1. Appena finite[1] le vacanze estive, capita che uno si senta
in dovere di fare il punto su come ha trascorso il tempo, sulle eventuali
esperienze e su ciò che ha imparato o disimparato. A questo scopo sono
impaziente di raccontare ai miei dieci lettori il mio incontro, del tutto
casuale, con alcuni esponenti di un nuovo movimento
politico culturale che si chiama NNCBV. Ho scritto “alcuni” per ossequio
abitudinario alla grammatica convenzionale, ma avrei dovuto scrivere “alcun*”,
poiché si tratta di un movimento a composizione prevalentemente non binaria[2]
e fluida. Il che è senz’altro un segno dei tempi attuali. La loro è certo una
sigla un po’ pesantina, peraltro anche poco pronunciabile. Si tratta ovviamente
di un acronimo e, come mi è stato spiegato, sta per «Noi non ce la beviamo!».
Si tratta di un motto di sfida contro il tecno-sistema, sempre più
onnipervasivo e invadente, che vorrebbe proditoriamente imporre un ordine unico e arbitrario a tutta la realtà.
2. Si tratta di un movimento nato e sviluppatosi proprio nel
nostro Paese, soprattutto negli ambiti metropolitani, seppure esplicitamente
ricalcato sul modello della woke culture
nordamericana. Quella che, ahimè, ha dato una mano indiretta a far vincere le elezioni
a Trump. Ma il pericolo rappresentato da Trump, come vedremo, non è certo la
preoccupazione principale di costoro. Il movimento sta già cominciando ad avere
un certo seguito anche all’estero. Per ora si sta diffondendo principalmente
nei Paesi limitrofi della UE ma, si sa, le cose sul Web viaggiano velocemente.
I miei dieci lettori
potrebbero eccepire, a questo punto, di non averne mai sentito parlare. Anch’io
non ne avevo mai sentito parlare, fino al giorno prima. In effetti, si tratta
di un movimento piuttosto riservato, che evita accuratamente le comparsate
pubbliche nelle piazze, tipo pride e
similari. Questo perché i loro leader tendono ad avere un atteggiamento un
tantino underground e, anche se non
l’ammetterebbero mai, piuttosto elitario.
Sono organizzati soprattutto sul Web, dove cercano di costituire, quasi
esclusivamente tramite i social media, delle micro reti di solidarietà e di
intervento rapido. Agiscono dunque assai riservatamente e, per accorgersi della
loro presenza, bisogna aspettare di essere oggetti, ahimè, della loro
attenzione o dei loro interventi provocatori, che sono sempre repentini e
furtivi ma tali che lasciano il segno. Oppure bisogna che gli algoritmi dei
social facciano qualche deraglio e vi consegnino, magari per errore, qualche
spezzone delle loro conversazioni, dei loro documenti o dei loro filmati.
3. L’acronimo che hanno scelto, «Noi non ce la beviamo!», non
si riferisce a bevande varie, come Estaté, birra, aranciate o limonate, bensì
sta a indicare una posizione risoluta, una contrapposizione senza quartiere,
contro certi orientamenti di costume e culturali che oggi vanno per la maggiore
e che, in forma tacita, nella odierna società di massa, sono ormai più o meno condivisi
da tutti. Il loro campo d’intervento si colloca principalmente a livello linguistico, niente di meno che contro la testualità dominante. Questa
viene messa sotto accusa in quanto pura espressione arbitraria di un potere
occulto che pervade ormai tutte le società post - industriali. L’obiettivo
preciso del movimento è, infatti, quello di colpire la diffusa e onnipervasiva catalogazione dei generi testuali (come,
ad esempio, saggio, articolo, lettera, romanzo, sonetto, monografia, tesi,
poesia, ma anche generi minori, come la barzelletta, il proverbio, l’aforisma
e, certamente, anche il necrologio –
genere peraltro assai sottovalutato).
4. Non dovrebbe proprio stupire questa specifica attenzione
per le questioni attinenti il linguaggio e la testualità. Sono ormai decenni
che, soprattutto nell’ambito della filosofia
continentale e in particolare del post-strutturalismo, è stata riservata
una notevole attenzione proprio al linguaggio e ai suoi rapporti con le
strutture di potere del tecno-sistema. Sul piano teorico queste tematiche sono
state sviluppate soprattutto da Michel Foucault,[3] il cui pensiero ha avuto
ampia diffusione sulle due sponde dell’Atlantico. Sul piano pratico, sono ormai
più di tre decenni che gli States (e
di riverso anche l’Europa) sono percorsi in lungo e in largo dalle parole
d’ordine del politically correct e,
successivamente, del decisamente più avanzato crazily correct che, del precedente, è una versione
potenziata, come si esprime Luca
Ricolfi.[4] Anche se il crazily non
sarebbe condiviso dai protagonisti stessi. È risaputo che la correctness ha progressivamente
investito tutti i settori o quasi del linguaggio comune. L’uso di determinate
qualificazioni o aggettivi, la denominazione di certe categorie di persone o di
certe professioni, l’uso dei pronomi personali, o quant’altro. La persuasione
di fondo è che attraverso il linguaggio, in modo silente e impercettibile,
siano trasmessi e imposti certi rapporti
di potere, e che ciò sia determinato principalmente: a) dalle strutture
socio tecniche impersonali; b) dai gestori occulti della globalizzazione; c)
dal capitalismo finanziario e d) dal potere maschile patriarcale. Forse è
questo spiccato anti patriarcalismo
che spiega il relativamente alto tasso di partecipazione dei fluidi a questo movimento.
5. Sembrava a un certo punto che la correctness avesse esaurito quasi ogni possibile obiettivo nel
campo del linguaggio, avesse cioè raggiunto una specie di copertura totale. Sembrava cioè ormai essersi volta verso
l’esaurimento. Pressoché tutto era stato smascherato, tutto era stato attaccato
e demolito. O, per lo meno, tutti erano stati messi sul chi vive intorno alle insidie del linguaggio, come del
resto recita anche il noto slogan “Stay
Woke”. Ebbene, ci eravamo del tutto sbagliati. Sembrava, appunto. Non
avevamo capito che il lavoro più importante restava ancora tutto da fare.
Dobbiamo proprio al gruppo NNCBV (“Noi non ce la beviamo!”) di avere
individuato un nuovo e forse risolutivo campo d’intervento. Come già
anticipato, si tratta nientemeno che del campo della testualità.
Immagino che i miei dieci
lettori stiano strabuzzando gli occhi. Cosa c’è che non va nella testualità? La
testualità è dappertutto. Come faremmo se non ci fosse? È appena il caso di
ricordare che, anche per diversi illustri filosofi, la testualità è stata
riconosciuta come fondamentale. Un vero e proprio a priori. Ad esempio, per Jacques Derrida[5] «Non c’è nulla
all’infuori del testo».[6] In altri termini, il testo per Derrida è l’elemento
ontologico che costituisce la realtà
intera. In altri termini, noi stessi siamo
testo. Se proprio tutto è testo,
allora, dal punto di vista di NNCBV, il nemico sarebbe veramente dappertutto. Avercela con la testualità
in fondo è come avercela col mondo intero.
Se poi proprio noi siamo testo, a
rigor di logica dovremmo avercela anche con noi stessi, ovvero con la nostra profonda
natura testuale.
6. Posso confermare che il Movimento NNCBV si rende ben conto
della portata radicale e globale delle proprie posizioni. Tuttavia gli
esponenti del movimento non sembrano particolarmente attratti dall’aspetto metafisico
della questione. Essi adottano, infatti,
una teoria materialista dei fenomeni linguistici. Confessano candidamente di
avere avuto trascorsi marxisti e di mantenere tuttora una forte ispirazione marxista. Ho sentito più
d’uno di loro dichiarare fieramente: «Io sono marxista!». Questo nonostante
abbiano “superato”, o del tutto ignorato, alcuni elementi fondamentali del
marxismo, come, ad esempio, la classica suddivisione tra struttura e
sovrastruttura.
Così sostengono che la
testualità è oggi la minaccia per eccellenza, in quanto si trova effettivamente
“alla radice” delle disuguaglianze (che loro chiamano “differenze”) che caratterizzano
e governano la società post-industriale. La quale società si riduce poi a un
mostruoso tecno-sistema. In particolare, secondo loro, sarebbe la vigente
configurazione classificatoria della testualità a costituire una trama
oppressiva che è utilizzata per giustificare e mantenere gli attuali rapporti
di potere. Di qui, lo slogan «Noi non ce la beviamo!». Se è vero che – proprio
come sostiene Derrida – non c’è nulla al di fuori del testo, allora è possibile
che il nuovo movimento, sporgendosi anche ben oltre Marx, abbia finalmente
individuato l’obiettivo risolutivo, che permetterà di intaccare gli attuali
rapporti di potere a tutti i livelli. Un movimento totale dunque.
«Vasto programma!»
verrebbe da dire a quelli come noi, proni invece da tempo a qualsiasi
conformismo testuale e ormai abituati a rinunciare a ogni opposizione. Alle mie
modeste e imbarazzate obiezioni sulla fattibilità di un simile totale intervento trasformativo, mi è
stato risposto che si tratta di procedere per tappe e di confidare sul fatto
che, se si dispone di una strategia
corretta, e avendo tempo e energie da investire, allora «una tappa tira
l’altra».
7. La prima tappa sarà dunque proprio quella di liberare il testo dalle gabbie della
testualità. Si tratta di identificare quelle che sono comunemente
considerate come le strutture oggettive
della testualità e di mostrare come queste siano soltanto dei dispositivi autoritari al servizio del
tecno-sistema imperante. È questa un’azione sistematica di smascheramento, che mette chiaramente in connessione le teorie
NNCBV con le famose filosofie del
sospetto. Il Movimento crede fermamente nel potere dello smascheramento.
Poiché il potere della testualità si basa meramente sulla illusione – qui c’è senz’altro un
richiamo a Jean Baudrillard[7] e al segno
come merce – il suo smascheramento coinciderà con la sua immediata
evaporazione. In realtà, il precursore vero di questa prospettiva – come sanno
anche i liceali – è stato Ludwig Feuerbach.[8] Se si pensa poi ad alcune
avanguardie artistiche del primo Novecento, si potrebbe anche ritenere che non
ci sia gran che di nuovo ma, in effetti, vedremo che non è proprio così.
8. La seconda tappa, decisamente più radicale, consisterà nel liberare il testo dalle costrizioni
grammaticali, soprattutto dalle strutture sintattiche e ortografiche,
da sempre percepite, più o meno da tutti, come un vincolo, una limitazione, e
poi tipicamente tecnocratiche, patriarcali e maschiliste. Tutto ciò,
oltretutto, darà modo di moltiplicare le capacità espressive e creative di
ciascuno di noi. Quelle capacità che abbiamo dovuto progressivamente reprimere
nel corso della nostra formazione personale, sui banchi di scuola e attraverso
i media. Ciò avrà anche, cosa di non minor importanza, l’effetto di imbrogliare
sistematicamente le AI che lavorano soprattutto con modelli linguistici LLM, a
previsione probabilistica.
9. La terza fase, la fase finale, sarà la liberazione del
testo da ogni tipo di rigidità, in modo da assicurare la più completa fluidità testuale e fluidità comunicativa. Ma perché mai proprio la fluidità dovrebbe diventare l’obiettivo finale? Occorre
ricordare che la fluidità – solo ora stiamo cominciando a capirlo pienamente –
è una delle fondamentali implicazioni
delle numerose filosofie della differenza
che hanno caratterizzato per lo meno gli ultimi due secoli. Qui, a sentir
queste parole, confesso di avere accusato qualche defaillance, poiché mi sono ricordato, con un profondo gulp, dei miei ripetuti, ma vani,
tentativi di leggere Deleuze.[9] Non sono mai riuscito ad andare oltre le venti
pagine. Limiti miei.
10. Mi spiegano così che è ormai diventato sempre più chiaro
che ci sono differenze buone e differenze cattive. Le differenze dicotomiche non sono vere differenze. Sono imposte dal sistema, fanno parte di un
ordine estraneo che è sovrapposto alla realtà, la quale invece è, di per sé, continua e non facit saltus. Si tratta allora di andare oltre la dicotomia, per considerare spettri sempre più ampi di gradazioni di differenze, e ciò – se
perseguito rigorosamente – alla fine non
potrà che portare alla fluidità totale.
Il discreto, in altri termini, si trasformerà in continuo. Ogni elemento del
testo (le lettere, le maiuscole, gli spazi, le interpunzioni) sarà, così,
libero di fluire a caso, senza alcuna preventiva prevedibilità. Ciò permetterà
di produrre sequenze sempre nuove di elementi, massimamente eterogenei ma
continui, che interagiranno gli uni con gli altri, mossi soprattutto non dal
caso bensì dal desiderio. A questo
punto, le differenze fluide si manifesteranno principalmente in base al ritmo,
all’accentazione e alla musicalità. Solo la fluidità
assoluta permetterà di sfuggire, una volta per tutte, all’ordine deterministico imposto dal
sistema, dalla ragione strumentale,
dai vincoli della tecnica e del potere maschile. E qui, la maggior parte del
lavoro sarà stato fatto.
Va oltretutto ricordato
– per chi se ne fosse scordato – che, intanto, è già in avanzata realizzazione
un progetto del tutto analogo nel campo della sessualità, che è un altro
baluardo del tecno-potere. Al mondo binary
della forzatura, degli incasellamenti contro
natura, si sta opponendo il nuovo mondo delle infinite gradazioni, rispondente al diritto di ciascuno di modulare
all’infinito – e “infinito” è davvero termine impegnativo – senza pregiudizi, la propria identità sessuale.
Certo, occorrerà un’infinità di diversi pronomi
personali, e un controllo sulla corretta applicazione degli stessi, ma la
cosa non è giudicata impossibile.
11. Si tratta di teorie indubbiamente ardimentose, e tuttavia
decisamente affascinanti. L’esposizione fattane dai loro militanti è
decisamente sciolta e senz’altro fluida. Si tratterebbe, insomma, di smuovere
finalmente tutto ciò che era stato immobilizzato dalla logica deterministica del sistema governato dalla ragione strumentale dicotomica. Quella stessa ragione in ultima analisi generatrice del
tecno-sistema. Non nascondo che si tratti di concezioni alquanto complesse, che
richiedono una notevole capacità di comprensione
profonda e di meditazione.
Tuttavia gli esponenti
del Movimento, al di là delle loro propensioni underground, ritengono che il nucleo del loro messaggio sia
veramente a disposizione di tutti. Si
tratta di mettere da parte il pregiudizio
intellettualistico, che è sempre dicotomico e sempre in agguato, e di
lasciarsi guidare soprattutto dal desiderio.
Concetto peraltro già citato. Mentre l’intelletto è una pura sovrastruttura, il desiderio costituisce la struttura profonda e basilare, rizomatica, di ogni soggetto. Quelli del
movimento parlano, infatti, proprio di un soggetto
desiderante. Il soggetto desiderante è ovunque ormai pesantemente inibito
dai processi dicotomici. Si tratta di risvegliarlo, di richiamarlo alla luce.
Per fare ciò bisogna procedere
dall’interno, lasciare che il desiderio si
manifesti. Bisogna sapersi ascoltare.
La cosa importante è che ciascuno si liberi delle sovrastrutture dicotomiche
normative e impari a seguire il proprio desiderio. Si tratta di mettere da
parte ogni intellettualismo e di procedere seguendo
la propria intuizione.
12. Di fronte a questo profluvio di teoria, in attesa di
approfondire il quadro complessivo, ho pensato bene, nel mio piccolo, di
concentrarmi sulla prima tappa prevista dal Movimento. Intorno alla quale
cercherò di dire qualcosa di più preciso. Cosa significa liberare il testo
dalle gabbie della testualità? Vediamo intanto come vien da loro descritta
l’attuale situazione di oppressione. Oggi, principalmente in Occidente, la
testualità è imprigionata in una logica di potere che la costringe in una serie
di categorie dicotomiche del tutto
artificiali. Si tratta dell’articolazione cognitiva del potere classificatorio, ben nota fin
dagli studi di Durkheim e Mauss.[10] Classificazioni che riducono i gradi di
libertà di chi scrive, costringendo anche chi legge ad avere a che fare per lo
più con merce preconfezionata e del tutto prevedibile. Tanto che perfino i
modelli LLM riescono a produrre testi perfettamente canonici. Merce imposta,
sempre accompagnata da qualche tetra categorizzazione testuale.
13. Ma vediamo in pratica. L’oppressione comincia fin dalla
prima infanzia. Ai bambini piccoli vien detto «Scrivi i pensierini», escludendo
già, con ciò, che si possano scrivere dei versi liberi, o ci si possa mettere a
cantare, o si possa più semplicemente picchiare sul banco con la matita, come
farebbe ogni piccolo della specie umana, se fosse spinto soltanto dal puro desiderio. Ogni “pensierino”, poi,
è fin dall’inizio strutturalmente determinato, deve cominciare con la lettera
maiuscola e finire con un punto a capo. Vien detto loro poi di fare il
riassunto dei pensierini. Il riassunto
dovrebbe individuare un contenuto
prefissato che addirittura si troverebbe già
nel testo da riassumere. Ma in ogni testo, come vedremo, c’è sempre un’infinità di contenuti. A rigor di
logica, se si riflette bene, anche solo seguendo Derrida, il riassunto è
impossibile. Non c’è fuori testo.
Anche la composizione del famoso tema
prevede un sacco di limitazioni e poi, soprattutto, implica l’imposizione
esterna di un enunciato. Il tema poi,
notoriamente, risale alla Ratio Studiorum
gesuitica, autentico supplizio della mente e del corpo. Qualunque tema, poi,
presuppone un destinatario che è, in
realtà, un’ipertrofica struttura
giudicante cui ci si abitua a sottoporsi. La scuola, da questo punto di
vista, svolge la funzione della principale agenzia
di controllo e imposizione.
Qualcuno la chiama dispositivo della
testualità dominante.
14. Crescendo, le limitazioni testuali si moltiplicano, con una
sempre maggiore imposizione di regole sempre più assurde e arbitrarie. Così si
viene progressivamente costretti nelle stretture dei generi testuali più
ufficiali: diario, lettera, telegramma (ora per fortuna un poco in disuso),
articolo di giornale, relazione, tesina, saggio breve, SMS, saggio
bibliografico, saggio critico, articolo di storia, articolo di attualità, tesi
di laurea triennale, tesi di laurea quinquennale, catalogo delle navi, manuale
della lavatrice, racconto, sonetto, romanzo. Chi più ne ha, più ne metta. E
questa è solo una parte minima delle possibili articolazioni dei generi
testuali. Ma questo bestiario dei generi testuali è costituito da un cumulo di prescrizioni arbitrarie.
L’articolo di giornale
per esser tale deve avere un certo numero di battute, ma nessuno sa dire
davvero quante. Il saggio breve, che si usava all’esame di Stato, doveva avere
caratteristiche così vincolanti che erano lesive della libertà di chiunque. Si dovevano
mette anche le note a piè di pagina. Meno male che ci ha pensato la ministra
Fedeli a sopprimere un tale abominio nel 2019. La tesi di laurea triennale,
poi, secondo Vera Gheno,[11] potrebbe avere come minimo 15 pagine e come
massimo 70. Chi lo ha detto? E se mi volessi laureare con una tesina di 14
pagine? O di 71? Ci sono dei saggi in
Montaigne[12] – che pure di saggi se ne intendeva – che sono lunghi una pagina
e mezza. Se andate poi a consultare i numerosi manuali di scrittura, che continuano a essere pubblicati a un ritmo
incalzante, troverete una miriade di prescrizioni, peraltro spesso in disaccordo tra loro, che
costituiscono altrettante intimidazioni
nei confronti di chi si appresti anche solo a compilare una lista della spesa, la qual lista poi è forse
il più negletto dei generi testuali, seppure tra i più indispensabili. Chiunque
legga anche uno solo di questi manuali non può che sentirsi intimidito. Convinzione del movimento NNCBV è che questo
sconcio debba finire. Si tratta allora di condurre un attacco al cuore dei generi testuali.
15. Sì, va bene, ma come si fa? Noi, che abbiamo avuto i nostri
peccati di gioventù, di primo acchito saremmo tentati, sull’onda di un’antica
simpatia per Feyerabend,[13] di dire che «Anything
goes!», qualsiasi cosa va bene. Sarebbe sufficiente una negazione
estemporanea delle regole, ogniqualvolta si venga in contatto con esse. Solo
alla fine di ciascuna intensa giornata di disseminazione della contestazione,
il militante dedito alla causa NNCBV, potrebbe fare il bilancio del caos testuale che è riuscito a seminare.
Si potrebbero fare anche delle gare. Pur accettando pienamente la prospettiva
feyerabendiana, il Movimento crede tuttavia particolarmente in paio di
specifiche strategie che andrò a illustrare.
16. Uno dei metodi proposti dal movimento NNCBV è il détournement, ossia la diversione. Non
si tratta certo di una novità, poiché notoriamente è il recupero di un vecchio metodo lettrista e situazionista. La novità è che ora sarà applicato sistematicamente
proprio ai generi testuali. Sono certo che i miei dieci lettori avranno piacere
di avere qualche esempio. Potete finalmente mettere in versi, con pieno valore
legale, il verbale della riunione di condominio. Potete conferire un risvolto
poetico anche ai latrati rivolti alla luna, del vostro cane, dopo una accurata
registrazione, masterizzazione e relativa diffusione su Facebook. Potete
ordinare una pubblicità alla radio locale che usi lo stesso idioma delle
lettere circolari dell’Agenzia delle entrate. Oppure un verbale della Polizia
potrebbe cantare in musica: «Lei andava a cento all’ora per trovar la bimba
sua!». Si potrà – finalmente – avere un trattato sul modello standard della fisica delle particelle scritto interamente
in versi dialettali, e per giunta, finalmente, senza formule matematiche. Il
principio generale del détournement è
il seguente: poiché tutto è sempre collocato in un contesto (e ogni contesto è sempre vincolante e normativo, cioè autoritario), allora la mutazione
inattesa del contesto, il cambiamento repentino del gioco linguistico, come
direbbe Lyotard,[14] rende palese la dipendenza
dal contesto e, nello stesso tempo, produce espressioni del tutto nuove, nello spirito della fluidità creativa.
17. Ma non basta. Poiché abbiamo citato Derrida, tra i metodi
di NNCBV non poteva mancare anche la decostruzione.
Per definizione, secondo i decostruzionisti, un testo qualsiasi (si ricordi
che, per Derrida, tutto è testo!) non
dice mai quel che apparentemente sembra voler dire. Dice sempre altro. Un testo in sé non è mai quel che
sembra, è sempre qualcos’altro.
Dietro al testo, sempre il sospetto ci
cova. Attraverso la déconstruction si
tratta di spremere il testo e fargli tirar fuori quello che proditoriamente
nasconde. Trasferito questo concetto nel campo dei generi testuali, avremo dei
risultati sorprendenti. Un genere testuale non è mai quello che si presenta
come tale. Un saggio bibliografico potrebbe essere in realtà – à la Bourdieu – un episodio dello
scontro di potere tra fazioni accademiche. Un vocabolario della pronuncia, come
il DOP, sarà decostruito e interpretato come un dispositivo (Gestell) heideggeriano. Un apparato cioè
che è espressione della tecnica e che
consegue dal nascondimento dell’essere.
Coloro che sono costretti all’uso del DOP scontano, per intanto, di non essere
di madre lingua tedesca – cosa gravissima – e, poi, non possono che palesare così
la loro condizione di deiezione e il
loro oblio dell’essere. La famosa lista della spesa va interpretata, in
realtà, come una denuncia dell’impoverimento del ceto medio, oppure della
pericolosa tendenza verso l’obesità
di una fascia sempre più ampia della popolazione. Un saggio, qualunque sia il
suo contenuto, non può che essere una potente espressione della vana gloria, inevitabile da parte dell’autore: poiché scrivere un vero saggio è impossibile, chi dichiara
di averne scritto uno, per di più nell’incipit,
non può che essere in perfetta malafede. L’autore,
autoproclamatosi tale, poi non sa, non solo che il saggio è impossibile, ma non
sa neppure che ormai, da decenni, è stata dichiarata anche la mort de l’auteur.[15] Ma la casistica è
infinita, poiché ovunque ci sia genere testuale, lì non può esserci che decostruzione. Per questo non si può mai fare un riassunto: i
significati del testo sono in realtà infiniti. Non c’è fuori testo.
18. Un bambino sfortunato crede di star facendo un tema in
classe, in realtà la sua è la denuncia di una violenza subita in famiglia.
Senza decostruzione, la sua denuncia non sarebbe neanche recepita. La sequenza
degli SMS sul telefonino è in realtà qualcosa di ben diverso da quel che
comunemente si pensa. Si tratta, infatti, di un vero e proprio testo narrativo, di grande spessore e
complessità, da fare invidia a cose come I
fratelli Karamazov – si sa che la prosaica vita vera, con i suoi dettagli minimalisti ma autentici, è in grado
di fare impallidire la migliore fiction.
Gli scontrini del supermercato,
opportunamente raccolti e trattati, costituiscono dei realistici saggi di
scienza economica. In ogni caso, è la univocità
della forma testuale che deve essere messa in gioco. Deve essere
smascherata nella sua impossibilità. Attraverso il détournement e la deconstruction
si tratta allora di rompere i confini presuntuosamente certi della testualità,
mostrare coram populo le strutture di
potere ovunque nascoste del pensiero unico. Solo lo smascheramento può
dissolvere l’illusione costantemente messa e mantenuta in scena dal
tecno-sistema.
19. Ecco che, allora, nessuno degli ingenui beoti che usano
allegramente e spensieratamente le consuete classificazioni dei generi
testuali, quelli dei vari manuali su “come si scrive”, può più sentirsi
veramente al sicuro. Non appena si pubblica qualcosa, ci si espone
continuamente agli attacchi di guerriglia
linguistica dei NNCBV. Mi permetto di ricordare che uno dei primi a parlare
di agonismo linguistico è stato
proprio Lyotard. Ci si espone anche perché, in effetti, un qualsiasi tentativo
di definizione dei generi testuali – agli occhi del Movimento – non può che
rivelare l’impossibilità oggettiva di
portare a termine la consegna. Questo per il motivo banale, appena visto, che ogni testo non è mai quello che dice di
essere. E gli esponenti del Movimento NNCBV si impegnano a farlo notare con
i loro interventi estemporanei, a sorpresa, talvolta anche necessariamente cattivi. Ma un po’ di guerriglia violenta è indispensabile, se
vuoi davvero cambiare la situazione e
salvare la libertà di espressione di tutti noi.
20. In queste operazioni di guerriglia linguistica, i NNCBV
fanno grande uso di un espediente che ha una lunga storia filosofica alle
spalle: l’ironia. Non certo quella di
Socrate, che non credeva neanche alla scrittura, bensì preferibilmente quella
di Rorty.[16] L’ironia rortiana non è quella dell’ingenuo che cerca la verità,
come Socrate, bensì quella di chi ha capito com’è fatto davvero il mondo. Di
chi si è finalmente pacificato col problema della verità, ammettendo che
esistono mille verità, che ciascuno ha la sua verità, per cui possiamo
benissimo stare in un mondo di tante verità che si equivalgono, oppure anche
del tutto senza verità. Questo però è
possibile purché ci mostriamo sempre bene
educati e tolleranti. E
pratichiamo la solidarietà. Non
dovrebbe sfuggire al lettore la stretta parentela con l’ironismo rortiano del
rifiuto delle dicotomie e delle classificazioni da parte del Movimento. Nonché
la parentela stretta tra le mille verità
e le infinite differenze fluide che
costituiscono il mondo. Del resto, saper stare agevolmente senza punti fermi è la vera profonda caratteristica del postmoderno.
21. Credi di avere scritto un articolo di giornale? Sei un
illuso, perché hai sbarellato sulla lunghezza, manca la descrizione completa di
un fatto e c’è in mezzo una figura retorica inappropriata, inaccettabile in un
articolo del genere. Il titolo poi non va bene. E poi il giornale su cui scrivi
non è veramente un giornale. Come fai a sapere che un giornale è proprio un
giornale? Insomma, scrivere un articolo di giornale vero è impossibile. Credi di avere scritto un racconto? Ma cosa è davvero un racconto, che requisito deve
avere per esser tale secondo le regole? Nessun racconto sarà mai davvero esaustivo dei precetti testuali.
Credi di avere scritto un saggio? Povero illuso. Il tuo saggio ha in realtà la
stessa struttura sequenziale (cioè,
tanti orrendi capoversi numerati!) della lista della spesa. Credi di star
facendo della satira? Niente di più sbagliato, la tua non è satira, hai solo
prodotto una elementare serissima descrizione di persone e comportamenti che hai
appena incontrato nel piatto mondo ordinario. Hai tenuto una relazione? Ma come
facciamo a sapere che si trattava proprio di una relazione, quando hai speso
metà del tempo a divagare sul significato di un solo concetto? Perché ci sia
una relazione, ci dovrebbe essere un contenuto, ma si dimostra facilmente che,
essendo i contenuti infiniti, non ci può essere alcun contenuto prevalente. Dunque
o hai relazionato su tutto, cosa impossibile, oppure su niente, cosa del tutto
inutile. E poi, qual è il pubblico minimo perché si possa dire di avere “tenuto
una relazione”? Su quest’ultimo punto ci viene in mente il famoso argomento del
sorite, ben noto ai liceali di un
tempo.
Insomma, di fronte alle
solerti, puntuali, acute e ironiche (seppur non sempre bene educate, solidali e
tolleranti) contestazioni di NNCBV, qualunque definizione darai del tuo testo
sarà considerata pretestuosa, imperfetta, inattendibile e, dunque, prova
ultimativa che i generi testuali sono soltanto imposizioni arbitrare del potere
e del patriarcato. Se tu dovessi perseverare nelle tue ingenue convinzioni,
saresti additato al pubblico ludibrio come servo
del potere. Servo così stupido da essere perfino inconsapevole. Così la derisione
collettiva (altrimenti detta gogna
testuale) incombe sugli ingenui praticanti delle dicotomie testuali e delle
loro varie pretese impossibili classificazioni autoritarie. Colpiscine uno, per
educarne cento!
22. Ai miei dieci lettori verrà tuttavia da domandarsi: «Che
fine farà allora il contenuto testuale?».
È abbastanza chiaro che le provocazioni del Movimento mettono in primo piano l’elemento formale ed evitano di
concentrarsi sul contenuto del testo. E questa una questione davvero non
secondaria. Secondo NNCBV, prima di pensare al contenuto eventuale, si tratta
di vedere sempre se la forma è autentica.
Ma poiché nessuna forma può essere davvero autentica, per definizione, allora a considerare il contenuto non si arriverà
mai. E questa è senz’altro una conseguenza consapevolmente voluta dal Movimento. Liberare il testo dalla sua
forma significa anche liberarsi dalla
schiavitù del contenuto. Diciamolo pure: «Il contenuto è una roba da
vecchi!». Una roba da Boomer. In
effetti, il contenuto non è certo la principale preoccupazione del Movimento.
Il Movimento, a quanto ci è parso di capire, è di fatto del tutto indifferente rispetto ai contenuti.
Liberati finalmente dalla forma, i contenuti divenuti privi
di forma saranno abbandonati al loro destino. Al loro posto, si lascerà
spazio a una benevola e gratuita ironia
rortiana nei confronti di qualsiasi contenuto. Del resto, la fluidità
espressiva, mossa dal desiderio, produrrà contenuti
fluidi sempre nuovi e sarà così del tutto inutile soffermarsi su qualsiasi
contenuto particolare. I contenuti di ieri, oggi sono già scaduti, da dimenticare
o da buttare.
23. Dopo queste lunghe argomentazioni e spiegazioni, son
rimasto quasi senza parole. Di stucco. E ho fatto un altro paio di gulp. Devo dire che, per quanto
provocatoriamente radicale, il Movimento sembra possedere una base teorica
alquanto lucida e consapevole, ben più di altri movimenti similari. Una base
teorica difficilmente attaccabile. Impossibile da attaccare. Anche perché attaccare
le loro teorie significherebbe attaccare, più o meno, tutta la filosofia
continentale degli ultimi secoli. Naturalmente, poi, è innegabile che la loro
pratica sia un’immediata conseguenza della teoria. Qui, veramente, la filosofia
si capovolge e diventa pratica per trasformare finalmente il mondo.
24. Tuttavia devo ancora riferire di un piccolo dettaglio di costume che forse getta
qualche ombra sulla lucidità della teoria e, soprattutto, sulla pratica del
movimento NNCBV. Visto che la realtà, come dice Derrida, è interamente
testuale, “Non c’è fuori testo”, ne consegue che l’impegno dei militanti fluidi
è piuttosto pesante e questo fatto – si
ammetterà – genera un certo stress
psicologico. Oltretutto, la loro negazione pratica dei generi testuali crea un
serio disturbo alla loro stessa vita sociale – che, al di fuori del gruppo di
riferimento, è praticamente inesistente.
Allora, forse proprio
per questo stress, accade che, a ogni
fine stagione, quando altrove sarebbe
il momento dei saldi, i militanti del gruppo celebrino, ahimè, la loro settimana del testo. Si tratta di una
specie di rito carnevalesco che
ricorda ai militanti, in forma decisamente orgiastica, l’altro lato del mondo,
l’altra faccia della luna. Nientemeno che la testualità proibita. Questo forse per mantenere una qualche
consapevolezza di quanto viene combattuto e represso tutti gli altri giorni.
Freud avrebbe forse parlato di un ritorno
del represso. L’antropologia culturale, su questo costume, avrebbe notevoli
materiali su cui indagare.
25. Si tratta di un rituale da loro chiamato festa della testualità totemica, dove i
militanti – in collegamento
webcam – indossano ciascuno la maschera di uno dei generi testuali
tanto esecrati, tanto considerati come impossibili. E così mascherati, si danno
a produrre, tra lazzi e schiamazzi, coriandoli e trombette, in forma esagerata
e compulsiva, barzellette, temi in classe, articoli di giornale, poesie, saggi
e saggi brevi, tesi triennali, iscrizioni sepolcrali, necrologi e quant’altro.
Fanno anche i riassunti! Insomma, una specie di ebbro mondo alla rovescia, dove Penelope disfa la tela che ha appena tessuto,
dove potrete vedere (se sarete stati fortunati ad avere l’accesso, attraverso
Facebook e i social media) i duri militanti, ora mascherati come satiri, diventare i più ortodossi cultori delle
distinzioni tra i generi testuali. Li vedrete cioè intenti a tracciare e
mantenere enfaticamente le prima tanto odiate distinzioni dicotomiche. Ma
questo accade solo per pochi giorni. Tornando alla normalità della vita reale,
il mondo illusorio “totemico” appena creato si dissolve e quegli stessi video e
materiali prodotti saranno accuratamente riposti e conservati per il carnevale
della stagione successiva. Quindi – un avviso ai miei dieci lettori – dovete
stare bene attenti. Se su qualche social vi imbatterete in qualche esponente NNCBV, dovrete per prima
cosa cercare di capire se si tratta del normale
periodo di attività oppure di quello dei saldi di fine stagione. Personalmente, mi hanno fatto venire in
mente gli australiani descritti da Durkheim,[17] i quali per tutto l’anno si
proibiscono di mangiare l’animale totemico, ma poi, nel giorno della festa, ne
fanno una scorpacciata.
26. Comunque – nessuno è perfetto – lunga vita a Noi non ce la beviamo! Si tratta senz’altro di un Movimento nostrano che non ha nulla da invidiare alla cancel culture, a Me Too, a BLM, a Stay Woke o al più noto onnicomprensivo politically correct, o anche magari crazily correct. Resta un piccolo problema, ma solo per me, umile cronista di un incontro casuale durante una vacanza estiva. Dopo le sollecitazioni del Movimento, non oso proprio più asserire cosa sia questa cosa che ho appena scritto per i miei dieci lettori. E quindi mi trovo in estrema difficoltà, anche soltanto a trovare un titolo. Satira? Barzelletta? Manuale della lavatrice? Cronaca filosofica? Diario di viaggio? Articolo di giornale? Batracomiomachia? Trattato di morale? Non-fiction? Paradosso? Racconto di fantascienza? Flusso di coscienza? Saggio à la Montaigne? Saggio di linguistica? Racconto breve? Sogno di una notte di mezza estate? Così, spinto dal dubbio, mi è venuto in mente che, per schivare le giuste rampogne del Movimento NNCBV, non mi restava che nascondermi dietro a una nota tattica surrealista.[18] Tanto per riuscire a essere politically correct almeno una volta.
Par le non auteur, Giuseppe Rinaldi (Non date: 31/08/2025)
NOTE
[1] Se “questo non è un saggio”, ne deriva che anche l’autore non è un autore. La cosa non è del tutto impossibile. Abbiamo ben presente la sofisticata problematica relativa alla morte dell’autore (a partire da Roland Barthes, 1984, “La mort de l'auteur”, Les Éditions du Seuil, Paris. Tr. it.: “La morte dell'autore”, in Barthes, Roland (a cura di), Il brusio della lingua. Saggi critici IV, Einaudi, Torino, 1988). Infatti, il non autore di questo non saggio non ci ha messo proprio niente di suo. Si è limitato a guardarsi intorno, a osservare qualche personaggio ridicolo dei nostri tempi e a rubacchiare qualche spunto, qua e là, nella letteratura che va per la maggiore e che sta friggendo le menti delle vecchie e nuove generazioni. Nella stesura di questo non saggio il non autore non si è servito di alcuno strumento di AI, ovvero di intelligenza artificiale. Anche perché, qualora lo avesse fatto, si sarebbe trattato piuttosto di IA, ovvero di Ignoranza Artificiale.
[2] Non
binary è un neologismo che si sta diffondendo sempre più, e sta a
contraddistinguere coloro che rifiutano di stare nella strettoia delle dicotomie e delle
classificazioni.
[3] Michel Foucault (1926-1984). Qualificato
come filosofo e (ahimè) sociologo francese.
[4] Cfr.: 2024 Ricolfi, Luca, Il follemente corretto. L'inclusione che
esclude e l'ascesa della nuova élite, La nave di Teseo, Milano.
[5] Jacques Derrida (1930-2004), filosofo
francese post strutturalista,
inventore del decostruzionismo.
[6] La frase che molti citano suona come “Non
c’è fuori-testo” e si trova alla pag. 219 in: 1967, Derrida, Jacques, De la grammatologie, Les Éditions de
Minuit, Paris. Tr. it.: Della grammatologia, Jaca Book, Milano,
1998.
[7] Ci si riferisce a Jean Baudrillard
(1929-2007), sociologo, filosofo, politologo e saggista francese.
[8] Ludwig Feuerbach (1804-1872), filosofo della
sinistra hegeliana.
[9] Mi riferisco al filosofo francese post –
strutturalista Gilles Deleuze (1925-1995).
[10] Mi riferisco ovviamente al noto saggio: 1903
Durkheim, Émile & Mauss, Marcel, “De quelques formes primitives
de classification”, in L'année
sociologique, n. 6, 1903. Tr. it.:
“Alcune forme primitive di classificazione”, in Durkheim, Émile &
Mauss, Marcel (a cura di), Sociologia e antropologia, Melita, La
Spezia, 1981.
[11] Nota esperta di linguistica, peraltro
aperta a molte innovazioni, come la “schwa”. Dice la Gheno: «In alcuni atenei
[la lunghezza ndr] è di 20 pagine,
con una tolleranza di più o meno 5 pagine; ma di solito, se non è diversamente
specificato, la lunghezza attesa è compresa tra le 35 e le 70 pagine». Cfr.:
2019, Gheno, Vera, La tesi di laurea,
Zanichelli, Bologna (pag. 8). Questo mio non
saggio ammonta in tutto a circa 40 000 battute. A 2000 battute per pagina,
potrei già prendere, da qualche parte, una non
laurea triennale!
[12] Michel de Montaigne (1533-1592). Celebre
autore dei Saggi. Cfr.: 1986 De
Montaigne, Michel, Saggi (a cura di
Virginio Enrico), Mondadori, Milano. [1580-1588]. C’è una traduzione nuova da
Bompiani.
[13] Mi riferisco a Paul Feyerabend (1919-1994),
noto epistemologo che ha sostenuto l’anarchismo metodologico. La sua
posizione è davvero sottile, poiché l’anarchismo metodologico rende del tutto
superflua l’epistemologia stessa.
[14] Francois Lyotard (1924-1998) filosofo
francese post-strutturalista,
considerato come il principale esponente del postmodernismo filosofico.
[15] Vedi nota n. 1.
[16] Il riferimento va a Richard Rorty
(19341-2007), filosofo neo pragmatista
americano, assai vicino al postmodernismo.
[17] Mi riferisco a: 1942 Durkheim, Émile, Les formes élémentaires de la vie
religieuse. Le systéme totémique en Australie, Alcan, Paris. Tr. it.: Le
forme elementari della vita religiosa. Il sistema totemico in Australia,
Newton Compton, Roma, 1973.
[18] Mi riferisco a René Magritte (1898-1967) e
alla lettura anti fondazionale e relativista che Michel Foucault ha fatto
della di lui opera titolata “Ceci n’est pas une pipe”.
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