martedì 31 marzo 2015

Dal sociale non nasce niente

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1. Qualcuno[1] ha capito cos’è la «Cosa» di Landini? Il suo promotore ha spesso ripetuto di essere stato frainteso, tuttavia i chiarimenti forniti non hanno affatto chiarito. Neanche la denominazione della Cosa è chiara. Sembra che il nome meno sbagliato sia Coalizione sociale e questo sarà il nome con cui la chiameremo. Il nome tuttavia non è ancora sufficiente a esplicitare il contenuto della Cosa, anzi, la natura del nuovo soggetto politico sembra più misteriosa che mai. Proprio l’indeterminazione della Cosa e la mancanza di dettagli favorisce qualche esercizio di riflessione che proveremo a fare in quel che segue.

2. Se le parole hanno un senso, una coalizione non è un movimento, non è un sindacato e non è nemmeno un partito. Una coalizione è una specie di patto di unità d’intenti tra diversi soggetti che preesistono e che continueranno a restare autonomi in seguito. I diversi soggetti però riconoscono di avere interessi comuni e si coalizzano, cioè mettono insieme le loro forze, per raggiungere un obiettivo comune. I soggetti della Coalizione sono stati spesso elencati più o meno esaurientemente: FIOM, Emergency, ARCI, Libera, LeG, ANPI, Articolo 21. Ci sono poi L’Altra Europa, Rifondazione e SEL e forse gruppi appartenenti al mondo dei Centri sociali. I soggetti, a dire il vero, sono alquanto eterogenei. Abbiamo un’associazione sindacale di categoria (la FIOM), più una serie di altre associazioni single issue che si occupano delle questioni più svariate, più partiti politici minoritari, parlamentari ed extraparlamentari. Per ora non esiste alcun documento scritto che stabilisca gli obiettivi e che costituisca una specie di programma della coalizione. Esistono solo dichiarazioni pubbliche rilasciate dal leader[2] (molte delle quali, come si dice, in stile mediatico).

3. L’analisi di base, da cui ha preso le mosse la Coalizione, sembra sia incentrata intorno a un presunto indebolimento della rappresentanza politica che sarebbe in atto da qualche tempo nel nostro Paese.[3] La Coalizione sociale, è stato detto, si è resa necessaria poiché essa intende rappresentare entità sociali che attualmente non sarebbero rappresentate dalle attuali istituzioni politiche. Non è stato ben spiegato in cosa dovrebbe consistere questa nuova e alternativa rappresentanza. Del resto anche le entità da rappresentare sono state individuate in modo piuttosto vago e impreciso.

4. Normalmente, sempre se le parole hanno un senso, per rappresentare qualcuno occorre una qualche specie di mandato. È d’obbligo allora cercare di capire di che tipo di mandato si tratti e da parte di chi. Se intendiamo rappresentanza in senso stretto, si può azzardare che la Coalizione rappresenti gli iscritti della FIOM, più gli iscritti delle altre associazioni single issue che hanno aderito, più gli iscritti ad alcuni partiti politici parlamentari ed extraparlamentari come L’Altra Europa, Rifondazione e SEL. Questi sarebbero gli ufficialmente rappresentati. Sarebbe interessante calcolare il loro numero sulla base dei tesseramenti alle varie associazioni, sindacati e partiti della Coalizione (tenendo conto che ci sono delle sovrapposizioni e che alcune di queste associazioni hanno poche centinaia o poche migliaia di iscritti).

5. La rappresentanza di cui abbiamo appena detto è quella in senso stretto.[4] Uno s’iscrive a una delle organizzazioni coalizzate e con ciò conferisce il mandato a essere rappresentato anche dalla Coalizione. Tuttavia spesso si usa il termine rappresentare in un secondo senso, come quando si dice che la Coalizione sociale rappresenta i disoccupati, i precari, i lavoratori, gli onesti, il lavoro, gli emarginati, i lavoratori autonomi, o quant’altri. Intesi come gruppi, non come singoli. Senza nessuna tessera e/o mandato. Qui «rappresentare» vuol dire più o meno «parlare a nome di» o anche «agire a nome di». Quindi la Coalizione sociale di Landini ritiene di parlare e agire a nome di una serie di categorie sociali. Si tratta naturalmente di un’auto investitura della quale molti dei destinatari possono anche essere del tutto ignari. Si può al più concedere che le categorie sociali individuate siano il target e che quindi la Coalizione si rivolga ai loro appartenenti per mobilitarli e per ottenere da loro un mandato esplicito.

6. Se si adotta il secondo senso, a essere rappresentati non sarebbero più singoli individui iscritti a qualcosa bensì intere categorie sociali, piuttosto generiche e dai confini molto fuzzy. L’uso del termine sociale accanto a “Coalizione” è quindi quanto mai ambiguo e ingannevole. Sociale potrebbe semplicemente alludere al carattere degli obiettivi della Coalizione, cioè una coalizione che si occupa di questioni sociali. Dall’uso del termine si comprende però che si voglia invece alludere proprio alle categorie sociali intese come classi o corporazioni. Con uno scivolamento semantico assai azzardato, la Coalizione 1 (cioè l’insieme delle associazioni effettivamente coalizzate che hanno ricevuto un mandato dai loro iscritti) diventa così una Coalizione 2 ben diversa. Diventa cioè l’insieme delle categorie sociali target che, magicamente, sono ora riunite a formare una mega categoria sociale, una massa sociale critica, come è stato effettivamente detto. È chiaro che si tratta di un gioco di prestigio poco rispondente alla realtà.

7. A che pro? Gli individui appartenenti alla massa sociale critica, poiché siamo in democrazia, sono già rappresentati come cittadini nelle istituzioni democratiche, buone o cattive che siano. Per quale motivo la massa sociale critica, già individualmente rappresentata secondo le regole della cittadinanza democratica, dovrebbe ulteriormente essere rappresentata collettivamente dalla Coalizione 1? Probabilmente perché, sulla base della già citata teoria dell’indebolimento della rappresentanza, si ritiene che nel nostro Paese la rappresentanza democratica non sia più il canale giusto per rappresentare la massa sociale critica. Insomma la massa sociale critica sarebbe rappresentata due volte: sarebbe mal rappresentata in termini di cittadinanza e ben rappresentata in quanto massa sociale critica dalla Coalizione 1.

8. Non solo. La massa sociale critica, sotto la guida della Coalizione 1, si proporrebbe, esplicitamente, di correggere o annullare l’operato della rappresentanza democratica, nella fattispecie il discusso Jobs Act, una legge del Parlamento promossa dal Governo. Si tratta quindi di una coalizione 1 e di una coalizione 2 per lo meno anti-governativa e forse anti-parlamentare. Landini ha detto esplicitamente che l’attuale parlamento è composto di designati, secondo una legge elettorale che è stata dichiarata come incostituzionale. Dunque, nella sua narrazione, un parlamento non legittimo avrebbe espresso un governo altrettanto illegittimo, i quali poi avrebbero fatto leggi sbagliate che avrebbero danneggiato la massa sociale critica (in quanto entità collettiva e indipendentemente dalla consapevolezza soggettiva dei singoli di avere conseguito qualche danno) e di qui l’esigenza di correggere le distorsioni. Non si capisce se cambiando le leggi, oppure mandando a casa governo e parlamento (o tutte e due le cose insieme).

9. Dati questi presupposti teorici, la Coalizione sociale di Landini rivendica, del tutto coerentemente, di voler fare politica. Evidentemente si tratta qui di politica in senso forte. Per la Coalizione 1 far politica in una simile prospettiva significa evidentemente uscire dall’ambito sindacale in senso stretto per individuare, come controparte, le istituzioni politiche della Repubblica, in primis il Governo e il Parlamento[5] che, come abbiamo visto, sono considerati non legittimi. La cosa è un po’ insolita ma non troppo. La vecchia concertazione con il governo (che era solo una prassi e non una norma istituzionale) funzionava più o meno così. In maniera informale, il governo sentiva le parti sociali, si facevano interminabili «tavoli», alla fine si prendevano degli impegni (che spesso erano disattesi) ed erano tutti contenti. Il governo Renzi ha avuto il torto di non avere praticato la concertazione [6] e ora uno dei compiti della Coalizione 1 sarà quello di abolire una legge sgradita (il Jobs Act) e probabilmente di condizionare le prossime leggi sul lavoro. Di qui evidentemente deriva l’esigenza di scendere in politica contro il Governo e il Parlamento.

10. Spingere un governo (e/o un parlamento) ad approvare una certa legge o a cambiarla è tipicamente una procedura lobbistica. La Coalizione sociale di Landini si appresta ad essere solo una lobby in più? Se la Coalizione sociale vuole agire politicamente in senso forte contro il Governo e il Parlamento, ha effettivamente di fronte a sé le seguenti soluzioni: 1) fare un gruppo di pressione (cioè una lobby); 2) fare un movimento come si dice «dal basso» o di piazza che abbia il Governo e il Parlamento come avversari; 3) fare un combinato: movimento dal basso + lobby; 4) fare un partito politico (o una coalizione di tipo politico) che si presenti alle elezioni.[7] La Coalizione potrebbe anche 5) rivolgersi alla Corte costituzionale per impugnare la costituzionalità del Jobs Act; 6) rivolgersi al popolo attraverso lo strumento del referendum abrogativo. Sembra chiaro, per ora, che una cosa non esclude l’altra. Allo stato attuale, queste ipotesi ci stanno tutte, sono tutte compatibili con le dichiarazioni di Landini. Se non è ancora stato chiarito quel che si vuol fare è probabilmente perché, un minuto dopo, i coalizzati, data la loro elevata eterogeneità, si troverebbero già in disaccordo.

11. Si noti che se tutto fosse finalizzato semplicemente a ricorrere alla Corte costituzionale, oppure a promuovere un referendum contro il Jobs Act, non ci sarebbe bisogno di evocare la massa sociale critica. I ricorsi alla Corte e i referendum sono organizzati da cittadini, al più da cittadini riuniti in un Comitato di promotori. Il referendum si rivolge poi a tutti i cittadini elettori i quali votano in quanto cittadini e non in quanto massa sociale critica.

12. La mobilitazione della massa sociale critica mira invece a costruire una sorta di contropotere radicato nel sociale che potrebbe avere diversi sbocchi, alcuni minimali ma altri ben più rilevanti. Tra gli sbocchi possibili ci può essere una campagna referendaria di massa, un movimento di contestazione nelle piazze (per condizionare il Governo, per farlo cadere, o anche per far finire la legislatura e andare a nuove elezioni); oppure ancora la trasformazione della campagna referendaria e del movimento di piazza in partito elettorale (magari movimento organizzato) per andare alle elezioni, sull’onda dello scontento popolare, e vincerle.[8]

13. Inutile sottolineare che simili strategie sarebbero alquanto dannose per le nostre già traballanti istituzioni democratiche e assolutamente inefficaci per gli stretti interessi di coloro che appartengono alla massa sociale critica. In questo caso però non sarebbe più il sindacato a fare straordinariamente ricorso alla politica per continuare a fare bene il sindacato (come la racconta Landini), ma avremmo una coalizione politica di estrema sinistra che costruisce un contropotere radicato nel sociale, che usa un pezzo di sindacato, qualche partito minore e le altre associazioni coinvolte nell’intento di far cadere un governo sgradito e per mandare a casa un parlamento ritenuto illegittimo.

14. Non facciamo fatica a riconoscere in questo modo di pensare il leitmotiv di una certa sinistra radicale. Secondo questa visione, tutto ciò che è sociale e collettivo è buono, mentre ciò che è individuale e istituzionale è cattivo. Il cosiddetto «sociale» buono diviene così l’arma alternativa da usare contro il «politico» cattivo. Grazie tante, deja vu! Questo stile di pensiero è tutt’altro che nuovo e purtroppo viene da lontano. Dietro all’ambigua Coalizione 1 e soprattutto dietro alla ancor più ambigua massa sociale critica c’è un motivo ideologico assai consumato, tipico del lavorismo, che risale ad almeno due secoli fa, quando si parlava ancora il linguaggio delle classi o dei corpi sociali. Il nucleo ideologico sta nella convinzione che nella società i lavoratori siano sì classe particolare, dotata di interessi particolari, ma che – data la loro essenza – essi siano destinati a svolgere la funzione di classe generale, cioè di guidare la società nell’interesse di tutti. I lavoratori sarebbero quindi moralmente e politicamente legittimati a insorgere e conquistare il potere politico in quanto lavoratori, contro le istituzioni che, per definizione, sono sempre in mano ai nemici dei lavoratori.

15. Purtroppo la storia del lavorismo ha mostrato fin troppo ampiamente che il passaggio dal sociale al politico non è mai immediato e che, strutturalmente, dal sociale in quanto tale non nasce proprio niente. Il sociale così inteso è soltanto l’ultimo rifugio di coloro che cercano le famose  basi materiali per fare cambiamenti radicali e magari la rivoluzione. Pensare di usare il sociale contro il politico, perché il politico non funziona come dovrebbe, è solo una forma di ingenuità, sociologica e politica. Nelle democrazie mature sono i cittadini in quanto cittadini che detengono il potere politico ed è quanto meno buffo pensare che gli stessi cittadini in quanto lavoratori o massa sociale critica possano cancellare (o far meglio) ciò che essi stessi hanno stabilito in quanto cittadini. Se la politica non funziona, non si può pensare di sostituire la politica con un’altra cosa, men che mai con il sociale, bisogna far funzionare la politica. Se poi coloro che aspirano a rappresentare la massa sociale critica pensano di abrogare le leggi, di far cadere governi, di mandare a casa parlamenti attraverso procedimenti obliqui, allora mostrano di non avere imparato proprio niente dalla storia, di avere un po’ troppo la testa rivolta all’indietro.


Giuseppe Rinaldi

31/3/2015 - 30/10/2015 (rev.) - 11/06/2025 (rev.)

 

NOTE

[1] Questo articolo è stato scritto originariamente all’inizio del 2015. È stato pubblicato il 31/03/2015 sul giornale online Città Futura. Qui viene presentata, dieci anni dopo, una versione 2.0, in data 11/06/2025. La revisione ha riguardato soltanto aspetti formali e il contenuto analitico è rimasto invariato. Il contesto della revisione è costituito dalla sconfitta dei Referendum sul lavoro promossi dalla CGIL di Landini in data (8/9 giugno 2025. Come potrà costatare il lettore, l’analisi di allora è ancora quanto mai attuale e permette di comprendere le ragioni profonde della indizione dei Referendum e della sconfitta. Il contesto politico sociale, ovviamente, è quello della emanazione del Jobs Act. Così ricostruisce Wikipedia: «Con il [...] governo Renzi, il premier Matteo Renzi e i suoi ministri emanarono la riforma conosciuta come Jobs Act, dividendola in due provvedimenti: il decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34 (anche noto come “decreto Poletti”, dal Ministro del Lavoro Giuliano Poletti) e la legge 10 dicembre 2014, n. 183, che conteneva numerose deleghe da attuare con decreti legislativi, tutti emanati nel corso del 2015». Il decreto Poletti è stato poi convertito nella legge 16 maggio 2014, n. 78.

[2] Va osservato, in margine, che la Coalizione sociale, per com’è stata presentata e promossa, non sfugge alla personalizzazione della politica. Sembra che sia ormai diffusa l’idea che per costruire una qualche aggregazione, politica o parapolitica che sia, oggi sia necessario un leader personale che sia telegenico, efficace, popolare, ambizioso. Non è la prima volta che quest’area va alla ricerca di un leader unificatore (essendo sul resto divisa quasi su tutto) e la cosa finora non ha funzionato più di tanto.

[3] Da quando c’è Renzi al governo.

[4] Questo significa che gli organi dirigenti di ARCI, Emergency, Libera, LeG, ANPI, Articolo 21, L’Altra Europa, Rifondazione, SEL avranno deliberato legittimamente di aderire alla Coalizione sociale. Può darsi che altre associazioni, sindacati o partiti si aggiungano in futuro.

[5] A questo punto ci si potrebbe domandare, perché non anche la magistratura? Perché non i partiti politici?

[6] Per questo Landini continua a ripetere che il governo Renzi è peggio del governo Berlusconi.

[7] È quello che ha fatto Berlusconi nei primi anni Novanta, quando è «sceso in campo».

[8] Queste ipotesi sono tutt’altro che campate per aria, se si considera che Landini ha detto esplicitamente che a) il governo Renzi è peggio del governo di Berlusconi e che b) l’attuale parlamento non è legittimo in quanto eletto in base a una legge incostituzionale.

 

 

 

 

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