempre nell’interesse
dell’intera società. Mentre nella politica quotidiana si cercava di realizzare
il programma minimo, restava pur
sempre sullo sfondo il programma massimo.
19. La rottura esplicita di questo schema avvenne per la prima
volta solo nel 1959. Nel 1959 a Bad Godesberg la SPD, la socialdemocrazia tedesca,
rinunciò non solo alla rivoluzione (ci aveva già pensato Bernstein) ma anche al
marxismo. Solo con questo cambiamento radicale di prospettiva il riferimento
cessò di andare alla pars pro toto,
ai proletari, agli operai, ai lavoratori intesi ancora come classe generale,
per rivolgersi ora solo ed esclusivamente cittadini.
Solo nel 1959 lo spirito di Rousseau era riuscito a vincere contro l’organicismo marxiano e contro la dialettica del particolare che
diventa universale. Dopo Bad Godesberg il compito non sarà più quello di
realizzare il socialismo, bensì di realizzare
la democrazia. Il soggetto della
politica non sarà più il proletario, il lavoratore, bensì il cittadino.
Storia finita? Neanche
per sogno. Diversi (e numerosi) altri sindacati e partiti socialisti o
comunisti dell’occidente, insieme a diversi movimenti che nasceranno in ambito
operaio e giovanile, non compresero affatto la novità di Bad Godesberg. E così
continuarono a sognare la classe generale,
la parte degli sfruttati che si assume
la missione di emancipare l’intera società, nell’interesse del rifiuto dell’alienazione e della ricostituzione dell’umano. A ottundere la
consapevolezza di quanto deciso a Bad Godesberg diede un contributo abbastanza
decisivo la ripresa, nel secondo Novecento, dei movimenti socialisti e
leninisti nei paesi extra europei e dei movimenti rivoluzionari nati sull’onda
della decolonizzazione. Un duro colpo alla prospettiva di Bad Godesberg venne
ovviamente dalla Guerra fredda, nell’ambito della quale le democrazie
occidentali furono accusate di essere asservite al capitalismo e all’imperialismo
americano. Insomma, i socialisti scoprivano l’obiettivo della democrazia
proprio nel momento in cui le democrazie venivano sepolte di improperi. Avvenne
dunque che l’Europa occidentale fu temporaneamente ri-marxistizzata, o ri-leninizzata,
più o meno come l’Europa del secolo fu ri-cristianizzata dai monaci irlandesi,
tra il VI e l’VIII secolo. E diverse organizzazioni sindacali seguirono i
partiti di classe, attraverso il noto meccanismo della cinghia di trasmissione.
20. Oggi, per lo meno in Occidente, nessun partito politico
(che non si tratti di fenomeni folkloristici) pretende più di essere un partito di classe. Nessun partito
politico pretende più di guidare la classe operaia, a partire dalla sua
posizione di classe particolare, fino
a dirigere la società svolgendo un ruolo di classe
generale. L’impianto marxiano è stato superato dalle amare sconfitte della
storia del XX secolo. Per effetto degli sconvolgimenti storici tuttavia permane
ancora oggi una ambiguità non chiarita a proposito della rappresentanza. Si tratta di quella ambiguità che abbiamo segnalato
in apertura. Da un lato la rappresentanza
democratica dei cittadini che, attraverso le istituzioni, uti singuli, provvedono alla
legislazione e al governo. Dall’altro la rappresentanza dei cittadini come lavoratori, dietro alla quale continua
a riecheggiare, problematicamente, la classe universale. Può accadere che i cittadini
in quanto lavoratori cerchino di
abbattere un governo che i cittadini stessi hanno eletto in quanto elettori. Quello che abbiamo ancor oggi sotto gli occhi è
il conflitto aspro tra due modalità della rappresentanza che pretendono di
avere una diversa fonte di legittimazione.
Così la prospettiva di una classe operaia (o classe lavoratrice) intesa come classe generale continua a sopravvivere almeno in alcune frange del movimento sindacale del nostro Paese e in alcuni partiti e movimenti politici. E continua a sopravvivere in alcuni artefatti ideologici e retorici che sono assai più diffusi di quanto non si pensi. Mi riferisco a quella sorta di «metafisica del lavoro» che può essere denominata operaismo o, più precisamente, lavorismo, su cui varrà la pena di tornare.
Giuseppe Rinaldi
07/03/2015 - 16/04/2018 - 10/06/2025
TESTI CITATI
2006 Hegel, G. W. F., Lineamenti di filosofia del diritto (A cura di Vincenzo Cicero), Bompiani, Milano. [1820]
1844 Marx, Karl, Zur Kritik des Hegel’schen Rechts-Philosophie, in Ruge, Arnold & Marx, Karl (a cura di), Deutsch-Französische Jahrbücher, Paris. Tr. it.: Critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione, in Ruge, Arnold & Marx, Karl (a cura di), Annali franco-tedeschi (A cura di Gian Mario Bravo), Massari Editore, Bolsena, 2001.
NOTE
[1] Questo saggio è stato originariamente pubblicato
il 7/03/2015, su questo blog Finestre rotte.
La presente versione è una revisione realizzata il 7/06/2025.
[2] Questa valutazione di Marx, col senno di
poi, possiamo dire che era tragicamente errata.
[3] Cfr. Marx 1844: 133.
[4] Marx esclude, come si vede, la possibilità
della democrazia come sistema di rappresentanza simultanea degli interessi di
tutti secondo il principio «una testa, un voto». Ogni avvicendamento di nuove
classi avrebbe dovuto comportare l’allargamento dell’emancipazione.
[5] Cfr. Marx 1844: 133.
[6] Oggi sappiamo che questo è un luogo comune.
Quanto più forte è l’oppressione, tanto minori sono in generale le possibilità
di una rivolta.
[7] Cfr. Marx 1844: 133.
[8] Cioè, avrebbe sì interessi particolari, ma i
suoi interessi particolari (poiché vive una oppressione assoluta) coincidono
con gli interessi universali.
[9] Ciò sarà precisato da Marx nei Manoscritti.
[10] Il termine talvolta è stato tradotto come classi. Più propriamente si tratta di stati o ceti.
[11] Cfr. Hegel 2006: 359.
[12] Roberto Michels elaborerà la sua legge ferrea dell’oligarchia proprio a
partire dallo studio degli sviluppi delle organizzazioni di massa della classe
operaia.
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