lunedì 16 giugno 2025

Referendum 2025

1. L’8 e 9 giugno 2025 si sono tenuti, nel nostro Paese, i Referendum sul lavoro e la cittadinanza.[1] Quattro Referendum riguardanti il lavoro erano stati proposti dalla CGIL e uno, quello sulla Cittadinanza, era stato proposto da Più Europa. È noto che un’altra proposta di Referendum, quella sull’Autonomia differenziata, non era stata accolta dalla Corte costituzionale. Nessuno dei referendum ha raggiunto il quorum necessario per la validità. Il numero dei votanti si è attestato intorno al 30,58% degli aventi diritto. Subito dopo è iniziata la sarabanda delle interpretazioni. La sconfitta dei Referendum ha prodotto l’esultanza di coloro che si erano pronunciati per il No o che avevano fatto propaganda per l’astensione. Da parte dei sostenitori del Sì ci sono stati ampi tentativi per mostrare come anche il risultato negativo non era poi così negativo. I commenti circa i risultati tuttavia non si sono allontanati più di tanto dalle considerazioni da dopo partita, su chi ha vinto e chi ha perso, chi ha segnato e chi no.

2. Ci si poteva attendere come risultato collaterale, indipendentemente dall’esito positivo o meno, un generale approfondimento circa le questioni riguardanti la condizione del lavoro nel nostro Paese o sulla questione della cittadinanza. Soprattutto nel campo della sinistra, il campo politico che ha promosso i Referendum, ci si poteva attendere, come risultato secondario, l’elaborazione di idee per una proposta organica di riforma sulle questioni del lavoro, una specie di nuovo Statuto dei lavoratori, oppure una altrettanto organica proposta di riforma sulle questioni della cittadinanza e dei migranti. Il risultato invece è stato una focalizzazione su singole minuzie, peraltro assai tecniche, e una distrazione dalle questioni politiche fondamentali. Forse l’impresa di un progetto organico di riforma su lavoro e cittadinanza è una questione che va oltre le capacità dei soggetti coinvolti. Invece le divisioni e le incomprensioni sono rimaste, e forse si sono anche aggravate. In altri termini, non si è andati gran che oltre al tifo per le diverse squadre.

In questo saggio cercherò di mettere in ordine alcune riflessioni circa quanto è avvenuto, sulle cause e sulle conseguenze di questo evento, che costituisce senz’altro un importante elemento di svolta proprio sulle questioni riguardanti il lavoro e la cittadinanza nel nostro Paese.

3. Possiamo anzitutto fare un ragionamento sugli antecedenti istituzionali. Val la pena, cioè, di fare qualche considerazione generale sui Referendum in Italia. Quando i Referendum erano stati pensati, il quorum era l’ultimo dei problemi. Le percentuali dei votanti alle elezioni in genere erano altissime. Alle ultime elezioni politiche del 2022, invece, l’affluenza in Italia (senza considerare i votanti all’estero) alla Camera si è attestata al 63,91% (29 475 383) su un corpo elettorale di 46 120 143. Gli astenuti dunque ammontavano al 36,09% (16 644 760). Questa attuale situazione della partecipazione elettorale nel nostro Paese significa che la competizione tra chi propone un Referendum e chi lo rifiuta e/o si astiene è di estrema disparità. I No, senza far proprio niente, partono mediamente con il vantaggio di un terzo. Per superare il quorum, occorre, dunque, che i referendum siano altamente attrattivi.

4. Il corpo elettorale per i 5 quesiti referendari era di 51 301 377 elettori, di cui 45 997 941 in Italia (registrati in 61 591 sezioni) e 5 303 436 all’estero (registrati in 1 863 circoscrizioni consolari).[2] Dunque il quorum, riguardante l’Italia più estero, avrebbe dovuto essere di 25 650 689. Proviamo ora a fare un esercizio teorico, domandandoci quanti dei votanti abituali dovremmo coinvolgere per riuscire a raggiungere questo quorum. Se usiamo come indicatore di astensionismo il tasso di astensione alla Camera del 2022 e cioè il 36,09% e lo applichiamo al corpo elettorale del referendum avremo una aspettativa di astensione di 18 514 667. E un corpo di ipotetici votanti effettivi di 32 786 710. Poiché il quorum è fissato in 25 650 689, allora, per ottenere il quorum, si sarebbe dovuto portare a votare il 78% di coloro che di solito vanno a votare. Quasi l’80%! Il calcolo qui presentato ovviamente è puramente teorico, ma dovrebbe far capire la difficoltà a raggiungere il quorum in un’epoca in cui l’astensionismo standard si attesta a un terzo del corpo elettorale.

Certo, si può pensare che il Referendum possa pescare tra gli astenuti, ma potrebbe anche ugualmente allontanare un contingente dei votanti abituali. Si tratta di fenomeni non univoci e decisamente poco prevedibili. Secondo Wikipedia, “Dal 1946 a oggi in Italia si sono svolti 83 referendum nazionali, di cui 77 referendum abrogativi, un referendum istituzionale, un referendum di indirizzo e quattro referendum costituzionali”. Tra i 77 referendum abrogativi, dunque 38 non hanno raggiunto il quorum. In pratica la metà. Come tirare a testa o croce.

5. Tutto questo significa che i due promotori dei Referendum (la CGIL e Più Europa), solo considerando la natura intrinseca dell’istituto referendario, si sono assunti un rischio molto alto di insuccesso. A queste argomentazioni si obietta solitamente che se la Corte avesse ammesso il Referendum sulla Autonomia differenziata, questo avrebbe fatto da elemento trainante, tanto da far raggiungere il quorum con buona probabilità. Forse questo ragionamento ha qualche fondamento. Questa argomentazione tuttavia non fa molto onore a chi la propone e sa di espediente furbesco. Ci sarebbero allora due tipi di Referendum, quelli che interessano davvero il pubblico (quelli sicuri) e quelli che già in partenza si presume che non siano granché attrattivi. Mettere dei referendum considerati in partenza poco attrattivi in coda a quelli sicuri, pensando di sfruttare l’effetto scia, getta un’ombra sul merito stesso dei quesiti e sulle buone intenzioni dei proponenti.

6. Va poi considerato che il Referendum abrogativo è un istituto per sua natura alquanto delicato e andrebbe usato con ogni cautela. Dovrebbe vertere su grandi questioni, di interesse davvero generale, che implichino un Sì o un No, chiaro e distinto. Non dovrebbe essere usato come sostituzione della legislazione corrente e, soprattutto, con riferimento a tecnicalità poco comprensibili alla maggior parte degli elettori. La stessa natura abrogativa dello strumento fa sì che spesso si proceda con la soppressione di “pezzi” di leggi (aggettivi, commi, articoli) che comunque rendono monco un dispositivo giuridico che abbia comunque avuto una sua qualche organicità all’origine. Leggi monche non è detto che diventino ipso facto delle buone leggi. Ad esempio, nel caso della Cittadinanza, che è questione oltremodo complessa, la semplice riduzione temporale da dieci a cinque anni per ottenere la cittadinanza, è una soluzione monca, che può magari avere anche un nobile valore simbolico, ma che non entra neppure nel merito effettivo delle questioni coinvolte. E non garantisce l’efficacia della soluzione derivante.

7. Era prevedibile la sconfitta? Soprattutto, era prevedibile una sconfitta di queste proporzioni? Abbiamo già considerato la difficoltà in sé a raggiungere il quorum in un’epoca nella quale l’astensione elettorale media vale più di un terzo degli elettori. Tuttavia si poteva ben fare qualche sondaggio empirico preventivo. È appena il caso di considerare che ormai siamo dotati di notevoli strumenti per indagare gli orientamenti della opinione pubblica. Un banale sondaggio – se fatto bene – con un campione tra 2000 e 5000 soggetti può fotografare gli orientamenti della opinione pubblica e prevedere gli esiti di una consultazione con margini di errori minimi, dal più o meno 4% fino al 1,5%. Un sondaggio ben fatto, dal costo irrisorio rispetto ai costi materiali e politici di un referendum perso, avrebbe potuto consigliare circa l’opportunità di procedere o di desistere. Avrebbe permesso di quantificare il rischio. La presunzione di conoscere direttamente il mondo sociale è un brutto vizio, che viene da lontano. Soprattutto da chi è abituato a investirsi della rappresentanza del mondo sociale, senza darsi però la pena di consultare il mondo sociale stesso. Il sindacato (la CGIL) si vanta di navigare nel sociale, come “un pesce nell’acqua”, ma poi si dimostra incapace di usare gli strumenti di conoscenza del mondo sociale che abbiamo a disposizione. Aggiungo che, nella tradizione culturale della CGIL, il motivo dell’uso delle scienze sociali è stato ben presente e ha dato risultati consistenti. Basti ricordare la rigorosa rivista Inchiesta, diretta da Vittorio Capecchi o i gloriosi Quaderni di Rassegna sindacale. Sarebbe utile anche dare un’occhiata alla rivista I Consigli della soppressa FLM.

8. Proviamo però ora a entrare nel merito dei quesiti posti. Se consideriamo anche il Referendum sull’Autonomia differenziata che è stato cassato dalla Corte, si trattava indubbiamente di quesiti che andavano contro l’operato del Governo della attuale maggioranza, ma anche contro l’operato di governi precedenti (nella fattispecie il governo Renzi). Due dei Referendum sul lavoro si riferivano a norme varate dal governo Renzi. Sul piano formale è del tutto legittimo che forze varie di opposizione (partiti, sindacati, alcune Regioni dissidenti dal governo) usino i referendum per contestare i provvedimenti della maggioranza o di governi precedenti. Il Referendum è a pieno titolo un’istituzione di carattere politico. Tuttavia occorre che i quesiti siano considerati rilevanti non solo per chi li propone ma anche per l’opinione pubblica degli elettori che li riceve.

9. Dirò poche cose sul Referendum sulla Cittadinanza. Nasce probabilmente da un’oggettiva debolezza dell’attuale opposizione sulla questione dei migranti. Si tratta di una delle questioni più divisive all’interno dell’opposizione, la quale, nella legislatura precedente, essendo in maggioranza, non era riuscita neanche a promuovere una legge per dare la cittadinanza ai nati in Italia. Ed è anche una questione davvero complessa. La sinistra, quando ha governato, non ha mostrato effettivamente la capacità di affrontare il fenomeno e di dare una risposta soddisfacente alle apprensioni dei comuni cittadini. In merito ai promotori, così spiega Wikipedia: «Il quesito referendario che richiedeva il dimezzamento del numero di anni (da dieci a cinque) di legale soggiorno del cittadino straniero extracomunitario per poter presentare la richiesta di concessione della cittadinanza italiana è stato ideato dal segretario di +Europa, Riccardo Magi, che lo ha depositato in Cassazione il 4 settembre 2024. […] Tra i promotori del referendum, oltre a +Europa, figuravano il Partito della Rifondazione Comunista, il Partito Socialista Italiano, Possibile e i Radicali Italiani, […] numerose associazioni di persone con background migratorio come Italiani senza cittadinanza, il Coordinamento Nazionale Nuove Generazioni Italiane (CoNNGI) e Idem Network, e diverse organizzazioni della società civile, fra cui Libera, A Buon Diritto, Gruppo Abele e ARCI, oltre a varie personalità come Mauro Palma, Luigi Manconi e Ivan Novelli». Nelle intenzioni, dimezzare i tempi per ottenere la cittadinanza avrebbe ottenuto un effetto d’integrazione, evitando di lasciare gli aspiranti in un limbo di incertezza.

Naturalmente, l’ipotesi dei promotori era che l’elettorato – su questa questione – fosse enormemente più maturo del sistema politico nel suo complesso e rispetto ai discutibili provvedimenti sull’emigrazione della attuale maggioranza. Col senno di poi, i risultati del voto hanno invece mostrato la sussistenza di una notevole spaccatura tra gli stessi elettori votanti, una parte consistente dei quali ha indicato il No (34,66%), pur avendo risposto positivamente ai quesiti sul Lavoro. La attuale opposizione sembra dunque fortemente spaccata tra i fautori dei diritti civili e i fautori dei diritti economico sociali.

10. Notevolmente più complessa è la questione della iniziativa referendaria legata ai quesiti sul lavoro. I quattro Referendum sono stati proposti da un Comitato presieduto da Maurizio Landini e comprendente numerosi soggetti: CGIL, Auser, Camere del Lavoro, Libera, Libertà e Giustizia, Federconsumatori, Articolo 21, ARCI, UDU, Rete degli studenti medi, Medicina Democratica, Magistratura democratica, Forum Disuguaglianze e Diversità, Giuristi democratici, USiGRai, FNSI.[3] C’è una storia pregressa che è assai significativa. La lontana origine della questione può essere individuata – anche in questo caso – in una radicale spaccatura nella sinistra determinata dal governo Renzi e dalla sua riforma dei rapporti di lavoro denominata Jobs Act, che risale al 2014-2015. Renzi compì una forzatura, portò con sé la maggioranza nel PD ma determinò sostanziose reazioni di rigetto. Determinerà anche – la cosa riguarda molto da vicino il nostro argomento – la costituzione, da parte dell’allora segretario della FIOM, Maurizio Landini, della cosiddetta Coalizione sociale, che anticipava diversi temi dei Referendum del 2025. Sulla Coalizione sociale di Landini posso rinviare a un mio saggio analitico, scritto nel 2015 e appena rivisto per questa occasione.[4]

La spaccatura indotta dal Jobs Act determinò, nel 2017, la scissione dal PD della formazione che si chiamerà significativamente Articolo 1. Risale poi fin dal 2015 il tentativo di una parte del movimento sindacale di ricorrere al Referendum contro il Jobs Act. Da Wikipedia: «Dopo uno sciopero e numerose manifestazioni contro la riforma del lavoro introdotta dal Jobs Act nel marzo 2014 dal governo Renzi,[…] nel 2016 la CGIL, allora guidata da Susanna Camusso, lanciò una campagna di raccolta firme a favore di un referendum per ripristinare le tutele dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per i licenziamenti illegittimi ed estenderle a tutte le aziende con almeno cinque dipendenti: questo articolo, che prevedeva la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, era stato modificato nel 2015 dal Jobs Act, che invece prevedeva un risarcimento economico.[…] La CGIL riuscì a raccogliere 3,3 milioni di firme in tutta Italia.[…] Tuttavia, l’11 gennaio 2017, la Corte costituzionale dichiarò inammissibile il quesito referendario,[…] poiché era stato erroneamente formulato». Quella del Referendum del 2025 è dunque una storia che viene da lontano, da una radice di scontri e scissioni all’interno del mondo del lavoro e della sinistra stessa.

11. Cardine della analisi di Landini (con assoluta coerenza, dal 2015 a oggi) era ed è la convinzione che la legislazione sul lavoro degli ultimi decenni abbia tolto dei diritti ai lavoratori e abbia prodotto la precarizzazione del lavoro. C’è senz’altro del vero in quel che dice Landini, anche se non possiamo qui entrare nel merito. Secondo Landini le peggiori leggi sul lavoro erano state prodotte dal Governo Renzi, cioè dalla Sinistra al governo, proprio con il Jobs Act del 2015. Di qui l’esigenza di correggere questo andamento, di difendere e ripristinare i diritti dei lavoratori. Ben due dei quattro Referendum sul lavoro riguardano il Jobs Act di Renzi. Si tratta dunque effettivamente di un conflitto interno alla Sinistra, oltre che di un conflitto con l’attuale maggioranza di Governo. Un conflitto che è perfettamente riprodotto dentro all’odierno PD. Per questo la decisione di Elly Schlein di appoggiare tutti e quattro i referendum proposti dalla CGIL è stata considerata come una vera e propria svolta da parte del PD. Anche se i malumori di una parte del PD sono decisamente evidenti.

12. In termini teorici, tuttavia, c’è dell’altro. Siamo in presenza di una analisi ben più generale intorno alle modalità relative alla rappresentanza dei cittadini e dei lavoratori. Landini ritiene che l’attuale sistema politico italiano (non solo la attuale maggioranza!) non abbia rappresentato e non rappresenti adeguatamente i lavoratori. I partiti stessi della sinistra avrebbero tradito gli interessi dei lavoratori. Quindi sarebbe del tutto lecito e giusto mettere in campo un’opposizione contro tutto ciò. Lo slogan ufficiale dei Referendum sul lavoro è «Il voto è la nostra rivolta». Le modalità di questa opposizione vanno appunto dalla “rivolta sociale” cui Landini ha fatto spesso riferimento, alla “coalizione sociale” del 2015/ 2016. Una delle possibilità messe in campo fin dal 2015 era proprio l’uso del referendum abrogativo nei confronti delle norme sul lavoro ritenute maggiormente vessative. Fino all’ipotetico tentativo – ed è questo un motivo ricorrente – di formare un nuovo soggetto politico, un partito del lavoro. Circa la ipotesi di fondazione di un partito politico che avesse come fulcro il mondo del lavoro va ricordato che, in seguito a una scissione del PD di Matteo Renzi, si ebbe la formazione, il 25 febbraio 2017, di Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista, partito politico che venne sciolto il 10 gennaio 2023. Molti degli scissionisti tornarono nel PD. Si tratterebbe dunque di dejà vu. Landini comunque ha recentemente affermato che non intende riprendere l’idea del partito.

13. La ricerca di Landini è comunque sempre andata nella direzione di una rappresentanza alternativa, capace di sostituirsi o contrapporsi alla mancata rappresentanza del lavoro da parte degli ufficiali canali democratici. Come si è visto tuttavia, Landini in questo progetto non è riuscito neppure a trovare l’alleanza delle altre sigle sindacali. La sua è stata una sorta di auto investitura di rappresentanza politica del lavoro, e non semplicemente degli interessi particolari dei lavoratori. L’insuccesso dei quattro Referendum sul lavoro sta mettendo in rilievo un vero e proprio conflitto nell’ambito della rappresentanza. I cittadini italiani, attraverso le loro istituzioni politiche rappresentative, hanno prodotto e producono leggi che precarizzano il lavoro. Allora, quegli stessi cittadini, mobilitati e consultati idealmente in quanto lavoratori, dovrebbero disfare quelle stesse leggi che essi stessi, indirettamente, avevano prodotto come cittadini. A partire dallo slogan «Il voto è la nostra rivolta», saremmo tentati di suggerire che si tratti di una rivolta dei cittadini contro se stessi. Tutto legale, certo, ma per lo meno problematico e bizzarro.

È fuor di dubbio che il rendimento del sistema politico italiano in generale sia catastrofico. Ne ho scritto recentemente.[5] Che con i Referendum abrogativi si possa correggere il basso rendimento della politica italiana è in generale alquanto discutibile. Anche perché dietro si nasconde una tentazione populista. Si tratterebbe di rimettere in sesto il funzionamento della politica. E certo si tratta di una mission pressoché impossible.[6] L’invocazione di una rappresentanza politica alternativa per i lavoratori, rispetto a quella della cittadinanza democratica, implica una dichiarazione di rottura nei confronti delle malferme istituzioni politiche che abbiamo. Implica che ci sia ormai una frattura inemendabile. Nella tradizione del movimento operaio del secolo scorso questa cosa si chiamava conflitto di classe. La ideologia che sostiene la legittimità di una rappresentanza politica dei lavoratori, da far valere anche contro la rappresentanza politica dei cittadini, ha una precisa definizione concettuale: si chiama lavorismo. Se si vuole, in italiano si è parlato spesso anche di operaismo. Il lavorismo è dunque una precisa concezione politica che pare sia stata di fatto adottata dalla CGIL di Landini e che pare stia dietro alla scelta del Referendum. Storicamente, è uno schema d’azione che è definibile come novecentesco. Questo non significa che sia per ciò stesso sbagliato. Si tratta di capire fino in fondo e di valutare quanto sia corretta l’analisi di cui sopra, che dà per scontata, almeno nel nostro Paese, la inefficacia totale della rappresentanza politica e l’impossibilità di porvi rimedio. È una scelta che implica, tra l’altro, oltre alla conflittualità permanente, una condizione minoritaria permanente di chi intende rappresentare il lavoro.

14. E veniamo alle conseguenze. Sul piano delle conseguenze, la sconfitta dei Referendum, dovuta al mancato raggiungimento del quorum, con uno scarto pesante di ben venti punti percentuali, è un fatto assai grave, soprattutto perché dei problemi posti nei quesiti referendari non si parlerà più per un bel po’. E ciò costituisce senz’altro un grave danno in prospettiva per la causa del lavoro e della cittadinanza. Ci saranno probabilmente anche delle conseguenze concernenti l’istituto referendario. Il Referendum è andato soggetto, per l’ennesima volta, a una sorta di stiramento, quando non di snaturamento vero e proprio. Con il rischio di aprire le porte a modifiche estemporanee che non si sa dove potrebbero portare. Si parla di aumentare il numero delle firme necessarie, di un abbassamento del quorum, di introdurre il referendum propositivo. Con tutti gli ingegneri costituzionali che abbiamo, c’è il serio rischio di decisioni avventate che potrebbero anche peggiorare le cose. L’uso dell’astensione, fatto spregiudicatamente e perigliosamente dai sostenitori del No, ha poi finito oltretutto per confondersi con la pericolosa tendenza all’astensionismo elettorale che si registra da tempo nel nostro Paese, e che sta mettendo a repentaglio la nostra stessa democrazia.

15. Ma veniamo ora a costatare alcune conseguenze più specifiche. Il Referendum intanto ha costituito l’ennesima occasione per celebrare la disunità sindacale nel nostro Paese. Mentre la CGIL ha dato ovviamente l’indicazione di votare Sì ai cinque quesiti, la CISL ha indicato nientemeno che l’astensione generalizzata, mirando così al mancato raggiungimento del quorum e alla invalidazione della consultazione. Il secondo sindacato italiano, per numero di aderenti si è schierato dunque nettamente contro la teoria della rappresentanza del lavoro di Landini. La UIL ha dato l’indicazione di votare Sì al Reintegro e ai Subappalti e ha lasciato libertà per gli altri quesiti, considerando quindi come opinabili i tre quesiti sulla Indennità, i Contratti a termine e la Cittadinanza. Cose non da poco. In generale, la decisione della CISL pare proprio abbia messo la pietra tombale sull’unità sindacale. Se è senz’altro vero che certe leggi recenti hanno danneggiato i lavoratori, è senz’altro vero che un danno ancor più grande è stato fatto loro proprio dalla disunità sindacale.

16. Il Referendum ha messo in luce anche la disunità politica della opposizione, il cosiddetto campo largo, e ha anche segnato notevoli disparità di opinioni all’interno del PD, il principale partito di opposizione. Il M5S ha dato indicazione di votare Sì per i quattro quesiti sul lavoro e ha lasciato libertà per Cittadinanza. Italia Viva ha dato indicazione di votare No ai quesiti sul lavoro, lasciando tuttavia libertà per Indennità e Subappalti, e di votare Sì alla Cittadinanza. Azione di Calenda ha proposto quattro No ai quesiti sul lavoro e Sì a quello sulla Cittadinanza. AVS di Bonelli e Fratoianni ha proposto cinque Sì. Più Europa ha proposto No a Reintegro, Indennità e Contratto a termine e Sì per Subappalti e Cittadinanza. I Radicali hanno dato indicazione di votare No ai Referendum sul lavoro e sì a Cittadinanza. Un pluralismo davvero straordinario! Che cento fiori fioriscano, che cento scuole gareggino!

Il fatto che le formazioni dell’opposizione, candidate alla costituzione del cosiddetto campo largo, abbiano manifestato posizioni così contrastanti su questioni così cardinali come il lavoro e la cittadinanza è indicativo del profondo malessere dell’opposizione. In termini di previsione, possiamo dire che nelle elezioni politiche nazionali che si terranno – presumibilmente – nel 2027 le prospettive di vittoria della sinistra siano prossime pressoché allo zero.

Va detto, in margine a queste giravolte, che la campagna elettorale è stata quasi priva di dibattito, tra le diverse forze politiche e sindacali, e l’onere della mobilitazione – invero assai generosa – è caduto di fatto sulla CGIL e pochi altri. Ovviamente le centrali della disinformazione hanno fatto il loro mestiere. Come al solito si sono sentite, da parte dei sostenitori del Sì, aspre recriminazioni nei confronti della informazione e soprattutto del Servizio pubblico televisivo. Fino a sostenere che il Sì avrebbe perso a causa del boicottaggio dell’informazione. L’ipotesi ci pare un tantino esagerata, anche se un qualche fondamento ce l’ha.

17. E, per finire, uno sguardo sui destinatari dei Referendum. Quando si perde, sorge spontanea la tentazione di colpevolizzare gli elettori. Questa tendenza si mescola volentieri con le interpretazioni o con le spiegazioni. Elettori cattivi cittadini che hanno preferito “andare al mare”, oppure che hanno obbedito al consiglio di “andare al mare” da parte degli astensionisti. Elettori poco informati dai media. O elettori distratti. Elettori che hanno ceduto alla politicizzazione del discorso referendario e quindi, invece di entrare nel merito delle questioni, hanno seguito i consigli della loro parte politica. Elettori che hanno ritenuto che gli argomenti specifici dei cinque Referendum non li riguardassero direttamente. Elettori che hanno desistito per repulsione nei confronti degli immigrati – per cui la colpa del basso afflusso ai seggi sarebbe stata dovuta, secondo taluni, alla presenza del quinto Referendum. Se ne potrebbero citare altre ancora.

18. Ho sentito Landini affermare con grande convinzione che si trattava di convincere ad andare a votare gli astenuti (alle elezioni politiche). Beata speranza. È questo il sogno eterno della sinistra che dentro/ dietro gli astenuti del voto ci sia un grande potenziale di protesta. Dal mio punto di vista, questa è una prospettiva che sta fuori dal mondo. Gli astenuti, purtroppo, sono cittadini deteriorati, cittadini perduti. Sono la feccia della cittadinanza. Sono in gran parte irrecuperabili, carne da macello mobilitabile solo dal populismo becero. Sono la conseguenza della sparizione progressiva della cultura civica repubblicana e democratica dal nostro Paese. E anche questa sparizione ha le sue cause ben precise. Non entro nel merito per brevità. La narrazione circa il potenziale di protesta degli astenuti si basa sul mito dei cittadini buoni e delle istituzioni cattive. Gli astenuti si sentono messi da parte dalle cattive istituzioni, non vanno a votare per protesta ma conservano un istinto certo circa i loro autentici interessi: se proponi loro qualcosa di conveniente (vedi i motivi assai concreti dei quattro referendum) questi non potranno che rispondere positivamente! Non sembra proprio sia andata così.

19. Nel ragionamento di Landini si vede all’opera, forse inconsapevolmente, l’economicismo che è stato tipico da sempre della sinistra. L’elettore considerato come homo oeconomicus. Ebbene, questa visione è smentita dai risultati. La maggior parte degli elettori (cittadini e lavoratori) non ha ritenuto rientrassero nel proprio interesse una serie di vantaggi elementari, come il Reintegro, l’Indennità, i Contratti a termine e i Subappalti. Come mai? Hanno avuto ragione o si sono sbagliati?

C’è innanzitutto da considerare un dato statistico; da noi il lavoro dipendente contrattualizzato o contrattualizzato a termine (tale da rientrare nelle fattispecie di rischio e precarietà previste dai Referendum) è una minoranza rispetto ai 51 301 377 di aventi diritto al voto, sui quali si calcola il quorum. E poi non dappertutto ci sono cose come i subappalti. Anzi, questi sono caratteristici solo di taluni settori. Molti lavori addirittura sono in nero o non contrattualizzati. Poi abbiamo l’economia degli schiavi.[7] Ma ci sono anche gli ultra garantiti che hanno il posto fisso, dove le probabilità di essere licenziati o di cadere da un’impalcatura sono altrettanto minime. Si consideri poi l’intero pubblico impiego, non coinvolto. Ma ci sono anche le partite IVA che cadono fuori dal discorso, oppure gli ultra professionalizzati che, se perdono il lavoro, devono solo alzar mano per trovarne subito un altro. Poi c’è la valanga di coloro che sono in pensione, certo poco interessati al mondo del lavoro. Insomma, i quattro referendum si rivolgono a uno specifico tipo ideale di lavoratore, sottoposto a rischio e precarietà, effettivamente danneggiato dal Jobs Act e dalle altre disposizioni sul lavoro. Un tipo di lavoratore per il quale potrebbe avere effettivamente senso una battaglia per recuperare uno straccio di dignità, come sostiene Landini.

20. Quanti sono costoro? Se non fosse un lavoraccio (ahimè nessuno mi paga!), sarebbe utile, a partire dai dati statistici, fare una stima del numero dei possibili diretti destinatari dei provvedimenti referendari. Per brevità, tanto per dare un’idea approssimativa dell’entità di questo “popolo”, userò la tabella sintetica recentemente pubblicata da Pier Giorgio Ardeni[8], che è relativa a dati del 2023. Com’è noto, Ardeni segue lo schema delle classi sociali proposto da Paolo Sylos Labini. Gli occupati complessivi, relativi a tutte le classi sociali, risultavano 23 647 390. Di questi, coloro che sono qualificabili come classe operaia ammontano a 5 528 599. Questi comprendono salariati agricoli (340 317), salariati dell’industria (2 630 698), salariati dell’edilizia (716 230), salariati del commercio (511 603) e salariati di trasporti e servizi (1 329 751). A questi 5,5 milioni andrebbero aggiunti – se comprendiamo bene la tabella di Ardeni – gli impiegati e i dipendenti privati, classificati sotto “piccola borghesia impiegatizia” e che ammontano a 8 241 009. Non vanno inclusi gli impiegati pubblici, cui non si applicano le tematiche referendarie.

Il target dei direttamente interessati dunque, in senso stretto ammonterebbe ai 5 milioni e mezzo, cioè i classificati come classe operaia. Se aggiungiamo a costoro gli impiegati e i dipendenti privati (per i quali tuttavia la condizione di rischio e precarietà senz’altro meno impellente) possiamo allargare la cifra fino a 13 769 608. Ricordo che il quorum per il Referendum 2025 ammontava a 25 650 689. Anche solo ragionando in termini di interesse individuale, anche pensando che ognuno di costoro avesse un parente che vota per lui, l’impresa del quorum era piuttosto in salita.

21. I quattro Referendum, nella loro specificità tematica, sembrano tendere a ridurre piuttosto che ad ampliare la platea dei diretti interessati. Allora bisogna riconoscere che la fattispecie dei destinatari dei quattro referendum sul lavoro corrisponde a un tipo ideale di lavoratore – perfettamente coerente con una certa ideologia del lavoro, quella che abbiamo chiamato lavorismo – che tuttavia è ben lungi dal corrispondere all’intero universo statistico dei lavoratori in generale. Non sto dicendo che la fattispecie di rischio e precarietà individuata dai quattro Referendum non esista. Esiste eccome e probabilmente è anche in aumento. Ma questa è solo una delle multiformi facce del lavoro odierno. Non dappertutto ci sono subappalti o contratti a termine. I promotori dei quattro Referendum sul lavoro hanno preso una casistica specifica, senz’altro moralmente e politicamente degna di ogni attenzione, senz’altro di grande valore simbolico, e l’hanno estesa a tutto il mondo del lavoro. Perché? Qui si potrebbero sprecare i riferimenti storici. Si ricordi il proletariato tedesco di Marx che da classe particolare diventava classe generale, tanto da liberare l’intera umanità dall’alienazione. Tempo fa scrissi un ampio saggio su questo argomento.[9] Ebbene, l’ampio mondo del lavoro e l’ancor più ampio elettorato sembra non si sia riconosciuto più di tanto nel tipo ideale di lavoratore emergente dai quesiti referendari.

22. Ma c’è un altro fatto più generale da considerare, che prescinde dall’homo oeconomicus e che anzi lo rende decisamente meno importante di quanto non si creda comunemente. Il fatto è che l’elettore medio odierno è assolutamente incapace anche solo di fare un calcolo oggettivo dei propri interessi che vada oltre l’immediato. Per avere un atteggiamento realistico verso il mondo, per essere in grado di fare un calcolo non distorto dei propri interessi, occorrerebbe un elettore lucido, correttamente informato, liberato da tutta la fuffa accumulata nel proprio cervello dai social media e dalla comunicazione populista. La sovrastruttura mediatica imperante, che ha preso il posto dell’opinione pubblica, impedisce sistematicamente all’elettore medio di fare il calcolo dei propri effettivi interessi. Landini dice all’elettore medio «Vota per me, nel tuo interesse!». Ma l’elettore medio è così internamente strutturato che quell’interesse proprio non lo vede, non può vederlo. Non nell’immediato e neanche in prospettiva. È purtroppo finita l’epoca dei calcolatores. L’epoca della rational choice.[10] L’elettore medio sceglie sulla base del “noi”, di quelli che più ritiene gli somiglino, sotto i profili più vari. È istintivamente identitario! E chiunque, per la sua preziosa identità, sarebbe disposto a scordare anche i propri interessi immediati. Ho trattato diffusamente di questo tipo umano nel mio recente saggio sulle elezioni americane.[11]

23. Sembra che non abbiamo imparato proprio niente da Berlusconi e da Trump. Le famose casalinghe votavano per Berlusconi, il quale aveva un profondo disprezzo per le donne. Gli americani poveri, magari per una legittima antipatia verso i democratici delle due Coste, hanno votato per un uomo ultra ricco che disprezza i poveri e li usa per i suoi interessi di parte e tornaconti personali. È, questo, esattamente un atteggiamento di pancia, come quello che consigliava Grillo, alla lettera, qualche tempo fa ai suoi seguaci. Non a caso, i Referendum di Landini sono andati meglio nei soliti posti, tipo ZTL, tra i laureati e gli antipatici intellettuali. Si tratta tuttavia ahimè di una minoranza. Purtroppo la laurea è ancora soggetta a qualche restrizione, anche se ben presto la regaleremo proprio a tutti. Ma allora sarà cosi squalificata che non farà più alcuna differenza.

Giuseppe Rinaldi  (11/06/2025)


 

OPERE CITATE

2024 Ardeni, Pier Giorgio, Le classi sociali in Italia oggi, Laterza, Bari.

2019 Ricolfi, Luca, La società signorile di massa, La nave di Teseo, Milano.

 

 

NOTE

[1] Sull’argomento trattato in questo saggio ho potuto beneficiare di uno scambio di idee, aperto e partecipato, con gli amici di Città Futura, che ringrazio sentitamente. Ovviamente la responsabilità di quanto qui vien sostenuto è esclusivamente mia. Preciso che nella redazione di questo saggio non ho fatto uso di alcuno strumento di intelligenza artificiale. Nel corso di questo scritto, adotterò le seguenti abbreviazioni per indicare i diversi Referendum: Reintegro, Indennità, Contratto a termine, Subappalti, Cittadinanza.

[2] Fonte Wikipedia.

[3] Fonte Wikipedia.

[4] Rinvio al mio saggio del 2015 Dal sociale non nasce niente che rappresentava un tentativo di analisi della Coalizione sociale, di cui all’epoca si discuteva alquanto. Cfr. Finestre rotte: Dal sociale non nasce niente .

[5] Cfr. il mio recente saggio: Finestre rotte: Finestre rotte: Toh, chi si rivede. Etica e politica! Soprattutto l’ultima parte.

[6] Si tratterebbe di capire perché, nella storia recente del nostro Paese, si siano fatti innumerevoli tentativi, almeno da Tangentopoli in poi, per riformare il sistema politico complessivo. Tentativi che non hanno risolto nulla. L’Autonomia differenziata e il Premierato di Calderoli/ Meloni sono solo l’ennesima favola che promette il rinnovamento della politica. Dati i trascorsi conflittuali del passato e del presente, la sinistra, nel suo complesso, sembra avere totalmente rinunciato all’obiettivo in questione e sembra essersi totalmente rassegnata alla politica inconcludente.

[7] Si veda il saggio di Luca Ricolfi La società signorile di massa. Cfr. Ricolfi 2019.

[8] Cfr. Ardeni 2024.

[9] Si veda in proposito il mio saggio storico filosofico, sempre del 2015, Classe generale e interessi particolari. Cfr. Finestre rotte: Classe generale e interessi particolari.

[10] Come studioso di scienze sociali sono affranto. Tutti i valorosi modelli economici e sociologici basati sulla rational choice sono sempre più destituiti di fondamento! Ormai le idee distorte che stanno nella testa di ciascuno sopravanzano completamente gli interessi oggettivi, per cui ogni previsione nel mondo sociale è sempre più difficile.

[11] Chi è interessato a queste tematiche può approfondire il concetto di mutazione antropologica, che ho usato per interpretare il comportamento degli elettori americani che hanno votato per Trump contro i loro stessi interessi. Cfr. Finestre rotte: Le elezioni americane e noi .

 

 

 

 

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giovedì 5 giugno 2025

La chiocciola di Kant e altre storie spaziali


 

 



 

 

1. Intorno[1] all’origine della Critica della ragion pura (e dunque della matura filosofia kantiana) c’è ancora un groviglio di questioni che spesso rimane nell’ombra o che addirittura è sistematicamente equivocato. Questo avviene perché, ancora oggi, attorno alla filosofia kantiana, continuano a sussistere delle vulgate tradizionali e degli schieramenti di parte, spesso di natura ideologica, che sono piuttosto estranei alla storia della filosofia e che tuttavia influenzano il mantenimento e la diffusione di certe interpretazioni decisamente obsolete. Sul piano del dibattito culturale, ho cercato di spiegare quale sia la questione in gioco in un mio precedente saggio.[2]

2. Kant, dal canto suo, non si è gran che sforzato di mostrare il suo percorso di maturazione delle idee, soprattutto nella cosiddetta decade silenziosa, tra il 1770 e il 1781. Tanto che, qualche anno dopo la prima edizione della CRP, ha sentito il bisogno di scrivere i Prolegomeni, nell’intento di chiarire ai lettori perplessi quale fosse il suo effettivo punto di vista. Da questa reticenza, comunque, ha preso corso il mito della “grande luce” del 1769 e, di conseguenza, la pretesa separazione netta tra un periodo precritico, in cui nulla di buono sarebbe veramente avvenuto, e un periodo critico, ove sarebbe invece nato qualcosa di profondamente nuovo, una vera e propria rivoluzione nella storia del pensiero. Questa narrazione, come si vedrà, è piuttosto fuorviante, anche se ancora oggi viene comunemente avallata, un poco per pigrizia, ma anche e soprattutto perché un Kant standardizzato è comodo e conveniente un po’ per tutti.[3] E ciò spesso avviene allo scopo di non disturbare l’assetto, invero ormai piuttosto traballante, della filosofia continentale.

3. Non possiamo qui, nell’ambito di un limitato saggio divulgativo, trattare diffusamente dei rapporti tra il Kant precritico e la CRP, impresa per la quale sarebbero necessari volumi poderosi,[4] del tutto estranei alle nostre forze. Ci accontenteremo allora di adottare una specie di procedimento a campione. Ci focalizzeremo su una sola questione, tra le tante affrontate da Kant, e la useremo come traccia, per capire, almeno a grandi linee, cosa sia effettivamente avvenuto nel laboratorio kantiano delle idee, intorno al 1770. Il nostro campione, senz’altro arbitrario ma anche emblematico, sarà costituito dalla questione dello spazio, questione che (insieme con quella del tempo) accompagnerà l’intero Kant precritico e andrà poi a costituire uno dei motivi fondamentali della CRP. Onde non divagare e restare ai testi, ci concentreremo sulla analisi di una operetta precritica, peraltro assai breve, scritta da Kant nel 1768. A nostro giudizio si tratta di un testo che ha segnato effettivamente una qualche svolta nel pensiero kantiano, anche se esso mantiene, come si vedrà, profonde radici nel Kant precritico. Dopo il 1768, altre svolte condurranno alla CRP.

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4. Nel 1768 Kant ha pubblicato uno scritto di poche paginette, titolato Del primo fondamento della distinzione delle direzioni nello spazio,[5] che, a detta degli studiosi,[6] ha rivestito una particolare importanza nell’elaborazione della sua successiva filosofia e in particolare della sua metafisica dello spazio. Siamo in un momento cruciale dello sviluppo della filosofia kantiana, a un anno dalla cosiddetta “grande luce” del 1769 e a due anni dalla pubblicazione della Dissertazione del 1770, quella che, sempre a detta degli studiosi, avrebbe rappresentato il nuovo nucleo di pensiero che avrebbe condotto alla CRP, una decina di anni dopo. Nell’ambito degli studi kantiani, il saggio di Kant cui faremo riferimento ha suscitato tuttavia un ampio dibattito e una altrettanto ampia bibliografia.[7] La principale questione ivi trattata, quella degli opposti incongruenti, sarà poi ripresa nella Dissertazione del 1770, nei Prolegomeni del 1783 e anche nei Principi metafisici del 1786. Si tratta dunque di una questione che ha accompagnato Kant in sottofondo per quasi vent’anni.

5. A quell’epoca erano in discussione, tra gli studiosi, due principali teorie dello spazio, che avevano importanti risvolti, insieme scientifici e metafisici. Da un lato, la teoria relazionale e, dall’altro, la teoria dello spazio assoluto. La teoria relazionale dello spazio, in estrema sintesi, sosteneva che lo spazio non aveva alcuna realtà propria, che era solo un’entità illusoria prodotta dalle sostanze e dalle loro relazioni. Questa teoria era strettamente connessa al sistema metafisico di Leibniz (1646-1716), assai popolare nella Germania del tempo. La concezione dello spazio assoluto sosteneva, invece, l’esistenza reale dello spazio, sebbene non si sapesse esattamente cosa fosse. La versione più nota di questa teoria era stata sostenuta da Newton ed era divenuta popolare, nel mondo scientifico, grazie al successo indiscutibile della meccanica. Anch’essa aveva dato luogo a taluni risvolti metafisici.[8]

6. Lo scritto di cui ci occuperemo è importante perché in esso Kant presenta un’importante svolta rispetto alle sue opere precedenti. Anzi, un vero e proprio “capovolgimento” – come si vedrà.[9] Si trattava di una presunta dimostrazione della falsità della teoria relazionale dello spazio. Costituiva una svolta per il fatto che lo stesso Kant, fino a poco tempo prima, era stato un convinto sostenitore di quella stessa teoria. O meglio, era stato convinto sostenitore di una particolare versione di quella teoria, che era nota come influxus physicus.[10] Dalla conclusione del breve scritto kantiano si evinceva che la teoria relazionale dello spazio, quella che sosteneva la non realtà dello spazio, avrebbe dovuto essere abbandonata e sostituita da una diversa concezione, cioè da una teoria dello spazio assoluto, una teoria cioè che avrebbe dovuto, in qualche modo, attribuire una qualche effettiva realtà allo spazio.

7. A quei tempi, la nozione dello “spazio assoluto” era tipicamente connessa con la filosofia naturale di Newton e con la sua meccanica. Si trattava di una teoria di provenienza anglosassone e perciò non molto popolare in Germania. Lo scritto sulle Direzioni nello spazio ha spinto la vulgata kantiana alla frettolosa conclusione che Kant, nel 1768, fosse diventato newtoniano.[11] Vedremo che non è andata proprio così. Il nuovo spazio assoluto propugnato da Kant non è affatto newtoniano. Le conseguenze della svolta saranno per Kant ben più ampie, e saranno tali da determinare lo sviluppo di quella che diverrà la metafisica kantiana matura, cioè l’idealismo trascendentale. La prima svolta, a proposito della questione dello spazio, comporterà, a valanga, una serie di altre successive conseguenze, anche abbastanza imprevedibili, tanto da rovesciare profondamente la prospettiva che il non più giovane Kant[12] aveva ormai raggiunto e cumulato nella sua carriera.

Il nuovo “spazio assoluto” di Kant si appresta così a diventare una alternativa metafisica allo spazio assoluto newtoniano. In questo saggio, per motivi pratici, in caso di ambiguità, per ciascuno dei due spazi userò due sigle diverse, facilmente comprensibili: spazio assolutoN e spazio assolutoK. Le differenze tra i due spazi assoluti emergeranno man mano. Se sarà necessario, metterò qualcosa in nota.

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8. Possiamo, a questo punto, confrontarci direttamente con il testo delle Direzioni nello spazio. So bene che il commento puntuale di un testo filosofico è spesso faticoso e forse anche noioso. Ritengo tuttavia importante il confronto analitico diretto con i testi, questo poiché il dettaglio della scrittura dice molte più cose di quanto non si ritenga comunemente.[13] D’altro canto, la lettura diretta è forse l’unico modo di confutare il Kant standardizzato diffuso. L’articolo di Kant è quanto mai breve e ciò facilita l’operazione.

9. Kant, in apertura, cita Leibniz come suo ipotetico predecessore, poiché questi aveva ipotizzato una nuova disciplina matematica denominata analysis situs, anche se il progetto era rimasto irrealizzato. Kant dice di non sapere se quanto esporrà possa essere o meno in linea col progetto leibniziano. Tuttavia, nel saggio in questione Kant assumerà esplicitamente una posizione critica nei confronti di Leibniz e dei leibniziani. Secondo alcuni studiosi, molti dei passaggi del saggio di Kant vanno intesi come risposte puntuali a questioni già poste da Leibniz in alcuni suoi scritti. La questione filologica in merito a questa specie di tacito dialogo retrospettivo con Leibniz, che è senz’altro presente in sottofondo nel saggio, è assai complicata e non possiamo affrontarla in questa sede. Per una sintesi di queste problematiche si veda Falkenburg 2020.[14] Comunque, come si vedrà, Kant, più che un oppositore, risulta essere, in definitiva, il maggior prosecutore dell’eredità di Leibniz.

10. Kant, dopo l’evocazione di Leibniz, spiega la problematica che affronterà, anticipando anche le conclusioni. Afferma che: «[…] le posizioni delle parti dello spazio, in riferimento le une alle altre, presuppongono la direzione secondo la quale queste sono ordinate nella loro stessa relazione. In un senso più astratto del termine, la direzione non consiste nel riferimento di una cosa a un’altra nello spazio – questo sarebbe effettivamente il concetto di posizione – ma nella relazione del sistema di queste posizioni con lo spazio assoluto dell’universo. Nel caso di qualsiasi cosa estesa, la posizione delle sue parti [interne ndr] relative l’una rispetto all’altra può essere adeguatamente conosciuta tramite il riferimento alla cosa stessa. La direzione, tuttavia, nella quale è orientato questo ordine di parti, si riferisce allo spazio esterno alla cosa. Per essere precisi […] si riferisce allo spazio universale come unità, di cui ogni estensione deve essere considerata come una parte».[15]

11. L’avvio è straordinariamente complesso. Dobbiamo qui in primo luogo fare uno sforzo per appropriarci del vocabolario kantiano. Anzitutto è necessario distinguere tra il termine “spazio”, che è generico e dipende dalle qualificazioni che gli vengono attribuite, e il termine “estensione” che si riferisce invece a una area, oppure a un volume. Nel linguaggio di Kant, spesso l’estensione coincide con la corporeità, come in Cartesio. Detto brutalmente, l’estensione può essere pensata come una cosa nello spazio.

Kant, nel brano citato, effettua una distinzione tra due nozioni: la posizione, che sarebbe “il riferimento nello spazio di una cosa ad un’altra”, e la direzione, che sarebbe invece la relazione di un sistema di posizioni con lo spazio assoluto dell’universo. Kant stabilisce fin dall’inizio una gerarchia tra le due nozioni: è abbastanza chiaro che per lui la direzione sopravanza la posizione. La direzione determina l’ordinamento dei vari sistemi di posizioni.

 Kant tratta la faccenda delle posizioni delle parti interne come una faccenda di routine, osservando che queste si possono facilmente conoscere considerando la cosa stessa. Qui Kant sembra utilizzare la nozione classica di estensione fisica che risale addirittura a Cartesio e poi anche a Leibniz, sebbene in Leibniz l’estensione sia solo un prodotto illusorio della sostanza. Oltre alle posizioni, Kant sottolinea la novità per lui rilevante: la questione delle direzioni. Ciascun sistema delle posizioni può essere ancora variamente determinato dalla direzione, la quale, a sua volta, dipenderebbe dallo spazio universale o assoluto. È proprio questo il concetto che creerà – come vedremo – le maggiori difficoltà interpretative. Solo alla fine del passo citato Kant accenna a spiegare cosa sia per lui lo spazio assoluto. Ma la spiegazione è piuttosto vaga. Questo spazio universale assoluto è definito come una unità che contiene tutte le estensioni (=corpi) come sue parti. Una specie di contenitore universale delle estensioni. Detto così, ne conseguirebbe che in un simile modello non sia possibile il vuoto. Kant, in effetti, avrà sempre enormi problemi ad ammettere il vuoto nella propria teoria dello spazio.

12. Tuttavia nel saggio che stiamo leggendo le cose si complicano, poiché, a loro volta le estensioni, contenute nello spazio universale, sarebbero anche direzionate. Solo le direzioni nello spazio conferiscono a ciascun sistema di posizioni un ordine per noi o, se vogliamo, un ordine relativo a noi. Questo ordine direzionato è considerato fondamentale da Kant per consentire la nostra conoscenza del mondo esterno. Ciò vuol dire che il banale spazio delle posizioni sarebbe indecifrabile per noi qualora fosse privo di direzioni. Kant non dice se lo spazio assolutoK è soltanto l’insieme delle posizioni (come era in Leibniz), oppure se deve essere inteso, più ampiamente, come l’insieme delle posizioni direzionate. La seconda ipotesi è la più probabile, ma cosa ciò voglia dire non è affatto chiaro.

13. Di cosa sta parlando Kant? Non è facile per noi definire un simile livello di discorso. Se si tratti di metafisica, di geometria oppure di cosmologia razionale. Nella primissima parte, il discorso sembra essere di tipo geometrico e riguardare la necessità di un riferimento quando si considerino figure estese nello spazio euclideo. Man mano, però, si comincia a parlare di “cose”, per cui siamo autorizzati a pensare che il discorso non riguardi soltanto la geometria delle figure ma anche i corpi fisici disposti nello spazio. Non è più tanto chiaro se si sta parlando di geometria o di fisica, oppure anche di tutte e due le cose insieme. Possiamo pensare addirittura a una cosmologia. In effetti, siamo in presenza di uno spazio fisico con una forte caratterizzazione cosmologica. Falkenburg ha parlato, in proposito, di una physical geometry.[16] Nella lettura dell’intero testo, dunque, dovremo tener conto di questa non secondaria questione: Kant confonde volentieri la geometria con la fisica ed entrambe con la cosmologia. Si tratterebbe, in altri termini, di un vero e proprio arcaismo nell’ambito della storia della cosmologia. Un analogo dei pitagorici, quando facevano la aritmo geometria con i sassolini. Nelle cosmologie razionali leibniziane del Settecento la confusione era favorita dal fatto che i costituenti fondamentali della realtà erano atomi logici. Platone dal canto suo, ad esempio, pensava che gli elementi fossero costituiti di solidi geometrici.

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14. Sembra fin da ora abbastanza chiaro che – nonostante la sinonimia – questo spazio assolutoK, insieme posizionale e direzionale, senza vuoto all’interno e ripieno delle estensioni che contiene, abbia poco o nulla a che fare con lo spazio assoluto di cui parla Newton nei suoi Principia.[17] Newton era stato chiaro.[18] Mai avrebbe confuso lo spazio della geometria con lo spazio fisico. Per Newton lo spazio fisico era un’entità oggettiva, reale, indipendente dalla mente e dall’osservatore. Soprattutto lo spazio doveva essere del tutto indipendente rispetto ai corpi fisici e alle forze ivi presenti. Doveva essere cioè perfettamente intangibile. Newton aveva dunque distinto rigorosamente tra lo spazio assoluto, che doveva essere un puro sfondo inerte, e le estensioni dei corpi che eventualmente si ritrovavano nello spazio stesso, le quali erano invece tangibili e sensibili. Anche gli organi di senso erano estesi e su ciò poteva basarsi la conoscenza sensibile in termini meccanici. Lo spazio newtoniano non doveva avere alcun rapporto con i corpi estesi che eventualmente lo occupavano poiché, altrimenti, le leggi della meccanica non avrebbero potuto funzionare. Se tutti i corpi dell’universo fossero stati annichiliti, lo spazio oggettivo avrebbe continuato a esistere. Questa nozione di spazio, ovviamente, rendeva perfettamente possibile la definizione di uno spazio vuoto.

Newton aveva sostenuto, in proposito, un’aspra contesa con i cartesiani, marcando la differenza tra lo spazio, reale, vuoto e inerte, e l’estensione cartesiana, la res extensa (cioè i corpi di qualsiasi tipo). Newton e Kant parlano dunque entrambi di “spazio assoluto”, ma il sospetto che ci assale fin da ora è che non siano proprio la stessa cosa. Col senno di poi, possiamo oggi sostenere che lo spazio assoluto newtoniano era poco più che una definizione operativa posta alla base dell’indagine sperimentale. Le operazioni della geometria costituivano per Newton una descrizione dello spazio fisico. È ben vero che Newton, qua e là nella sua opera, si è spinto anche a pronunciarsi circa una sua metafisica dello spazio. Qualcuno però, come Jammer, sostiene che lo abbia fatto solo per motivi precauzionali, onde evitare accuse di materialismo e ateismo.[19] Si tratta della famosa teoria del sensorium Dei, della quale Kant era al corrente, soprattutto attraverso il Carteggio Leibniz-Clarke.[20] Tuttavia la metafisica dello spazio assoluto di Newton ebbe poco o niente a interferire con il suo lavoro sperimentale. Il caso più noto e controverso è quello dell’esperimento della secchia, la cui invalidità fu successivamente dimostrata. Si veda in proposito il già citato Jammer 1954. È stato poi successivamente dimostrato che la meccanica newtoniana poteva basarsi anche soltanto sugli spazi relativi e fare così a meno dello spazio assoluto. Ma ciò non riguarda il nostro discorso.

15. Se non da fonte newtoniana, da dove viene allora questo spazio assolutoK? In proposito, va tenuto presente che anche Leibniz aveva parlato, nell’ambito del suo sistema, di uno “spazio assoluto”. Osserva Falkenburg in proposito: «Secondo Leibniz, lo spazio fisico è l’ordine di tutti i fenomeni coesistenti, e lo spazio geometrico è la somma totale di tutte le posizioni geometriche ottenute astraendo dai correlati fisici delle relazioni spaziali. Nei Fondamenti metafisici della matematica, Leibniz […] chiama questo spazio astratto “spazio assoluto” e lo definisce come il “luogo più pieno, o il luogo di tutti i luoghi”, ovvero come una varietà topologica. Naturalmente, questo non è lo spazio fisico della cosmologia. Kant, d’altra parte, non ha in mente una varietà topologica astratta, bensì lo spazio euclideo tridimensionale della fisica newtoniana, così come applicato nell’uso reale della ragione. Egli ricerca il fondamento ultimo della determinazione delle posizioni geometriche e lo associa alla “direzione”, ovvero alla relazione del sistema di tutte le posizioni con lo “spazio assoluto”. Secondo la cosmologia del 1755/1756, lo “spazio assoluto” è identico al sistema di tutte le relazioni sostanziali di coesistenza delle monadi fisiche, e il fondamento ultimo o ratio essendi di questo sistema è la mediazione tra le monadi da parte dello “schema della comprensione divina”».[21] Dunque, sia Leibniz, sia Kant avevano già trattato di uno “spazio assoluto” non decisamente newtoniano. Il termine “assoluto” aveva piuttosto il senso di una totalità dello spazio, delle posizioni e dei riferimenti spaziali. Comunque tutto ciò non chiarifica cosa intenda effettivamente Kant, nel 1768, con il termine “spazio assoluto”.

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16. La nozione di questo spazio assolutoK, posizionale e direzionale, e per giunta pieno, proposto da Kant suscita dunque molte perplessità. Mettiamole per ora da parte e proviamo a proseguire. Dice Kant: «Non sarà sorprendente se il lettore dovesse trovare questi concetti ancora molto oscuri. Li spiegherò a tempo debito. Non aggiungerò quindi altro per il momento, a parte la seguente considerazione. Il mio scopo in questa trattazione è di vedere se non si possa trovare nei giudizi intuitivi sull’estensione, come si trovano in geometria, una prova chiara che: lo spazio assoluto, indipendentemente dall’esistenza di tutta la materia e come esso stesso fondamento ultimo della possibilità del carattere composto della materia, ha una realtà di per sé».[22] Kant, programmaticamente, intenderebbe dunque usare una sorta di geometria intuitiva – quella che abbiamo definito come physical geometry – per provare una verità metafisica e cosmologica, cioè il fatto che lo spazio assoluto (qualunque cosa sia) ha una realtà in sé.

Anche questo passo merita un’analisi dettagliata. Lo spazio che Kant chiama assoluto, è qui considerato sotto due profili. 1) Anzitutto viene considerato “indipendentemente dall’esistenza di tutta la materia”. Qui si ipotizza che lo spazio assolutoK non sia soltanto una entità illusoria dipendente dalla materia estesa (che era la tesi di Leibniz), bensì che possa avere una realtà indipendente. In aperto contrasto con la teoria relazionale. Sembrerebbe in ciò avvicinarsi a Newton, ma non è così. 2) Il secondo profilo implica, infatti, che lo spazio assolutoK sia considerato anche come il «fondamento ultimo della possibilità del carattere composto della materia». Le due caratteristiche non sembrerebbero del tutto compatibili: se è indipendente dall’esistenza della materia, come fa a essere il fondamento del carattere composto della materia? Si consideri che fondamento è termine davvero impegnativo, per un metafisico di quell’epoca. Fondamento e causa erano pressoché la stessa cosa. Stando alla lettera del testo, se non ci fosse lo spazio assolutoK, la materia che ha carattere composto non potrebbe esistere. La materia dipenderebbe dunque dallo spazio. Qui Kant attribuisce, fin da ora, allo “spazio assoluto” una specie di carattere demiurgico non ben specificato. Questo spazio assolutoK, realtà separabile dalle sostanze, ha dunque un carattere decisamente metafisico e, soprattutto, fondativo e costitutivo della struttura intrinseca dei corpi. Si può ritenere che qui si anticipi il carattere trascendentale[23] che sarà poi attribuito da Kant allo spazio della CRP.

17. Ma c’è un’altra questione di qualche rilievo. Nel brano, Kant parla, come cosa scontata, di “giudizi intuitivi sull’estensione”. Per il lettore odierno non è chiarissimo di che si tratti. Qui non si tratta ancora della famosa nozione di intuizione che è familiare ai lettori di Kant. Si tratta di un’intuizione (evidentemente connessa con la disciplina geometrica) la quale dovrebbe permettere di comprovare la realtà dello spazio assolutoK. Si conferma qui, per Kant, che geometria, cosmologia e metafisica si sovrappongono senza problemi. Probabilmente, l’evidenza eventuale dello spazio assoluto è da lui considerata come “intuitiva” e dunque conseguibile attraverso l’intuizione, facoltà del tutto consona alla geometria.[24]

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18. Si tratta allora per noi di capire meglio la differenza tra spazio assolutoN e spazio assolutoK. Proseguendo nella lettura dello scritto troviamo varie tracce davvero utili a questa chiarificazione. Prima di procedere, Kant sente infatti il bisogno di inquadrare quanto sta facendo sul piano del metodo e si dilunga alquanto sulla questione. Val la pena di seguirlo nelle sue puntualizzazioni. A proposito del problema che si accinge ad affrontare, cita e commenta esplicitamente il saggio di Euler Reflexions sur le space et le temps. Lo scritto di Euler (1707-1783) era apparso nel 1748 ed era stato pubblicato nel 1750.[25] Si tratta di ventuno brevi proposizioni attraverso le quali lo studioso svizzero prendeva apertamente posizione contro i sostenitori delle monadi e – a partire dai risultati della meccanica newtoniana, considerati come inequivocabili – definiva i termini entro i quali sarebbe stato possibile proporre una definizione attendibile dello spazio e del tempo,[26] una definizione che fosse cioè compatibile con i risultati stessi della nuova meccanica. Si trattava dunque di una lucida presa di posizione anti metafisica, a favore della filosofia naturale di matrice empirica. Si noti che Kant, dal punto di vista di Euler, poteva benissimo essere considerato come uno dei sostenitori delle monadi, poiché nel suo programma precritico egli aveva cercato di sviluppare una monadologia fisica, nell’orbita della teoria dell’influxus physicus di Knutzen (che era stato il maestro di Kant).[27] Un resoconto più ampio e articolato, sebbene di data assai successiva, dello scontro tra Euler e i sostenitori delle monadi si trova nelle Lettere a una principessa tedesca.[28]

19. È davvero significativo, per comprendere le intenzioni di Kant e le differenze tra le due concezioni dello spazio, il modo in cui egli presenta Euler. Kant afferma che la questione da lui posta (la realtà dello spazio assoluto) aveva finora suscitato un grande lavorio tra i filosofi, i quali si erano vanamente sforzati di risolverla attraverso qualcosa come i “giudizi astratti” della metafisica.[29] Qui Kant sembra alludere criticamente ai sogni della metafisica cui aveva accennato in un libretto precedente. Kant afferma poi di conoscere un solo caso di tentativo di risolvere la questione posta in una diversa forma, che egli definisce a posteriori.[30] Spiega cosa intende per a posteriori: «per mezzo di altre proposizioni incontestabili, anche collocate al di fuori dell’ambito della metafisica, che siano ciò nonostante, attraverso la loro applicazione in concreto, capaci di offrire una pietra di paragone della loro esattezza».[31] Questo caso sarebbe, appunto, quello della “trattazione del celebre Eulero il vecchio” nella Memoria della reale Accademia delle scienze di Berlino dell’anno 1748.

20. Kant, tuttavia, non concorda con quanto sostenuto da Euler nel suo scritto e così afferma piuttosto severamente: «Questo trattato, […], non raggiunge del tutto il suo scopo. Mostra solo le difficoltà implicite nel dare un significato determinato alle leggi universali del moto quando si opera con nessun altro concetto di spazio se non quello che nasce dall’astrazione dalla relazione tra cose reali. Non considera neanche le non meno gravi difficoltà che sorgono se, nell’applicare le leggi appena menzionate [le leggi del moto ndr], si tenta di rappresentarle in concreto, impiegando il concetto di spazio assoluto. La dimostrazione, che sto cercando qui, è intesa a fornire, non agli ingegneri, come era lo scopo di Euler, ma agli studiosi di geometria stessi un argomento convincente che potrebbero usare per sostenere, con la certezza a cui sono abituati, la realtà del loro spazio assoluto».[32]

Stando alla lettera, sembrerebbe qui che i geometri siano i naturali detentori della nozione dello spazio assoluto, ma che essi non siano convinti “della realtà del loro spazio assoluto”. E abbiano bisogno dell’argomento kantiano per convincersene. Lo spazio assoluto di cui tratta il Kant del 1768 sarebbe allora il banalissimo spazio euclideo, qualora sia considerato come un oggetto reale. Vedremo nel proseguimento se questa tesi sia sostenibile. In effetti, dal seguito emergerà una specie di conflazione tra lo spazio geometrico euclideo e lo spazio metafisico cosmologico kantiano. Ma la cosa continua a non esser chiara.

21. Dal testo considerato più in generale, risulta comunque del tutto evidente che gli “spazi assoluti” di cui Kant parla sono proprio due. Quello che “nasce dalla astrazione tra cose reali” (lo spazio assolutoN che è, di fatto, una definizione operativa o poco più) e, invece, la definizione dello spazio che è impiegata dagli studiosi di geometria. Interessante e notevole dunque è la opposizione tra «astrazione dalla relazione tra cose reali» che sarebbe l’atteggiamento imputato a Euler (e a Newton) e la rappresentazione «in concreto impiegando il concetto dello spazio assoluto», secondo il costume dei geometri, che sarebbe quel che vuol fare Kant. Questi sarebbero dunque i parametri metodologici entro cui Kant intende lavorare nel suo saggio.

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22. Avendo laboriosamente chiarito cosa sta cercando, e avendo chiarito la somiglianza e la diversità della sua impresa rispetto a quella di Newton e di Euler, Kant può iniziare così finalmente la sua argomentazione dal punto di vista, come promesso, concreto e intuitivo. Si occuperà dunque delle direzioni nello spazio che sembrano essere l’elemento decisamente nuovo e caratteristico dello spazio assolutoK che ha già in parte presentato.

Il suo punto di partenza è una descrizione della prospettiva soggettiva dello spazio corporeo esterno, a partire dalla percezione sensoriale di un ipotetico essere umano. Così esordisce Kant: «A causa delle sue tre dimensioni, lo spazio fisico può essere pensato come dotato di tre piani, che si intersecano gli uni con gli altri ad angoli retti. Riguardo alle cose che sono fuori di noi, è solo nella misura in cui esse stanno in relazione con noi che noi possiamo avere, soltanto attraverso i sensi, qualsiasi cognizione di loro. Dunque non è sorprendente che il fondamento ultimativo, in base a cui noi formiamo il nostro concetto di direzioni nello spazio, derivi dalla relazione di questi piani che si intersecano con i nostri corpi».[33] Kant, proseguendo, identifica in tal modo dapprima un piano orizzontale, che divide lo spazio secondo sopra e sotto, poi quello verticale, che divide lo spazio secondo destra e sinistra e, infine, la profondità (che divide lo spazio secondo il piano anteriore e posteriore).

23. Niente di particolarmente nuovo. Questi sono i piani ortogonali della geometria euclidea. Kant sembra però, come abbiamo già ampiamente rilevato, confondere lo spazio geometrico con lo spazio fisico e sembra ragionare esattamente come se lo spazio fuori di noi fosse intrinsecamente dotato di piani ortogonali euclidei. I piani dello spazio fisico esterno sono considerati come una continuazione dei piani del corpo umano, anch’esso esteso. Solo così possiamo acquisire, secondo Kant, il nostro concetto di diverse direzioni nello spazio e solo così, attraverso i sensi, possiamo avere cognizione delle cose che sono fuori di noi. La nostra conoscenza sensibile dipenderebbe dunque proprio dalle direzioni da noi individuate. Questo perché, lo si vedrà in seguito, la nostra conoscenza sensibile conosce le cose come già direzionate. Si tratta senz’altro di uno strano garbuglio. Tuttavia, a nostro parere, ciò è spiegabile in base al fatto che Kant, da buon leibniziano, è ossessionato dalla questione dell’ordine. Per rendersene conto basta leggere la Delucidazione. Dietro alla questione dell’ordine c’è la famosa armonia prestabilita. Se non ci fosse un ordinamento razionale, metafisica e cosmologia non avrebbero senso alcuno. Le direzioni nello spazio, a partire dai piani ortogonali del nostro corpo costituiscono una imprescindibile fonte di ordine della nostra esperienza esterna.

24. Kant riporta, a questo punto, un’ampia e disparata serie di casi empirici, tratti da vari campi d’esperienza, che coinvolgono vagamente la questione delle direzioni nello spazio. Questa casistica è senz’altro legata alla promessa originaria di svolgere il proprio argomento in concreto. Qui si abbandona decisamente il terreno della geometria euclidea e ci si addentra a considerare questioni di direzione nello spazio legate alla natura intrinseca delle cose sensibili. Ci si addentra dunque nella fisica. Ma vediamo intanto la casistica. Anzitutto, in esordio, afferma che una pagina scritta smette di essere riconoscibile se invertiamo la sua direzione. Questo prova senz’altro che la leggibilità dipende dal mio sistema di riferimento (e da quello di chi ha scritto la pagina). Se però – aggiungiamo noi – si rovesciasse anche il lettore, la pagina tornerebbe a essere leggibilissima! Poi cita i punti cardinali della bussola, utili solo se abbiamo la nozione della direzione di riferimento. Cita la collocazione degli oggetti nel cielo e sulla terra, impossibile senza le direzioni e i loro riferimenti. Ugualmente, le mappe dei cieli funzionano solo in riferimento alle direzioni. Lo stesso vale per i posizionamenti geografici. E osserva: «Simili conoscenze non avrebbero alcuna utilità per noi se noi non fossimo in grado di orientare le cose così ordinate, secondo l’intero sistema delle loro reciproche posizioni, riferendole ai lati del nostro corpo».[34]

Sembra dunque che il riferimento al nostro corpo sia davvero essenziale per il discorso che Kant vuol fare. Fin qui, dagli esempi di Kant abbiamo acquisito che le direzioni nello spazio per noi sono soggettivamente importanti.

25. Kant passa poi a occuparsi di taluni fenomeni naturali che, in un certo senso, sembrano avere implementata in se stessi una precisa direzione. Fenomeni, ad esempio, che in biologia, ci permettono di distinguere una specie dall’altra. La caratteristica distintiva consisterebbe nella particolare direzione in cui è disposto l’ordine delle loro parti. «In virtù di queste caratteristiche, due creature possono essere distinte una dall’altra, anche se esse possono essere esattamente le stesse rispetto a dimensione, proporzioni e anche per la posizione relativa delle loro parti».[35] Cita, a sostegno, vari fatti osservabili come la direzione della crescita dei capelli, la tendenza direzionale all’avvolgimento delle piante del luppolo e dei fagioli, cita la spirale destrorsa delle chiocciole. «Questa specifica proprietà si può ritrovare invariabilmente presso i membri di una data specie e può essere ritrovata indipendentemente dall’emisfero della terra in cui accadono e indipendentemente dalle direzioni dei movimenti giornalieri del sole e della luna – che da noi va da sinistra a destra, mentre agli antipodi è da destra a sinistra».[36] Qui possiamo osservare che se la chiocciola ha la spirale destrorsa ovunque, questo vuol solo dire che il senso destrorso è nel sistema di riferimento che la chiocciola porta con sé, comunque si sposti e si rigiri sul pianeta.

26. Appena prima Kant aveva considerato le direzioni rispetto a percezioni (di viventi) rivolte allo spazio esterno. Ora proseguendo sembra occuparsi di direzioni che siano interne, rispetto a un corpo fisico o biologico. Sembra voler dire che le direzioni sono così importanti che stanno anche dentro alla costituzione stessa delle cose fisiche e dei viventi in particolare. Kant considera poi anche la struttura intrinseca del corpo umano: «Poiché il senso della distinzione tra destra e sinistra è cosi necessario per giudicare le direzioni, la natura ha stabilito una connessione immediata tra questo senso e l’organizzazione meccanica del corpo umano. In virtù di questa organizzazione, un lato del corpo, il lato destro, gode di un vantaggio indiscutibile sull’altro per quanto riguarda all’abilità e alla forza».[37] Seguono altri vari esempi nella distinzione tra le parti funzionali della destra e della sinistra di varie parti del corpo umano.

27. C’è da rimanere oltremodo perplessi. Di cosa stiamo parlando? Ricorrendo al senno di poi, e alle nostre conoscenze attuali, numerose osservazioni riportate da Kant si riferiscono a un fenomeno ben noto, che oggi non suscita alcun problema cosmologico e metafisico, e che trova applicazioni in vari campi della scienza e della tecnica. Si tratta della chiralità (dal greco khéir, mano). In italiano, il concetto potrebbe esser reso con manosità. Per la cronaca, un altro nome con cui è conosciuta la chiralità è enantiomorfismo. Più comunemente parliamo del verso caratteristico di alcune cose o alcuni fenomeni. La chiralità è un fenomeno naturale, diffuso e nient’affatto misterioso. Dallo spin delle particelle subatomiche al verso della corrente elettrica, fino all’orientamento strutturale di certe molecole organiche, ben noto nella chimica. Si tratta di fenomeni che appartengono al mondo oggettivo e che non dipendono dall’osservatore. E, disgraziatamente per Kant, la chiralità non fornisce alcuna prova della esistenza di uno spazio assoluto. Certamente non possiamo imputare a Kant ciò che non poteva sapere. A noi interessa tuttavia l’uso che ha fatto delle nozioni che aveva effettivamente.

28. Pare di poter considerare anzitutto che le direzioni di cui parla Kant sono tutte direzioni relative. Gli umani sono mobili, dunque i piani ortogonali “naturali” relativi ai corpi si spostano con loro. Lo spazio euclideo della geometria ha sempre bisogno di un riferimento, e i riferimenti possono sempre cambiare. Le coordinate sono riferimenti arbitrari, dipendono da dove si fissa l’origine. Non esiste una direzione sopra assoluta, o una direzione destra assoluta. Se l’uomo dell’esempio kantiano si gira su se stesso, considerandolo in un sistema di direzioni appena più ampio, la destra diventa sinistra e viceversa. Se dico a uno «Spostati a destra!», quello mi può chiedere «Alla mia o alla tua destra?». Si collochi l’uomo suddetto al Polo Nord e poi lo si collochi al Polo Sud: il sopra diventa sotto e viceversa. Certo, una direzione in quanto tale è pur sempre una direzione, ma allora si tratta solo e soltanto di direzioni relative. Seduto alla “destra del Padre” ha significato solo se si definisce la posizione del Padre. “Seduto alla destra” non vuol dir niente. Possibile – vien da domandarsi – che Kant sia così sprovveduto?

La chiralità poi ha a che fare con la costituzione intrinseca delle cose. È vero che il luppolo si avvolge a destra, oppure – aggiungiamo noi qualche esempio analogo – che il cuore è spostato a sinistra e che l’erba cresce verso l’alto, ma anche qui il riferimento è sempre locale, una posizione relativa. Alla sua destra, alla sua sinistra. Se mi giro nello spazio, il mio cuore è sempre alla mia sinistra, perché il mio sistema di riferimento gira con me, ma, rispetto alla posizione precedente, sta ora in una diversa direzione dello spazio.

Ancora, possiamo obiettare che non è proprio chiaro cosa c’entri tutto ciò con le direzioni nello spazio. La mia mano destra è sempre la mia destra e il fatto che sia più robusta è una mia proprietà (oggi sappiamo dovuta alla lateralizzazione). La direzione destra, di per sé, non causa il fatto che la mia mano sia più robusta. E io considero sempre la mia destra come tale in base al mio sistema di riferimento soggettivo.

29. Se vogliamo proseguire con una parvenza di plausibilità, non ci resta che applicare in termini interpretativi un qualche principio di carità. Evidentemente, Kant usa il termine “assoluto” in maniera decisamente particolare e diversa decisamente dalle nostre aspettative. La nozione di “spazio assoluto” evoca inevitabilmente in noi – che abbiamo ricevuto un’educazione newtoniana – le proprietà dello spazio newtoniano. È possibile invece che Kant invece non stia affatto pensando allo spazio newtoniano. Kant ha mostrato finora che le direzioni, pur rilevanti nella realtà del mondo, sono direzioni relative. Che dipendono sempre da un sistema di riferimento che può essere grande come il sistema solare, come un intero pianeta o piccolo come il guscio di una chiocciola. Se c’è qualcosa che tutto ciò può significare è che le direzioni sono sempre relative e che una unica direzione assoluta proprio non c’è.

Probabilmente Kant con “assoluto” intende ogni sistema di riferimento che è necessario per definire le direzioni nello spazio delle singole cose. Il sistema di riferimento necessario per leggere quella pagina, per usare quella mappa. Per ciascuno dei riferiti, comunque siano collocati in termini di posizioni, il loro sistema di riferimento è sempre un assoluto. I geometri – di cui parla Kant – adottano sempre un sistema di riferimento arbitrario che viene tuttavia considerato, ogniqualvolta, come un assoluto. Poiché Kant adotta la arcaica physical geometry, egli pretende che il funzionamento del mondo geometrico abbia il suo esatto corrispettivo nel mondo fisico. Lo spazio assolutoK sarebbe allora semplicemente l’ordinatore esterno specifico di qualsiasi singola cosa (o sistema di posizioni). Il Nord per la carta geografica, l’alto per l’erba che cresce, la sinistra per il mio cuore, la destra per la spirale della chiocciola, e così via. Vien detto “assoluto” perché semplicemente è il riferimento “esterno” da cui ciascuna cosa/ estensione dipende.

30. Vediamo con un esempio. Se voglio disegnare su un foglio una chiocciola, devo anzitutto dotare il foglio dei riferimenti geometrici usuali, compreso il lato destro e quello sinistro. Insomma, la cornice invariante del foglio. Questi sarebbero, in termini geometrici, i riferimenti assoluti per il mio disegno. Quando dovrò tracciare la spirale della chiocciola, dovrò farla destrorsa rispetto al foglio, cioè dovrò adottare la direzione assoluta che compete alla chiocciola. Potrò rigirare come voglio il foglio, capovolgerlo in tutti i modi, ma sul foglio la chiocciola sarà sempre destrorsa. Se il mio disegno della chiocciola fosse stato fatto con la computer grafica, potrei facilmente riflettere il disegno e ottenere una chiocciola sinistrorsa, ovviamente non corrispondente ad alcunché di reale. Fin qui tutto chiaro. Ma ragiona Kant: poiché le chiocciole reali sono sempre destrorse, bisogna che un qualche creatore/ geometra le abbia fatte così, riferendosi a una cornice invariante destrorsa. Kant pensa dunque che esista uno spazio assoluto reale (in veste di creatore geometra) che rende e mantiene le chiocciole destrorse (nel linguaggio kantiano, che è il fondamento della destrosità della spirale delle chiocciole!). Strano ma vero.

Affinché un simile modello possa funzionare, poiché ogni cosa può avere le sue direzioni intrinseche, ci saranno tanti spazi assoluti di riferimento quante sono le singole cose. E i vari sistemi di riferimento potranno relazionarsi tra loro in un intreccio intricatissimo. Il mio cuore è sempre alla mia sinistra, ma posso volgerlo verso il sud geografico, oppure verso il nord. Posso recarmi agli antipodi invertendo la direzione sopra e sotto. A sua volta, il moto della terra farà variare la mia posizione relativamente al sole. E così via. Si tratterebbe di uno spazio fatto di innumerevoli punti di vista/ direzioni, continuamente cangiante (come quello leibniziano, del resto) dove i sistemi di riferimento interagiscono continuamente e le direzioni sono sempre relative e mai definitive. Dunque, miriadi di ordini direzionali locali che, insieme, andrebbero a costituire un ordine generale di tutti gli ordini locali. Volendo azzardare, l’insieme di tutti i sistemi di riferimento che si intrecciano tra loro. Si tratta di una nozione da far girar la testa che solo un discepolo di Leibniz avrebbe potuto concepire. Del resto nel sistema leibniziano (dove lo spazio non aveva una realtà sua propria) lo spazio assoluto era già la somma di tutti gli spazi relativi. Una specie di totalità.

31. La nostra interpretazione in camera caritatis trova un fondato sostegno in Falkenburg: «Secondo lui [Kant], la chiralità, la rispettiva proprietà spaziale di mani e di viti, non è una proprietà relazionale nel senso dell’analysis situs di Leibniz. A suo avviso, la chiralità può essere definita solo in termini di una relazione con le “direzioni” nello spazio, ovvero con le distinzioni di destra e sinistra, sopra e sotto, davanti e dietro. Queste “direzioni” sono definite in relazione allo “spazio assoluto” come una totalità astratta di posizioni […], o, come diremmo oggi, relativamente a un dato sistema di coordinate con un dato orientamento sinistrorso o destrorso. La sua tesi matematica è che la chiralità di un oggetto è definita solo in relazione a un sistema di coordinate già orientato […]. A suo avviso, la chiralità di un oggetto non può essere determinata indipendentemente dallo spazio geometrico a cui l’oggetto appartiene».[38] Dunque, lo spazio geometrico interferisce con le cose, conferisce forma alle cose. È quello che abbiamo chiamato carattere demiurgico dello spazio euclideo.

Kant evidentemente chiama “assoluto” ciò che per noi sarebbe un riferimento relativo. Ancora Falkenburg: «Kant sostiene che una chiralità definita, o orientamento, sia una proprietà “assoluta” di un oggetto, che può essere spiegata solo in termini di una relazione con lo spazio assoluto, inteso come una sorta di spazio di sfondo della geometria fisica [physical geometry]. A suo avviso, l’assolutezza di questa proprietà è dovuta alla nostra idea di spazio, ovvero all’orientamento del nostro sistema di coordinate spaziali interno. La sua affermazione cruciale è che la chiralità di un oggetto destrorso o sinistrorso è una proprietà assoluta che deriva dalla sua relazione con lo spazio assoluto».[39]

32. Ci pare di poter concludere, con una punta di delusione, che lo spazio assolutoK altro non sia che lo spazio euclideo, cioè banalmente lo spazio dei geometri, che viene considerato come una entità reale ordinatrice, capace addirittura di interferire con la forma dei corpi che ospita. La nostra operazione interpretativa sembra comunque essere riuscita a dare un senso a quanto scrive Kant in questa parte del suo saggio. Tuttavia questa soluzione interpretativa non è del tutto indolore, perché abbiamo dovuto attribuire a Kant una physical geometry davvero primitiva. L’idea di uno spazio geometrico euclideo che è reale e che conferisce la forma destrorsa alle chiocciole o determina la direzione di avvolgimento del luppolo, non può che apparire alquanto ridicola, anche se confrontato con lo stato delle conoscenze del tempo. È pur vero che i filosofi all’epoca dovevano occuparsi di un enorme ambito di cose. La fama di Kant indubbiamente suscita sempre grandi aspettative nei suoi confronti, che generano senz’altro qualche delusione quando lo vediamo cadere in facili trabocchetti.

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33. Ma torniamo al testo. Terminate le esemplificazioni, Kant afferma: «Ciò che stiamo cercando di dimostrare, quindi, è la seguente affermazione. Il fondamento della determinazione completa della forma di un corpo non dipende semplicemente dalla relazione e dalla posizione delle parti tra loro; dipende anche dal riferimento di quella forma fisica nei confronti dello spazio assoluto universale, com’è concepito dai geometri. Questa relazione con lo spazio assoluto, tuttavia, non può essere percepita immediatamente, sebbene le differenze, che esistono tra i corpi e che dipendono esclusivamente da questo solo fondamento, possano essere immediatamente percepite».[40]

La nostra interpretazione sembra proprio stare in piedi. Qui l’accenno allo “spazio assoluto universale, com’è concepito dai geometri” sembra alludere allo spazio euclideo. Il quale costituisce il “fondamento della determinazione completa della forma di un corpo”. Per Kant l’aspetto centrale della questione è decidere se lo spazio vada inteso solo come sistema di relazioni interne alle singole estensioni (ogni corpo così sarebbe perfettamente autonomo), oppure se “la determinazione completa della forma di un corpo” non dipenda anche da qualcosa di altro, qualcosa che sta fuori, qualcosa di indipendente dalle parti del corpo stesso, e cioè dipenda dallo spazio assoluto universale “come è concepito dai geometri”. Lo spazio assolutoK universale è fatto di direzioni relative, le quali tuttavia determinano “assolutamente” la forma dei corpi. La direzione ha sempre qualcosa di locale e di relativo ma dipende comunque dal sistema di riferimento. Lo spazio assoluto di Kant sarebbe dunque l’insieme di tutti i sistemi di riferimento locali. Si spiega così come mai le differenze tra le direzioni possono essere immediatamente percepite, ma non il fatto che ciò dipenda dalla relazione con lo spazio assolutoK.

34. Per i suoi risvolti metafisici, va notata l’espressione «Il fondamento della determinazione completa della forma di un corpo», il quale fondamento dipenderebbe proprio dallo spazio assoluto universale. Lo spazio assoluto universale, che è poi lo spazio euclideo relativo dei geometri, per Kant, sarebbe in grado di determinare completamente la forma di un corpo. Faccio osservare ancora che, nel linguaggio di Kant dell’epoca, determinazione significava causazione. Kant, nelle opere precritiche, aveva trattato della ragione determinante, che era una variazione della ragion sufficiente di Leibniz. In altre parole, si trattava di causalità.

Lo spazio assolutoK (che è strutturato come uno spazio euclideo) è dunque ora concepito come una entità reale che è causalmente efficace, cioè è in grado di determinare completamente la forma di un corpo. Le spirali delle chiocciole sono destrorse perché determinate dal loro sistema di riferimento che – per loro – non cambia mai, costituisce cioè – sempre per loro – un assoluto. Ciascun corpo porta con sé un proprio riferimento a uno spazio che è, per esso, un assoluto. Kant non sospetta neppure che certe “direzioni” riscontrabili nei corpi (fisici, viventi o non viventi) possano essere proprietà intrinseche. Aristotele avrebbe tranquillamente sostenuto che la forma destrorsa delle chiocciole faceva parte della loro essenza. La biologia contemporanea ammette che la chiralità dei viventi sia inscritta nel DNA. A un chimico non viene in mente che la chiralità molecolare sia causata dallo spazio assolutoK.

35. Per il Kant del 1768, “assoluto” vuol dire determinante, mentre per Newton voleva dire intangibile, indipendente, “sciolto” dalla materia. È appena il caso di rammentare che, per definizione, lo spazio assolutoN, quello di Newton, non può “fare” proprio alcuna cosa. Né “determinare” la forma di alcunché, nonostante le acrobazie verbali di Kant. Lo spazio assolutoN non ordina un bel niente: l’ordine (e il disordine) semmai appartiene alle cose, non allo spazio. La convinzione che lo spazio assoluto (sebbene riferito a ciascun corpo) sia un ordinatore (tale da determinare il verso destrorso delle chiocciole o la crescita verso l’alto dei fili d’erba) è solo folk philosophy. Purtroppo di questa folk philosophy è piena l’Estetica trascendentale. Lo spazio assolutoK – anticipo quanto sarà mostrato in seguito – ha semplicemente preso il posto del Dio orologiaio! In generale, si può osservare qui una nota abbastanza costante del pensiero metafisico di tutti i tempi nell’inventare delle improbabili entità che siano fonti di attività, e che possono poi servire agli scopi più vari.

36. A questo punto Kant ritiene di introdurre una specie di dimostrazione, una specie di esperimento mentale che avrebbe dovuto costituire un rafforzamento di quanto finora affermato. Una prova decisiva e conclusiva, basata su una forma particolare di chiralità, quella dei cosiddetti opposti incongruenti. Afferma Kant: «Se due figure tracciate su una superficie piana sono eguali e simili, allora queste coincideranno l’una con l’altra. Ma la situazione è spesso interamente differente quando abbiamo a che fare con l’estensione corporea, o anche con linee e superfici che non siano collocate su un piano. Esse possono essere uguali e simili, eppure essere ancora così differenti tra loro che i limiti dell’una non possono essere i limiti dell’altra».[41] Alcuni esempi riportati sono i filetti destrorsi e sinistrorsi di viti le quali, peraltro, siano completamente uguali, oppure i triangoli sferici. Continua Kant: «Ma l’esempio più comune e più chiaro è fornito dagli arti del corpo umano che sono collocati in modo simmetrico relativamente al piano verticale del corpo. La mano destra è uguale alla mano sinistra. E se uno considera una delle due in sé, esaminando la proporzione e la posizione delle sue parti le une con le altre, e considerando la grandezza del tutto, allora la descrizione completa dell’una deve applicarsi in ogni aspetto all’altra».[42] Ci sono dunque cose (considerate come) intrinsecamente uguali ma le cui parti sono disposte direzionalmente nello spazio in modo tale che non possono sovrapporsi. Questo vuol dire, per Kant, che lo spazio “assoluto” di cui egli tratta è fisicamente reale e ha effetti tangibili.

37. Kant giunge così alla sua definizione del fenomeno che intende usare come prova definitiva dell’esistenza reale dello spazio assolutoK: «Chiamerò un corpo che è esattamente uguale e simile a un altro, ma che non può essere racchiuso negli stessi limiti di quell’altro, la sua controparte incongruente. Ora, per dimostrare la possibilità di una cosa del genere, prendiamo un corpo costituito non da due metà che sono disposte simmetricamente relativamente a un singolo piano intersecante, ma piuttosto, diciamo, una mano umana. Da tutti i punti sulla sua superficie, estendiamo delle linee perpendicolari a una superficie piana posta di fronte ad essa; e estendiamo queste linee alla stessa distanza dietro la superficie piana, come i punti sulla superficie della mano sono di fronte ad essa; le estremità delle linee, così estese, costituiscono, quando collegate insieme, la superficie di una forma corporea. Quella forma è la controparte incongruente della prima. In altre parole, se la mano in questione è una mano destra, allora la sua controparte è una mano sinistra. Il riflesso di un oggetto in uno specchio si basa esattamente sugli stessi principi».[43]

Kant, nella sua costruzione, ha praticamente prodotto una riflessione in 3D di una mano umana, una banale operazione che si può ottenere oggi con un programma di computer grafica e magari, più realisticamente, con una stampante in 3D. Si noti che a Kant non viene neppure in mente che le due mani potrebbero essere due oggetti completamente diversi, dotate di un gran numero di proprietà differenti. Ancora una volta vediamo la physical geometry all’opera.

38. A questo punto Kant ritiene di avere fornito esempi a sufficienza e si appresta a individuare le conseguenze filosofiche della sua scoperta: «Lasciamo che ciò basti a spiegare la possibilità di spazi [cioè estensioni ndr] che sono perfettamente simili e uguali [per quanto riguarda le relazioni tra i punti interni ndr] e tuttavia incongruenti. Procediamo ora all’applicazione filosofica di questi concetti. È evidente, dall’esempio ordinario delle due mani, che la forma di un corpo può essere perfettamente simile alla forma dell’altro, e che le magnitudini delle loro estensioni possono essere esattamente uguali, eppure rimane una differenza interna tra i due; questa differenza consiste nel fatto che la superficie che racchiude l’uno non può includere l’altro. Dato che la superficie che limita lo spazio fisico dell’uno non può servire come confine per limitare l’altro, indipendentemente da come quella superficie sia spostata e rigirata, ne consegue che la differenza deve essere basata su un fondamento interno. Questo fondamento interno tuttavia non può dipendere dalla differenza nella maniera in cui le parti del corpo sono combinate le une con le altre».[44] In sostanza, sarebbe questo un caso esemplare in cui le direzioni nello spazio (delle due mani incongruenti) dipendono dallo spazio assolutoK.

Per “fondamento interno” qui Kant intende una caratteristica propria distintiva dell’oggetto (una proprietà della sostanza in senso metafisico), la quale tuttavia dipende da qualcos’altro e cioè la collocazione dell’oggetto rispetto allo spazio assoluto dei geometri. Che poi sarebbe lo spazio euclideo. Sarebbe in altri termini, l’elemento distintivo posseduto dalla destra rispetto alla sinistra, e viceversa. Per capire la rilevanza filosofica di questa considerazione, è il caso di pensare al fatto che, nella metafisica leibniziana, ogni sostanza o monade possedeva internamente tutte le sue proprietà e non potevano esserci influenze esterne capaci di modificarle. Il compito di mettere in rapporto le sostanze tra loro spettava al Dio orologiaio. Se pretendi di essere una sostanza epperò anche solo una delle tue proprietà dipende da qualcosa di altro esterno (escludendo la dipendenza dal creatore), vuol dire che non sei veramente una sostanza. Così Leibniz.

39. A questo punto Kant ritiene di avere tutti gli elementi per introdurre il suo esperimento mentale definitivo: «Ciò nondimeno, si immagini che la prima cosa creata sia stata una mano umana. Questa avrebbe dovuto essere o una destra o una sinistra. L’azione della causa creatrice nel produrne una avrebbe dovuto necessariamente essere differente dall’azione della causa creatrice nel produrre la controparte».[45] Continua Kant: «Supponiamo che si debba adottare il concetto sostenuto da molti filosofi moderni, in particolare filosofi tedeschi, secondo cui lo spazio consiste semplicemente nella relazione verso l’esterno [all’interno di ciascun corpo ndr] delle parti di materia che esistono l’una accanto all’altra. Ne conseguirebbe, nell’esempio che abbiamo addotto, che tutto lo spazio effettivo [= attuale ndr] sarebbe semplicemente lo spazio occupato da questa mano. Tuttavia, non c’è differenza nella relazione delle parti della mano tra loro, e ciò vale sia si tratti di una mano destra o di una mano sinistra; ne conseguirebbe quindi che la mano sarebbe completamente indeterminata rispetto a tale proprietà. In altre parole, la mano si adatterebbe ugualmente bene su entrambi i lati del corpo umano; ma ciò è impossibile».[46] Come volevasi dimostrare. Una vera e propria reductio ad absurdum della concezione relazionale dello spazio.

Si noti che, nella argomentazione di Kant, la creazione della unica mano coinciderebbe con la creazione del suo spazio e di nient’altro. Se Kant fosse stato minimamente newtoniano, a questo proposito avrebbe dovuto parlare prima della creazione dello spazio vuoto e poi della creazione della mano.

40. Dunque, per i filosofi tedeschi, che non credono allo spazio assolutoK, la unica mano creata non sarebbe né destra né sinistra, sarebbe una unica mano indeterminata. Kant riporta con precisione la teoria dello spazio dei filosofi tedeschi: «[…] lo spazio consiste semplicemente nella relazione esterna delle parti di materia che esistono l’una accanto all’altra». La “relazione esterna” era la relazione che le monadi intrattenevano tra loro grazie al Dio (ed era, si badi bene, di natura concettuale, non materiale).

Lo scopo dello scritto di Kant emerge finalmente con chiarezza. Qui è esplicita la critica alla corrente leibniziana - wolffiana. Poiché Kant stesso, nelle sue opere precedenti, aveva sostenuto la teoria relazionale dello spazio, si trattava dunque anche di una pubblica autocritica. E probabilmente sarà costata qualcosa al suo autore, almeno sul piano morale. È significativo tuttavia per noi, sul piano storico, che le argomentazioni di Euler contro i teorici delle monadi, fondate sulla meccanica newtoniana, non fossero state accolte e che Kant avesse avuto bisogno di questa sua contorta prova geometrica, realizzata in concreto e intuitiva, come dice lui.

Si noti tuttavia ancora che qui (siamo nel 1768) Kant è comunque fermamente convinto, come ogni persona di buon senso, che le mani reali, determinate (= causate) dallo spazio assolutoK, siano proprio due (la destra e la sinistra) e che una sola mano “in sé” indeterminata, come riterrebbero i filosofi tedeschi, sia del tutto impossibile. Ebbene, possiamo fin da ora anticipare che, piuttosto clamorosamente, Kant cambierà ben presto idea.

41. Veniamo ora alle conclusioni che Kant ritiene di dover trarre dalla sua breve ma complessa argomentazione. Si tratta di conclusioni che – col senno di poi – anticipano già con chiarezza il futuro cammino di Kant verso l’idealismo trascendentale. Così afferma: «Le nostre considerazioni chiariscono che le determinazioni dello spazio non sono conseguenze delle posizioni delle parti della materia l’una rispetto all’altra. Al contrario, queste ultime sono conseguenze delle prime. Le nostre considerazioni, quindi, chiariscono che differenze, e vere differenze, possono essere trovate nella costituzione dei corpi; queste differenze si riferiscono esclusivamente allo spazio assoluto e originario, perché è solo in virtù dello spazio assoluto e originario che è possibile la relazione delle cose fisiche tra loro. Infine, le nostre considerazioni chiariscono il seguente punto: lo spazio assoluto non è un oggetto di sensazione esterna; è piuttosto un concetto fondamentale che prima di tutto rende possibile ogni tale sensazione esterna. Per questa ragione, c’è solo un modo in cui possiamo percepire quanto, nella forma di un corpo, riguarda esclusivamente un riferimento allo spazio puro, e ciò consiste nel mettere un corpo in contrapposizione ad altri corpi».[47]

42. Questo brano è davvero significativo e lascia già intravvedere la “rivoluzione” che Kant si appresta a compiere e che sarà poi realizzata nella Dissertazione del 1770. Non sono le relazioni tra le parti a determinare lo spazio (cioè l’illusione spaziale – come anche Kant aveva creduto) ma è lo spazio assolutoK che rende possibile (= determina) le relazioni tra le parti e dunque in un certo senso conferisce effettiva consistenza alle cose, e dunque al mondo sensibile. È il caso di notare che, in seguito alla prova degli opposti incongruenti, Kant si guarda bene dal diventare newtoniano. Non aderisce affatto allo spazio assolutoN. Una simile adesione avrebbe costituito per lui una semplice svolta. Abbiamo invece qui un totale rovesciamento (un “capovolgimento” avrebbe detto Marx) della posizione leibniziana. In altri termini, per il Kant leibniziano, lo spazio era sempre stato un ordinato da qualcos’altro, cioè un effetto apparente delle relazioni tra sostanze e, in ultima analisi di Dio. Ora, dopo il capovolgimento, lo spazio assoluto, invece di diventare neutro, come lo spazio newtoniano, diventa esso stesso l’ordinatore. Il riconoscimento dello spazio assolutoK ha portato con sé una priorità dello spazio nell’assicurare la configurazione ordinata del mondo sensibile. In altri termini ancora, il mondo sensibile, per com’è ora considerato reale, diventa una conseguenza della attività ordinatrice dello spazio assolutoK. Una sua dipendenza. Come il Dio di Leibniz era l’ordinatore delle monadi (e, indirettamente, il produttore dell’illusione spaziale) ora lo spazio assolutoK, riconosciuto come reale, si appresta a diventare l’ordinatore universale dei corpi che contiene. In tal modo lo spazio assolutoK, invece di essere indipendente dai corpi per poter assicurare il funzionamento delle leggi della meccanica, si mescola intrinsecamente con i corpi per ordinarli. Nel guscio destrorso della chiocciola c’è una direzione, c’è dunque un preciso intervento dello spazio assolutoK, cioè dello spazio euclideo dei geometri. Qui si genera l’impasto trascendentale tra l’ordinatore e le cose ordinate. Qui sta il peccato originale della CRP.

43. Ma non basta. Si noti poi l’affermazione secondo cui “lo spazio assoluto non è oggetto di sensazione esterna”. Questo significa in pratica che lo spazio assolutoK, questo ordinatore straordinario, il sistema di riferimento di tutti i sistemi di riferimento, non è esso stesso di natura sensibile.[48] Non è percepibile cioè attraverso i sensi. Si tratta dunque di una entità davvero straordinaria. Riesce dunque a comandare la forma fisica delle chiocciole, ma esso stesso non è di natura fisica. Si tratta allora di definire cosa sia effettivamente. Kant non si accontenta di una definizione operativa, vuole una risposta metafisica. Spunta fin da ora, di sfuggita, la soluzione. Esso sarebbe piuttosto allora “un concetto” che rende possibile ogni sensazione esterna, proprio attraverso quella attività di ordinamento. La convinzione di Kant è che, senza il concetto di spazio assolutoK, l’intero mondo sensibile verrebbe meno, sarebbe annichilito. Senza il “concetto” dello spazio assolutoK, il mio cuore non starebbe a sinistra, la chiocciola non avrebbe la spirale destrorsa, l’erba non saprebbe da che parte crescere. Kant usa qui di sfuggita il termine “concetto”.[49] Non insiste e non spiega, ma la direzione di marcia è già chiara: i concetti stanno da qualche parte. In quanto concepiti (= conceptus mentis), probabilmente stanno nella mente di qualcuno, divino o umano che sia. Qui si anticipa chiaramente la questione che sarà posta nella Dissertazione del 1770. Qui è già contenuta, in nuce, l’Estetica trascendentale del 1781. E tutto il resto.

44. Riportiamo qui le ultime righe conclusive di Kant: «Un lettore riflessivo non respingerà, quindi, il concetto di spazio, così come è concepito dagli studiosi di geometria e come è stato anche incorporato nel sistema delle scienze naturali da filosofi penetranti, come un mero frutto dell’immaginazione, sebbene il concetto non sia privo di difficoltà. Tali difficoltà si rivelano quando si tenta, impiegando le idee della ragione, di comprendere la realtà dello spazio, che è abbastanza intuitiva per il senso interno. Ma questa difficoltà si presenta sempre quando si tenta di filosofare sui dati ultimi della nostra cognizione. Tale difficoltà, tuttavia, non è mai così decisiva come la difficoltà che sorge quando un concetto accettato ha implicazioni che contraddicono la nostra esperienza più ovvia».[50]

Nessuna novità. Lo spazio dei geometri e lo spazio fisico sono in fondo sempre la stessa cosa. La metafisica kantiana unifica ciò che andrebbe invece tenuto distinto. Quindi, la dimostrazione appena fornita, per Kant, è da egli stesso ritenuta schiacciante, poiché fondata sulla «nostra esperienza più ovvia».[51] Quindi il concetto a lungo accettato dai filosofi tedeschi (la teoria relazionale dello spazio) va rigettato per le difficoltà che comporta. Tuttavia anche il nuovo concetto di spazio – sottolinea Kant – non è privo di difficoltà. Questo perché lo spazio, che è intuitivo per il senso interno, diventa difficile da comprendere quando gli si vogliano applicare le «idee della ragione». Si prospetta dunque, in questa conclusione, la futura divisione netta tra il Mondo sensibile e il Mondo intelligibile. Insomma, la nuova metafisica dello spazio, che Kant qui intravvede, si preannuncia come impresa piuttosto complicata.

45. Ha osservato Falkenburg: «L’argomentazione delle controparti incongruenti convinse Kant del fatto che le fondazioni metafisiche della sua cosmologia pre-critica erano basate su un concetto di spazio inconsistente».[52] Col senno di poi, Kant si è trovato dunque costretto, in seguito a una dimostrazione che oggi è, ai nostri occhi, palesemente errata, a rinunciare alla teoria relazionale dello spazio. Che era la teoria grazie alla quale si era occupato, per decenni, di metafisica e in particolare di cosmologia razionale. Tuttavia, la rinuncia implicava molto altro, e cioè la definitiva invalidazione dell’intera filosofia leibniziana wolffiana (la nozione di sostanza, il sistema delle monadi, la ragion sufficiente, l’armonia prestabilita e quant’altro). Sul piano della teoria dello spazio, Kant avrebbe potuto aderire allo spazio assolutoN, ma si trattava di un cammino per lui impercorribile. Abbiamo già visto le notevoli differenze tra i due spazi assoluti. Kant poi nutriva serie riserve teologiche nei confronti della metafisica newtoniana del sensorium Dei che aveva conosciuto attraverso il Carteggio. In altri termini, aderendo alla prospettiva di Newton o di Euler, avrebbe dovuto rinunciare alla metafisica. Lo stesso dicasi se avesse aderito a qualche forma di empirismo alla Locke o alla Hume. A questo punto, non gli restava che tentare di ricostruire un intero sistema metafisico a partire proprio dal suo spazio assolutoK. Che egli erroneamente considerava come una solida base di partenza. Un punto fermo. Tuttavia in questa ricostruzione Kant non riuscirà mai a fare piazza pulita dello stile, del linguaggio, dei concetti del sistema leibniziano che ormai portava definitivamente con sé. Lo spazio assolutoK, alla data del 1768, era poco più che un aggiustamento della teoria relazionale leibniziana di fronte alla evidenza empirica male interpretata degli opposti incongruenti.

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46. La tappa degli opposti incongruenti fu dunque per Kant solo il primo passo per progredire ulteriormente verso la sua definitiva metafisica dello spazio. Noi non seguiremo tutta l’evoluzione della nozione dello spazio in Kant dopo il 1768. Sarebbe eccessivo e peraltro inutile per i nostri scopi. Ci limiteremo qui a esaminare, nell’opera kantiana successiva, i numerosi ritorni degli opposti incongruenti. Sarà più che sufficiente, poiché questi sono assolutamente emblematici, come si vedrà, degli sviluppi kantiani. Si tratta di ritorni che però assumeranno, per Kant, significati alquanto diversi da quelli presenti nell’opera del 1768. Abbiamo dei ritorni specifici nella Dissertazione del 1770, nei Prolegomeni e nei Principi metafisici. Kemp-Smith ha ricostruito, forse per primo,[53] gli sviluppi di Kant intorno alla questione degli opposti incongruenti. Possiamo anticipare qui che il percorso sarà ancora davvero straordinario e sorprendente.

47. Cosa succede nello sviluppo della nozione dello spazio di Kant tra il 1768 e il 1770? Non possiamo affermarlo in dettaglio. Dobbiamo inferirlo a partire dalle conclusioni del 1768 e dalle nuove idee esposte nel 1770. Tra queste due date, abbiamo pochi documenti, peraltro assai citati e compulsati dagli studiosi, che tuttavia non contribuiscono più di tanto a una ricostruzione precisa degli sviluppi kantiani. Non entreremo dunque nel merito di questa discussione. Possiamo anticipare che, rispetto al capovolgimento operato nelle Direzioni dello spazio del 1768, Kant nel 1770 realizzerà non solo un’altra svolta, bensì un altro ardito capovolgimento, che lo riporterà pressoché su posizioni leibniziane. Ironia della sorte, sempre in tema di “direzioni”, due capovolgimenti riportano al punto di partenza. Detto in estrema sintesi, mentre aveva concluso che, nello spazio assolutoK, sussistevano due mani, incongruenti e reali, rese possibili e determinate dallo spazio assolutoK stesso, ora Kant sostiene apertamente che la mano vera in realtà è una sola. Sarà proprio quella famosa mano indeterminata del suo esperimento mentale a diventare la mano vera, cosa che allora aveva ritenuto impossibile. Possiamo così dire, sempre in estrema sintesi, che Kant, nel giro di un paio d’anni, dopo lo shock degli opposti incongruenti, si è rapidamente ricollocato proprio tra quei filosofi tedeschi che aveva poc’anzi bastonato.

48. Eppure le prove basate sulla «nostra esperienza più ovvia» che aveva presentato due anni prima dovevano essere inconfutabili. Come la racconta ora? Semplice: le due mani non ci sono veramente. Il fatto che nello spazio di fronte a noi, nella nostra esperienza, ci siano due mani uguali ma incongruenti è solo un effetto illusorio generato dalla nostra intuizione sensibile. Per capire l’entità piuttosto sconcertante di questa soluzione, si vada pure a riprendere gli esempi con cui Kant aveva “provato” l’esistenza reale dello spazio assolutoK. Sembrava che tutto dipendesse dallo spazio assolutoK e dalle direzioni: fogli messi a rovescio che diventano leggibili o illeggibili, punti cardinali, bussole, carte geografiche e mappe stellari utilizzabili solo grazie alle direzioni nello spazio. Non solo, si considerino i caratteri distintivi strutturali delle specie viventi: capelli che crescono solo in una direzione, luppoli che si avvolgono in una direzione piuttosto che in un’altra e spirali delle chiocciole. E poi, le differenze rispetto al corpo umano tra destra e sinistra, con tutte le loro differenze e conseguenze. Infine, ancora, tutti gli esempi di opposti incongruenti, dai triangoli sferici alla direzione della filettatura delle viti e, finalmente, gli opposti incongruenti della mano destra e sinistra. Ebbene, tutti quei fenomeni, relativi alle direzioni nello spazio, che prima erano stati dati per reali, considerati addirittura come prove inconfutabili della realtà dello spazio assolutoK, sono ora confinati nel mondo delle apparenze. E tutto ciò sarebbe dovuto alle distorsioni dell’intuizione.

49. Tranquilli. Kant non è impazzito. Almeno, non del tutto. Il fatto è che, in questi due anni, ha fatto i conti con il sistema leibniziano nel suo complesso ed è arrivato rimestarlo in maniera piuttosto radicale. È arrivato alla conclusione prettamente metafisica che ci sono due tipi di cose che non si corrispondono tra loro: le cose come sono (le cose in sé) e le cose come appaiono (i fenomeni). Questi due tipi di cose popolano due Mondi diversi. Ora, accanto al Mondo sensibile (quello delle due mani incongruenti apparenti), Kant pone (o, se vogliamo, recupera) un Mondo intelligibile (che corrisponde alla mano indeterminata, la sola vera mano che c’era – almeno per i filosofi tedeschi). Noi che viviamo nel mondo sensibile, dentro a un corpo sensibile, siamo costretti a stare con due mani uguali e incongruenti. La mano vera, la mano in sé, unica, noumenica, incondizionata, quella che esiste davvero, non è alla nostra portata immediata, ed è conoscibile solo con accorgimenti particolari, con la Ragione (o Intelletto che dir si voglia), oppure attraverso la geometria – anche se nel sistema definitivo di Kant questa conoscenza non dovrebbe neppure essere possibile. Se questo è vero, allora nella “grande luce” del 1769 non c’è davvero nulla di nuovo: in generale Leibniz la pensava così. Platone anche. Platone avrebbe potuto sostenere che l’idea iperuranica della mano non è né destra, né sinistra. Quando poi il Demiurgo fabbrica le mani, nel mondo sotto la luna, a causa della imperfezione della chora, finisce che queste si trovino ad avere una direzione nello spazio. Ma si tratta di una pura accidentalità.

50. Possiamo immaginare un poco più in generale cosa sia successo. La nuova visione di uno spazio assolutoK, indipendente dai corpi e, nello stesso tempo, ahimè, ordinatore dei corpi, ha scosso il monismo sostanzialistico leibniziano di Kant. Lo spazio non era più concepibile come un effetto illusorio della attività intellettuale o logica delle monadi, ma aveva ora una sua propria realtà, poteva costituire attorno a sé un vero e proprio Mondo. Il Mondo unico leibniziano, costituito di una unica sostanza di carattere logico, capace anche di generare l’illusione spaziale e temporale del mondo sensibile, doveva essere profondamente emendato. La conseguenza finale, come spiega Kant nel 1770, sarà che non c’è un solo Mondo, come credeva Leibniz, ma ci sono in effetti due Mondi. Si trattava, in pratica, ahimè, di un ritorno alla prospettiva dualistica cartesiana, contro la quale aveva combattuto lo stesso Leibniz. Da un lato, avremo un mondo degli intelletti, puri spiriti cogitanti, e, dall’altro, un mondo della mera sensibilità. Tornava tuttavia così a presentarsi la problematica metafisica delle differenze radicali tra due mondi separati e il problema della loro reciproca connessione. Cartesio non aveva granché risolto il problema del collegamento tra res cogitans e res extensa. Gli occasionalisti, che avevano preso Cartesio sul serio, avevano dovuto ricorrere a un puntuale e assiduo intervento divino per mettere in comunicazione le due sole sostanze separate che erano rimaste.[54]

Kant dunque, veniva a trovarsi nel bel mezzo di un dilemma. I due Mondi dovevano essere separati, ma dovevano anche essere connessi. Il ricorso a un intervento divino poteva essere considerato come una soluzione già consumata. Newton e Berkeley – da punti di vista davvero opposti – ci avevano già provato. Eppure i due Mondi dovevano essere tenuti rigorosamente distinti, se si voleva salvare qualcosa della metafisica. La soluzione di Kant sarà quella di stabilire una gerarchia tra i due Mondi. Solo uno dei due tuttavia poteva essere il mondo reale, il mondo vero, l’altro doveva essere un mondo subordinato, di carattere illusorio.

51. Non intendo entrare nel merito Dissertazione del 1770, tuttavia qui può essere utile qualche divagazione in più sul ragionamento generale che Kant vi conduce. A proposito dello spazio, Kant ripropone la sua vecchia concezione, risalente alla cosmologia razionale di Wolff e Baumgarten, dello spazio come forma di un Mondo. Kant spiega che ogni Mondo deve sempre avere una materia e una forma. Nel caso di un solo Mondo, lo schema era chiaro: la materia erano le monadi, la forma ordinatrice era Dio o chi per lui. La sensibilità era solo una conseguenza illusoria. Ma ora i mondi erano diventati due e la novità era costituita dal mondo sensibile, cui andava riconosciuta una rigorosa autonomia e separazione.

Il mondo intelligibile continuerà allora a funzionare come un piccolo mondo leibniziano, in forma ridotta, un mondo dimezzato, con monadi spirituali sotto la regia di Dio. La descrizione di questo mondo troverà la sua faticosa definizione nella CRP, attraverso le categorie e l’appercezione trascendentale. Per i nostri scopi, possiamo qui tralasciarlo. Nel mondo sensibile, invece, la materia è costituita dalle sostanze (corpi, monadi, cose in sé); la forma è il principio ordinatore della materia, cioè il principio che mette in relazione le sostanze tra loro, ossia il principio che assicura la armonia prestabilita di quel Mondo. Kant dichiara a questo punto che la forma del mondo sensibile è costituita, insieme, dallo spazio e dal tempo. Con linguaggio perfettamente leibniziano, lo spazio, che da ordinato è divenuto un ordinatore, organizza la coesistenza delle sostanze, mentre il tempo organizza la loro successione.[55] Spazio e tempo kantiani dunque diventano gli ordinatori del Mondo sensibile (svolgendo ora proprio quel ruolo che in Leibniz spettava alla monade divina). Le cose in sé sono prive di ordine spazio temporale e, nel Mondo sensibile, acquisiscono l’ordine grazie al principio formale. Gli ordinatori non sono concetti intellettuali (anche se talvolta Kant li chiama così) ma sono intuizioni pure. Nel Mondo sensibile ci possono essere solo intuizioni spazio temporali o intuizioni empiriche. Queste intuizioni sono collocate dentro a una facoltà dell’animus (Gemüt). Ne deriva così l’idealismo trascendentale: poiché il Mondo sensibile è ordinato da forme che sono soggettive, allora questo stesso mondo ordinato non può che risiedere dentro il soggetto umano. Noi non conosciamo sensibilmente la cosa in sé, conosciamo solo la cosa per noi che è una rappresentazione.

52. Posso capire le perplessità del lettore non avvezzo alle elucubrazioni metafisiche kantiane. È il caso allora di tornare un po’ ai testi e andare a vedere in dettaglio cosa ha effettivamente detto Kant a nel 1770, a partire dalla questione degli opposti incongruenti. Intanto, in generale, Kant nella Dissertazione del 1770 enuncia quella che sarà la sua posizione, poi definitiva, circa lo spazio. Nel § 15.D Kant afferma che: «Lo spazio non è qualcosa di oggettivo e reale, né sostanza, né accidente, né relazione, ma è come uno schema soggettivo e ideale che si origina dalla natura della mente secondo una legge stabile di coordinazione di tutte, senza eccezione, le cose sentite esternamente».[56] Ben lungi dall’essere indipendente dai corpi, lo spazio assolutoK ha perso completamente la sua realtà oggettiva rispetto al 1768, ed è diventato ora soggettivo e ideale e, per di più, svolge ora la funzione attiva di ordinatore delle cose percepite con i sensi (cioè dei fenomeni).

A proposito degli incongruenti, Kant intanto afferma: «Cose che in uno spazio dato giacciano in un verso, cose che siano rivolte in un altro non possono, pur con tutta l’acutezza della mente, essere descritte discorsivamente, vale a dire ricondotte a note intellettuali».[57] Insomma, gli opposti incongruenti, che prima erano stati dati per reali, sono ora imbarazzanti, costituiscono un vero e proprio scandalo per l’Intelletto. Di conseguenza: «[…] poiché in solidi perfettamente simili ed uguali, ma non congruenti […] vi è una diversità per la quale è impossibile che i termini dell’estensione coincidano, sebbene possano essere sostituiti l’uno all’altro in tutto ciò che è possibile esprimere a parole per mezzo di note intelligibili alla mente, risulta che qui non si può riscontrare diversità o incongruenza se non mediante una qualche intuizione pura».[58] In altri termini, se c’è l’incongruenza (che Kant non nega) allora ciò non può essere che un effetto / difetto dell’intuizione pura. Non un errore dovuto magari a cause accidentali, ma un limite strutturale dell’intuizione pura, cioè dell’uso che facciamo dello spazio (e del tempo). Da notare che, parlando di “solidi perfettamente simili ed uguali”, Kant esplicita ancora la sua persistente confusione tra geometria e fisica. Il ricorso ai solidi e alla geometria si spiega col fatto che geometricamente è più facile convincere i lettori che due solidi, pur incongruenti, siano geometricamente eguali. Se avesse citato la mano destra e la mano sinistra qualcuno avrebbe potuto eccepire che si trattasse di due cose diverse.

53. Kant, detto altrimenti, sostiene che, nei termini della conoscenza discorsiva/ intellettuale (che, in questo periodo, Kant considera ancora capace di conoscere effettivamente la realtà noumenica), le figure e i corpi che (nello spazio) ci appaiono incongruenti sono in realtà (nel noumeno) congruenti, come devono essere. Ci appaiono come incongruenti solo grazie a qualche “intuizione pura”, cioè per colpa della nostra intuizione dello spazio e del tempo. Le direzioni nello spazio e gli opposti incongruenti sono ora considerati come un difetto necessario del Mondo sensibile. Una solida gerarchia tra i Mondi e le rispettive facoltà ordinatrici è stata dunque istituita. Tra il 1768 e il 1770, il Mondo sensibile è praticamente divenuto il mondo dell’apparenza, mentre il Mondo intelligibile ha mantenuto la connotazione del mondo vero, quello che permette di conoscere le cose come sono in sé. Altrimenti la metafisica non avrebbe avuto più niente da fare. Non facciamo alcuna fatica qui a riconoscere sempre il fantasma di Leibniz, seppure sotto nuove spoglie. Il vecchio leibniziano Kant ha dovuto riconoscere – sulla base della questione dello spazio – che i mondi sono due. Ma uno dei due è un mondo minore, governato dalla soggettività della intuizione.

54. Si dovrà allora – conclude Kant più in generale alla fine della Dissertazione – tenere conto di queste notevoli differenze tra i due Mondi, anche nei futuri sviluppi della metafisica. Così Kant sostiene, con ampi argomenti, che tuttavia qui possiamo tralasciare in quanto esulano dai nostri scopi. Qui Kant comincia tuttavia quel percorso che lo porterà a definire con pignoleria scolastica anche i limiti e le possibilità della Ragione. La fisica di Newton, dunque, studia solo le apparenze, le misura accuratamente, calcola masse, forze, velocità, ma non può giungere mai alla conoscenza discorsiva della cosa in sé.[59] Questo si può fare solo con l’Intelletto (o la Ragione – Kant nel 1770 non distingueva ancora tra le due facoltà). Il lettore si sarà accorto che – parallelamente alla costruzione della nozione dello spazio kantiano – abbiamo la progressiva costruzione della cosa in sé. Da noumeno pensabile e conoscibile grazie alla Ragione (o Intelletto) diverrà, nel sistema definitivo, conoscibile dall’Intelletto ma solo entro i limiti posti dalla sensibilità. L’intuizione sensibile, che pure è un ordinatore, ha un effetto distorsivo sulla cosa in sé. Tuttavia è il solo canale disponibile. Toccherà alle categorie dell’Intelletto di conferire l’ordine necessario ai percetti spazio temporali distorti. La sensibilità dice che siamo immobili, mentre l’Intelletto dice che siamo in moto relativo, la Terra ci sembra piatta, ma l’intelletto ci dice che è sferica, e così via. Così gli incongruenti ci illudono di avere due mani quando la mano è una sola. La sensibilità deve essere costantemente corretta.

Commenta Kemp-Smith: «Ora, è significativo che quando Kant espone questa visione nella Dissertazione del 1770, l’argomento basato sulle controparti incongruenti non venga più impiegato per stabilire il carattere assoluto e precondizionante dello spazio, ma solo per dimostrare che si tratta di un’intuizione pura e non concettuale».[60] E ciò, per noi, prova ulteriormente – se ce ne fosse ancor bisogno – che lo spazio assolutoK non ha nulla a che fare con lo spazio assolutoN. Kant può essere considerato senz’altro come il più grande continuatore di Leibniz.

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55. Possiamo ora dedicarci al terzo impiego della argomentazione degli opposti incongruenti, che è collocata nei Prolegomeni del 1783. Siccome non c’è più niente da capovolgere, allora l’argomentazione degli incongruenti viene usata per una chiarificazione della portata idealistica della nuova prospettiva adottata da Kant. Spiega Kemp-Smith: «Non vi è alcun accenno a questo argomento [gli opposti incongruenti ndr] nella prima edizione [del 1781 ndr] della Critica, e quando riappare nei Prolegomeni esso viene interpretato alla luce di una premessa aggiuntiva, e viene portato a una conclusione molto diversa da quella tratta nella Dissertazione, e direttamente opposta a quella tratta nel 1768. Invece di essere impiegato per stabilire il carattere intuitivo dello spazio o la sua esistenza assoluta, viene citato come prova della sua soggettività. Come nel 1768, [il fatto degli incongruenti ndr] viene considerato come strano e paradossale, e vengono utilizzate molte delle esemplificazioni precedenti. Il paradosso consiste nel fatto che corpi e figure sferiche, concettualmente considerati, possono essere assolutamente identici, e tuttavia per l’intuizione rimangono diversi».[61] Da sottolineare “essere assolutamente identici”. Kant in merito non ha dubbi.

56. Ma andiamo direttamente al testo. Kant ha appena esposto in termini divulgativi il nucleo della sua teoria dello spazio e del tempo,[62] per cui questi sarebbero forme pure dell’intuizione sensibile, sarebbero dunque ideali e soggettivi. Dice Kant, in modo assai colloquiale, nel § 13 dei Prolegomeni: «Coloro i quali non possono liberarsi dal concetto che lo spazio e il tempo siano proprietà reali inerenti alle cose in sé possono esercitare il loro acume intorno al paradosso seguente: quando ne avranno cercato inutilmente la soluzione potranno, liberi almeno per un momento da preconcetti, sospettare che forse la riduzione dello spazio e del tempo a semplici forme della intuizione sensibile possa avere qualche fondamento».[63] Gli opposti incongruenti sembrano assumere qui il ruolo di esercizi spirituali che possano scuotere gli induriti e convertire gli increduli. Esercizi zen utili ad allontanare gli spiriti dalla vil materia sensibile.

57. Spiega Kant, fornendo nuovamente al lettore quella che ormai era diventata, fin dal 1770, la sua netta e ferma convinzione e cioè che gli incongruenti sono in realtà uguali. La chiralità è dunque irrazionale, se c’è, è solo apparente: «Quando due cose sono perfettamente uguali in tutte le parti, che è possibile conoscere isolatamente in sé, e cioè in tutte le determinazioni di grandezza e di qualità, ne dovrebbe seguire che l’una possa venir messa, in tutti i casi e in tutti i rapporti, al posto dell’altra, senza che questo scambio possa menomamente essere avvertito».[64] Segue la presentazione di parte della solita casistica che conosciamo già e prosegue: «[…] qui abbiamo una differenza interiore […] che tuttavia nessun intelletto riesce a rivelarci come tale e che si manifesta soltanto per i rapporti esteriori nello spazio».[65] Lo spazio interferisce sulle cose come sarebbero se “prese separatamente” e dunque abbiamo lo sconcio degli incongruenti.

58. Prosegue ancora Kant: «Che cosa vuol dire questo? Questi oggetti [gli incongruenti ndr] non sono rappresentazioni delle cose come sono in se stesse e come le conoscerebbe l’intelletto puro, ma sono intuizioni sensibili, cioè fenomeni, la cui possibilità riposa sul rapporto tra certe cose a noi ignote con qualche cosa d’altro, cioè con la nostra sensibilità».[66] Faccio notare, per intanto, una notevole “incongruenza” kantiana ricorrente: Kant ritiene ormai che le cose in sé siano a noi ignote, ma poi pretende di sapere con certezza che gli incongruenti siano in realtà uguali, proprio “come li conoscerebbe l’intelletto puro”. Forse ritiene di godere di qualche entratura speciale nel mondo degli spiriti. Forse è la geometria a certificare l’eguaglianza autentica (in sé) degli incongruenti. Ma sappiamo, dallo stesso Kant, che la geometria si basa proprio sulla forma dello spazio, la quale invece sarebbe, colpevolmente, all’origine degli incongruenti stessi. Il rigore kantiano, come ognun vede, lascia alquanto a desiderare.

59. A questo punto, Kant si infila in una spiegazione un po’ contorta ma per noi assai rilevante: «Ora in questa [la sensibilità ndr] lo spazio è la forma dell’intuizione esterna e la determinazione interiore di ogni singolo spazio è possibile solo per la determinazione del suo rapporto esteriore con l’intero spazio di cui quello è parte […], ossia la parte è possibile soltanto per il tutto, cosa che non accade per le cose in sé come oggetti dell’intelletto puro, ma accade bensì per i semplici fenomeni. Per questo accade che noi non possiamo rendere intelligibile per alcun concetto la differenza di oggetti simili ed uguali, ma incongruenti […], bensì solo per il loro rapporto con la destra e la sinistra, ciò che costituisce un richiamo immediato all’intuizione».[67]

Il passaggio chiave è quello per cui, nella intuizione sensibile dello spazio, “la parte è possibile soltanto per il tutto”, mentre questo rapporto non vale per le cose in sé come sono conosciute dall’intelletto puro.[68] Dunque l’Intelletto puro conosce le sostanze o cose in sé, ciascuna per quella che è, nelle sue caratteristiche specifiche.[69] Invece, nello spazio (che è dominato dalla intuizione) la parte si può conoscere solo in riferimento al tutto. Dunque viene qui spiegato il motivo per cui, nella intuizione spaziale e solo in quella, nelle direzioni nello spazio, c’è bisogno di uno spazio assolutoK che faccia da riferimento. Ma questo spazio assolutoK, ora è chiaro, non è nulla di reale, bensì è soltanto ideale e soggettivo. E per di più nasconde o stravolge la verità della cosa in sé.

Dunque, Kant spiega finalmente anche, retrospettivamente, perché nelle Direzioni nello spazio del 1768 aveva creduto quel che aveva creduto. Il motivo è che “la determinazione interiore di ogni singolo spazio è possibile solo per la determinazione del suo rapporto esteriore con l’intero spazio di cui quello è parte”. Che stupidi a non averci pensato prima! Nell’intuizione, la parte è possibile solo in rapporto al tutto. Dunque l’intuizione è sempre limitativa, strutturalmente parziale, bisognosa di un riferimento alla totalità.[70] La chiocciola, in realtà, in sé, non è destrorsa né sinistrorsa. Se la chiocciola fosse uno spirito autocosciente si percepirebbe come dotata di una spirale dal verso indeterminato. Ma, precipitata nel Mondo sensibile, per sapere da che parte è girata, deve rivolgersi alla totalità dello spazio assolutoK, che poi è lo spazio euclideo che ora abita nel nostro animus. Il quale provvede a costituirla, come intuizione fenomenica particolare, in modalità destrorsa. La conoscenza vera è quella intellettiva, che ci fa cogliere la sostanza direttamente, senza alcuna dipendenza da altro.[71]

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60. La nozione dello spazio elaborata nella Dissertazione, nella Estetica trascendentale del 1781 e poi nei Prolegomeni avrà in Kant un accomodamento definitivo. L’argomento degli opposti incongruenti è stato in seguito riproposto anche nel suo lavoro sui Principi metafisici della scienza della natura.[72] Quest’opera kantiana, decisamente poco conosciuta e alquanto vituperata, è stata pubblicata nel 1786, appena un anno prima della seconda definitiva edizione della CRP. E, si noti, ben 16 anni dopo la Dissertazione. Si tratta di un’opera assai ambiziosa, nella quale Kant cercava di elaborare una metafisica della natura che avrebbe dovuto finalmente fondare filosoficamente i risultati volgari della fisica newtoniana. Doveva esser parte di un progetto più ampio ma Kant si limita qui alla meccanica. Qui Kant, oltretutto, riprende anche lo stile deduttivo da cosmologia razionale (assolutamente anti sperimentale) che aveva usato nelle prime opere, come ad esempio la Monadologia fisica. Possiamo osservare che la mania dei filosofi tedeschi di voler fondare razionalmente la conoscenza scientifica (o di volerla dichiarare come infondata – il che è lo stesso) continuerà fino a metà Novecento e oltre.

61. Nei Principi metafisici si trova quanto segue: «Altrove ho mostrato che questa differenza [gli opposti incongruenti ndr], dato che si può dare nell’intuizione ma non si lascia ricondurre a concetti distinti, cioè non si lascia definire mediante l’intelletto (dari, non intelligi), fornisce un buon fondamento dimostrativo per la seguente proposizione: che lo spazio in generale non appartiene alle proprietà o ai rapporti delle cose in se stesse, i quali necessariamente dovrebbero lasciarsi ridurre a concetti oggettivi, ma solo alla forma soggettiva della nostra intuizione sensibile di cose o rapporti, i quali, in quel che possono essere in sé, ci restano del tutto ignoti».[73] Ci risiamo! Siccome lo spazio assolutoK produce effetti intellettualmente incoerenti (cioè gli opposti incongruenti) allora lo spazio non può essere una caratteristica reale della cosa in sé. Le cose in sé, beate loro, stanno senza spazio.[74] Le cose in sé stanno senza alcuna posizione e direzione nello spazio. Si ripensi a tutta la casistica presentata da Kant nelle Direzioni nello spazio, casistica che ora Kant ritiene appartenere a un mondo illusorio. Praticamente tutta la natura, cosmo compreso, vanno soggetti alle nostre distorsioni spaziali illusive.

62. Dunque (siamo nel 1786!) la cosa in sé è ancora, per Kant, tutt’altro che un insieme caotico di percetti che sono ordinabili solo dallo spazio e dal tempo – come egli racconta piacevolmente nell’Estetica trascendentale A e B. La cosa in sé è la verità autentica delle cose e sarebbe perfettamente intelligibile e concettualizzabile se non avessimo a che fare col collo di bottiglia della intuizione sensibile, dello spazio e del tempo, che presenta limiti insuperabili, struttura e stravolge le cose. Kant – a differenza di Newton – è convinto che Dio conosca la cosa in sé senza ricorrere allo spazio e al tempo. Solo l’Intelletto, quello umano, dunque, ha il compito impegnativo di andare oltre le distorsioni dovute alla sensibilità. Abbiamo due mani, ma non è il caso di crederci troppo. I principi sintetici dell’Intelletto puro della CRP costituiscono la modalità possibile per emendare l’intuizione spazio temporale dai suoi errori e dalle sue illusioni. Nella seconda edizione della CRP, Kant in effetti farà di tutto per mettere la sensibilità sotto la stretta tutela dell’Intelletto. Del resto, nella successiva Critica della ragion pratica, la cosa in sé diventerà perfettamente accessibile. In fondo, quando Kant decreta che, nel mondo noumenico, la mano è in realtà una sola, egli fa uso dello stesso modello di metafisica o ontologia che presiederà poi all’imperativo categorico.

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63. Se consideriamo la questione degli opposti incongruenti appena più in generale, possiamo concludere che l’argomento di Kant è, come in altri casi, del tutto circolare. Si dà per scontato (senza alcuna prova fondata o con prove solo supposte tali) che le due mani, destra e sinistra, siano la stessa mano “nel concetto”. Siano cioè indiscernibili. Se ci troviamo invece in un Mondo dove due cose, che sono certamente uguali nel concetto, sono però incongruenti, allora vuol dire che questo mondo deve essere un po’ farlocco. Ma vuol soprattutto dire che non ha nulla di veramente oggettivo (non è cosa in sé) e che la sua realtà debole riposa in una facoltà limitata del nostro animus che è l’intuizione. La mano è una sola ma, se ne intuiamo due, vuol dire che siamo portati a questa conclusione dalla nostra fuorviante sensibilità intuitiva. E questa cosa possiamo capirla solo grazie alla filosofia trascendentale. Ma c’è di più: dove abita questo costrutto fantastico che ci mostra cose che non ci sono, che stravolge le cose come sono in sé? Non può abitare nel mondo vero. Non può che abitare dentro di noi, ma deve stare nel sottoscala. Dentro di noi, nel sottoscala profondo, sta la facoltà intuitiva, con tutti i suoi prodotti eventualmente fasulli come le direzioni nello spazio. Cartesio avrebbe senz’altro fatto ricorso al suo malin génie.

64. A questo punto, diventa legittima una domanda: come è possibile che al tempo di Kant molti si siano bevuti – detto con tutto il grande rispetto che ho per Kant – simili favolette? Che Kant sia diventato comunque una celebrità indiscussa? La storia della filosofia deve anche occuparsi di problemi come questi. La questione è di tal portata che meriterebbe un altro saggio. Qui mi limiterò a poche considerazioni. Ebbene, avrebbe potuto argomentare Kant, la nostra sensibilità intuitiva ci dice che stiamo fermi sulla superficie della Terra. In realtà, per via concettuale, grazie alle verità della meccanica, sappiamo che ci stiamo muovendo velocissimi intorno al sole, seguendo un’orbita ellittica. Come dargli torto? La fisica dice che la terra si muove, anche se non ce ne accorgiamo. Lo stesso vale per la terra, che ci appare piatta, ma sappiamo che è sferica. Ebbene, la metafisica può ben dire che in realtà c’è una mano sola, anche se intuitivamente ci sembra di averne due. Cosa c’è di strano? Dopotutto, la rivoluzione copernicana è stata citata esplicitamente dallo stesso Kant. Se la rivoluzione copernicana aveva funzionato in astronomia, perché non avrebbe dovuto funzionare anche in metafisica?[75]

Qui però comincia, a nostro avviso, nella filosofia occidentale moderna, una strana cosa che si può chiamare – in analogia con la critica cinematografica – sospensione della incredulità. Per poter seguire un film, lo spettatore deve dimenticare di essere in una sala, deve immergersi nelle vicende e mettere da parte ogni riserva critica. Fantasmi che attraversano corpi solidi, mostri alieni, teletrasporti, uomini che volano, superpoteri, astronavi che viaggiano con un motore a curvatura. Ebbene, i discepoli di Kant, fondatore peraltro della filosofia critica per eccellenza, continueranno a chiedere, ai loro seguaci, forme di sospensione dell’incredulità sempre più audaci, improbabili e azzardate. Schiere di crédule metafisici hanno alimentato secoli di filosofia continentale, pensando magari anche di star facendo della critica raffinata.

Ho già detto che, secondo me, Kant è stato il più grande continuatore di Leibniz. E così dovremmo cominciare a considerarlo nella storia della filosofia. Non si tratta di un insulto, ma di una considerazione oggettiva. Leibniz ha senz’altro dato grandi contributi al pensiero umano, ma la sua metafisica è insostenibile. Non c’è niente di male a prenderne atto. Platone non è per niente diminuito solo per il fatto che la sua metafisica è oggi insostenibile. Certo, le teorie sono falsificabili solo fino a prova contraria. Può ben darsi che nuove acquisizioni rendano attuali la monadologia, l’armonia prestabilita, le sostanze e tutto il resto. Recentemente, Federico Faggin[76] sta cercando di costruire una metafisica assai simile a quella di Leibniz, a partire dalla meccanica quantistica. La sua teoria sul piano narrativo è affascinante, ma le prove per ora non ci sono. Certe cose che dice starebbero bene in un libretto simile al kantiano Sogni di un visionario confrontati con i sogni della metafisica. Restiamo in attesa di futuri sviluppi.

65. Se guardiamo invece la questione, peraltro minimale, degli opposti incongruenti in una prospettiva storiografica più ampia, possiamo renderci conto facilmente del ruolo svolto dall’idealismo trascendentale kantiano nello screditamento della conoscenza sensibile e nel rifiuto della scienza e della tecnica che saranno tipici della filosofia continentale tedesca e franco –tedesca successiva. Inizia proprio qui, da questo imbarazzante stile e metodo kantiano, la costante pretesa, tutta tedesca, di mettere le braghe metafisiche alla fisica e a tutti gli sviluppi empirici e sperimentali della scienza moderna. Ciò si vedrà con chiarezza nel successivo romanticismo e nell’idealismo tedesco. Si potrebbero citare le innumerevoli sciocchezze sviluppate nell’ambito della cosiddetta filosofia della natura e del cosiddetto vitalismo.

66. Ciò è accaduto anche per il fatto che la filosofia è stata progressivamente istituzionalizzata. E le istituzioni tendono a trasmettere se stesse in forma per lo più acritica. La scienza moderna è la sola istituzione che si trasmette in forma critica – e nonostante ciò anch’essa ha perpetuato errori oltre il necessario. Kant ha ottenuto la cattedra di filosofia (logica e metafisica) nel 1770 sostenendo che la destra e la sinistra in realtà sono una mano sola, mentre il grande Hegel l’ha invece ottenuta, nel 1801, con una ridicola tesi anti newtoniana su Le orbite dei pianeti.[77] Possiamo aggiungere che la ambiziosissima Scienza della logica hegeliana non è oggi neppur citata nei manuali di logica. Del resto conteneva in realtà la metafisica di Hegel, ripresa proprio da Kant. È arcinoto poi il tentativo di Goethe, nello stesso periodo, di confutare l’ottica newtoniana con la sua Teoria dei colori. E ancora, il testo noto come Idee per una filosofia della natura di Schelling è una collezione di teorie parascientifiche del tutto infondate. Schelling è stato uno dei precursori della pseudoscienza. Non mi si venga a dire che si tratta di sviluppi casuali.

67. Tanto per dare a ciascuno quello che merita, dello stesso stampo sono la Dialettica della natura di Engels e le relative vicende del diamat, per non citare il sedicente “metodo scientifico” de Il capitale di Marx. Quanto a trasmissione istituzionale anche il marxismo ne sa qualcosa. Possiamo collocare poi, nella stessa schiera, autori oggi assai popolari come Kierkegaard, Schopenhauer e Nietzsche, ma anche la pretesa, certo non tanto umile, da parte di Husserl, di porre rimedio a una fantomatica crisi delle scienze europee attraverso una fondazione fenomenologica. Abbiamo poi il delirio contro la scienza e la tecnica di Heidegger e, sempre per non far torto a nessuno, di quei simpaticoni della Scuola di Francoforte. Sono solo esempi, citati, più o meno a caso, sul filo della memoria. Non mi spingo oltre. La filosofia continentale comunque ci sta dentro tutta.

Giuseppe Rinaldi (4/06/2025)

 

ABBREVIAZIONI

Carteggio = Leibniz & Clarke 1967

CRP = Critica della ragion Pura A e B

Delucidazione = Kant 1982b

Direzioni nello spazio = Del primo fondamento della distinzione delle direzioni nello spazio (Kant 1982a e Kant 1992)

Dissertazione del 1770 = Kant 1995

Monadologia fisica = 1982c

Principi metafisici = Kant 2003

Principia = Newton 1965

Prolegomeni = Kant 1995a

 

OPERE CITATE

 1981 Buroker, Jill Vance,  Space and Incongruence. The Origins of Kant’s Idealism, Reidel Publishing Company, Dordrecht, Holland.

1939 de Vleeschauwer, Herman Jan, L’Évolution de fa pensée Kantienne, Presses Universitaires de France, Paris. Tr. inglese: The Development of Kantian Thought, Thomas Nelson and Sons, London, 1962.

1750 Euler, Leonhard, “Reflexions sur l’espace et le temps”, in Mémoires de l’Académie des Sciences et des Belles - Lettres de Berlin, n. 4, p 324 - 333. [1748]

2007 Eulero, Lettere a una principessa tedesca (2 voll.). A cura di Gianfranco Cantelli, Bollati Boringhieri, Torino. [1768]

2022 Faggin, Federico, Irriducibile. La coscienza, la vita, i computer e la nostra natura, Mondadori, Milano.

2020 Falkenburg, Brigitte, Kant’s Cosmology. From the Pre-Critical System to the Antinomy of Pure Reason, Springer Verlag.

1979 Ginzburg, Carlo, “Spie. Radici di un paradigma indiziario”, in Gargani, Aldo (a cura di), Crisi della ragione. Nuovi modelli nel rapporto tra sapere e attività umane, Einaudi, Torino.

1984 Hegel, Georg Wilhelm Friedrich, Le orbite dei pianeti. A cura di Antimo Negri, Laterza, Bari. [1801]

1954 Jammer, Max, Concepts of Space. The History of Theories of Space in Phisics, Harvard University Press, Cambridge. Tr. it.: Storia del concetto di spazio, Feltrinelli, Milano, 1963.

1982 Kant, Immanuel, La forma e i principi del mondo sensibile e intelligibile, in Carabellese, Pantaleo & Assunto, Rosario & Hohenemser, Rolf (a cura di), Kant. Scritti precritici, Laterza, Bari. [1770]

1982a Kant, Immanuel, “Del primo fondamento della distinzione delle regioni nello spazio”, in Kant, Immanuel (a cura di), Scritti precritici (a cura di Pantaleo Carabellese et Al.), Laterza, Bari. [1768]

1982b Kant, Immanuel, “Nuova illustrazione dei primi principi della conoscenza metafisica”, in Kant, Immanuel, Scritti precritici, Laterza, Bari. [1755]

1982c Kant, Immanuel, “Monadologia fisica”, in Kant, Immanuel, Scritti precritici, Laterza, Bari. [1756]

1992 Kant, Immanuel, “Concerning the ultimate ground of the differentiation of directions in space”, in Kant, Immanuel, Theoretical Philosophy 1755-1770 (Translated and edited by David Walford & Ralf Meerbote), Cambridge University Press. [1768]

1995 Kant, Immanuel, Forma e principi del mondo sensibile e del mondo intelligibile (a cura di Ada Lamacchia), Rusconi Libri, Milano. [1770]

1995a Kant, Immanuel, Prolegomeni ad ogni metafisica futura che voglia presentarsi come scienza (a cura di Piero Martinetti e Massimo Roncoroni), Rusconi Libri, Milano.

2003 Kant, Immanuel, Principi metafisici della scienza della natura (A cura di Paolo Pecere), Bompiani, Milano. [1786]

2009 Kant, Immanuel, Storia universale della natura e teoria del cielo (a cura di Giacinto Scarpelli e Stefano Velotti), Bulzoni, Roma. [1755]

2014 Kant, Immanuel, “La forma e i principi del mondo sensibile e intelligibile”, in Kant, Immanuel, Dissertazioni latine. A cura di Igor Agostini, Bompiani, Milano. [1770]

1992 Kemp Smith, Norman, Commentary to Kant’s “Critique of Pure Reason”, Humanities Press International Inc., Atlantic Highlands, NJ. [1918- 1923]

1967 Leibniz, Gottfried, Wilhelm & Clarke, Samuel, “Carteggio Leibniz-Clarke”, in Leibniz, Gottfried, Wilhelm, Scritti Filosofici (2 voll.), UTET, Torino. [1715-1716]

1965 Newton, Isaac, Principi matematici della filosofia naturale, UTET, Torino. [1687]

1968 Scaravelli, Luigi, “Gli incongruenti e la genesi dello spazio kantiano”, in Scaravelli, Luigi (a cura di), Scritti kantiani, La Nuova Italia, Firenze.

1990 Van Cleve, James & Frederick, Robert E. (a cura di), The Philosophy of Right and Left. Incongruent Counterparts and the nature of Space, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht, The Netherlands.

2001 Walford, David, “Towards an Interpretation of Kant’s 1768 Gegenden im Raume Essay”, in Kant - Studien, 92. Jahrg., S. 407-439.

 

NOTE

[1] Nell’elaborazione di questo saggio non ho fatto uso di alcuno strumento di intelligenza artificiale. Onde evitare elucubrazioni circa eventuali rapporti tra Kant e i peanut, specifico che le noccioline contenute nell’illustrazione alludono soltanto al carattere occasionale e divulgativo di questo scritto.

[2] Cfr. il mio saggio Finestre rotte: Finestre rotte: Esiste la filosofia continentale?

[3] In un mio recente saggio ho discusso di alcuni stravolgimenti che vanno per la maggiore nell’attuale mercato delle idee. Cfr. Finestre rotte: Pulcini aritmetici e pollastri filosofici. Noterelle su Kant, gli “a priori” e l’evoluzione darwiniana .

[4] Curiosamente, nella letteratura storico filosofica italiana non esiste un’opera complessiva che faccia luce sul Kant precritico e sulla Dissertazione del 1770. Questo la dice lunga sugli influssi negativi della tradizione idealistica nostrana. Fa eccezione la traduzione, risalente agli anni Settanta, da parte di Laterza, del vecchio lavoro del de Vleeschauwer. Cfr. de Vleeschauwer 1939.

[5] Cfr. Kant 1982a e Kant 1992. La traduzione in italiano di Carabellese (Kant 1982a) è assai datata e di fatto inutilizzabile. Fa ancora riferimento alle regioni piuttosto che alle direzioni nello spazio, secondo una obsoleta erronea traduzione (cfr. in proposito Walford 2001). Walford & Meerbote, curatori di Kant 1992, traducono il titolo originale dello scritto come Concerning the Ultimate Ground of the Differentiation of Directions in Space. Cfr. anche Falkenburg 2020: 85. Le numerose citazioni del testo che presenteremo sono una nostra revisione, a partire dalla traduzione di Carabellese, in base a Kant 1992.

[6] Si veda ad esempio, per non uscire dal nostro Paese, Scaravelli 1968.

[7] Cfr. Buroker 1981 e Van Cleve & Frederick 1990. In italiano, si veda Scaravelli 1968. Più recente è Falkenburg 2020.

[8] Una esposizione delle concezioni metafisiche di Newton sullo spazio è contenuta nel cosiddetto carteggio Leibniz – Clarke. Clarke era uno studioso vicino a Newton e qualcuno sostiene che lo stesso Newton abbia contribuito alla redazione delle lettere scambiate con Leibniz. Cfr. Leibniz & Clarke 1967 [1715-1716]. L’importanza delle convinzioni metafisiche di Newton sullo spazio è tuttora materia di discussione. C’è chi come Jammer (Cfr. Jammer 1954) sostiene che Newton abbia fatto intenzionalmente trapelare queste convinzioni solo per evitare l’accusa di essere ateo e materialista.

[9] Chi conosce appena un poco di storia della filosofia saprà bene la differenza tra svolte e capovolgimenti. La differenza emergerà comunque, in forma esemplare, in quel che segue.

[10] Numerosi scritti precritici di Kant fanno riferimento alla filosofia leibniziana e alla teoria dell’influxus physicus. Cfr. Kant 1982b e Kant 1982c.

[11] Una simile convinzione si trova, ad esempio, in Kemp-Smith 1992. Kant conosceva, fin dai suoi inizi, la meccanica newtoniana, anche se non è chiaro quanto approfondita fosse, da parte sua, la conoscenza degli scritti di Newton. Gran parte delle sue opere precritiche aveva avuto lo scopo, che si rivelerà una missione impossibile, di trovare una conciliazione tra la metafisica leibniziano-wolffiana e la meccanica di Newton.

[12] Era nato nel 1724 e nel 1768 aveva ormai 44 anni. Impiegherà più di una decina di anni per ristrutturare la propria visione, così da produrre la prima edizione della CRP nel 1781, all’età di 57 anni.

[13] Non vorrei essere accusato di eccessive simpatie decostruzioniste. In generale, su questo tipo di problemi mi rifaccio a Ginzburg 1979.

[14] Cfr. Falkenburg 2020: 3.4.

[15] Cfr Kant 1992: 365-366.

[16] Cfr. Falkenburg 2020.

[17] Cfr. Newton 1965.

[18] Non sto sostenendo che il modello dello spazio di Newton fosse corretto. Nei successivi sviluppi della fisica saranno proposti altri modelli di spazio, senz’altro più aderenti ai fenomeni. Sto solo confrontando il modello di spazio di Kant con il principale modello di spazio concorrente che Kant aveva a disposizione.

[19] Cfr. Jammer 1954.

[20] Cfr. Leibniz & Clarke 1967.

[21] Cfr. Falkenburg 2020: 89. La Cosmologia di Kant citata è la Storia universale della natura e teoria del cielo. Cfr. Kant 2009.

[22] Cfr Kant 1992: 365-366.

[23] Do qui per scontata la conoscenza, da parte del mio lettore, del significato kantiano del termine trascendentale. Non escludo di trattare estesamente l’argomento in un prossimo futuro.

[24] Kant qui (siamo nel 1768) è già convinto – come sosterrà poi in futuro – che le matematiche (aritmetica e geometria) abbiano dei fondamenti intuitivi. La cosa è oggi è decisamente contestabile, ma questo era il pensiero di Kant.

[25] Cfr. Euler 1750 [1748].

[26] Per Euler il vincolo è costituito dai risultati della ricerca empirica. Per Kant il vincolo sarà costituito dalle forme dell’intuizione, cioè da ipotetiche strutture formali della mente.

[27] Kant nel 1749 aveva inviato a Euler copia della sua prima opera filosofica sulle Forze vive, senza però ottenere da lui alcuna risposta.

[28] Cfr. Eulero 2007 [1768]. L’opera di Euler era uscita proprio nel 1768, e pare che Kant la conoscesse, anche se non la cita nel suo saggio.

[29] All’epoca, i manuali tedeschi di metafisica erano più o meno tutti uguali. Si dividevano in metaphysica generalis e metaphysica specialis. La prima comprendeva la ontologia. La seconda comprendeva la cosmologia razionale, la psicologia razionale e la teologia razionale.

[30] Per Kant è chiaro che la metafisica debba lavorare a priori. Nei manuali di metafisica dell’epoca – si veda la nota precedente – ci sono capitoli intitolati cosmologia razionale, psicologia razionale, teologia razionale e così via. Dietro alle posizioni di Euler c’erano ovviamente i Principia di Newton, ma Kant li considera come qualcosa di estraneo alla metafisica.

[31] Cfr. Kant 1982a: 412 e Kant 1992: 366.

[32] Cfr. Kant 1992: 366.

[33] Cfr. Kant 1992: 366.

[34] Cfr. Kant 1992: 367-368.

[35] Cfr. Kant 1992: 368.

[36] Cfr. Kant 1992: 368.

[37] Cfr. Kant 1992: 369.

[38] Cfr. Falkenburg 2020: 93-94.

[39] Cfr. Falkenburg 2020: 94.

[40] Cfr. Kant 1992: 369.

[41] Cfr. Kant 1992: 369.

[42] Cfr. Kant 1992: 370.

[43] Cfr. Kant 1992: 370.

[44] Cfr. Kant 1992: 370.

[45] Cfr. Kant 1992: 370.

[46] Cfr. Kant 1992: 371. Traduzione leggermente modificata (“verso l’esterno”).

[47] Cfr. Kant 1992: 370.

[48] Lasciamo da parte la questione banale ma non secondaria di come sia possibile che qualcosa di non sensibile possa ordinare qualcosa di sensibile. Kant conosceva bene il problema, poiché ne aveva trattato nel suo libretto su I sogni di un visionario spiegati con i sogni della metafisica.

[49] Nel sistema kantiano definitivo lo spazio non sarà definibile come concetto, sarà bensì una intuizione. Anche in seguito confonderà spesso le due cose.

[50] Cfr. Kant 1992: 371-372.

[51] Che cosa intenda Kant per esperienza ovvia non è chiaro. La intuizione dei geometri, oppure le dimostrazioni dei geometri? Il nostro punto di vista soggettivo delle direzioni nello spazio? La costatazione che avendo due mani uguali ma incongruenti deve esserci allora un riferimento esterno? È comunque da notare come, per Kant, i risultati della meccanica newtoniana non erano da considerarsi “esperienza”.

[52] Cfr. Falkenburg 2020: 87.

[53] Cfr. Kemp-Smith 1992: 161-166.

[54] Nel testo della dissertazione del 1770 c’è un inaspettato riverito inchino di Kant agli occasionalisti. Cfr. Kant 1995: 127 Scolio.

[55] Di coesistenza e successione Kant aveva già ampiamente trattato nella Delucidazione (cfr. Kant 1982b).

[56] Cfr. Kant 2014: § 15.D.

[57] Cfr. Kant 2014: 263 [§ 15 C].

[58] Cfr. Kant 2014: 263 [§ 15 C].

[59] Kant cercò di assolvere il compito di riportare la fisica di Newton sotto il cappello della metafisica con i Principi metafisici della scienza della natura, che costituirà tuttavia un fiasco gigantesco.

[60] Cfr. Kemp-Smith 1992: 163.

[61] Cfr. Kemp-Smith 1992: 163.

[62] Corrispondente alla prima edizione del 1781 della CRP.

[63] Cfr. Kant 1995a: § 13.

[64] Cfr. Kant 1995a: § 13.

[65] Cfr. Kant 1995a: § 13.

[66] Cfr. Kant 1995a: § 13.

[67] Cfr. Kant 1995a: § 13. Traduzione lievemente modificata.

[68] Sarebbe da chiedere a Kant come fa a saperlo, visto che la conoscenza delle cose in sé a noi dovrebbe esser preclusa.

[69] Più o meno come idee platoniche.

[70] Questa manfrina stonata della parte in relazione alla totalità (talvolta Totalità maiuscolizzata) la troveremo in tutto l’idealismo tedesco e oltre.

[71] Dunque, gli innumerevoli filosofi continentali che hanno coltivato la intuizione intellettiva – nonostante la proibizione dello stesso Kant, stavano agendo perfettamente nel segno di Kant.

[72] Cfr. Kant 2003: Prima sezione, Definizione 2, Nota 3.

[73] Cfr. Kant 2003: 139.

[74] Solo un leibniziano, incallito e mai pentito, poteva pensarla così. Questa è l’unica giustificazione umanamente pensabile.

[75] La piccola differenza stava nel fatto che a favore di Copernico c’erano fior di prove. A favore dello spazio assolutoK come spazio ideale purtroppo c’erano solo chiacchiere. Il problema è che Kant voleva realizzare una metafisica in quanto scienza. E in quanto scienza la metafisica avrebbe dovuto fondare la scienza empirica.

[76] Si veda in proposito Faggin 2022.

[77] Cfr. Hegel 1984.

 


 

 

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