1. Intorno[1] all’origine della Critica della ragion pura (e dunque della matura filosofia
kantiana) c’è ancora un groviglio di questioni che spesso rimane nell’ombra o
che addirittura è sistematicamente equivocato. Questo avviene perché, ancora
oggi, attorno alla filosofia kantiana, continuano a sussistere delle vulgate tradizionali e degli schieramenti di parte, spesso di natura
ideologica, che sono piuttosto estranei alla storia della filosofia e che tuttavia influenzano il
mantenimento e la diffusione di certe interpretazioni decisamente obsolete. Sul
piano del dibattito culturale, ho cercato di spiegare quale sia la questione in
gioco in un mio precedente saggio.[2]
2. Kant, dal canto suo, non si è gran che sforzato di mostrare
il suo percorso di maturazione delle idee, soprattutto nella cosiddetta decade silenziosa, tra il 1770 e il
1781. Tanto che, qualche anno dopo la prima edizione della CRP, ha sentito il
bisogno di scrivere i Prolegomeni, nell’intento di chiarire ai lettori
perplessi quale fosse il suo effettivo punto di vista. Da questa reticenza,
comunque, ha preso corso il mito della “grande luce” del 1769 e, di
conseguenza, la pretesa separazione netta tra un periodo precritico, in cui nulla di buono sarebbe veramente avvenuto,
e un periodo critico, ove sarebbe
invece nato qualcosa di profondamente
nuovo, una vera e propria rivoluzione nella storia del pensiero. Questa
narrazione, come si vedrà, è piuttosto fuorviante, anche se ancora oggi viene
comunemente avallata, un poco per pigrizia, ma anche e soprattutto perché un Kant standardizzato è comodo e conveniente
un po’ per tutti.[3] E ciò spesso avviene allo scopo di non disturbare l’assetto,
invero ormai piuttosto traballante, della filosofia
continentale.
3. Non possiamo qui, nell’ambito di un limitato saggio
divulgativo, trattare diffusamente dei rapporti tra il Kant precritico e la
CRP, impresa per la quale sarebbero necessari volumi poderosi,[4] del tutto
estranei alle nostre forze. Ci accontenteremo allora di adottare una specie di procedimento a campione. Ci
focalizzeremo su una sola questione, tra le tante affrontate da Kant, e la
useremo come traccia, per capire, almeno a grandi linee, cosa sia
effettivamente avvenuto nel laboratorio kantiano delle idee, intorno al 1770.
Il nostro campione, senz’altro arbitrario ma anche emblematico, sarà costituito
dalla questione dello spazio,
questione che (insieme con quella del tempo)
accompagnerà l’intero Kant precritico e andrà poi a costituire uno dei motivi
fondamentali della CRP. Onde non divagare e restare ai testi, ci concentreremo
sulla analisi di una operetta precritica, peraltro assai breve, scritta da Kant
nel 1768. A nostro giudizio si tratta di un testo che ha segnato effettivamente
una qualche svolta nel pensiero kantiano, anche se esso mantiene, come si
vedrà, profonde radici nel Kant precritico. Dopo il 1768, altre svolte
condurranno alla CRP.
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4. Nel 1768 Kant ha
pubblicato uno scritto di poche paginette, titolato Del primo fondamento della distinzione delle direzioni nello spazio,[5]
che, a detta degli studiosi,[6] ha rivestito una particolare importanza nell’elaborazione
della sua successiva filosofia e in particolare della sua metafisica dello
spazio. Siamo in un momento cruciale dello sviluppo della filosofia kantiana, a
un anno dalla cosiddetta “grande luce” del 1769 e a due anni dalla
pubblicazione della Dissertazione del
1770, quella che, sempre a detta degli studiosi, avrebbe rappresentato il nuovo
nucleo di pensiero che avrebbe condotto alla CRP, una decina di anni dopo. Nell’ambito
degli studi kantiani, il saggio di Kant cui faremo riferimento ha suscitato
tuttavia un ampio dibattito e una altrettanto ampia bibliografia.[7] La
principale questione ivi trattata, quella degli opposti incongruenti, sarà poi ripresa nella Dissertazione del 1770, nei Prolegomeni
del 1783 e anche nei Principi metafisici
del 1786. Si tratta dunque di una questione che ha accompagnato Kant in
sottofondo per quasi vent’anni.
5. A quell’epoca erano in discussione, tra gli studiosi, due principali
teorie dello spazio, che avevano importanti risvolti, insieme scientifici e
metafisici. Da un lato, la teoria relazionale
e, dall’altro, la teoria dello spazio
assoluto. La teoria relazionale dello spazio, in estrema sintesi, sosteneva
che lo spazio non aveva alcuna realtà propria, che era solo un’entità illusoria prodotta dalle sostanze e dalle loro relazioni. Questa teoria era
strettamente connessa al sistema metafisico di Leibniz (1646-1716), assai
popolare nella Germania del tempo. La concezione dello spazio assoluto
sosteneva, invece, l’esistenza reale
dello spazio, sebbene non si sapesse esattamente cosa fosse. La versione più
nota di questa teoria era stata sostenuta da Newton ed era divenuta popolare,
nel mondo scientifico, grazie al successo indiscutibile della meccanica. Anch’essa
aveva dato luogo a taluni risvolti metafisici.[8]
6. Lo scritto di cui ci occuperemo è importante perché in esso
Kant presenta un’importante svolta rispetto
alle sue opere precedenti. Anzi, un vero e proprio “capovolgimento” – come si vedrà.[9]
Si trattava di una presunta dimostrazione della falsità della teoria relazionale dello spazio. Costituiva una
svolta per il fatto che lo stesso Kant, fino a poco tempo prima, era stato un
convinto sostenitore di quella stessa teoria. O meglio, era stato convinto
sostenitore di una particolare versione di quella teoria, che era nota come influxus physicus.[10] Dalla conclusione
del breve scritto kantiano si evinceva che la teoria relazionale dello spazio, quella che sosteneva la non realtà dello spazio, avrebbe dovuto
essere abbandonata e sostituita da una diversa concezione, cioè da una teoria
dello spazio assoluto, una teoria
cioè che avrebbe dovuto, in qualche modo, attribuire una qualche effettiva realtà allo spazio.
7. A quei tempi, la nozione dello “spazio assoluto” era
tipicamente connessa con la filosofia
naturale di Newton e con la sua meccanica. Si trattava di una teoria di
provenienza anglosassone e perciò non molto popolare in Germania. Lo scritto sulle
Direzioni nello spazio ha spinto la
vulgata kantiana alla frettolosa conclusione che Kant, nel 1768, fosse
diventato newtoniano.[11] Vedremo che non è andata proprio così. Il nuovo
spazio assoluto propugnato da Kant non è affatto newtoniano. Le conseguenze della
svolta saranno per Kant ben più ampie, e saranno tali da determinare lo
sviluppo di quella che diverrà la metafisica kantiana matura, cioè l’idealismo trascendentale. La prima
svolta, a proposito della questione dello spazio, comporterà, a valanga, una
serie di altre successive conseguenze, anche abbastanza imprevedibili, tanto da
rovesciare profondamente la prospettiva che il non più giovane Kant[12] aveva
ormai raggiunto e cumulato nella sua carriera.
Il nuovo “spazio
assoluto” di Kant si appresta così a diventare una alternativa metafisica allo
spazio assoluto newtoniano. In questo saggio, per motivi pratici, in caso di
ambiguità, per ciascuno dei due spazi userò due sigle diverse, facilmente
comprensibili: spazio assolutoN e spazio assolutoK. Le
differenze tra i due spazi assoluti emergeranno man mano. Se sarà necessario,
metterò qualcosa in nota.
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8. Possiamo, a questo punto, confrontarci direttamente con il
testo delle Direzioni nello spazio. So
bene che il commento puntuale di un testo filosofico è spesso faticoso e forse
anche noioso. Ritengo tuttavia importante il confronto analitico diretto con i
testi, questo poiché il dettaglio della
scrittura dice molte più cose di quanto non si ritenga comunemente.[13] D’altro
canto, la lettura diretta è forse l’unico modo di confutare il Kant
standardizzato diffuso. L’articolo di Kant è quanto mai breve e ciò facilita l’operazione.
9. Kant, in apertura, cita Leibniz come suo ipotetico
predecessore, poiché questi aveva ipotizzato una nuova disciplina matematica
denominata analysis situs, anche se
il progetto era rimasto irrealizzato. Kant dice di non sapere se quanto esporrà
possa essere o meno in linea col progetto leibniziano. Tuttavia, nel saggio in
questione Kant assumerà esplicitamente una posizione critica nei confronti di
Leibniz e dei leibniziani. Secondo alcuni studiosi, molti dei passaggi del
saggio di Kant vanno intesi come risposte puntuali a questioni già poste da
Leibniz in alcuni suoi scritti. La questione filologica in merito a questa
specie di tacito dialogo retrospettivo con Leibniz, che è senz’altro presente
in sottofondo nel saggio, è assai complicata e non possiamo affrontarla in
questa sede. Per una sintesi di queste problematiche si veda Falkenburg 2020.[14]
Comunque, come si vedrà, Kant, più che un oppositore, risulta essere, in
definitiva, il maggior prosecutore dell’eredità di Leibniz.
10. Kant, dopo l’evocazione di Leibniz, spiega la problematica
che affronterà, anticipando anche le conclusioni. Afferma che: «[…] le
posizioni delle parti dello spazio, in riferimento le une alle altre, presuppongono
la direzione secondo la quale queste sono ordinate nella loro stessa relazione.
In un senso più astratto del termine, la direzione non consiste nel riferimento
di una cosa a un’altra nello spazio – questo sarebbe effettivamente il concetto
di posizione – ma nella relazione del sistema di queste posizioni con lo spazio
assoluto dell’universo. Nel caso di qualsiasi cosa estesa, la posizione delle
sue parti [interne ndr] relative l’una
rispetto all’altra può essere adeguatamente conosciuta tramite il riferimento
alla cosa stessa. La direzione, tuttavia, nella quale è orientato questo ordine
di parti, si riferisce allo spazio esterno alla cosa. Per essere precisi […] si
riferisce allo spazio universale come unità, di cui ogni estensione deve essere
considerata come una parte».[15]
11. L’avvio è straordinariamente complesso. Dobbiamo qui in
primo luogo fare uno sforzo per appropriarci del vocabolario kantiano. Anzitutto
è necessario distinguere tra il termine “spazio”, che è generico e dipende
dalle qualificazioni che gli vengono attribuite, e il termine “estensione” che
si riferisce invece a una area, oppure a un volume. Nel linguaggio di Kant, spesso
l’estensione coincide con la corporeità, come in Cartesio. Detto brutalmente, l’estensione
può essere pensata come una cosa nello spazio.
Kant, nel brano citato, effettua
una distinzione tra due nozioni: la posizione,
che sarebbe “il riferimento nello spazio di una cosa ad un’altra”, e la direzione, che sarebbe invece la
relazione di un sistema di posizioni
con lo spazio assoluto dell’universo. Kant stabilisce fin dall’inizio una
gerarchia tra le due nozioni: è abbastanza chiaro che per lui la direzione sopravanza la posizione. La direzione
determina l’ordinamento dei vari sistemi di posizioni.
Kant tratta la faccenda delle posizioni delle parti interne come una
faccenda di routine, osservando che queste
si possono facilmente conoscere considerando la cosa stessa. Qui Kant sembra utilizzare
la nozione classica di estensione fisica
che risale addirittura a Cartesio e poi anche a Leibniz, sebbene in Leibniz l’estensione
sia solo un prodotto illusorio della sostanza. Oltre alle posizioni, Kant sottolinea
la novità per lui rilevante: la questione delle direzioni. Ciascun sistema delle posizioni può essere ancora
variamente determinato dalla direzione, la quale, a sua volta, dipenderebbe
dallo spazio universale o assoluto. È proprio questo il concetto che creerà –
come vedremo – le maggiori difficoltà interpretative. Solo alla fine del passo
citato Kant accenna a spiegare cosa sia
per lui lo spazio assoluto. Ma la spiegazione è piuttosto vaga. Questo spazio
universale assoluto è definito come una unità
che contiene tutte le estensioni (=corpi) come sue parti. Una specie di
contenitore universale delle estensioni. Detto così, ne conseguirebbe che in un
simile modello non sia possibile il vuoto.
Kant, in effetti, avrà sempre enormi problemi ad ammettere il vuoto nella
propria teoria dello spazio.
12. Tuttavia nel saggio che stiamo leggendo le cose si
complicano, poiché, a loro volta le estensioni, contenute nello spazio
universale, sarebbero anche direzionate.
Solo le direzioni nello spazio conferiscono
a ciascun sistema di posizioni un ordine per noi o, se vogliamo, un ordine relativo a noi. Questo ordine
direzionato è considerato fondamentale da Kant per consentire la nostra
conoscenza del mondo esterno. Ciò vuol dire che il banale spazio delle posizioni sarebbe indecifrabile per noi qualora fosse privo di direzioni. Kant non dice se lo
spazio assolutoK è soltanto l’insieme delle posizioni (come era in
Leibniz), oppure se deve essere inteso, più ampiamente, come l’insieme delle posizioni direzionate. La seconda
ipotesi è la più probabile, ma cosa ciò voglia dire non è affatto chiaro.
13. Di cosa sta parlando Kant? Non è facile per noi definire un
simile livello di discorso. Se si tratti di metafisica, di geometria oppure di
cosmologia razionale. Nella primissima parte, il discorso sembra essere di tipo
geometrico e riguardare la necessità
di un riferimento quando si considerino
figure estese nello spazio euclideo. Man mano, però, si comincia a parlare di “cose”,
per cui siamo autorizzati a pensare che il discorso non riguardi soltanto la
geometria delle figure ma anche i corpi fisici disposti nello spazio. Non è più
tanto chiaro se si sta parlando di geometria
o di fisica, oppure anche di tutte e
due le cose insieme. Possiamo pensare addirittura a una cosmologia. In effetti, siamo in presenza di uno spazio fisico con una forte caratterizzazione cosmologica.
Falkenburg ha parlato, in proposito, di una physical
geometry.[16] Nella lettura dell’intero testo, dunque, dovremo tener conto
di questa non secondaria questione: Kant confonde volentieri la geometria con
la fisica ed entrambe con la cosmologia. Si tratterebbe, in altri termini, di
un vero e proprio arcaismo nell’ambito
della storia della cosmologia. Un analogo dei pitagorici, quando facevano la aritmo geometria con i sassolini. Nelle cosmologie razionali leibniziane del
Settecento la confusione era favorita dal fatto che i costituenti fondamentali della
realtà erano atomi logici. Platone dal canto suo, ad esempio, pensava che gli
elementi fossero costituiti di solidi geometrici.
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14. Sembra fin da ora abbastanza chiaro che – nonostante la
sinonimia – questo spazio assolutoK, insieme posizionale e direzionale,
senza vuoto all’interno e ripieno delle estensioni che contiene, abbia poco o nulla
a che fare con lo spazio assoluto di cui parla Newton nei suoi Principia.[17] Newton era stato chiaro.[18]
Mai avrebbe confuso lo spazio della geometria con lo spazio fisico. Per Newton
lo spazio fisico era un’entità oggettiva,
reale, indipendente dalla mente e dall’osservatore.
Soprattutto lo spazio doveva essere del tutto indipendente rispetto ai corpi
fisici e alle forze ivi presenti. Doveva essere cioè perfettamente intangibile. Newton aveva dunque
distinto rigorosamente tra lo spazio
assoluto, che doveva essere un puro
sfondo inerte, e le estensioni dei
corpi che eventualmente si ritrovavano nello spazio stesso, le quali erano
invece tangibili e sensibili. Anche
gli organi di senso erano estesi e su ciò poteva basarsi la conoscenza
sensibile in termini meccanici. Lo spazio newtoniano non doveva avere alcun
rapporto con i corpi estesi che eventualmente lo occupavano poiché, altrimenti,
le leggi della meccanica non avrebbero potuto funzionare. Se tutti i corpi dell’universo
fossero stati annichiliti, lo spazio oggettivo avrebbe continuato a esistere.
Questa nozione di spazio, ovviamente, rendeva perfettamente possibile la
definizione di uno spazio vuoto.
Newton aveva sostenuto,
in proposito, un’aspra contesa con i cartesiani, marcando la differenza tra lo spazio, reale, vuoto e inerte, e l’estensione cartesiana, la res extensa (cioè i corpi di qualsiasi
tipo). Newton e Kant parlano dunque entrambi di “spazio assoluto”, ma il
sospetto che ci assale fin da ora è che non siano proprio la stessa cosa. Col
senno di poi, possiamo oggi sostenere che lo spazio assoluto newtoniano era
poco più che una definizione operativa
posta alla base dell’indagine sperimentale. Le operazioni della geometria
costituivano per Newton una descrizione dello spazio fisico. È ben vero che Newton,
qua e là nella sua opera, si è spinto anche a pronunciarsi circa una sua
metafisica dello spazio. Qualcuno però, come Jammer, sostiene che lo abbia
fatto solo per motivi precauzionali, onde evitare accuse di materialismo e ateismo.[19]
Si tratta della famosa teoria del sensorium
Dei, della quale Kant era al corrente, soprattutto attraverso il Carteggio Leibniz-Clarke.[20] Tuttavia
la metafisica dello spazio assoluto di Newton ebbe poco o niente a interferire
con il suo lavoro sperimentale. Il caso più noto e controverso è quello dell’esperimento della secchia, la cui
invalidità fu successivamente dimostrata. Si veda in proposito il già citato
Jammer 1954. È stato poi successivamente dimostrato che la meccanica newtoniana
poteva basarsi anche soltanto sugli spazi relativi e fare così a meno dello
spazio assoluto. Ma ciò non riguarda il nostro discorso.
15. Se non da fonte newtoniana, da dove viene allora questo spazio
assolutoK? In proposito, va tenuto presente che anche Leibniz aveva
parlato, nell’ambito del suo sistema, di uno “spazio assoluto”. Osserva
Falkenburg in proposito: «Secondo Leibniz, lo spazio fisico è l’ordine di tutti
i fenomeni coesistenti, e lo spazio geometrico è la somma totale di tutte le
posizioni geometriche ottenute astraendo dai correlati fisici delle relazioni
spaziali. Nei Fondamenti metafisici della
matematica, Leibniz […] chiama questo spazio astratto “spazio assoluto” e
lo definisce come il “luogo più pieno, o il luogo di tutti i luoghi”, ovvero
come una varietà topologica.
Naturalmente, questo non è lo spazio fisico della cosmologia. Kant, d’altra
parte, non ha in mente una varietà topologica astratta, bensì lo spazio
euclideo tridimensionale della fisica newtoniana, così come applicato nell’uso
reale della ragione. Egli ricerca il fondamento ultimo della determinazione
delle posizioni geometriche e lo associa alla “direzione”, ovvero alla
relazione del sistema di tutte le posizioni con lo “spazio assoluto”. Secondo
la cosmologia del 1755/1756, lo “spazio assoluto” è identico al sistema di
tutte le relazioni sostanziali di coesistenza delle monadi fisiche, e il
fondamento ultimo o ratio essendi di
questo sistema è la mediazione tra le monadi da parte dello “schema della
comprensione divina”».[21] Dunque, sia Leibniz, sia Kant avevano già trattato
di uno “spazio assoluto” non decisamente newtoniano. Il termine “assoluto”
aveva piuttosto il senso di una totalità
dello spazio, delle posizioni e dei riferimenti spaziali. Comunque tutto ciò
non chiarifica cosa intenda effettivamente Kant, nel 1768, con il termine “spazio
assoluto”.
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16. La nozione di questo spazio assolutoK,
posizionale e direzionale, e per giunta pieno,
proposto da Kant suscita dunque molte perplessità. Mettiamole per ora da parte e
proviamo a proseguire. Dice Kant: «Non sarà sorprendente se il lettore dovesse
trovare questi concetti ancora molto oscuri. Li spiegherò a tempo debito. Non
aggiungerò quindi altro per il momento, a parte la seguente considerazione. Il
mio scopo in questa trattazione è di vedere se non si possa trovare nei giudizi
intuitivi sull’estensione, come si trovano in geometria, una prova chiara che: lo spazio assoluto, indipendentemente dall’esistenza
di tutta la materia e come esso stesso fondamento ultimo della possibilità del
carattere composto della materia, ha una realtà di per sé».[22] Kant,
programmaticamente, intenderebbe dunque usare una sorta di geometria intuitiva – quella che abbiamo definito come physical geometry – per provare una
verità metafisica e cosmologica, cioè il fatto che lo spazio assoluto (qualunque cosa sia) ha una realtà in sé.
Anche questo passo
merita un’analisi dettagliata. Lo spazio che Kant chiama assoluto, è qui considerato sotto due profili. 1) Anzitutto viene considerato
“indipendentemente dall’esistenza di
tutta la materia”. Qui si ipotizza che lo spazio assolutoK non
sia soltanto una entità illusoria dipendente dalla materia estesa (che era la
tesi di Leibniz), bensì che possa avere
una realtà indipendente. In aperto contrasto con la teoria relazionale. Sembrerebbe
in ciò avvicinarsi a Newton, ma non è così. 2) Il secondo profilo implica, infatti,
che lo spazio assolutoK sia considerato anche come il «fondamento ultimo della possibilità del
carattere composto della materia». Le due caratteristiche non sembrerebbero
del tutto compatibili: se è indipendente
dall’esistenza della materia, come fa a essere il fondamento del carattere composto della materia? Si consideri che fondamento è termine davvero impegnativo,
per un metafisico di quell’epoca. Fondamento
e causa erano pressoché la stessa
cosa. Stando alla lettera del testo, se non ci fosse lo spazio assolutoK,
la materia che ha carattere composto non potrebbe esistere. La materia
dipenderebbe dunque dallo spazio. Qui Kant attribuisce, fin da ora, allo “spazio
assoluto” una specie di carattere
demiurgico non ben specificato. Questo spazio assolutoK, realtà
separabile dalle sostanze, ha dunque un carattere decisamente metafisico e,
soprattutto, fondativo e costitutivo della struttura intrinseca dei corpi. Si può
ritenere che qui si anticipi il carattere trascendentale[23]
che sarà poi attribuito da Kant allo spazio della CRP.
17. Ma c’è un’altra questione di qualche rilievo. Nel brano,
Kant parla, come cosa scontata, di “giudizi intuitivi sull’estensione”. Per il
lettore odierno non è chiarissimo di che si tratti. Qui non si tratta ancora
della famosa nozione di intuizione
che è familiare ai lettori di Kant. Si tratta di un’intuizione (evidentemente
connessa con la disciplina geometrica) la quale dovrebbe permettere di
comprovare la realtà dello spazio
assolutoK. Si conferma qui, per Kant, che geometria, cosmologia e
metafisica si sovrappongono senza problemi. Probabilmente, l’evidenza eventuale
dello spazio assoluto è da lui considerata come “intuitiva” e dunque conseguibile attraverso l’intuizione,
facoltà del tutto consona alla geometria.[24]
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18. Si tratta allora per noi di capire meglio la differenza tra
spazio assolutoN e spazio assolutoK. Proseguendo nella
lettura dello scritto troviamo varie tracce davvero utili a questa
chiarificazione. Prima di procedere, Kant sente infatti il bisogno di
inquadrare quanto sta facendo sul piano del metodo e si dilunga alquanto sulla
questione. Val la pena di seguirlo nelle sue puntualizzazioni. A proposito del
problema che si accinge ad affrontare, cita e commenta esplicitamente il saggio
di Euler Reflexions sur le space et le
temps. Lo scritto di Euler (1707-1783) era apparso
nel 1748 ed era stato pubblicato nel 1750.[25] Si tratta di ventuno brevi
proposizioni attraverso le quali lo studioso svizzero prendeva apertamente
posizione contro i sostenitori delle
monadi e – a partire dai risultati della meccanica newtoniana, considerati
come inequivocabili – definiva i termini entro i quali sarebbe stato possibile
proporre una definizione attendibile dello spazio e del tempo,[26] una
definizione che fosse cioè compatibile con i risultati stessi della nuova
meccanica. Si trattava dunque di una lucida presa di posizione anti metafisica,
a favore della filosofia naturale di
matrice empirica. Si noti che Kant, dal punto di vista di Euler, poteva
benissimo essere considerato come uno dei sostenitori delle monadi, poiché nel
suo programma precritico egli aveva cercato di sviluppare una monadologia fisica, nell’orbita della
teoria dell’influxus physicus di
Knutzen (che era stato il maestro di Kant).[27] Un resoconto più ampio e
articolato, sebbene di data assai successiva, dello scontro tra Euler e i
sostenitori delle monadi si trova nelle Lettere
a una principessa tedesca.[28]
19. È davvero significativo, per comprendere le intenzioni di
Kant e le differenze tra le due concezioni dello spazio, il modo in cui egli
presenta Euler. Kant afferma che la questione da lui posta (la realtà dello spazio
assoluto) aveva finora suscitato un grande lavorio tra i filosofi, i quali si
erano vanamente sforzati di risolverla attraverso qualcosa come i “giudizi
astratti” della metafisica.[29] Qui Kant sembra alludere criticamente ai sogni della metafisica cui aveva
accennato in un libretto precedente. Kant afferma poi di conoscere un solo caso
di tentativo di risolvere la questione posta in una diversa forma, che egli
definisce a posteriori.[30] Spiega
cosa intende per a posteriori: «per
mezzo di altre proposizioni incontestabili, anche collocate al di fuori dell’ambito
della metafisica, che siano ciò nonostante, attraverso la loro applicazione in concreto, capaci di offrire una
pietra di paragone della loro esattezza».[31] Questo caso sarebbe, appunto,
quello della “trattazione del celebre Eulero il vecchio” nella Memoria della reale Accademia delle scienze
di Berlino dell’anno 1748.
20. Kant, tuttavia, non concorda con quanto sostenuto da Euler
nel suo scritto e così afferma piuttosto severamente: «Questo trattato, […],
non raggiunge del tutto il suo scopo. Mostra solo le difficoltà implicite nel
dare un significato determinato alle leggi universali del moto quando si opera
con nessun altro concetto di spazio se non quello che nasce dall’astrazione
dalla relazione tra cose reali. Non considera neanche le non meno gravi
difficoltà che sorgono se, nell’applicare le leggi appena menzionate [le leggi
del moto ndr], si tenta di
rappresentarle in concreto,
impiegando il concetto di spazio assoluto. La dimostrazione, che sto cercando
qui, è intesa a fornire, non agli ingegneri, come era lo scopo di Euler, ma agli
studiosi di geometria stessi un argomento convincente che potrebbero usare per
sostenere, con la certezza a cui sono abituati, la realtà del loro spazio
assoluto».[32]
Stando alla lettera,
sembrerebbe qui che i geometri siano i naturali detentori della nozione dello
spazio assoluto, ma che essi non siano convinti “della realtà del loro spazio
assoluto”. E abbiano bisogno dell’argomento kantiano per convincersene. Lo
spazio assoluto di cui tratta il Kant del 1768 sarebbe allora il banalissimo spazio euclideo, qualora sia considerato
come un oggetto reale. Vedremo nel proseguimento se questa tesi sia
sostenibile. In effetti, dal seguito emergerà una specie di conflazione tra lo spazio
geometrico euclideo e lo spazio metafisico cosmologico kantiano. Ma la cosa
continua a non esser chiara.
21. Dal testo considerato più in generale, risulta comunque del
tutto evidente che gli “spazi assoluti” di cui Kant parla sono proprio due.
Quello che “nasce dalla astrazione tra cose reali” (lo spazio assolutoN
che è, di fatto, una definizione operativa o poco più) e, invece, la
definizione dello spazio che è impiegata dagli studiosi di geometria.
Interessante e notevole dunque è la opposizione tra «astrazione dalla relazione
tra cose reali» che sarebbe l’atteggiamento imputato a Euler (e a Newton) e la
rappresentazione «in concreto
impiegando il concetto dello spazio assoluto», secondo il costume dei geometri,
che sarebbe quel che vuol fare Kant. Questi sarebbero dunque i parametri
metodologici entro cui Kant intende lavorare nel suo saggio.
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22. Avendo laboriosamente chiarito cosa sta cercando, e avendo
chiarito la somiglianza e la diversità della sua impresa rispetto a quella di
Newton e di Euler, Kant può iniziare così finalmente la sua argomentazione dal
punto di vista, come promesso, concreto
e intuitivo. Si occuperà dunque delle direzioni
nello spazio che sembrano essere l’elemento decisamente nuovo e caratteristico
dello spazio assolutoK che ha già in parte presentato.
Il suo punto di partenza
è una descrizione della prospettiva
soggettiva dello spazio corporeo
esterno, a partire dalla percezione sensoriale
di un ipotetico essere umano. Così esordisce Kant: «A causa delle sue tre
dimensioni, lo spazio fisico può essere pensato come dotato di tre piani, che
si intersecano gli uni con gli altri ad angoli retti. Riguardo alle cose che
sono fuori di noi, è solo nella misura in cui esse stanno in relazione con noi
che noi possiamo avere, soltanto attraverso i sensi, qualsiasi cognizione di
loro. Dunque non è sorprendente che il fondamento ultimativo, in base a cui noi
formiamo il nostro concetto di direzioni nello spazio, derivi dalla relazione
di questi piani che si intersecano con i nostri corpi».[33] Kant, proseguendo, identifica
in tal modo dapprima un piano orizzontale,
che divide lo spazio secondo sopra e sotto, poi quello verticale, che divide
lo spazio secondo destra e sinistra e, infine, la profondità (che divide lo spazio secondo
il piano anteriore e posteriore).
23. Niente di particolarmente nuovo. Questi sono i piani ortogonali della geometria euclidea. Kant sembra però,
come abbiamo già ampiamente rilevato, confondere lo spazio geometrico con lo
spazio fisico e sembra ragionare esattamente come se lo spazio fuori di noi
fosse intrinsecamente dotato di piani
ortogonali euclidei. I piani dello spazio fisico esterno sono considerati come una
continuazione dei piani del corpo umano, anch’esso esteso. Solo così possiamo acquisire,
secondo Kant, il nostro concetto di
diverse direzioni nello spazio e solo
così, attraverso i sensi, possiamo avere cognizione delle cose che sono fuori
di noi. La nostra conoscenza sensibile dipenderebbe dunque proprio dalle
direzioni da noi individuate. Questo perché, lo si vedrà in seguito, la nostra
conoscenza sensibile conosce le cose come già direzionate. Si tratta senz’altro
di uno strano garbuglio. Tuttavia, a nostro parere, ciò è spiegabile in base al
fatto che Kant, da buon leibniziano, è ossessionato
dalla questione dell’ordine. Per rendersene conto basta leggere la Delucidazione. Dietro alla questione
dell’ordine c’è la famosa armonia
prestabilita. Se non ci fosse un ordinamento razionale, metafisica e
cosmologia non avrebbero senso alcuno. Le direzioni nello spazio, a partire dai
piani ortogonali del nostro corpo costituiscono una imprescindibile fonte di ordine della nostra esperienza
esterna.
24. Kant riporta, a questo punto, un’ampia e disparata serie di
casi empirici, tratti da vari campi d’esperienza, che coinvolgono vagamente la
questione delle direzioni nello spazio.
Questa casistica è senz’altro legata alla promessa originaria di svolgere il
proprio argomento in concreto. Qui si
abbandona decisamente il terreno della geometria euclidea e ci si addentra a
considerare questioni di direzione nello spazio legate alla natura intrinseca
delle cose sensibili. Ci si addentra dunque nella fisica. Ma vediamo intanto la casistica. Anzitutto, in esordio,
afferma che una pagina scritta smette di essere riconoscibile se invertiamo la
sua direzione. Questo prova senz’altro che la leggibilità dipende dal mio
sistema di riferimento (e da quello di chi ha scritto la pagina). Se però –
aggiungiamo noi – si rovesciasse anche il lettore, la pagina tornerebbe a
essere leggibilissima! Poi cita i punti cardinali della bussola, utili solo se
abbiamo la nozione della direzione di riferimento. Cita la collocazione degli
oggetti nel cielo e sulla terra, impossibile senza le direzioni e i loro
riferimenti. Ugualmente, le mappe dei cieli funzionano solo in riferimento alle
direzioni. Lo stesso vale per i posizionamenti geografici. E osserva: «Simili
conoscenze non avrebbero alcuna utilità per noi se noi non fossimo in grado di
orientare le cose così ordinate, secondo l’intero sistema delle loro reciproche
posizioni, riferendole ai lati del nostro corpo».[34]
Sembra dunque che il riferimento al nostro corpo sia davvero
essenziale per il discorso che Kant vuol fare. Fin qui, dagli esempi di Kant
abbiamo acquisito che le direzioni nello spazio per noi sono soggettivamente importanti.
25. Kant passa poi a occuparsi di taluni fenomeni naturali che,
in un certo senso, sembrano avere implementata
in se stessi una precisa direzione.
Fenomeni, ad esempio, che in biologia, ci permettono di distinguere una specie
dall’altra. La caratteristica distintiva consisterebbe nella particolare
direzione in cui è disposto l’ordine delle loro parti. «In virtù di queste
caratteristiche, due creature possono essere distinte una dall’altra, anche se
esse possono essere esattamente le stesse rispetto a dimensione, proporzioni e
anche per la posizione relativa delle loro parti».[35] Cita, a sostegno, vari
fatti osservabili come la direzione della crescita dei capelli, la tendenza
direzionale all’avvolgimento delle piante del luppolo e dei fagioli, cita la spirale
destrorsa delle chiocciole. «Questa specifica proprietà si può ritrovare
invariabilmente presso i membri di una data specie e può essere ritrovata
indipendentemente dall’emisfero della terra in cui accadono e indipendentemente
dalle direzioni dei movimenti giornalieri del sole e della luna – che da noi va
da sinistra a destra, mentre agli antipodi è da destra a sinistra».[36] Qui
possiamo osservare che se la chiocciola ha la spirale destrorsa ovunque, questo vuol solo dire che il
senso destrorso è nel sistema di riferimento che la chiocciola porta con sé,
comunque si sposti e si rigiri sul pianeta.
26. Appena prima Kant aveva considerato le direzioni rispetto a
percezioni (di viventi) rivolte allo spazio esterno. Ora proseguendo sembra occuparsi
di direzioni che siano interne,
rispetto a un corpo fisico o biologico. Sembra voler dire che le direzioni sono
così importanti che stanno anche dentro alla costituzione stessa delle cose
fisiche e dei viventi in particolare. Kant considera poi anche la struttura
intrinseca del corpo umano: «Poiché il senso della distinzione tra destra e
sinistra è cosi necessario per giudicare le direzioni, la natura ha stabilito
una connessione immediata tra questo senso e l’organizzazione meccanica del
corpo umano. In virtù di questa organizzazione, un lato del corpo, il lato
destro, gode di un vantaggio indiscutibile sull’altro per quanto riguarda all’abilità
e alla forza».[37] Seguono altri vari esempi nella distinzione tra le parti
funzionali della destra e della sinistra di varie parti del corpo umano.
27. C’è da rimanere oltremodo perplessi. Di cosa stiamo
parlando? Ricorrendo al senno di poi, e alle nostre conoscenze attuali, numerose
osservazioni riportate da Kant si riferiscono a un fenomeno ben noto, che oggi
non suscita alcun problema cosmologico e metafisico, e che trova applicazioni
in vari campi della scienza e della tecnica. Si tratta della chiralità (dal greco khéir, mano). In italiano, il concetto
potrebbe esser reso con manosità. Per
la cronaca, un altro nome con cui è conosciuta la chiralità è enantiomorfismo. Più comunemente
parliamo del verso caratteristico di
alcune cose o alcuni fenomeni. La chiralità è un fenomeno naturale, diffuso e
nient’affatto misterioso. Dallo spin
delle particelle subatomiche al verso della corrente elettrica, fino all’orientamento
strutturale di certe molecole organiche, ben noto nella chimica. Si tratta di
fenomeni che appartengono al mondo oggettivo e che non dipendono dall’osservatore.
E, disgraziatamente per Kant, la chiralità non fornisce alcuna prova della
esistenza di uno spazio assoluto. Certamente non possiamo imputare a Kant ciò
che non poteva sapere. A noi interessa tuttavia l’uso che ha fatto delle
nozioni che aveva effettivamente.
28. Pare di poter considerare anzitutto che le direzioni di cui
parla Kant sono tutte direzioni relative.
Gli umani sono mobili, dunque i piani ortogonali “naturali” relativi ai corpi si
spostano con loro. Lo spazio euclideo della geometria ha sempre bisogno di un
riferimento, e i riferimenti possono sempre cambiare. Le coordinate sono
riferimenti arbitrari, dipendono da dove si fissa l’origine. Non esiste una
direzione sopra assoluta, o una
direzione destra assoluta. Se l’uomo
dell’esempio kantiano si gira su se stesso, considerandolo in un sistema di
direzioni appena più ampio, la destra
diventa sinistra e viceversa. Se dico
a uno «Spostati a destra!», quello mi può chiedere «Alla mia o alla tua
destra?». Si collochi l’uomo suddetto al Polo Nord e poi lo si collochi al Polo
Sud: il sopra diventa sotto e viceversa. Certo, una direzione
in quanto tale è pur sempre una direzione, ma allora si tratta solo e soltanto
di direzioni relative. Seduto alla “destra
del Padre” ha significato solo se si definisce la posizione del Padre. “Seduto
alla destra” non vuol dir niente. Possibile – vien da domandarsi – che Kant sia
così sprovveduto?
La chiralità poi ha a che fare con la costituzione intrinseca delle cose. È vero che il luppolo si
avvolge a destra, oppure – aggiungiamo noi qualche esempio analogo – che il
cuore è spostato a sinistra e che l’erba cresce verso l’alto, ma anche qui il
riferimento è sempre locale, una posizione
relativa. Alla sua destra, alla sua sinistra. Se mi giro nello spazio,
il mio cuore è sempre alla mia sinistra,
perché il mio sistema di riferimento gira con me, ma, rispetto alla posizione precedente, sta ora in una diversa direzione dello spazio.
Ancora, possiamo
obiettare che non è proprio chiaro cosa c’entri tutto ciò con le direzioni nello spazio. La mia mano destra
è sempre la mia destra e il fatto che
sia più robusta è una mia proprietà (oggi sappiamo dovuta alla
lateralizzazione). La direzione destra,
di per sé, non causa il fatto che la
mia mano sia più robusta. E io considero sempre la mia destra come tale in base
al mio sistema di riferimento
soggettivo.
29. Se vogliamo proseguire con una parvenza di plausibilità,
non ci resta che applicare in termini interpretativi un qualche principio di carità. Evidentemente, Kant
usa il termine “assoluto” in maniera decisamente particolare e diversa decisamente
dalle nostre aspettative. La nozione di “spazio assoluto” evoca inevitabilmente
in noi – che abbiamo ricevuto un’educazione newtoniana – le proprietà dello
spazio newtoniano. È possibile invece che Kant invece non stia affatto pensando
allo spazio newtoniano. Kant ha mostrato finora che le direzioni, pur rilevanti
nella realtà del mondo, sono direzioni
relative. Che dipendono sempre da un sistema
di riferimento che può essere grande come il sistema solare, come un intero
pianeta o piccolo come il guscio di una chiocciola. Se c’è qualcosa che tutto
ciò può significare è che le direzioni sono sempre
relative e che una unica direzione
assoluta proprio non c’è.
Probabilmente Kant con “assoluto”
intende ogni sistema di riferimento
che è necessario per definire le
direzioni nello spazio delle singole cose. Il sistema di riferimento necessario
per leggere quella pagina, per usare quella mappa. Per ciascuno dei riferiti, comunque siano collocati in
termini di posizioni, il loro sistema di riferimento è sempre un assoluto. I geometri – di cui parla
Kant – adottano sempre un sistema di riferimento arbitrario che viene tuttavia considerato,
ogniqualvolta, come un assoluto. Poiché Kant adotta la arcaica physical geometry, egli pretende che il
funzionamento del mondo geometrico
abbia il suo esatto corrispettivo nel mondo
fisico. Lo spazio assolutoK sarebbe allora semplicemente l’ordinatore esterno specifico di
qualsiasi singola cosa (o sistema di posizioni). Il Nord per la carta
geografica, l’alto per l’erba che
cresce, la sinistra per il mio cuore,
la destra per la spirale della
chiocciola, e così via. Vien detto “assoluto” perché semplicemente è il
riferimento “esterno” da cui ciascuna cosa/
estensione dipende.
30. Vediamo con un esempio. Se voglio disegnare su un foglio
una chiocciola, devo anzitutto dotare il foglio dei riferimenti geometrici
usuali, compreso il lato destro e
quello sinistro. Insomma, la cornice
invariante del foglio. Questi sarebbero, in termini geometrici, i riferimenti assoluti per il mio disegno.
Quando dovrò tracciare la spirale della chiocciola, dovrò farla destrorsa
rispetto al foglio, cioè dovrò adottare la direzione
assoluta che compete alla chiocciola. Potrò rigirare come voglio il foglio,
capovolgerlo in tutti i modi, ma sul
foglio la chiocciola sarà sempre destrorsa. Se il mio disegno della
chiocciola fosse stato fatto con la computer grafica, potrei facilmente
riflettere il disegno e ottenere una chiocciola sinistrorsa, ovviamente non
corrispondente ad alcunché di reale. Fin qui tutto chiaro. Ma ragiona Kant: poiché
le chiocciole reali sono sempre destrorse, bisogna che un qualche creatore/
geometra le abbia fatte così, riferendosi a una cornice invariante destrorsa.
Kant pensa dunque che esista uno spazio
assoluto reale (in veste di creatore geometra) che rende e mantiene le
chiocciole destrorse (nel linguaggio kantiano, che è il fondamento della destrosità della spirale delle chiocciole!).
Strano ma vero.
Affinché un simile modello
possa funzionare, poiché ogni cosa può avere le sue direzioni intrinseche, ci
saranno tanti spazi assoluti di
riferimento quante sono le singole cose. E i vari sistemi di riferimento
potranno relazionarsi tra loro in un intreccio intricatissimo. Il mio cuore è
sempre alla mia sinistra, ma posso volgerlo verso il sud geografico, oppure
verso il nord. Posso recarmi agli antipodi invertendo la direzione sopra e
sotto. A sua volta, il moto della terra farà variare la mia posizione
relativamente al sole. E così via. Si tratterebbe di uno spazio fatto di
innumerevoli punti di vista/ direzioni, continuamente cangiante (come quello
leibniziano, del resto) dove i sistemi di riferimento interagiscono
continuamente e le direzioni sono sempre
relative e mai definitive.
Dunque, miriadi di ordini direzionali locali che, insieme, andrebbero a costituire
un ordine generale di tutti gli ordini locali. Volendo azzardare, l’insieme di tutti i sistemi di riferimento
che si intrecciano tra loro. Si tratta di una nozione da far girar la testa che
solo un discepolo di Leibniz avrebbe potuto concepire. Del resto nel sistema leibniziano
(dove lo spazio non aveva una realtà sua propria) lo spazio assoluto era già la
somma di tutti gli spazi relativi. Una specie di totalità.
31. La nostra interpretazione in camera caritatis trova un fondato sostegno in Falkenburg: «Secondo
lui [Kant], la chiralità, la rispettiva proprietà spaziale di mani e di viti, non è una proprietà relazionale nel
senso dell’analysis situs di Leibniz.
A suo avviso, la chiralità può essere definita solo in termini di una relazione
con le “direzioni” nello spazio, ovvero con le distinzioni di destra e
sinistra, sopra e sotto, davanti e dietro. Queste “direzioni” sono definite in
relazione allo “spazio assoluto” come una totalità astratta di posizioni […],
o, come diremmo oggi, relativamente a un dato sistema di coordinate con un dato
orientamento sinistrorso o destrorso. La sua tesi matematica è che la chiralità
di un oggetto è definita solo in relazione a un sistema di coordinate già
orientato […]. A suo avviso, la chiralità di un oggetto non può essere
determinata indipendentemente dallo spazio geometrico a cui l’oggetto
appartiene».[38] Dunque, lo spazio geometrico interferisce con le cose, conferisce
forma alle cose. È quello che abbiamo chiamato carattere demiurgico dello spazio euclideo.
Kant evidentemente chiama
“assoluto” ciò che per noi sarebbe un riferimento relativo. Ancora Falkenburg: «Kant
sostiene che una chiralità definita, o orientamento, sia una proprietà “assoluta”
di un oggetto, che può essere spiegata solo in termini di una relazione con lo
spazio assoluto, inteso come una sorta di spazio di sfondo della geometria
fisica [physical geometry]. A suo
avviso, l’assolutezza di questa proprietà è dovuta alla nostra idea di spazio,
ovvero all’orientamento del nostro sistema di coordinate spaziali interno. La
sua affermazione cruciale è che la chiralità di un oggetto destrorso o
sinistrorso è una proprietà assoluta che deriva dalla sua relazione con lo
spazio assoluto».[39]
32. Ci pare di poter concludere, con una punta di delusione,
che lo spazio assolutoK altro non sia che lo spazio euclideo, cioè banalmente lo spazio dei geometri, che viene considerato come una entità reale ordinatrice, capace
addirittura di interferire con la forma dei corpi che ospita. La nostra
operazione interpretativa sembra comunque essere riuscita a dare un senso a
quanto scrive Kant in questa parte del suo saggio. Tuttavia questa soluzione
interpretativa non è del tutto indolore, perché abbiamo dovuto attribuire a
Kant una physical geometry davvero
primitiva. L’idea di uno spazio geometrico euclideo che è reale e che conferisce la forma destrorsa alle chiocciole o
determina la direzione di avvolgimento del luppolo, non può che apparire alquanto
ridicola, anche se confrontato con lo stato delle conoscenze del tempo. È pur vero
che i filosofi all’epoca dovevano occuparsi di un enorme ambito di cose. La
fama di Kant indubbiamente suscita sempre grandi aspettative nei suoi
confronti, che generano senz’altro qualche delusione quando lo vediamo cadere
in facili trabocchetti.
...=oOo=…
33. Ma torniamo al testo. Terminate le esemplificazioni, Kant
afferma: «Ciò che stiamo cercando di dimostrare, quindi, è la seguente affermazione.
Il fondamento della determinazione completa della forma di un corpo non dipende
semplicemente dalla relazione e dalla posizione delle parti tra loro; dipende
anche dal riferimento di quella forma fisica nei confronti dello spazio
assoluto universale, com’è concepito dai geometri. Questa relazione con lo
spazio assoluto, tuttavia, non può essere percepita immediatamente, sebbene le
differenze, che esistono tra i corpi e che dipendono esclusivamente da questo
solo fondamento, possano essere immediatamente percepite».[40]
La nostra interpretazione
sembra proprio stare in piedi. Qui l’accenno allo “spazio assoluto universale,
com’è concepito dai geometri” sembra alludere allo spazio euclideo. Il quale costituisce il “fondamento della
determinazione completa della forma di un corpo”. Per Kant l’aspetto centrale
della questione è decidere se lo spazio vada inteso solo come sistema di relazioni interne alle
singole estensioni (ogni corpo così sarebbe perfettamente autonomo), oppure se “la determinazione completa della forma di un
corpo” non dipenda anche da qualcosa di altro, qualcosa che sta fuori, qualcosa
di indipendente dalle parti del corpo stesso, e cioè dipenda dallo spazio
assoluto universale “come è concepito dai geometri”. Lo spazio assolutoK
universale è fatto di direzioni relative, le quali tuttavia determinano “assolutamente”
la forma dei corpi. La direzione ha
sempre qualcosa di locale e di relativo ma dipende comunque dal sistema di
riferimento. Lo spazio assoluto di Kant sarebbe dunque l’insieme di tutti i
sistemi di riferimento locali. Si spiega così come mai le differenze tra le
direzioni possono essere immediatamente percepite, ma non il fatto che ciò dipenda dalla relazione con lo spazio assolutoK.
34. Per i suoi risvolti metafisici, va notata l’espressione «Il
fondamento della determinazione completa della forma di un corpo», il quale
fondamento dipenderebbe proprio dallo spazio
assoluto universale. Lo spazio assoluto universale, che è poi lo spazio euclideo
relativo dei geometri, per Kant, sarebbe in grado di determinare completamente la forma di un corpo. Faccio osservare ancora
che, nel linguaggio di Kant dell’epoca, determinazione
significava causazione. Kant, nelle
opere precritiche, aveva trattato della ragione
determinante, che era una variazione della ragion sufficiente di Leibniz. In altre parole, si trattava di causalità.
Lo spazio assolutoK
(che è strutturato come uno spazio euclideo) è dunque ora concepito come una
entità reale che è causalmente efficace,
cioè è in grado di determinare completamente la forma di un corpo. Le spirali
delle chiocciole sono destrorse perché determinate
dal loro sistema di riferimento che – per loro – non cambia mai, costituisce
cioè – sempre per loro – un assoluto.
Ciascun corpo porta con sé un proprio riferimento a uno spazio che è, per esso,
un assoluto. Kant non sospetta
neppure che certe “direzioni” riscontrabili nei corpi (fisici, viventi o non
viventi) possano essere proprietà intrinseche. Aristotele avrebbe
tranquillamente sostenuto che la forma destrorsa delle chiocciole faceva parte
della loro essenza. La biologia contemporanea ammette che la chiralità dei
viventi sia inscritta nel DNA. A un chimico non viene in mente che la chiralità
molecolare sia causata dallo spazio
assolutoK.
35. Per il Kant del 1768, “assoluto” vuol dire determinante, mentre per Newton voleva
dire intangibile, indipendente, “sciolto” dalla materia. È appena il caso di rammentare
che, per definizione, lo spazio assolutoN, quello di Newton, non può
“fare” proprio alcuna cosa. Né “determinare” la forma di alcunché, nonostante
le acrobazie verbali di Kant. Lo spazio assolutoN non ordina un bel
niente: l’ordine (e il disordine) semmai appartiene
alle cose, non allo spazio. La convinzione che lo spazio assoluto (sebbene
riferito a ciascun corpo) sia un ordinatore
(tale da determinare il verso destrorso delle chiocciole o la crescita verso l’alto
dei fili d’erba) è solo folk philosophy.
Purtroppo di questa folk philosophy è
piena l’Estetica trascendentale. Lo
spazio assolutoK – anticipo quanto sarà mostrato in seguito – ha semplicemente
preso il posto del Dio orologiaio! In generale, si può osservare qui una nota
abbastanza costante del pensiero metafisico di tutti i tempi nell’inventare
delle improbabili entità che siano fonti di attività, e che possono poi
servire agli scopi più vari.
36. A questo punto Kant ritiene di introdurre una specie di dimostrazione, una specie di esperimento mentale che avrebbe dovuto costituire
un rafforzamento di quanto finora affermato. Una prova decisiva e conclusiva,
basata su una forma particolare di chiralità, quella dei cosiddetti opposti incongruenti. Afferma Kant: «Se
due figure tracciate su una superficie piana sono eguali e simili, allora
queste coincideranno l’una con l’altra. Ma la situazione è spesso interamente
differente quando abbiamo a che fare con l’estensione corporea, o anche con
linee e superfici che non siano collocate su un piano. Esse possono essere
uguali e simili, eppure essere ancora così differenti tra loro che i limiti
dell’una non possono essere i limiti dell’altra».[41] Alcuni esempi riportati sono
i filetti destrorsi e sinistrorsi di viti le quali, peraltro, siano
completamente uguali, oppure i triangoli sferici. Continua Kant: «Ma l’esempio
più comune e più chiaro è fornito dagli arti del corpo umano che sono collocati
in modo simmetrico relativamente al piano verticale del corpo. La mano destra è
uguale alla mano sinistra. E se uno considera una delle due in sé, esaminando
la proporzione e la posizione delle sue parti le une con le altre, e
considerando la grandezza del tutto, allora la descrizione completa dell’una
deve applicarsi in ogni aspetto all’altra».[42] Ci sono dunque cose (considerate
come) intrinsecamente uguali ma le
cui parti sono disposte direzionalmente nello spazio in modo tale che non
possono sovrapporsi. Questo vuol dire, per Kant, che lo spazio “assoluto” di
cui egli tratta è fisicamente reale e
ha effetti tangibili.
37. Kant giunge così alla sua definizione del fenomeno che intende usare come prova definitiva dell’esistenza
reale dello spazio assolutoK: «Chiamerò un corpo che è esattamente
uguale e simile a un altro, ma che non può essere racchiuso negli stessi limiti
di quell’altro, la sua controparte
incongruente. Ora, per dimostrare la possibilità di una cosa del genere,
prendiamo un corpo costituito non da due metà che sono disposte simmetricamente
relativamente a un singolo piano intersecante, ma piuttosto, diciamo, una mano umana. Da tutti i punti sulla sua
superficie, estendiamo delle linee perpendicolari a una superficie piana posta
di fronte ad essa; e estendiamo queste linee alla stessa distanza dietro la
superficie piana, come i punti sulla superficie della mano sono di fronte ad
essa; le estremità delle linee, così estese, costituiscono, quando collegate
insieme, la superficie di una forma corporea. Quella forma è la controparte
incongruente della prima. In altre parole, se la mano in questione è una mano
destra, allora la sua controparte è una mano sinistra. Il riflesso di un
oggetto in uno specchio si basa esattamente sugli stessi principi».[43]
Kant, nella sua
costruzione, ha praticamente prodotto una riflessione
in 3D di una mano umana, una banale operazione che si può ottenere oggi con
un programma di computer grafica e magari, più realisticamente, con una
stampante in 3D. Si noti che a Kant non viene neppure in mente che le due mani
potrebbero essere due oggetti completamente diversi, dotate di un gran numero
di proprietà differenti. Ancora una volta vediamo la physical geometry all’opera.
38. A questo punto Kant ritiene di avere fornito esempi a
sufficienza e si appresta a individuare le conseguenze filosofiche della sua
scoperta: «Lasciamo che ciò basti a spiegare la possibilità di spazi [cioè
estensioni ndr] che sono
perfettamente simili e uguali [per quanto riguarda le relazioni tra i punti
interni ndr] e tuttavia incongruenti.
Procediamo ora all’applicazione filosofica di questi concetti. È evidente, dall’esempio
ordinario delle due mani, che la forma di un corpo può essere perfettamente
simile alla forma dell’altro, e che le magnitudini delle loro estensioni
possono essere esattamente uguali, eppure rimane una differenza interna tra i
due; questa differenza consiste nel fatto che la superficie che racchiude l’uno
non può includere l’altro. Dato che la superficie che limita lo spazio fisico
dell’uno non può servire come confine per limitare l’altro, indipendentemente
da come quella superficie sia spostata e rigirata, ne consegue che la
differenza deve essere basata su un fondamento interno. Questo fondamento
interno tuttavia non può dipendere dalla differenza nella maniera in cui le
parti del corpo sono combinate le une con le altre».[44] In sostanza, sarebbe
questo un caso esemplare in cui le
direzioni nello spazio (delle due mani incongruenti) dipendono dallo spazio
assolutoK.
Per “fondamento interno”
qui Kant intende una caratteristica propria distintiva dell’oggetto (una proprietà della sostanza in senso
metafisico), la quale tuttavia dipende da
qualcos’altro e cioè la collocazione dell’oggetto rispetto allo spazio
assoluto dei geometri. Che poi sarebbe lo spazio euclideo. Sarebbe in altri
termini, l’elemento distintivo posseduto dalla destra rispetto alla sinistra, e
viceversa. Per capire la rilevanza filosofica di questa considerazione, è il
caso di pensare al fatto che, nella metafisica leibniziana, ogni sostanza o
monade possedeva internamente tutte le
sue proprietà e non potevano esserci influenze esterne capaci di modificarle.
Il compito di mettere in rapporto le sostanze tra loro spettava al Dio
orologiaio. Se pretendi di essere una sostanza epperò anche solo una delle tue proprietà dipende da
qualcosa di altro esterno (escludendo la dipendenza dal creatore), vuol dire
che non sei veramente una sostanza. Così Leibniz.
39. A questo punto Kant ritiene di avere tutti gli elementi per
introdurre il suo esperimento mentale
definitivo: «Ciò nondimeno, si immagini che la prima cosa creata sia stata una
mano umana. Questa avrebbe dovuto essere o una destra o una sinistra. L’azione
della causa creatrice nel produrne una avrebbe dovuto necessariamente essere
differente dall’azione della causa creatrice nel produrre la controparte».[45]
Continua Kant: «Supponiamo che si debba adottare il concetto sostenuto da molti
filosofi moderni, in particolare filosofi tedeschi, secondo cui lo spazio
consiste semplicemente nella relazione verso l’esterno [all’interno di ciascun
corpo ndr] delle parti di materia che
esistono l’una accanto all’altra. Ne conseguirebbe, nell’esempio che abbiamo
addotto, che tutto lo spazio effettivo [= attuale ndr] sarebbe semplicemente lo
spazio occupato da questa mano. Tuttavia, non c’è differenza nella
relazione delle parti della mano tra loro, e ciò vale sia si tratti di una mano
destra o di una mano sinistra; ne conseguirebbe quindi che la mano sarebbe
completamente indeterminata rispetto a tale proprietà. In altre parole, la mano
si adatterebbe ugualmente bene su entrambi i lati del corpo umano; ma ciò è
impossibile».[46] Come volevasi dimostrare. Una vera e propria reductio ad absurdum della concezione
relazionale dello spazio.
Si noti che, nella
argomentazione di Kant, la creazione della unica mano coinciderebbe con la
creazione del suo spazio e di nient’altro.
Se Kant fosse stato minimamente newtoniano, a questo proposito avrebbe dovuto
parlare prima della creazione dello spazio vuoto e poi della creazione della mano.
40. Dunque, per i filosofi tedeschi, che non credono allo
spazio assolutoK, la unica mano creata non sarebbe né destra né
sinistra, sarebbe una unica mano indeterminata. Kant riporta con precisione la
teoria dello spazio dei filosofi tedeschi: «[…] lo spazio consiste
semplicemente nella relazione esterna delle parti di materia che esistono l’una
accanto all’altra». La “relazione esterna” era la relazione che le monadi
intrattenevano tra loro grazie al Dio (ed era, si badi bene, di natura
concettuale, non materiale).
Lo scopo dello scritto
di Kant emerge finalmente con chiarezza. Qui è esplicita la critica alla
corrente leibniziana - wolffiana. Poiché Kant stesso, nelle sue opere
precedenti, aveva sostenuto la teoria
relazionale dello spazio, si trattava dunque anche di una pubblica autocritica. E probabilmente
sarà costata qualcosa al suo autore, almeno sul piano morale. È significativo
tuttavia per noi, sul piano storico, che le argomentazioni di Euler contro i
teorici delle monadi, fondate sulla meccanica newtoniana, non fossero state
accolte e che Kant avesse avuto bisogno di questa sua contorta prova geometrica, realizzata in concreto e intuitiva, come dice lui.
Si noti tuttavia ancora che
qui (siamo nel 1768) Kant è comunque fermamente convinto, come ogni persona di
buon senso, che le mani reali,
determinate (= causate) dallo spazio assolutoK, siano proprio due (la destra e la sinistra) e che una sola mano “in sé” indeterminata, come riterrebbero i
filosofi tedeschi, sia del tutto impossibile. Ebbene, possiamo fin da ora
anticipare che, piuttosto clamorosamente, Kant cambierà ben presto idea.
41. Veniamo ora alle conclusioni che Kant ritiene di dover
trarre dalla sua breve ma complessa argomentazione. Si tratta di conclusioni
che – col senno di poi – anticipano già con chiarezza il futuro cammino di Kant
verso l’idealismo trascendentale.
Così afferma: «Le nostre considerazioni chiariscono che le determinazioni dello
spazio non sono conseguenze delle posizioni delle parti della materia l’una
rispetto all’altra. Al contrario, queste ultime sono conseguenze delle prime.
Le nostre considerazioni, quindi, chiariscono che differenze, e vere
differenze, possono essere trovate nella costituzione dei corpi; queste
differenze si riferiscono esclusivamente allo spazio assoluto e originario,
perché è solo in virtù dello spazio
assoluto e originario che è
possibile la relazione delle cose fisiche tra loro. Infine, le nostre
considerazioni chiariscono il seguente punto: lo spazio assoluto non è un
oggetto di sensazione esterna; è piuttosto un concetto fondamentale che prima
di tutto rende possibile ogni tale sensazione esterna. Per questa ragione, c’è
solo un modo in cui possiamo percepire quanto, nella forma di un corpo,
riguarda esclusivamente un riferimento allo spazio puro, e ciò consiste nel
mettere un corpo in contrapposizione ad altri corpi».[47]
42. Questo brano è davvero significativo e lascia già
intravvedere la “rivoluzione” che Kant si appresta a compiere e che sarà poi
realizzata nella Dissertazione del
1770. Non sono le relazioni tra le parti a determinare lo spazio (cioè l’illusione spaziale – come anche Kant
aveva creduto) ma è lo spazio assolutoK che rende possibile (= determina)
le relazioni tra le parti e dunque in un certo senso conferisce effettiva consistenza alle cose, e dunque al mondo
sensibile. È il caso di notare che, in seguito alla prova degli opposti
incongruenti, Kant si guarda bene dal diventare newtoniano. Non aderisce
affatto allo spazio assolutoN. Una simile adesione avrebbe
costituito per lui una semplice svolta. Abbiamo invece qui un totale rovesciamento (un “capovolgimento”
avrebbe detto Marx) della posizione leibniziana. In altri termini, per il Kant
leibniziano, lo spazio era sempre stato un ordinato
da qualcos’altro, cioè un effetto
apparente delle relazioni tra sostanze e, in ultima analisi di Dio. Ora, dopo
il capovolgimento, lo spazio
assoluto, invece di diventare neutro, come lo spazio newtoniano, diventa esso
stesso l’ordinatore. Il
riconoscimento dello spazio assolutoK ha portato con sé una priorità dello spazio nell’assicurare la
configurazione ordinata del mondo sensibile. In altri termini ancora, il mondo
sensibile, per com’è ora considerato reale,
diventa una conseguenza della
attività ordinatrice dello spazio assolutoK. Una sua dipendenza. Come il Dio di Leibniz era l’ordinatore
delle monadi (e, indirettamente, il produttore dell’illusione spaziale) ora lo
spazio assolutoK, riconosciuto come reale, si appresta a
diventare l’ordinatore universale dei corpi che contiene. In tal modo lo
spazio assolutoK, invece di essere indipendente dai corpi per poter assicurare il funzionamento delle
leggi della meccanica, si mescola
intrinsecamente con i corpi per ordinarli. Nel guscio destrorso della
chiocciola c’è una direzione, c’è dunque un preciso intervento dello spazio
assolutoK, cioè dello spazio euclideo dei geometri. Qui si genera l’impasto
trascendentale tra l’ordinatore e le
cose ordinate. Qui sta il peccato originale della CRP.
43. Ma non basta. Si noti poi l’affermazione secondo cui “lo
spazio assoluto non è oggetto di sensazione esterna”. Questo significa in
pratica che lo spazio assolutoK, questo ordinatore straordinario, il
sistema di riferimento di tutti i sistemi di riferimento, non è esso stesso di natura sensibile.[48] Non è percepibile cioè
attraverso i sensi. Si tratta dunque di una entità davvero straordinaria. Riesce dunque a comandare la forma fisica
delle chiocciole, ma esso stesso non è di natura fisica. Si tratta allora
di definire cosa sia effettivamente.
Kant non si accontenta di una definizione operativa, vuole una risposta
metafisica. Spunta fin da ora, di sfuggita, la soluzione. Esso sarebbe
piuttosto allora “un concetto” che rende
possibile ogni sensazione esterna, proprio attraverso quella attività di
ordinamento. La convinzione di Kant è che, senza il concetto di spazio assolutoK,
l’intero mondo sensibile verrebbe
meno, sarebbe annichilito. Senza il “concetto” dello spazio assolutoK,
il mio cuore non starebbe a sinistra, la chiocciola non avrebbe la spirale
destrorsa, l’erba non saprebbe da che parte crescere. Kant usa qui di sfuggita
il termine “concetto”.[49] Non insiste e non spiega, ma la direzione di marcia
è già chiara: i concetti stanno da qualche parte. In quanto concepiti (= conceptus mentis), probabilmente stanno nella mente di qualcuno,
divino o umano che sia. Qui si anticipa chiaramente la questione che sarà posta
nella Dissertazione del 1770. Qui è
già contenuta, in nuce, l’Estetica trascendentale del 1781. E
tutto il resto.
44. Riportiamo qui le ultime righe conclusive di Kant: «Un
lettore riflessivo non respingerà, quindi, il concetto di spazio, così come è
concepito dagli studiosi di geometria e come è stato anche incorporato nel
sistema delle scienze naturali da filosofi penetranti, come un mero frutto dell’immaginazione,
sebbene il concetto non sia privo di difficoltà. Tali difficoltà si rivelano
quando si tenta, impiegando le idee della ragione, di comprendere la realtà
dello spazio, che è abbastanza intuitiva per il senso interno. Ma questa
difficoltà si presenta sempre quando si tenta di filosofare sui dati ultimi della
nostra cognizione. Tale difficoltà, tuttavia, non è mai così decisiva come la
difficoltà che sorge quando un concetto accettato ha implicazioni che
contraddicono la nostra esperienza più ovvia».[50]
Nessuna novità. Lo
spazio dei geometri e lo spazio fisico sono in fondo sempre la stessa cosa. La
metafisica kantiana unifica ciò che andrebbe invece tenuto distinto. Quindi, la
dimostrazione appena fornita, per Kant, è da egli stesso ritenuta schiacciante,
poiché fondata sulla «nostra esperienza più ovvia».[51] Quindi il concetto a
lungo accettato dai filosofi tedeschi (la teoria relazionale dello spazio) va
rigettato per le difficoltà che comporta. Tuttavia anche il nuovo concetto di
spazio – sottolinea Kant – non è privo di difficoltà. Questo perché lo spazio,
che è intuitivo per il senso interno, diventa difficile da comprendere quando
gli si vogliano applicare le «idee della ragione». Si prospetta dunque, in
questa conclusione, la futura divisione netta tra il Mondo sensibile e il Mondo
intelligibile. Insomma, la nuova metafisica dello spazio, che Kant qui
intravvede, si preannuncia come impresa piuttosto complicata.
45. Ha osservato Falkenburg: «L’argomentazione delle
controparti incongruenti convinse Kant del fatto che le fondazioni metafisiche della
sua cosmologia pre-critica erano basate su un concetto di spazio
inconsistente».[52] Col senno di poi, Kant si è trovato dunque costretto, in
seguito a una dimostrazione che oggi è, ai nostri occhi, palesemente errata, a rinunciare alla teoria relazionale dello
spazio. Che era la teoria grazie alla quale si era occupato, per decenni,
di metafisica e in particolare di cosmologia razionale. Tuttavia, la rinuncia
implicava molto altro, e cioè la definitiva invalidazione dell’intera filosofia
leibniziana wolffiana (la nozione di sostanza, il sistema delle monadi, la
ragion sufficiente, l’armonia prestabilita e quant’altro). Sul piano della
teoria dello spazio, Kant avrebbe potuto aderire allo spazio assolutoN,
ma si trattava di un cammino per lui impercorribile. Abbiamo già visto le
notevoli differenze tra i due spazi assoluti. Kant poi nutriva serie riserve
teologiche nei confronti della metafisica newtoniana del sensorium Dei che aveva conosciuto attraverso il Carteggio. In altri termini, aderendo
alla prospettiva di Newton o di Euler, avrebbe dovuto rinunciare alla
metafisica. Lo stesso dicasi se avesse aderito a qualche forma di empirismo
alla Locke o alla Hume. A questo punto, non gli restava che tentare di ricostruire un intero sistema metafisico
a partire proprio dal suo spazio assolutoK. Che egli erroneamente considerava
come una solida base di partenza. Un
punto fermo. Tuttavia in questa ricostruzione Kant non riuscirà mai a fare
piazza pulita dello stile, del linguaggio, dei concetti del sistema leibniziano
che ormai portava definitivamente con sé. Lo spazio assolutoK, alla
data del 1768, era poco più che un aggiustamento della teoria relazionale
leibniziana di fronte alla evidenza empirica male interpretata degli opposti
incongruenti.
...=oOo=…
46. La tappa degli opposti incongruenti fu dunque per Kant solo
il primo passo per progredire ulteriormente verso la sua definitiva metafisica
dello spazio. Noi non seguiremo tutta l’evoluzione della nozione dello spazio
in Kant dopo il 1768. Sarebbe eccessivo e peraltro inutile per i nostri scopi.
Ci limiteremo qui a esaminare, nell’opera kantiana successiva, i numerosi ritorni degli opposti incongruenti. Sarà
più che sufficiente, poiché questi sono assolutamente emblematici, come si
vedrà, degli sviluppi kantiani. Si tratta di ritorni che però assumeranno, per
Kant, significati alquanto diversi da quelli presenti nell’opera del 1768.
Abbiamo dei ritorni specifici nella Dissertazione
del 1770, nei Prolegomeni e nei Principi metafisici. Kemp-Smith ha ricostruito,
forse per primo,[53] gli sviluppi di Kant intorno alla questione degli opposti
incongruenti. Possiamo anticipare qui che il percorso sarà ancora davvero
straordinario e sorprendente.
47. Cosa succede nello sviluppo della nozione dello spazio di
Kant tra il 1768 e il 1770? Non possiamo affermarlo in dettaglio. Dobbiamo
inferirlo a partire dalle conclusioni del 1768 e dalle nuove idee esposte nel 1770.
Tra queste due date, abbiamo pochi documenti, peraltro assai citati e
compulsati dagli studiosi, che tuttavia non contribuiscono più di tanto a una
ricostruzione precisa degli sviluppi kantiani. Non entreremo dunque nel merito
di questa discussione. Possiamo anticipare che, rispetto al capovolgimento
operato nelle Direzioni dello spazio
del 1768, Kant nel 1770 realizzerà non solo un’altra svolta, bensì un altro ardito capovolgimento, che lo riporterà pressoché su posizioni leibniziane.
Ironia della sorte, sempre in tema di “direzioni”, due capovolgimenti riportano
al punto di partenza. Detto in estrema sintesi, mentre aveva concluso che,
nello spazio assolutoK, sussistevano
due mani, incongruenti e reali, rese possibili e determinate dallo spazio
assolutoK stesso, ora Kant sostiene apertamente che la mano vera in realtà è una sola. Sarà
proprio quella famosa mano indeterminata
del suo esperimento mentale a diventare la mano vera, cosa che allora aveva ritenuto
impossibile. Possiamo così dire, sempre in estrema sintesi, che Kant, nel giro
di un paio d’anni, dopo lo shock degli
opposti incongruenti, si è rapidamente ricollocato proprio tra quei filosofi
tedeschi che aveva poc’anzi bastonato.
48. Eppure le prove basate sulla «nostra esperienza più ovvia» che
aveva presentato due anni prima dovevano essere inconfutabili. Come la racconta
ora? Semplice: le due mani non ci sono
veramente. Il fatto che nello spazio di fronte a noi, nella nostra
esperienza, ci siano due mani uguali ma incongruenti è solo un effetto illusorio generato dalla nostra
intuizione sensibile. Per capire l’entità piuttosto sconcertante di questa
soluzione, si vada pure a riprendere gli esempi con cui Kant aveva “provato” l’esistenza
reale dello spazio assolutoK. Sembrava che tutto dipendesse dallo
spazio assolutoK e dalle direzioni:
fogli messi a rovescio che diventano leggibili o illeggibili, punti cardinali,
bussole, carte geografiche e mappe stellari utilizzabili solo grazie alle
direzioni nello spazio. Non solo, si considerino i caratteri distintivi
strutturali delle specie viventi: capelli che crescono solo in una direzione,
luppoli che si avvolgono in una direzione piuttosto che in un’altra e spirali
delle chiocciole. E poi, le differenze rispetto al corpo umano tra destra e
sinistra, con tutte le loro differenze e conseguenze. Infine, ancora, tutti gli
esempi di opposti incongruenti, dai triangoli sferici alla direzione della
filettatura delle viti e, finalmente, gli opposti incongruenti della mano
destra e sinistra. Ebbene, tutti quei fenomeni, relativi alle direzioni nello
spazio, che prima erano stati dati per reali,
considerati addirittura come prove inconfutabili
della realtà dello spazio assolutoK, sono ora confinati nel mondo delle apparenze. E tutto ciò sarebbe dovuto
alle distorsioni dell’intuizione.
49. Tranquilli. Kant non è impazzito. Almeno, non del tutto. Il
fatto è che, in questi due anni, ha fatto i conti con il sistema leibniziano
nel suo complesso ed è arrivato rimestarlo in maniera piuttosto radicale. È
arrivato alla conclusione prettamente metafisica
che ci sono due tipi di cose che non si
corrispondono tra loro: le cose come sono
(le cose in sé) e le cose come appaiono (i fenomeni). Questi due tipi di cose
popolano due Mondi diversi. Ora, accanto al Mondo sensibile (quello delle due
mani incongruenti apparenti), Kant pone (o, se vogliamo, recupera) un Mondo
intelligibile (che corrisponde alla mano
indeterminata, la sola vera mano che c’era – almeno per i filosofi tedeschi).
Noi che viviamo nel mondo sensibile, dentro a un corpo sensibile, siamo
costretti a stare con due mani uguali e incongruenti. La mano vera, la mano in sé, unica, noumenica, incondizionata, quella che esiste davvero, non è alla nostra
portata immediata, ed è conoscibile solo con accorgimenti particolari, con la
Ragione (o Intelletto che dir si voglia), oppure attraverso la geometria –
anche se nel sistema definitivo di Kant questa conoscenza non dovrebbe neppure
essere possibile. Se questo è vero, allora nella “grande luce” del 1769 non c’è
davvero nulla di nuovo: in generale Leibniz
la pensava così. Platone anche. Platone avrebbe potuto sostenere che l’idea iperuranica
della mano non è né destra, né sinistra. Quando poi il Demiurgo fabbrica le
mani, nel mondo sotto la luna, a causa della imperfezione della chora, finisce che queste si trovino ad avere
una direzione nello spazio. Ma si tratta di una pura accidentalità.
50. Possiamo immaginare un poco più in generale cosa sia
successo. La nuova visione di uno spazio assolutoK, indipendente dai corpi e, nello stesso
tempo, ahimè, ordinatore dei corpi,
ha scosso il monismo sostanzialistico
leibniziano di Kant. Lo spazio non era più concepibile come un effetto
illusorio della attività intellettuale o logica delle monadi, ma aveva ora una
sua propria realtà, poteva costituire
attorno a sé un vero e proprio Mondo. Il Mondo
unico leibniziano, costituito di una unica
sostanza di carattere logico, capace anche di generare l’illusione spaziale
e temporale del mondo sensibile, doveva essere profondamente emendato. La conseguenza
finale, come spiega Kant nel 1770, sarà che non c’è un solo Mondo, come credeva
Leibniz, ma ci sono in effetti due Mondi.
Si trattava, in pratica, ahimè, di un
ritorno alla prospettiva dualistica
cartesiana, contro la quale aveva combattuto lo stesso Leibniz. Da un lato, avremo
un mondo degli intelletti, puri spiriti
cogitanti, e, dall’altro, un mondo della
mera sensibilità. Tornava tuttavia così a presentarsi la problematica
metafisica delle differenze radicali
tra due mondi separati e il problema della loro reciproca connessione. Cartesio
non aveva granché risolto il problema del collegamento tra res cogitans e res extensa.
Gli occasionalisti, che avevano preso
Cartesio sul serio, avevano dovuto ricorrere a un puntuale e assiduo intervento divino per mettere in
comunicazione le due sole sostanze separate che erano rimaste.[54]
Kant dunque, veniva a
trovarsi nel bel mezzo di un dilemma. I due Mondi dovevano essere separati, ma
dovevano anche essere connessi. Il ricorso a un intervento divino poteva essere
considerato come una soluzione già consumata. Newton e Berkeley – da punti di
vista davvero opposti – ci avevano già provato. Eppure i due Mondi dovevano
essere tenuti rigorosamente distinti, se si voleva salvare qualcosa della
metafisica. La soluzione di Kant sarà quella di stabilire una gerarchia tra i due Mondi. Solo uno dei
due tuttavia poteva essere il mondo reale, il mondo vero, l’altro doveva essere
un mondo subordinato, di carattere illusorio.
51. Non intendo entrare nel merito Dissertazione del 1770, tuttavia qui può essere utile qualche divagazione
in più sul ragionamento generale che Kant vi conduce. A proposito dello spazio,
Kant ripropone la sua vecchia concezione, risalente alla cosmologia razionale di Wolff e Baumgarten, dello spazio come forma di un Mondo. Kant spiega che ogni
Mondo deve sempre avere una materia e
una forma. Nel caso di un solo Mondo,
lo schema era chiaro: la materia erano le monadi, la forma ordinatrice era Dio
o chi per lui. La sensibilità era solo una conseguenza illusoria. Ma ora i
mondi erano diventati due e la novità era costituita dal mondo sensibile, cui
andava riconosciuta una rigorosa autonomia e separazione.
Il mondo intelligibile continuerà allora a funzionare come un piccolo
mondo leibniziano, in forma ridotta, un mondo dimezzato, con monadi spirituali
sotto la regia di Dio. La descrizione di questo mondo troverà la sua faticosa
definizione nella CRP, attraverso le categorie
e l’appercezione trascendentale. Per
i nostri scopi, possiamo qui tralasciarlo. Nel mondo sensibile, invece, la materia è costituita dalle sostanze
(corpi, monadi, cose in sé); la forma è il principio
ordinatore della materia, cioè il principio che mette in relazione le sostanze tra loro, ossia il principio che
assicura la armonia prestabilita di
quel Mondo. Kant dichiara a questo punto che la forma del mondo sensibile è costituita, insieme, dallo spazio e dal tempo. Con linguaggio perfettamente leibniziano, lo spazio, che da ordinato è divenuto un ordinatore, organizza la coesistenza delle sostanze, mentre il
tempo organizza la loro successione.[55]
Spazio e tempo kantiani dunque diventano gli ordinatori del Mondo sensibile (svolgendo ora proprio quel ruolo
che in Leibniz spettava alla monade divina). Le cose in sé sono prive di ordine spazio temporale e, nel Mondo
sensibile, acquisiscono l’ordine grazie al principio formale. Gli ordinatori
non sono concetti intellettuali
(anche se talvolta Kant li chiama così) ma sono intuizioni pure. Nel Mondo sensibile ci possono essere solo
intuizioni spazio temporali o intuizioni empiriche. Queste intuizioni sono
collocate dentro a una facoltà dell’animus
(Gemüt). Ne deriva così l’idealismo trascendentale: poiché il
Mondo sensibile è ordinato da forme che sono soggettive, allora questo stesso
mondo ordinato non può che risiedere dentro
il soggetto umano. Noi non conosciamo sensibilmente la cosa in sé,
conosciamo solo la cosa per noi che è
una rappresentazione.
52. Posso capire le perplessità del lettore non avvezzo alle
elucubrazioni metafisiche kantiane. È il caso allora di tornare un po’ ai testi
e andare a vedere in dettaglio cosa ha effettivamente detto Kant a nel 1770, a partire
dalla questione degli opposti incongruenti. Intanto, in generale, Kant nella Dissertazione del 1770 enuncia quella
che sarà la sua posizione, poi definitiva, circa lo spazio. Nel § 15.D Kant
afferma che: «Lo spazio non è qualcosa di
oggettivo e reale, né sostanza, né accidente, né relazione, ma è come uno
schema soggettivo e ideale che si
origina dalla natura della mente secondo una legge stabile di coordinazione di
tutte, senza eccezione, le cose sentite esternamente».[56] Ben lungi dall’essere
indipendente dai corpi, lo spazio assolutoK ha perso completamente la
sua realtà oggettiva rispetto al 1768, ed è diventato ora soggettivo e ideale e,
per di più, svolge ora la funzione attiva
di ordinatore delle cose percepite
con i sensi (cioè dei fenomeni).
A proposito degli
incongruenti, Kant intanto afferma: «Cose che in uno spazio dato giacciano in
un verso, cose che siano rivolte in un altro non possono, pur con tutta l’acutezza
della mente, essere descritte discorsivamente, vale a dire ricondotte a note
intellettuali».[57] Insomma, gli opposti incongruenti, che prima erano stati
dati per reali, sono ora imbarazzanti,
costituiscono un vero e proprio scandalo per l’Intelletto. Di conseguenza: «[…]
poiché in solidi perfettamente simili ed uguali, ma non congruenti […] vi è una
diversità per la quale è impossibile che i termini dell’estensione coincidano,
sebbene possano essere sostituiti l’uno all’altro in tutto ciò che è possibile
esprimere a parole per mezzo di note intelligibili alla mente, risulta che qui
non si può riscontrare diversità o incongruenza se non mediante una qualche
intuizione pura».[58] In altri termini, se c’è l’incongruenza (che Kant non
nega) allora ciò non può essere che un effetto / difetto dell’intuizione pura. Non un errore dovuto magari a cause accidentali, ma un limite
strutturale dell’intuizione pura,
cioè dell’uso che facciamo dello spazio (e del tempo). Da notare che, parlando
di “solidi perfettamente simili ed uguali”, Kant esplicita ancora la sua
persistente confusione tra geometria e fisica. Il ricorso ai solidi e alla
geometria si spiega col fatto che geometricamente è più facile convincere i
lettori che due solidi, pur incongruenti, siano geometricamente eguali. Se avesse citato la mano destra e la mano
sinistra qualcuno avrebbe potuto eccepire che si trattasse di due cose diverse.
53. Kant, detto altrimenti, sostiene che, nei termini della
conoscenza discorsiva/ intellettuale (che, in questo periodo, Kant considera
ancora capace di conoscere effettivamente
la realtà noumenica), le figure e i corpi che (nello spazio) ci appaiono
incongruenti sono in realtà (nel
noumeno) congruenti, come devono essere. Ci appaiono come
incongruenti solo grazie a qualche “intuizione pura”, cioè per colpa della
nostra intuizione dello spazio e del tempo. Le direzioni nello spazio e gli opposti
incongruenti sono ora considerati come un difetto necessario del Mondo
sensibile. Una solida gerarchia tra i
Mondi e le rispettive facoltà ordinatrici è stata dunque istituita. Tra il 1768
e il 1770, il Mondo sensibile è praticamente divenuto il mondo dell’apparenza, mentre il Mondo intelligibile ha mantenuto la
connotazione del mondo vero, quello
che permette di conoscere le cose come
sono in sé. Altrimenti la metafisica non avrebbe avuto più niente da fare. Non
facciamo alcuna fatica qui a riconoscere sempre il fantasma di Leibniz, seppure
sotto nuove spoglie. Il vecchio leibniziano Kant ha dovuto riconoscere – sulla
base della questione dello spazio – che i mondi sono due. Ma uno dei due è un mondo minore, governato dalla
soggettività della intuizione.
54. Si dovrà allora – conclude Kant più in generale alla fine
della Dissertazione – tenere conto di
queste notevoli differenze tra i due Mondi, anche nei futuri sviluppi della
metafisica. Così Kant sostiene, con ampi argomenti, che tuttavia qui possiamo tralasciare
in quanto esulano dai nostri scopi. Qui Kant comincia tuttavia quel percorso
che lo porterà a definire con pignoleria scolastica anche i limiti e le
possibilità della Ragione. La fisica di Newton, dunque, studia solo le
apparenze, le misura accuratamente, calcola masse, forze, velocità, ma non può
giungere mai alla conoscenza discorsiva
della cosa in sé.[59] Questo si può fare solo con l’Intelletto (o la Ragione –
Kant nel 1770 non distingueva ancora tra le due facoltà). Il lettore si sarà
accorto che – parallelamente alla costruzione della nozione dello spazio
kantiano – abbiamo la progressiva
costruzione della cosa in sé. Da noumeno
pensabile e conoscibile grazie alla Ragione (o Intelletto) diverrà, nel sistema
definitivo, conoscibile dall’Intelletto ma solo entro i limiti posti dalla
sensibilità. L’intuizione sensibile, che pure è un ordinatore, ha un effetto distorsivo
sulla cosa in sé. Tuttavia è il solo canale disponibile. Toccherà alle
categorie dell’Intelletto di conferire l’ordine necessario ai percetti spazio
temporali distorti. La sensibilità dice che siamo immobili, mentre l’Intelletto
dice che siamo in moto relativo, la Terra ci sembra piatta, ma l’intelletto ci
dice che è sferica, e così via. Così gli incongruenti ci illudono di avere due
mani quando la mano è una sola. La sensibilità deve essere costantemente
corretta.
Commenta Kemp-Smith: «Ora,
è significativo che quando Kant espone questa visione nella Dissertazione del 1770, l’argomento
basato sulle controparti incongruenti non venga più impiegato per stabilire il
carattere assoluto e precondizionante dello spazio, ma solo per dimostrare che
si tratta di un’intuizione pura e non concettuale».[60] E ciò, per noi, prova
ulteriormente – se ce ne fosse ancor bisogno – che lo spazio assolutoK
non ha nulla a che fare con lo spazio assolutoN. Kant può essere
considerato senz’altro come il più grande continuatore di Leibniz.
...=oOo=…
55. Possiamo ora dedicarci al terzo impiego della
argomentazione degli opposti incongruenti, che è collocata nei Prolegomeni del 1783. Siccome non c’è
più niente da capovolgere, allora l’argomentazione degli incongruenti viene
usata per una chiarificazione della portata
idealistica della nuova prospettiva adottata da Kant. Spiega Kemp-Smith: «Non
vi è alcun accenno a questo argomento [gli opposti incongruenti ndr] nella prima edizione [del 1781 ndr] della Critica, e quando riappare nei Prolegomeni
esso viene interpretato alla luce di una premessa aggiuntiva, e viene portato a
una conclusione molto diversa da quella tratta nella Dissertazione, e direttamente opposta a quella tratta nel 1768.
Invece di essere impiegato per stabilire il carattere intuitivo dello spazio o
la sua esistenza assoluta, viene citato come prova della sua soggettività. Come
nel 1768, [il fatto degli incongruenti ndr]
viene considerato come strano e paradossale, e vengono utilizzate molte delle esemplificazioni
precedenti. Il paradosso consiste nel fatto che corpi e figure sferiche,
concettualmente considerati, possono essere assolutamente identici, e tuttavia
per l’intuizione rimangono diversi».[61] Da sottolineare “essere assolutamente
identici”. Kant in merito non ha dubbi.
56. Ma andiamo direttamente al testo. Kant ha appena esposto in
termini divulgativi il nucleo della sua teoria dello spazio e del tempo,[62]
per cui questi sarebbero forme pure dell’intuizione
sensibile, sarebbero dunque ideali e soggettivi. Dice Kant, in modo assai
colloquiale, nel § 13 dei Prolegomeni:
«Coloro i quali non possono liberarsi dal concetto che lo spazio e il tempo
siano proprietà reali inerenti alle cose in sé possono esercitare il loro acume
intorno al paradosso seguente: quando ne avranno cercato inutilmente la
soluzione potranno, liberi almeno per un momento da preconcetti, sospettare che
forse la riduzione dello spazio e del tempo a semplici forme della intuizione
sensibile possa avere qualche fondamento».[63] Gli opposti incongruenti sembrano
assumere qui il ruolo di esercizi
spirituali che possano scuotere gli induriti e convertire gli increduli. Esercizi zen utili ad allontanare gli
spiriti dalla vil materia sensibile.
57. Spiega Kant, fornendo nuovamente al lettore quella che
ormai era diventata, fin dal 1770, la sua netta e ferma convinzione e cioè che gli incongruenti sono in realtà uguali.
La chiralità è dunque irrazionale, se
c’è, è solo apparente: «Quando due cose sono perfettamente uguali in tutte le
parti, che è possibile conoscere isolatamente in sé, e cioè in tutte le
determinazioni di grandezza e di qualità, ne dovrebbe seguire che l’una possa
venir messa, in tutti i casi e in tutti i rapporti, al posto dell’altra, senza
che questo scambio possa menomamente essere avvertito».[64] Segue la
presentazione di parte della solita casistica che conosciamo già e prosegue: «[…]
qui abbiamo una differenza interiore […] che tuttavia nessun intelletto riesce
a rivelarci come tale e che si manifesta soltanto per i rapporti esteriori
nello spazio».[65] Lo spazio interferisce sulle cose come sarebbero se “prese separatamente” e dunque abbiamo lo sconcio
degli incongruenti.
58. Prosegue ancora Kant: «Che cosa vuol dire questo? Questi
oggetti [gli incongruenti ndr] non
sono rappresentazioni delle cose come sono in se stesse e come le conoscerebbe
l’intelletto puro, ma sono intuizioni sensibili, cioè fenomeni, la cui
possibilità riposa sul rapporto tra certe cose a noi ignote con qualche cosa d’altro,
cioè con la nostra sensibilità».[66] Faccio notare, per intanto, una notevole “incongruenza”
kantiana ricorrente: Kant ritiene ormai che le cose in sé siano a noi ignote,
ma poi pretende di sapere con certezza che gli incongruenti siano in realtà uguali, proprio “come li
conoscerebbe l’intelletto puro”. Forse ritiene di godere di qualche entratura
speciale nel mondo degli spiriti. Forse è la geometria a certificare l’eguaglianza
autentica (in sé) degli incongruenti. Ma sappiamo, dallo stesso Kant, che la
geometria si basa proprio sulla forma dello spazio, la quale invece sarebbe,
colpevolmente, all’origine degli incongruenti stessi. Il rigore kantiano, come
ognun vede, lascia alquanto a desiderare.
59. A questo punto, Kant si infila in una spiegazione un po’
contorta ma per noi assai rilevante: «Ora in questa [la sensibilità ndr] lo spazio è la forma dell’intuizione
esterna e la determinazione interiore di ogni singolo spazio è possibile solo
per la determinazione del suo rapporto esteriore con l’intero spazio di cui
quello è parte […], ossia la parte è possibile soltanto per il tutto, cosa che
non accade per le cose in sé come oggetti dell’intelletto puro, ma accade bensì
per i semplici fenomeni. Per questo accade che noi non possiamo rendere intelligibile
per alcun concetto la differenza di oggetti simili ed uguali, ma incongruenti
[…], bensì solo per il loro rapporto con la destra e la sinistra, ciò che
costituisce un richiamo immediato all’intuizione».[67]
Il passaggio chiave è
quello per cui, nella intuizione sensibile dello spazio, “la parte è possibile
soltanto per il tutto”, mentre questo rapporto non vale per le cose in sé come
sono conosciute dall’intelletto puro.[68] Dunque l’Intelletto puro conosce le sostanze o cose in sé, ciascuna per quella che è, nelle sue caratteristiche
specifiche.[69] Invece, nello spazio (che è dominato dalla intuizione) la parte
si può conoscere solo in riferimento al tutto. Dunque viene qui spiegato il
motivo per cui, nella intuizione spaziale e solo in quella, nelle direzioni
nello spazio, c’è bisogno di uno spazio assolutoK che faccia da
riferimento. Ma questo spazio assolutoK, ora è chiaro, non è nulla
di reale, bensì è soltanto ideale e soggettivo. E per di più nasconde o stravolge
la verità della cosa in sé.
Dunque, Kant spiega finalmente
anche, retrospettivamente, perché nelle Direzioni
nello spazio del 1768 aveva creduto quel che aveva creduto. Il motivo è che
“la determinazione interiore di ogni singolo spazio è possibile solo per la
determinazione del suo rapporto esteriore con l’intero spazio di cui quello è
parte”. Che stupidi a non averci pensato prima! Nell’intuizione, la parte è possibile solo in rapporto al
tutto. Dunque l’intuizione è sempre
limitativa, strutturalmente parziale, bisognosa di un riferimento alla totalità.[70] La chiocciola, in realtà, in sé, non
è destrorsa né sinistrorsa. Se la chiocciola fosse uno spirito autocosciente si
percepirebbe come dotata di una spirale dal verso indeterminato. Ma, precipitata
nel Mondo sensibile, per sapere da che parte è girata, deve rivolgersi alla totalità dello spazio
assolutoK, che poi è lo spazio euclideo che ora abita nel nostro animus. Il quale provvede a costituirla, come intuizione fenomenica particolare,
in modalità destrorsa. La conoscenza vera è quella intellettiva, che ci fa
cogliere la sostanza direttamente, senza alcuna dipendenza da altro.[71]
...=oOo=…
60. La nozione dello spazio elaborata nella Dissertazione, nella Estetica trascendentale del 1781 e poi nei
Prolegomeni avrà in Kant un
accomodamento definitivo. L’argomento degli opposti incongruenti è stato in
seguito riproposto anche nel suo lavoro sui Principi
metafisici della scienza della natura.[72] Quest’opera kantiana,
decisamente poco conosciuta e alquanto vituperata, è stata pubblicata nel 1786,
appena un anno prima della seconda definitiva edizione della CRP. E, si noti,
ben 16 anni dopo la Dissertazione. Si
tratta di un’opera assai ambiziosa, nella quale Kant cercava di elaborare una metafisica della natura che avrebbe
dovuto finalmente fondare
filosoficamente i risultati volgari della fisica newtoniana. Doveva esser parte
di un progetto più ampio ma Kant si limita qui alla meccanica. Qui Kant,
oltretutto, riprende anche lo stile deduttivo da cosmologia razionale (assolutamente anti sperimentale) che aveva
usato nelle prime opere, come ad esempio la Monadologia
fisica. Possiamo osservare che la mania dei filosofi tedeschi di voler
fondare razionalmente la conoscenza
scientifica (o di volerla dichiarare come infondata – il che è lo stesso)
continuerà fino a metà Novecento e oltre.
61. Nei Principi
metafisici si trova quanto segue: «Altrove ho mostrato che questa
differenza [gli opposti incongruenti ndr],
dato che si può dare nell’intuizione ma non si lascia ricondurre a concetti
distinti, cioè non si lascia definire mediante l’intelletto (dari, non intelligi), fornisce un buon
fondamento dimostrativo per la seguente proposizione: che lo spazio in generale
non appartiene alle proprietà o ai rapporti delle cose in se stesse, i quali necessariamente dovrebbero lasciarsi
ridurre a concetti oggettivi, ma solo alla forma soggettiva della nostra
intuizione sensibile di cose o rapporti, i quali, in quel che possono essere in
sé, ci restano del tutto ignoti».[73] Ci risiamo! Siccome lo spazio assolutoK
produce effetti intellettualmente incoerenti (cioè gli opposti
incongruenti) allora lo spazio non può essere una caratteristica reale della
cosa in sé. Le cose in sé, beate loro, stanno
senza spazio.[74] Le cose in sé stanno senza alcuna posizione e direzione nello
spazio. Si ripensi a tutta la casistica presentata da Kant nelle Direzioni nello spazio, casistica che
ora Kant ritiene appartenere a un mondo illusorio. Praticamente tutta la
natura, cosmo compreso, vanno soggetti alle nostre distorsioni spaziali
illusive.
62. Dunque (siamo nel 1786!) la cosa in sé è ancora, per Kant, tutt’altro che un insieme caotico di percetti che sono
ordinabili solo dallo spazio e dal tempo – come egli racconta piacevolmente
nell’Estetica trascendentale A e B.
La cosa in sé è la verità autentica
delle cose e sarebbe perfettamente intelligibile e concettualizzabile se non
avessimo a che fare col collo di bottiglia della intuizione sensibile, dello
spazio e del tempo, che presenta limiti insuperabili, struttura e stravolge le
cose. Kant – a differenza di Newton – è convinto che Dio conosca la cosa in sé senza ricorrere allo spazio e al tempo.
Solo l’Intelletto, quello umano, dunque, ha il compito impegnativo di andare
oltre le distorsioni dovute alla sensibilità. Abbiamo due mani, ma non è il
caso di crederci troppo. I principi
sintetici dell’Intelletto puro della CRP costituiscono la modalità
possibile per emendare l’intuizione spazio temporale dai suoi errori e dalle
sue illusioni. Nella seconda edizione della CRP, Kant in effetti farà di tutto
per mettere la sensibilità sotto la stretta tutela dell’Intelletto. Del resto,
nella successiva Critica della ragion
pratica, la cosa in sé diventerà
perfettamente accessibile. In fondo, quando Kant decreta che, nel mondo
noumenico, la mano è in realtà una sola, egli fa uso dello stesso modello di
metafisica o ontologia che presiederà poi all’imperativo categorico.
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63. Se consideriamo la questione degli opposti incongruenti appena
più in generale, possiamo concludere che l’argomento di Kant è, come in altri
casi, del tutto circolare. Si dà per
scontato (senza alcuna prova fondata o con prove solo supposte tali) che le due
mani, destra e sinistra, siano la stessa
mano “nel concetto”. Siano cioè indiscernibili.
Se ci troviamo invece in un Mondo dove due cose, che sono certamente uguali nel concetto, sono però incongruenti, allora vuol
dire che questo mondo deve essere un po’ farlocco. Ma vuol soprattutto dire che
non ha nulla di veramente oggettivo (non è cosa
in sé) e che la sua realtà debole
riposa in una facoltà limitata del nostro animus
che è l’intuizione. La mano è una sola ma, se ne intuiamo due, vuol dire che
siamo portati a questa conclusione dalla nostra fuorviante sensibilità
intuitiva. E questa cosa possiamo capirla solo grazie alla filosofia trascendentale. Ma c’è di più: dove abita questo
costrutto fantastico che ci mostra cose che non ci sono, che stravolge le cose
come sono in sé? Non può abitare nel mondo vero.
Non può che abitare dentro di noi, ma
deve stare nel sottoscala. Dentro di noi, nel sottoscala profondo, sta la
facoltà intuitiva, con tutti i suoi prodotti eventualmente fasulli come le
direzioni nello spazio. Cartesio avrebbe senz’altro fatto ricorso al suo malin génie.
64. A questo punto, diventa legittima una domanda: come è
possibile che al tempo di Kant molti si siano bevuti – detto con tutto il grande
rispetto che ho per Kant – simili favolette? Che Kant sia diventato comunque
una celebrità indiscussa? La storia della filosofia deve anche occuparsi di
problemi come questi. La questione è di tal portata che meriterebbe un altro
saggio. Qui mi limiterò a poche considerazioni. Ebbene, avrebbe potuto
argomentare Kant, la nostra sensibilità intuitiva ci dice che stiamo fermi
sulla superficie della Terra. In realtà, per
via concettuale, grazie alle verità della meccanica, sappiamo che ci stiamo
muovendo velocissimi intorno al sole, seguendo un’orbita ellittica. Come dargli
torto? La fisica dice che la terra si muove, anche se non ce ne accorgiamo. Lo
stesso vale per la terra, che ci appare piatta, ma sappiamo che è sferica. Ebbene,
la metafisica può ben dire che in realtà c’è una mano sola, anche se
intuitivamente ci sembra di averne due. Cosa c’è di strano? Dopotutto, la rivoluzione copernicana è stata citata esplicitamente
dallo stesso Kant. Se la rivoluzione copernicana aveva funzionato in
astronomia, perché non avrebbe dovuto funzionare anche in metafisica?[75]
Qui però comincia, a
nostro avviso, nella filosofia occidentale moderna, una strana cosa che si può
chiamare – in analogia con la critica cinematografica – sospensione della incredulità. Per poter seguire un film, lo
spettatore deve dimenticare di essere in una sala, deve immergersi nelle
vicende e mettere da parte ogni riserva
critica. Fantasmi che attraversano corpi solidi, mostri alieni, teletrasporti,
uomini che volano, superpoteri, astronavi che viaggiano con un motore a
curvatura. Ebbene, i discepoli di Kant, fondatore peraltro della filosofia critica per eccellenza, continueranno a
chiedere, ai loro seguaci, forme di
sospensione dell’incredulità sempre più audaci, improbabili e azzardate.
Schiere di crédule metafisici hanno
alimentato secoli di filosofia continentale, pensando magari anche di star
facendo della critica raffinata.
Ho già detto che,
secondo me, Kant è stato il più grande continuatore di Leibniz. E così dovremmo
cominciare a considerarlo nella storia della filosofia. Non si tratta di un
insulto, ma di una considerazione oggettiva. Leibniz ha senz’altro dato grandi
contributi al pensiero umano, ma la sua metafisica è insostenibile. Non c’è
niente di male a prenderne atto. Platone non è per niente diminuito solo per il
fatto che la sua metafisica è oggi insostenibile. Certo, le teorie sono falsificabili
solo fino a prova contraria. Può ben darsi
che nuove acquisizioni rendano attuali la monadologia, l’armonia prestabilita,
le sostanze e tutto il resto. Recentemente, Federico Faggin[76] sta cercando di
costruire una metafisica assai simile a quella di Leibniz, a partire dalla meccanica quantistica. La sua teoria sul
piano narrativo è affascinante, ma le prove per ora non ci sono. Certe cose che
dice starebbero bene in un libretto simile al kantiano Sogni di un visionario confrontati con i sogni della metafisica.
Restiamo in attesa di futuri sviluppi.
65. Se guardiamo invece la questione, peraltro minimale, degli
opposti incongruenti in una prospettiva
storiografica più ampia, possiamo renderci conto facilmente del ruolo
svolto dall’idealismo trascendentale kantiano
nello screditamento della conoscenza
sensibile e nel rifiuto della scienza
e della tecnica che saranno tipici della filosofia continentale tedesca e
franco –tedesca successiva. Inizia proprio qui, da questo imbarazzante stile e
metodo kantiano, la costante pretesa, tutta tedesca, di mettere le braghe
metafisiche alla fisica e a tutti gli sviluppi empirici e sperimentali della
scienza moderna. Ciò si vedrà con chiarezza nel successivo romanticismo e nell’idealismo
tedesco. Si potrebbero citare le innumerevoli sciocchezze sviluppate nell’ambito
della cosiddetta filosofia della natura
e del cosiddetto vitalismo.
66. Ciò è accaduto anche per il fatto che la filosofia è stata
progressivamente istituzionalizzata. E le istituzioni tendono a trasmettere se
stesse in forma per lo più acritica. La scienza moderna è la sola istituzione
che si trasmette in forma critica – e nonostante ciò anch’essa ha perpetuato
errori oltre il necessario. Kant ha ottenuto la cattedra di filosofia (logica e
metafisica) nel 1770 sostenendo che la destra e la sinistra in realtà sono una
mano sola, mentre il grande Hegel l’ha invece ottenuta, nel 1801, con una
ridicola tesi anti newtoniana su Le
orbite dei pianeti.[77] Possiamo aggiungere che la ambiziosissima Scienza della logica hegeliana non è oggi
neppur citata nei manuali di logica. Del resto conteneva in realtà la
metafisica di Hegel, ripresa proprio da Kant. È arcinoto poi il tentativo di
Goethe, nello stesso periodo, di confutare l’ottica newtoniana con la sua Teoria dei colori. E ancora, il testo
noto come Idee per una filosofia della
natura di Schelling è una collezione di teorie parascientifiche del tutto
infondate. Schelling è stato uno dei precursori
della pseudoscienza. Non mi si venga a dire che si tratta di sviluppi
casuali.
67. Tanto per dare a ciascuno quello che merita, dello stesso
stampo sono la Dialettica della natura
di Engels e le relative vicende del diamat,
per non citare il sedicente “metodo scientifico” de Il capitale di Marx. Quanto a trasmissione istituzionale anche il
marxismo ne sa qualcosa. Possiamo collocare poi, nella stessa schiera, autori oggi
assai popolari come Kierkegaard, Schopenhauer e Nietzsche, ma anche la pretesa,
certo non tanto umile, da parte di Husserl, di porre rimedio a una fantomatica crisi delle scienze europee attraverso
una fondazione fenomenologica.
Abbiamo poi il delirio contro la scienza e la tecnica di Heidegger e, sempre
per non far torto a nessuno, di quei simpaticoni della Scuola di Francoforte. Sono
solo esempi, citati, più o meno a caso, sul filo della memoria. Non mi spingo
oltre. La filosofia continentale comunque ci sta dentro tutta.
Giuseppe Rinaldi (4/06/2025)
ABBREVIAZIONI
Carteggio = Leibniz & Clarke
1967
CRP
= Critica della ragion Pura A e B
Delucidazione = Kant 1982b
Direzioni nello spazio = Del primo fondamento della distinzione delle direzioni nello spazio
(Kant 1982a e Kant 1992)
Dissertazione del 1770 = Kant 1995
Monadologia fisica = 1982c
Principi metafisici = Kant 2003
Principia = Newton 1965
Prolegomeni = Kant 1995a
OPERE CITATE
1981 Buroker, Jill Vance, Space
and Incongruence. The Origins of Kant’s Idealism, Reidel Publishing
Company, Dordrecht, Holland.
1939
de Vleeschauwer, Herman Jan, L’Évolution
de fa pensée Kantienne, Presses Universitaires de France, Paris. Tr. inglese:
The Development of Kantian Thought,
Thomas Nelson and Sons, London, 1962.
1750
Euler, Leonhard, “Reflexions sur l’espace et le temps”, in Mémoires de l’Académie des Sciences et des Belles - Lettres de Berlin,
n. 4, p 324 - 333. [1748]
2007 Eulero, Lettere
a una principessa tedesca (2 voll.). A cura di Gianfranco Cantelli, Bollati
Boringhieri, Torino. [1768]
2022 Faggin, Federico, Irriducibile. La coscienza, la vita, i computer e la nostra natura,
Mondadori, Milano.
2020
Falkenburg, Brigitte, Kant’s Cosmology.
From the Pre-Critical System to the Antinomy of Pure Reason, Springer
Verlag.
1979 Ginzburg, Carlo, “Spie. Radici di un
paradigma indiziario”, in Gargani, Aldo (a cura di), Crisi della ragione. Nuovi modelli nel rapporto tra sapere e attività
umane, Einaudi, Torino.
1984 Hegel, Georg Wilhelm Friedrich, Le orbite dei pianeti. A cura di Antimo
Negri, Laterza, Bari. [1801]
1954
Jammer, Max, Concepts of Space. The
History of Theories of Space in Phisics, Harvard University Press,
Cambridge. Tr.
it.: Storia del concetto di spazio,
Feltrinelli, Milano, 1963.
1982 Kant, Immanuel, La forma e i principi del mondo sensibile e intelligibile, in
Carabellese, Pantaleo & Assunto, Rosario & Hohenemser, Rolf (a cura
di), Kant. Scritti precritici,
Laterza, Bari. [1770]
1982a Kant, Immanuel, “Del primo fondamento
della distinzione delle regioni nello spazio”, in Kant, Immanuel (a cura di), Scritti precritici (a cura di Pantaleo
Carabellese et Al.), Laterza, Bari. [1768]
1982b Kant, Immanuel, “Nuova illustrazione dei
primi principi della conoscenza metafisica”, in Kant, Immanuel, Scritti precritici, Laterza, Bari.
[1755]
1982c Kant, Immanuel, “Monadologia fisica”, in
Kant, Immanuel, Scritti precritici,
Laterza, Bari. [1756]
1992
Kant, Immanuel, “Concerning the ultimate ground of the differentiation of
directions in space”, in Kant, Immanuel, Theoretical
Philosophy 1755-1770 (Translated and edited by David Walford & Ralf
Meerbote), Cambridge University Press. [1768]
1995 Kant, Immanuel, Forma e principi del mondo sensibile e del mondo intelligibile (a
cura di Ada Lamacchia), Rusconi Libri, Milano. [1770]
1995a Kant, Immanuel, Prolegomeni ad ogni metafisica futura che voglia presentarsi come
scienza (a cura di Piero Martinetti e Massimo Roncoroni), Rusconi Libri,
Milano.
2003 Kant, Immanuel, Principi metafisici della scienza della natura (A cura di Paolo
Pecere), Bompiani, Milano. [1786]
2009 Kant, Immanuel, Storia universale della natura e teoria del cielo (a cura di
Giacinto Scarpelli e Stefano Velotti), Bulzoni, Roma. [1755]
2014 Kant, Immanuel, “La forma e i principi del
mondo sensibile e intelligibile”, in Kant, Immanuel, Dissertazioni latine. A cura di Igor
Agostini, Bompiani, Milano. [1770]
1992
Kemp Smith, Norman, Commentary to Kant’s “Critique
of Pure Reason”, Humanities Press International Inc., Atlantic Highlands,
NJ. [1918- 1923]
1967
Leibniz, Gottfried, Wilhelm & Clarke, Samuel, “Carteggio Leibniz-Clarke”,
in Leibniz, Gottfried, Wilhelm, Scritti
Filosofici (2 voll.), UTET, Torino. [1715-1716]
1965 Newton, Isaac, Principi matematici della filosofia naturale, UTET, Torino. [1687]
1968 Scaravelli, Luigi, “Gli incongruenti e la
genesi dello spazio kantiano”, in Scaravelli, Luigi (a cura di), Scritti kantiani, La Nuova Italia,
Firenze.
1990 Van Cleve, James & Frederick, Robert E. (a
cura di), The Philosophy of Right and
Left. Incongruent Counterparts and the nature of Space, Kluwer Academic
Publishers, Dordrecht, The Netherlands.
2001 Walford, David, “Towards an Interpretation of
Kant’s 1768 Gegenden im Raume Essay”,
in Kant - Studien, 92. Jahrg., S. 407-439.
NOTE
[1] Nell’elaborazione di questo saggio non ho
fatto uso di alcuno strumento di intelligenza artificiale. Onde evitare
elucubrazioni circa eventuali rapporti tra Kant e i peanut, specifico che le noccioline contenute nell’illustrazione
alludono soltanto al carattere occasionale e divulgativo di questo scritto.
[2] Cfr. il mio saggio Finestre rotte: Finestre
rotte: Esiste la filosofia continentale?
[3] In un mio recente saggio ho discusso di
alcuni stravolgimenti che vanno per la maggiore nell’attuale mercato delle
idee. Cfr. Finestre
rotte: Pulcini aritmetici e pollastri filosofici. Noterelle su Kant, gli “a
priori” e l’evoluzione darwiniana .
[4] Curiosamente, nella letteratura storico
filosofica italiana non esiste un’opera complessiva che faccia luce sul Kant
precritico e sulla Dissertazione del
1770. Questo la dice lunga sugli influssi negativi della tradizione idealistica
nostrana. Fa eccezione la traduzione, risalente agli anni Settanta, da parte di
Laterza, del vecchio lavoro del de Vleeschauwer. Cfr. de Vleeschauwer 1939.
[5] Cfr. Kant 1982a e Kant 1992. La traduzione
in italiano di Carabellese (Kant 1982a) è assai datata e di fatto
inutilizzabile. Fa ancora riferimento alle regioni piuttosto che alle direzioni
nello spazio, secondo una obsoleta erronea traduzione (cfr. in proposito
Walford 2001). Walford & Meerbote, curatori di Kant 1992, traducono il
titolo originale dello scritto come Concerning
the Ultimate Ground of the Differentiation of Directions in Space. Cfr.
anche Falkenburg 2020: 85. Le numerose citazioni del testo che presenteremo
sono una nostra revisione, a partire dalla traduzione di Carabellese, in base a
Kant 1992.
[6] Si veda ad esempio, per non uscire dal
nostro Paese, Scaravelli 1968.
[7]
Cfr. Buroker 1981 e Van Cleve & Frederick 1990. In italiano, si veda
Scaravelli 1968. Più recente è Falkenburg 2020.
[8] Una esposizione delle concezioni metafisiche
di Newton sullo spazio è contenuta nel cosiddetto carteggio Leibniz – Clarke.
Clarke era uno studioso vicino a Newton e qualcuno sostiene che lo stesso
Newton abbia contribuito alla redazione delle lettere scambiate con Leibniz.
Cfr. Leibniz & Clarke 1967 [1715-1716]. L’importanza delle convinzioni
metafisiche di Newton sullo spazio è tuttora materia di discussione. C’è chi
come Jammer (Cfr. Jammer 1954) sostiene che Newton abbia fatto intenzionalmente
trapelare queste convinzioni solo per evitare l’accusa di essere ateo e
materialista.
[9] Chi conosce appena un poco di storia della
filosofia saprà bene la differenza tra svolte e capovolgimenti. La differenza
emergerà comunque, in forma esemplare, in quel che segue.
[10] Numerosi scritti precritici di Kant fanno
riferimento alla filosofia leibniziana e alla teoria dell’influxus physicus. Cfr. Kant 1982b e Kant 1982c.
[11] Una simile convinzione si trova, ad
esempio, in Kemp-Smith 1992. Kant conosceva, fin dai suoi inizi, la meccanica
newtoniana, anche se non è chiaro quanto approfondita fosse, da parte sua, la
conoscenza degli scritti di Newton. Gran parte delle sue opere precritiche
aveva avuto lo scopo, che si rivelerà una missione impossibile, di trovare una
conciliazione tra la metafisica leibniziano-wolffiana e la meccanica di Newton.
[12] Era nato nel 1724 e nel 1768 aveva ormai 44
anni. Impiegherà più di una decina di anni per ristrutturare la propria
visione, così da produrre la prima edizione della CRP nel 1781, all’età di 57
anni.
[13] Non vorrei essere accusato di eccessive
simpatie decostruzioniste. In generale, su questo tipo di problemi mi rifaccio
a Ginzburg 1979.
[14]
Cfr. Falkenburg 2020: 3.4.
[15]
Cfr Kant 1992: 365-366.
[16]
Cfr. Falkenburg 2020.
[17] Cfr. Newton 1965.
[18] Non sto sostenendo che il modello dello
spazio di Newton fosse corretto. Nei successivi sviluppi della fisica saranno
proposti altri modelli di spazio, senz’altro più aderenti ai fenomeni. Sto solo
confrontando il modello di spazio di Kant con il principale modello di spazio
concorrente che Kant aveva a disposizione.
[19]
Cfr. Jammer 1954.
[20]
Cfr. Leibniz & Clarke 1967.
[21] Cfr. Falkenburg 2020: 89. La Cosmologia di
Kant citata è la Storia universale della
natura e teoria del cielo. Cfr. Kant 2009.
[22] Cfr Kant 1992: 365-366.
[23] Do qui per scontata la conoscenza, da parte
del mio lettore, del significato kantiano del termine trascendentale. Non escludo di trattare estesamente l’argomento in
un prossimo futuro.
[24] Kant qui (siamo nel 1768) è già convinto –
come sosterrà poi in futuro – che le matematiche (aritmetica e geometria)
abbiano dei fondamenti intuitivi. La cosa è oggi è decisamente contestabile, ma
questo era il pensiero di Kant.
[25] Cfr. Euler 1750 [1748].
[26] Per Euler il vincolo è costituito dai risultati
della ricerca empirica. Per Kant il vincolo sarà costituito dalle forme dell’intuizione, cioè da
ipotetiche strutture formali della mente.
[27] Kant nel 1749 aveva inviato a Euler copia
della sua prima opera filosofica sulle Forze
vive, senza però ottenere da lui alcuna risposta.
[28] Cfr. Eulero 2007 [1768]. L’opera di Euler
era uscita proprio nel 1768, e pare che Kant la conoscesse, anche se non la
cita nel suo saggio.
[29] All’epoca, i manuali tedeschi di metafisica
erano più o meno tutti uguali. Si dividevano in metaphysica generalis e metaphysica
specialis. La prima comprendeva la ontologia. La seconda comprendeva la
cosmologia razionale, la psicologia razionale e la teologia razionale.
[30] Per Kant è chiaro che la metafisica debba
lavorare a priori. Nei manuali di
metafisica dell’epoca – si veda la nota precedente – ci sono capitoli
intitolati cosmologia razionale, psicologia razionale, teologia razionale e così via. Dietro
alle posizioni di Euler c’erano ovviamente i Principia di Newton, ma Kant li considera come qualcosa di estraneo
alla metafisica.
[31]
Cfr. Kant 1982a: 412 e Kant 1992: 366.
[32]
Cfr. Kant 1992: 366.
[33]
Cfr. Kant 1992: 366.
[34]
Cfr. Kant 1992: 367-368.
[35]
Cfr. Kant 1992: 368.
[36]
Cfr. Kant 1992: 368.
[37]
Cfr. Kant 1992: 369.
[38]
Cfr. Falkenburg 2020: 93-94.
[39]
Cfr. Falkenburg 2020: 94.
[40]
Cfr. Kant 1992: 369.
[41]
Cfr. Kant 1992: 369.
[42]
Cfr. Kant 1992: 370.
[43]
Cfr. Kant 1992: 370.
[44]
Cfr. Kant 1992: 370.
[45]
Cfr. Kant 1992: 370.
[46]
Cfr. Kant 1992: 371. Traduzione
leggermente modificata (“verso l’esterno”).
[47] Cfr. Kant 1992: 370.
[48] Lasciamo da parte la questione banale ma
non secondaria di come sia possibile che qualcosa di non sensibile possa ordinare
qualcosa di sensibile. Kant conosceva
bene il problema, poiché ne aveva trattato nel suo libretto su I sogni di un visionario spiegati con i
sogni della metafisica.
[49] Nel sistema kantiano definitivo lo spazio
non sarà definibile come concetto, sarà bensì una intuizione. Anche in seguito confonderà spesso le due cose.
[50] Cfr. Kant 1992: 371-372.
[51] Che cosa intenda Kant per esperienza ovvia non è chiaro. La
intuizione dei geometri, oppure le dimostrazioni dei geometri? Il nostro punto
di vista soggettivo delle direzioni nello spazio? La costatazione che avendo
due mani uguali ma incongruenti deve esserci allora un riferimento esterno? È
comunque da notare come, per Kant, i risultati della meccanica newtoniana non
erano da considerarsi “esperienza”.
[52]
Cfr. Falkenburg 2020: 87.
[53]
Cfr. Kemp-Smith 1992: 161-166.
[54] Nel testo della dissertazione del 1770 c’è
un inaspettato riverito inchino di Kant agli occasionalisti. Cfr. Kant 1995:
127 Scolio.
[55] Di coesistenza
e successione Kant aveva già
ampiamente trattato nella Delucidazione
(cfr. Kant 1982b).
[56]
Cfr. Kant 2014: § 15.D.
[57]
Cfr. Kant 2014: 263 [§ 15 C].
[58] Cfr. Kant 2014: 263 [§ 15 C].
[59] Kant cercò di assolvere il compito di
riportare la fisica di Newton sotto il cappello della metafisica con i Principi metafisici della scienza della natura,
che costituirà tuttavia un fiasco
gigantesco.
[60]
Cfr. Kemp-Smith 1992: 163.
[61]
Cfr. Kemp-Smith 1992: 163.
[62] Corrispondente alla prima edizione del 1781
della CRP.
[63]
Cfr. Kant 1995a: § 13.
[64]
Cfr. Kant 1995a: § 13.
[65]
Cfr. Kant 1995a: § 13.
[66]
Cfr. Kant 1995a: § 13.
[67] Cfr. Kant 1995a: § 13. Traduzione
lievemente modificata.
[68] Sarebbe da chiedere a Kant come fa a
saperlo, visto che la conoscenza delle cose in sé a noi dovrebbe esser
preclusa.
[69] Più o meno come idee platoniche.
[70] Questa manfrina stonata della parte in
relazione alla totalità (talvolta Totalità
maiuscolizzata) la troveremo in tutto l’idealismo tedesco e oltre.
[71] Dunque, gli innumerevoli filosofi
continentali che hanno coltivato la intuizione
intellettiva – nonostante la proibizione dello stesso Kant, stavano agendo
perfettamente nel segno di Kant.
[72] Cfr. Kant 2003: Prima sezione, Definizione
2, Nota 3.
[73] Cfr. Kant 2003: 139.
[74] Solo un leibniziano, incallito e mai
pentito, poteva pensarla così. Questa è l’unica giustificazione umanamente
pensabile.
[75] La piccola differenza stava nel fatto che a
favore di Copernico c’erano fior di prove. A favore dello spazio assolutoK come
spazio ideale purtroppo c’erano solo
chiacchiere. Il problema è che Kant voleva realizzare una metafisica in quanto scienza. E in quanto scienza la metafisica
avrebbe dovuto fondare la scienza
empirica.
[76] Si veda in proposito Faggin 2022.
[77]
Cfr. Hegel 1984.
.