1. Si domanda accorato Vincenzo Vita,[1] cercando di difendere
l’ANPI da quelli che egli ritiene essere attacchi pregiudiziali e del tutto
ingiustificati: «Perché questa
ossessiva polemica contro l’Anpi e il suo riconfermato Presidente Gianfranco
Pagliarulo? Perché gli agguerriti alfieri di una pulizia etnica del pensiero
non hanno il coraggio di sferzare il Vescovo di Roma che – con parole
ovviamente un po’ speciali - in fondo sembra il capo scuola di tutte e tutti
noi pacifisti?».
Più avanti veniamo debitamente informati sul senso complessivo della supposta “pulizia
etnica” in corso: «Insomma, sta
emergendo il disegno che si appalesa quotidianamente: destrutturare l’Anpi la
cui organizzazione vasta e capillare dà fastidio, e infliggere un bel colpetto
al cattolicesimo sociale di cui Francesco è il vessillo, nonché ai movimenti
pacifisti».
Quando ho letto queste boutade sono scoppiato a ridere. Intanto
non ho potuto che riconoscermi mio malgrado nel truce ritratto del pulitore etnico del pensiero, per il
semplice fatto che trovo disgustose talune cose scritte e pronunciate da
Pagliarulo,[2] unite a talune posizioni prese recentemente dall’ANPI nazionale.
Tutte cose che, prese insieme, costituiscono secondo me un vero e proprio
travisamento della cultura e della memoria della Resistenza. Per fortuna, come
ha sostenuto lo storico Franzinelli, la Resistenza, la Liberazione e il 25
Aprile non sono marchi di fabbrica e nessuno può appropriarsi del loro copyright.
Secondariamente, mi è
sorta una domanda, che poi coincide con la motivazione di questo mio scritto:
ma il difensore dell’ANPI, pacifista integrale e filo papista, che teme così
tanto la pulizia etnica del pensiero, l’ha mai letto il Catechismo della Chiesa
cattolica? Il papa di Roma caposcuola di tutti i pacifisti? Leggendo il
Catechismo, Vincenzo Vita potrebbe scoprire che il papa, se è pacifista, non
può che essere, anche lui, un pacifista
con l’elmetto. Non posso proprio qui seguire la sfida roboante a “sferzare”
il Vescovo di Roma, semplicemente perché il Vescovo di Roma la pensa esattamente
come me, pulitore etnico del pensiero. Se si preferisce, per modestia, sono io
a essere d’accordo con il papa, anche se le mie idee sulle questioni della
guerra e della pace non le ho proprio imparate da lui.
Si consoli poi Vincenzo
Vita, non faccio parte di alcun oscuro disegno emergente contro l’ANPI e contro
il papa. E non sono neanche sul libro paga di Biden e della NATO. Metto solo in pratica ciò che conosco sulla
guerra e sulla Resistenza, che poi sono conoscenze nient’affatto speciali e
ormai consolidate dagli storici. L’unico “disegno” in cui mi riconosco, al più,
è quello di combattere il pensiero
spazzatura che è sempre più dilagante in quella che una volta, avendo
ancora una sua identità, poteva anche chiamarsi sinistra. Combattere il
pensiero spazzatura una volta si chiamava critica.
Adesso si chiama pulizia etnica del
pensiero. Pazienza. Aggiornerò il mio vocabolario.
2. Andiamo dunque a leggere le prescrizioni del Catechismo
della Chiesa cattolica (promulgato, per la cronaca, nel 1997) proprio rispetto
alle questioni che riguardano la guerra e altre questioni connesse. Questo
saggio è assai semplice. Mi limiterò a citare alcuni paragrafi del Catechismo e
a commentarli, con qualche riferimento al dibattito odierno sulla guerra in
Ucraina. Dato lo stato penoso del dibattito pubblico su questi argomenti, credo
che ce ne sia proprio bisogno. Magari, leggendo il Catechismo della Chiesa
cattolica, c’è il rischio che qualcuno di quelli che le sparano grosse finisca
anche per imparare qualcosa, proprio sulla resistenza in senso generale, sulla
Resistenza, sulla guerra, sulla violenza, sulle armi e sulla differenza tra la
proclamazione dei principi e l’etica della responsabilità. I paragrafi, o articoli, sono riportati con
la loro numerazione e sono riprodotti in corsivo.
Per cominciare, in un
gruppo di paragrafi sovra titolati “Evitare la guerra” si dichiara anzitutto:
2308 Tutti i cittadini e tutti i governanti sono tenuti ad
adoperarsi per evitare le guerre. “Fintantoché esisterà il pericolo della
guerra e non ci sarà un’autorità internazionale competente, munita di forze
efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento,
non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa” [Cf ibid., 81]. Il
riferimento ibid. precedente va a Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes].
Si richiamano qui i
cittadini e i governi ad adoperarsi per evitare le guerre. E fin qui va
benissimo. Ma poi subito, nella citazione seguente, si ammette che, nei casi
estremi in cui non si riesca a evitare le guerre, i governi avranno il diritto
alla legittima difesa. E cosa è la legittima difesa se non un tipo particolare
di guerra? La guerra di legittima difesa
è dunque ammessa esplicitamente dalla
morale cattolica. Se non andiamo errati, si tratta di quella che normalmente è
nota come guerra difensiva o come guerra di resistenza.
Nell’articolo riportato
si fa chiaramente appello alla classica figura giuridica e filosofica del
“diritto di resistenza”.[3] Si tratta di un diritto di cui hanno trattato i
filosofi ma che, in taluni casi, è stato addirittura costituzionalizzato, cioè specificato in un apposito articolo di
una qualche Costituzione. Ciò, notoriamente, non è avvenuto nel caso della
Costituzione italiana. Solo perché si è ritenuto che questo diritto fosse per
sua natura di carattere meta-giuridico, e che dunque un articolo fosse
superfluo.[4] Nella seconda parte dell’articolo citato si esplicita l’esigenza
di un’autorità competente di polizia
internazionale, addirittura munita di forze
efficaci. E le forze efficaci non possono che essere – spiace per i
pacifisti integrali - anche forze armate. Magari, se si vuole, una
versione migliore dei Caschi Blu. Oppure una versione migliore delle coalizioni di Paesi (compresa a volte
anche la NATO) che in passato sono intervenute nelle aree di crisi, in seguito
alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Nel caso dell’Ucraina, è
il caso di ricordarlo, il Paese aggressore (la Russia) siede nel Consiglio di sicurezza e ha il diritto di veto. Ci si trova dunque precisamente nella posizione
del Terzo assente, secondo
l’espressione di Bobbio.[5] La conclusione dell’articolo in questione è che, in
mancanza del Terzo e in mancanza di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto a
una legittima difesa. La norma sembra scritta apposta per il caso
dell’Ucraina. Trovo strano che questa norma non sia mai citata dai commentatori
parolai, anche di estrazione cattolica. Si vanno a consegnare le autoambulanze
agli ucraini, ma riconoscere pubblicamente
il loro sacrosanto diritto alla
legittima difesa sembra molto più difficile. Davvero uno sforzo titanico.
Perché mai?
Si noti che la legittima
difesa è attribuita ai governi ma, implicitamente, non può che spettare anche
agli individui (quello che di solito è detto il popolo) qualora sia venuto meno il governo. Qualora, nei primi
giorni di guerra, Zelens'kyj fosse stato assassinato e il legittimo governo
ucraino fosse stato eliminato, e ne fosse stato imposto uno fasullo, gli
ucraini si sarebbero trovati nella classica posizione lockeana dell’«appello al
cielo». Difficile negare in loro diritto a insorgere.[6]
3. Segue un articolo fondamentale, il 2309, dove si ribadisce
la tradizionale dottrina della “guerra giusta”, adottata dalla Chiesa cattolica
fino dai tempi di Tommaso d’Aquino. E’ il caso di ricordare che in linea di
tempo, uno degli ultimi, in campo laico, a disquisire sulla nozione della
“guerra giusta” fu Norberto Bobbio.[7] In questo articolo si tratta del
tradizionale “jus ad bellum”, cioè delle condizioni che rendono giusta la decisione di scendere in
guerra. Dunque, per il Catechismo cattolico, spiace ricordarlo ai pacifisti
papisti, ci sono anche delle “guerre
giuste”. Il primo esempio che mi viene in mente è la guerra al
nazifascismo. Oppure la Resistenza italiana che, ahimè, magari deludendo
qualcuno, è stata anche una guerra.[8]
È il caso di sottolineare che la nozione di guerra giusta può applicarsi sia
alle guerre convenzionali, purché
difensive,[9] sia a quelle non
convenzionali. Qui potrei anche fare la storia del concetto della “guerra
per bande”. Ma lasciamo perdere. Vediamo cosa dice il Catechismo.
2309 Si devono considerare con rigore le strette condizioni
che giustificano una legittima difesa con la forza militare. Tale decisione,
per la sua gravità, è sottomessa a rigorose condizioni di legittimità morale.
Occorre contemporaneamente:
- Che il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla
comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo.
- Che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati
impraticabili o inefficaci.
- Che ci siano fondate condizioni di successo.
- Che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più
gravi del male da eliminare. Nella valutazione di questa condizione ha un
grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione.
Questi sono gli elementi tradizionali elencati nella
dottrina detta della “guerra giusta”. La valutazione di tali condizioni di
legittimità morale spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la
responsabilità del bene comune.
Più chiaro di così. Il
riferimento alla teoria della guerra giusta è esplicito. Vale la pena di
soffermarsi sulla condizione posta che ci siano fondate condizioni di successo. Questo perché sono circolati alcuni
ragionamenti secondo cui sarebbe stato inutile soccorrere l’Ucraina
dall’esterno, con la fornitura di armi, perché intanto questa avrebbe perso
contro la forza preponderante dei Russi e dunque la continuazione della
resistenza avrebbe procurato solo altri morti. Intanto, sembra che qualche
successo gli Ucraini lo abbiano avuto, a delusione dei perdenti preventivi. Alcuni autorevoli esperti di cose militari non
escludono per lo meno una non vittoria
della Russia. Impedire all’aggressore di vincere può già essere una buona base
per una trattativa equa. Piuttosto di una capitolazione totale. E ciò dipende
anche dagli aiuti. Nessuno può prevedere il futuro, per cui ci dobbiamo basare,
in questo caso, su ciò che è ragionevole.
Ma poi, e questo è un
punto davvero importante, la valutazione da fare sulle fondate condizioni di
successo, dice il Catechismo, spetta a
coloro che hanno la responsabilità del bene comune. In una democrazia
aggredita, direi allora che la valutazione spetti ai governanti regolarmente eletti. Non ai chiacchieroni che stanno a
guardare e a proclamare quello che gli ucraini dovrebbero fare. Se poi gli
ucraini, dopo avere deciso autonomamente
cosa fare, ti chiederanno di aiutarli, allora spetta a te decidere cosa fare.
Se aiutarli o girarti dall’altra parte. E il Catechismo, come si vedrà in
seguito, pur non esplicitamente, contiene una risposta abbastanza chiara.
2310 I pubblici poteri, in questo caso, hanno il diritto e
il dovere di imporre ai cittadini gli obblighi necessari alla difesa nazionale.
Coloro che si dedicano al servizio della patria nella vita
militare sono servitori della sicurezza e della libertà dei popoli. Se
rettamente adempiono il loro dovere, concorrono veramente al bene comune della
nazione e al mantenimento della pace [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 79].
E qui compare il pacifismo con l’elmetto della Chiesa
cattolica. Qualora abbiano deciso autonomamente
di resistere, i pubblici poteri hanno il diritto e il dovere di imporre gli
obblighi necessari alla difesa nazionale. Cioè – proprio come ha fatto
l’Ucraina – imporre l’obbligo dell’arruolamento.
Non si tratta dunque solo di una spontanea guerra per bande in concomitanza con
la defezione dell’esercito. Imporre il servizio
militare in caso di aggressione è dunque del tutto legittimo, anche dal
punto di vista della morale cattolica. Tutti ricordiamo di aver visto i maschi
adulti (magari per qualcuno erano solo degli astuti attori pagati da Zelens'kyj)
che accompagnavano alla frontiera donne e bambini e poi tornavano indietro per
arruolarsi. Questo paragrafo del Catechismo dice poi che coloro che arruolati
compiono il loro dovere di militari e anche di combattenti, concorrono al bene comune e,
soprattutto, al mantenimento della pace.
Oh bella! I militari arruolati per la resistenza all’aggressione contribuiscono
al mantenimento della pace. Questa cosa non sto neanche a spiegarla, tanto Vincenzo
Vita e l’ANPI di Pagliarulo non la capiranno mai.
2311 I pubblici poteri provvederanno equamente al caso di
coloro che, per motivi di coscienza, ricusano l’uso delle armi; essi sono
nondimeno tenuti a prestare qualche altra forma di servizio alla comunità umana
[Cf
ibid].
Ovviamente, la Chiesa
cattolica si preoccupa dell’obiezione di
coscienza. Non sembra questo il caso dell’Ucraina: pare che ci fossero
lunghe file di volontari disponibili a combattere. Dalle grandi città ai
piccoli villaggi si sono costituiti ovunque i gruppi di difesa territoriale. Sono stati fatti corsi di
addestramento all’uso delle armi. Certo, qualche obiettore (non so come sia
regolata lì la materia) o qualche disertore ci sarà stato, ma gli ucraini in
gran parte si sono resi disponibili a combattere. Devo dire in maniera
ammirevole. Ebbene sì, cari pacifisti, coloro che scelgono di combattere per difendere il proprio Paese
possono essere anche degni di ammirazione. Questo proprio mentre alcuni nostri
intellettuali dichiaravano che i volontari, essendo inesperti, si sarebbero
fatti male con le armi che abbiamo mandato loro e che, comunque, il loro
apporto militare sarebbe stato insignificante. Altri prevedevano scenari per
cui le nostre armi sarebbero finite nelle mani della malavita organizzata o dei
nazisti ucraini. Posso citare le fonti.
4. Seguono nel Catechismo una serie di precetti riguardanti le
modalità ammesse nella conduzione pratica della guerra.
2312 La Chiesa e la ragione umana dichiarano la permanente
validità della legge morale durante i conflitti armati. “Né per il fatto che
una guerra è disgraziatamente scoppiata, diventa per questo lecita ogni cosa
tra le parti in conflitto” [Cf ibid].
Questa è una giusta
sottolineatura dell’esigenza di osservare in ogni caso lo “jus in bello”
secondo la migliore tradizione classica. Lo stato di guerra non abdica la legge
morale. Fa davvero bene la Chiesa a ricordarcelo. E ciò è ribadito in dettaglio
negli articoli seguenti.
2313 Si devono rispettare e trattare con umanità i
non-combattenti, i soldati feriti e i prigionieri. Le azioni manifestamente
contrarie al diritto delle genti e ai suoi principi universali, non
diversamente dalle disposizioni che le impongono, sono dei crimini. Non basta
un’obbedienza cieca a scusare coloro che vi si sottomettono.
Così lo sterminio di un popolo, di una nazione o di una
minoranza etnica deve essere condannato come un peccato mortale. Si è
moralmente in obbligo di far resistenza agli ordini che comandano un genocidio.
Il soggetto morale – qui
si coglie l’insegnamento della Shoah e della “banalità del male” – ha la
prevalenza sull’organizzazione militare. Combattere richiede disciplina, ma
anche la responsabilità morale personale di
disobbedire a un ordine ingiusto. L’obbedienza non è più una virtù.
2314 “Ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla
distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto
contro Dio e contro la stessa umanità e con fermezza e senza esitazione deve
essere condannato” [Conc.
Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 80]. Un
rischio della guerra moderna è di offrire l’occasione di commettere tali
crimini a chi detiene armi scientifiche, in particolare atomiche, biologiche o
chimiche.
Qui non si può che
osservare la perfetta concordanza con le norme del diritto di guerra
internazionale. Questi articoli sembrano tuttavia tagliati apposta per la
Russia di Putin. Quello che sta facendo Putin nella pratica della guerra viola
pesantemente la morale cattolica. Cosa aspetta il papa a condannare su queste
basi le pratiche consuetudinarie delle forze armate russe? Oppure aspetta anche
lui di “avere le prove” da una fonte indipendente?
5. Ci sono a questo punto due paragrafi che riguardano la
questione delle armi. Che vanno ben al di là della questione dell’aumento delle
spese militari e mostrano una posizione assai più articolata dei vari pacifismi
fondamentalisti. Perché, se c’è una “guerra giusta” in certa misura ci devono
essere anche delle armi utili. E in
certa misura queste armi possono essere usate anche per uccidere. La Chiesa è
dunque perfettamente coerente. Accollandoci la responsabilità di decidere ove
stia il bene e il male, anche nella guerra, ci accolliamo anche la responsabilità di usare eventualmente
anche le armi e la violenza. I pacifisti fondamentalisti giudicano invece
astrattamente, solo secondo il valore supremo della pace, e non si prendono
alcun’altra responsabilità di resistere e di usare eventualmente le armi.
2315 L’accumulo delle armi sembra a molti un modo
paradossale di dissuadere dalla guerra eventuali avversari. Costoro vedono in
esso il più efficace dei mezzi atti ad assicurare la pace tra le nazioni.
Riguardo a tale mezzo di dissuasione vanno fatte severe riserve morali. La
corsa agli armamenti non assicura la pace. Lungi dall’eliminare le cause di
guerra, rischia di aggravarle. L’impiego di ricchezze enormi nella preparazione
di armi sempre nuove impedisce di soccorrere le popolazioni indigenti; [Cf Paolo VI, Lett. enc.
Populorum progressio, 53] ostacola lo
sviluppo dei popoli. L’armarsi ad oltranza moltiplica le cause dei conflitti ed
aumenta il rischio del loro propagarsi.
Qui si condanna con
chiarezza la nota dottrina della deterrenza.
La cosa tuttavia è in realtà alquanto discutibile. In effetti, durante la
Guerra fredda, la deterrenza atomica ha
impedito la guerra nucleare ma non ha
impedito una miriade di guerre differite. E’ dunque senz’altro bene
invocare il disarmo in generale. Ma cosa si deve fare quando il disarmo non si
realizza? E’ appena il caso di notare che se l’Ucraina nel 1994 non avesse
consegnato tutte le sue testate atomiche, in cambio della garanzia
dell’integrità dei suoi confini (si veda il protocollo
di Budapest), ben difficilmente sarebbe stata attaccata dalla Russia. Può
essere che la dottrina della deterrenza non sia del tutto in linea con la
morale cattolica, ma talvolta in pratica ha effettivamente funzionato. Nel caso
dell’Ucraina, la rinuncia alla deterrenza pare proprio non sia servita a
mantenere la pace e abbia anzi favorito l’aggressore. E poi c’è un caso in cui
la deterrenza sta funzionando proprio sotto i nostri occhi: è la deterrenza
esercitata proprio ora, nei nostri confronti dalla Russia con le sue atomiche.
È chiaro che oggi gran
parte del potere difensivo della NATO si basa proprio sulla deterrenza.
Un’interpretazione estremistica di questo articolo implicherebbe la rinuncia a qualsiasi armamento (poiché
qualsiasi armamento è anche deterrenza) e, nel caso specifico, l’immediata
uscita dalla NATO. Non risulta che i cattolici abbiano mai chiesto l’uscita
dalla NATO. Ora, Svezia e Finlandia stanno decidendo di entrare nella NATO, la
quale assicura proprio la deterrenza. Difficile spiegare a Svezia e Finlandia
che dovrebbero continuare a starsene fuori dalla NATO, perché non corrono alcun
rischio. L’articolo 2315 parla di “riserve morali” nei confronti della
deterrenza e non prescrive però il da farsi immediato in situazioni
circostanziate.
Com’è noto, l’ANPI di
Pagliarulo va ben oltre le riserve morali della dottrina della Chiesa cattolica
nei confronti della deterrenza, poiché ritiene che l’Italia dovrebbe uscire dalla NATO e che la NATO dovrebbe essere sciolta. Non è chiaro
come ci si dovrebbe comportare con i Paesi dotati di deterrenza atomica (tra
cui USA e Russia). La posizione attuale dell’ANPI sulla NATO – oltre che
oggettivamente filo putiniana - appare del tutto irrealistica. Non è chiaro
come dovrebbe fare un Paese come l’Italia a difendersi, nell’attuale condizione
internazionale, in assenza dell’ONU che è del tutto impotente e nell’assenza
di un esercito europeo. Ci sarebbe una sola risposta: rinunciare al diritto di resistenza con la speranza che ciò ci
tenga fuori dai guai. Putin ringrazia.
Secondariamente,
nell’articolo si condanna l’accumulo delle armi, quello che abbiamo conosciuto
come “corsa agli armamenti”. Nulla si dice però a proposito di un aumento delle
spese militari in relazione al sopravvenire di una eventuale nuova minaccia, a
un aumento della situazione di insicurezza globale. Una risposta implicita si
può trovare nel successivo paragrafo.
2316 La produzione e il commercio delle armi toccano il bene
comune delle nazioni e della comunità internazionale. Le autorità pubbliche
hanno pertanto il diritto e il dovere di regolamentarli. La ricerca di
interessi privati o collettivi a breve termine non può legittimare imprese che
fomentano la violenza e i conflitti tra le nazioni e che compromettono l’ordine
giuridico internazionale.
Si dice che la
produzione e il commercio di armi devono essere regolamentate e non che debbano essere eliminate. Questo significa evidentemente che in alcuni casi, per
la Chiesa cattolica, la produzione e il commercio delle armi sia pratica
consentita. Del resto l’adesione alla teoria della “guerra giusta” implica che
le armi, certi tipi di armi – non certo quelle proibite dalle convenzioni
internazionali - almeno per i casi di “guerra giusta”, siano del tutto lecite.
Sarebbe stupido ritenere che sia consentita solo la difesa a mani nude. Il
Catechismo ammette come abbiamo visto che ci siano degli eserciti con compiti
difensivi. E dunque è del tutto presumibile che un ragionevole armamento, in
relazione ai rischi che si corrono per la propria sicurezza, sia del tutto
accettabile.
2329 “La corsa agli armamenti è una delle piaghe più gravi
dell’umanità e danneggia in modo intollerabile i poveri” [Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 81].
Qui si discute il risvolto
economico della corsa agli armamenti. È indubbiamente vero che l’aumento
sconsiderato delle spese militari toglie risorse ai poveri, ma i poveri possono
anche essere interessati alla risorsa della sicurezza e dunque a un
ragionevole armamento. La scelta deve esser fatta razionalmente dai governi senza
isterismi e senza fondamentalismi.
6. Nel Catechismo non ci sono solo regole pratiche, ma anche
riflessioni teoriche di gran rilievo. Negli articoli seguenti viene esplicitata
una importante questione filosofica, dunque una questione di principio, già
utilizzata nelle precedenti determinazioni. Si tratta della questione dell’uso della violenza nel caso della legittima difesa.
2321 La proibizione dell’omicidio non abroga il diritto di
togliere, ad un ingiusto aggressore, la possibilità di nuocere. La legittima
difesa è un dovere grave per chi ha la responsabilità della vita altrui o del
bene comune.
Dunque, a scanso di
equivoci, per la morale cattolica, se si tratta di togliere a un ingiusto aggressore
la possibilità di nuocere è ammesso a
livello personale l’uso della violenza, fino ad arrivare all’uccisione
dell’aggressore. Cioè, è possibile anche l’impiego dell’arma letale (chi era già quello che ha detto “Non mandiamogli armi
letali!”). In tal caso, il difensore legittimo non sarà macchiato dalla colpa
(o dal peccato) dell’omicidio. E questo vale anche per quelli che hanno
responsabilità di comando, come ad esempio il presidente ucraino attuale. Se
hai una carica di responsabilità e stai difendendo il tuo Paese, secondo le
regole della guerra giusta, e ci sono per questo dei morti, questo non
costituisce colpa. Del resto il soldato che uccide legittimamente in guerra non
è generalmente considerato un omicida – tranne il caso dei crimini di guerra.
7. Riporto qui alcuni altri passi, di carattere più generale,
ove si accenna soprattutto ai fondamenti
ultimi di quanto già riportato.
1909 Il bene comune implica infine la pace, cioè la
stabilità e la sicurezza di un ordine giusto. Suppone quindi che l’autorità
garantisca, con mezzi onesti, la sicurezza della società e quella dei suoi
membri. Esso fonda il diritto alla legittima difesa personale e collettiva.
Qui si specifica che il diritto alla legittima difesa (personale
e collettiva), di cui s’è detto, abbia un fondamento nell’esigenza del bene comune. Dire “bene comune” è
notoriamente un altro modo per parlare di democrazia. Chi ove necessario non provvedesse a esercitare il diritto della
legittima difesa minerebbe con ciò il bene comune. Il problema non è dunque
quello di salvarsi l’anima individuale a tutti i costi, nei termini di una
qualche etica dell’intenzione, che
invochi magari la non violenza e la pace a
tutti i costi, bensì quello di assicurare il bene comune minacciato, nei termini
di un’etica della responsabilità.
Il fondamento della
legittima difesa viene motivato nei termini del diritto naturale, teste niente
meno che Tommaso d’Aquino. Come nell’articolo seguente.
2263 La legittima difesa delle persone e delle società non
costituisce un’eccezione alla proibizione di uccidere l’innocente, uccisione in
cui consiste l’omicidio volontario. “Dalla difesa personale possono seguire due
effetti, il primo dei quali è la conservazione della propria vita; mentre l’altro
è l’uccisione dell’attentatore … Il primo soltanto è intenzionale, l’altro è
involontario” [San
Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, II-II, 64, 7].
2264 L’amore verso se stessi resta un principio fondamentale
della moralità. È quindi legittimo far rispettare il proprio diritto alla vita.
Chi difende la propria vita non si rende colpevole di omicidio anche se è
costretto a infliggere al suo aggressore un colpo mortale:
Se uno nel difendere la propria vita usa maggior violenza
del necessario, il suo atto è illecito. Se invece reagisce con moderazione,
allora la difesa è lecita. E non è necessario per la salvezza dell’anima che
uno rinunzi alla legittima difesa per evitare l’uccisione di altri: poiché un
uomo è tenuto di più a provvedere alla propria vita che alla vita altrui [San Tommaso d’Aquino,
Summa theologiae, II-II, 64, 7].
Qui credo che siamo di
fronte a un retaggio della tradizione. La argomentazione di Tommaso che viene
qui invocata pare invero alquanto discutibile – la discussione di questo punto
coinvolgerebbe una analisi filosofica della intenzionalità
che in questa sede non ci possiamo permettere. In ogni caso, quel che va notato
è che la difesa della vita
dell’aggredito è considerata più importante degli eventuali effetti
collaterali, come ad esempio l’assestamento di un colpo mortale, che sarebbe
considerato addirittura involontario
(noi diremmo conseguenza indiretta,
effetto non voluto o collaterale). La cosa importante
tuttavia è che la reazione da parte dell’offeso sia commisurata all’offesa
subita.
Nella fattispecie,
l’Ucraina, dopo avere subito l’amputazione della Crimea e l’induzione dall’esterno
di una Guerra civile sul proprio territorio del Donbass nel 2014, decide di
costruirsi un esercito per la propria difesa, usando anche la collaborazione di
consulenti stranieri, armandosi e chiedendo di entrare nella NATO (cosa che
peraltro era impossibile data la propria situazione confinaria). Paiono queste
tutte reazioni commisurate all’offesa subita? O no? O ci vogliamo gingillare
ancora con la propaganda putiniana della perfida strategia di accerchiamento
della NATO e con l’antiamericanismo da quattro soldi?
2265 La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere
anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri. La difesa
del bene comune esige che si ponga l’ingiusto aggressore in stato di non
nuocere. A questo titolo, i legittimi detentori dell’autorità hanno il diritto
di usare anche le armi per respingere gli aggressori della comunità civile
affidata alla loro responsabilità.
Si sancisce qui con
estrema chiarezza il diritto di usare le
armi “letali” da parte dei legittimi detentori dell’autorità. Soprattutto,
si sottolinea come questo costituisca anche un dovere. Se in determinate situazioni le autorità non usassero le armi necessarie, ciò
costituirebbe una colpa da addebitare loro. Ne derivano alcune conseguenze
importanti, rispetto alle operazioni militari di peace-enforcement e di peacekeeping.
A rigor di logica, in generale, un ONU degno del suo nome avrebbe il dovere di mandare i Caschi Blu (o la
NATO, o altri soggetti disponibili) nelle situazioni delle crisi umanitarie. E
avrebbe anche il dovere di usare le armi,
non come i Caschi Blu olandesi che a Srebreniza han dovuto stare a guardare.
Certo, gli interventi umanitari poi possono anche avere dei difetti nella
realizzazione, ma il principio della liceità
degli interventi militari umanitari pare qui fermamente stabilito. Sento a
questo punto il ronzio dell’argomento Bongo Bongo: «Si, ma quella volta è
successo che, …». Può esser successa qualsiasi cosa, ma quello che qui si
asserisce con certezza è che chi ha la responsabilità, non può stare a guardare mentre gli aggressori fanno il loro sporco
lavoro. E’ abbastanza chiaro che, di fronte all’Ucraina, stiamo a guardare solo per la deterrenza atomica della Russia.
Stiamo a guardare, ma almeno alcune delle armi richieste dall’aggredito le
possiamo mandare.
8. In ultimo, non poteva mancare – anche se connessa solo piuttosto
alla larga con il nostro argomento - la riflessione del Catechismo della Chiesa
cattolica intorno alla questione della pena
di morte. Dirò subito che – fatto assai raro nel Catechismo – la prescrizione
è cambiata da poco tempo. Per il nostro discorso che è filosofico e
interpretativo ci interessa però anche la norma vecchia che è stata modificata.
Fino a ieri, la prescrizione era la seguente.
2267 L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude,
supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del
colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via
praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di
esseri umani.
Se invece i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere
dall’aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone, l’autorità si
limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni
concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana.
Oggi, infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato
dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l’ha
commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi
di assoluta necessità di soppressione del reo “sono ormai molto rari, se non
addirittura praticamente inesistenti” [Evangelium vitae, n. 56].
Il 1° agosto 2018 è
stata annunciata dalla Chiesa una modifica di questo paragrafo con la quale
viene espressa l’inammissibilità assoluta
della pena di morte. Per la fretta, non sono riuscito a trovare il testo
modificato.
Sarà sorprendente, per
alcuni sprovveduti, che la dottrina della Chiesa abbia ammesso, fino a ieri, la pena di morte in taluni
casi. Questa – dopo l’accertamento della responsabilità – doveva comunque
essere l’unica via praticabile per difendere efficacemente la vita di esseri
umani dall’aggressore ingiusto. La prescrizione, anche se non collimava del
tutto, non era neanche troppo lontana dalla giustificazione dell’assassinio politico, quando questo fosse
stato compiuto per buone ragioni. Ad esempio l’attentato a Hitler di von
Stauffenberg, oppure, l’esecuzione di Mussolini, con la motivazione che questi
avrebbe potuto salvarsi (o essere salvato) e nuocere ancora al Paese.
Da ciò possiamo
comprendere perfettamente come la ratio
del Catechismo su questo tipo di questioni non sia in genere basata sul pacifismo assoluto o sulla non violenza fondamentalista, bensì
proprio sull’etica della responsabilità.
Dal 2018 la proibizione della pena di morte è diventata assoluta, anche se,
sempre responsabilmente, ciò non ha comportato significativi cambiamenti dei
rapporti da parte della Chiesa nei confronti di quegli Stati ove si pratichi
ancora la pena capitale.
9. Se questi sono, alla lettera, i precetti morali della
Chiesa cattolica sulla guerra e sulle questioni a questa connesse,
assolutamente non nuovi e appartenenti alla tradizione consolidata, sorge
spontanea una domanda: «Perché il papa non ne parla mai?». Tanto da convincere
gli sprovveduti come Vincenzo Vita che il papa stesso sia il vero capo in
incognito dei pacifisti assoluti e dei non violenti? Eppure di occasioni, in
questo ultimo mese, ne avrebbe avute a bizzeffe. Il papa non conosce il
Catechismo della chiesa cattolica? Lo conosce, ma non vuol bene all’Ucraina e
quindi non cita mai quelle dottrine che potrebbero proprio giustificarne la resistenza? La Chiesa si vergogna di queste
dottrine? Sono dottrine ormai desuete, destinate a finire nel dimenticatoio?
Temo che una spiegazione ci sia e che sia ben diversa.
Tutta la dottrina che
abbiamo esposto è all’insegna del principio
di responsabilità. Il principio di responsabilità implica l’applicazione
faticosa delle argomentazioni razionali, l’analisi dei dati, il confronto
doloroso dei pro e dei contro. Implica una scelta che comunque si colloca
sempre in una condizione di incertezza. Oggi purtroppo questa cultura della critica razionale è stata
ormai spazzata via dal populismo, il
quale esige solo parole d’ordine
elementari. Appelli ai valori. In questi nostri giorni, anche il pacifismo e la non violenza sono
diventati populisti. Un esempio per capirci. In un affollato talk-show televisivo,
ricordo di avere visto una teologa di origine ucraina che – caso davvero unico
- ha provato a ricordare ai presenti proprio la teoria della Chiesa cattolica
sul diritto di resistenza. Più o meno
quella di cui abbiamo parlato. Ebbene, un prete cattolico presente, decisamente
un poco esaltato e sopra le righe, ha risposto con tono canzonatorio e
sprezzante che a lui quelle teorie non potevano fregare di meno, perché lui,
pacifista integrale, aveva come guida nientemeno che il Vangelo! Il poveretto
ancora non ha capito che dal Vangelo, usato come ricettario, si può ricavare
qualunque cosa. E così è stato fatto puntualmente nella storia. Anche Kirill si
basa senz’altro sul Vangelo. Il tutto mi ha fatto venire in mente gli
illuminati di Zwickau, che non avevano neanche più bisogno del Libro e si
credevano direttamente ispirati dallo Spirito Santo.
10. Il populismo pretende oggi anzitutto la semplificazione. È tutta colpa della
NATO. Zelensky servo di Biden. Biden vuole la guerra. Gli ucraini sono nazisti. Quella dell’Ucraina
non è una resistenza. La guerra è sempre sbagliata. Niente armi. Le
semplificazioni appagano, ci si sente intelligenti. Permettono di pensare poco
e di sentirsi una grande famiglia. Assistiamo poi alla dicotomizzazione del discorso. Ci siamo noi, quelli che stanno dalla parte giusta, la parte del bene, e poi
ci sono loro, tutti gli altri. Questo
accade un po’ ovunque e accade ugualmente nel campo della miriade di movimenti
dei pacifisti assoluti e dei non violenti. Chi vuole aiutare concretamente
l’Ucraina diventa subito quello con
l’elmetto. Portare l’elmetto è divenuto un insulto a prescindere. Tutti i
politici che hanno accettato di inviare armi all’Ucraina sono stati effigiati
con l’elmetto. E poi ancora c’è la simbolizzazione.
Al posto dei discorsi razionali
oramai si fanno solo più gesti simbolici.
Dall’ampolla di Bossi di lontana memoria fino all’autoambulanza del papa in
Ucraina. Fino alle due donne, russa a ucraina, alla Via crucis.[10] I gesti simbolici appagano. Servono per riempire le
pagine dei giornali, per finire sui social.
Potranno avere anche importanti funzioni morali in termini durkheimiani, ma di
certo non servono a far ragionare. E poi infine c’è la questione del leader. Tutti i populismi hanno bisogno
sempre della personalizzazione.
Proprio perché non hanno molte argomentazioni da portare. E anche perché i
seguaci le argomentazioni non le vogliono sentire. Qui non posso che rifarmi a
quanto dice Vincenzo Vita: «[…]
il Vescovo di Roma che […] in fondo sembra il capo scuola di tutte e tutti noi
pacifisti».
Il papa attuale è davvero la persona giusta a fare da leader di questa nuova forma di populismo
pacifista. E lui purtroppo si presta volentieri.
11. Il populismo è una forza strisciante e, quando emerge, lo
fa quasi sempre all’improvviso. Emerge sempre con una sorprendente presenza di massa. Ieri era il momento
dei novax. Oggi è chiaramente il
momento dei pacifisti integrali e dei non violenti. C’è oggi, almeno nel nostro
Paese, quello che potremmo chiamare un vero peace
populism diffuso. Le statistiche si sprecano: il gran numero di italiani
contrario all’invio delle armi in Ucraina, i contrari alle spese militari, e
così via. Tutti uniti dalla magica parola “pace”. Così Biden e BoJo, che senza
tante storie aiutano autenticamente l’Ucraina aggredita a resistere –
accondiscendendo peraltro, ovviamente, solo
ad alcune richieste di aiuto dell’Ucraina – diventano i perfidi
guerrafondai. Quelli che vogliono prolungare[11]
la guerra per i loro sporchi interessi. L’Ucraina quindi non ha alcuna
autonomia, è solo un pupazzo nelle mani degli USA e della NATO. Del resto, se
l’Ucraina è stata aggredita, in fondo in fondo, se l’è proprio andata a cercare!
Così i pacifisti
populisti possono mettere sullo stesso piano la politica della NATO e la
politica di Putin. Lo slogan «Fermatevi!» che si è visto recentemente è davvero
vergognoso: poiché l’aggressore è uno,
si dovrebbe dire piuttosto «Fermati!» e tutti capirebbero a chi è rivolto. E
perché. Ma questo linguaggio chiaro significherebbe decidere chi ha torto e chi
ha ragione, coinvolgersi, sporcarsi le mani. I pacifisti duri e puri pretendono
sempre di avere le mani pulite. Sono così al di sopra di tutto che non
s’accorgono neanche quando sono adoperati da qualcuno più furbo di loro.
12. Prima evidentemente ho un po’ scherzato. Credo in realtà che
il papa conosca assai bene il contenuto del suo Catechismo. Tuttavia, in questa
situazione, al papa attuale, nella sua auto presentazione retorica e simbolica,
non resta che darsi un’immagine radicalmente
pacifista e non violenta. Onde evitare la facile accusa dell’elmetto. Onde
cavalcare soprattutto l’onda magnifica del peace
populism del momento. Perché è proprio questo che vogliono gli attivisti, oppure un certo tipo di opinione pubblica. Una maniera comoda,
poi, per ritrovare un seguito di massa
e distogliere l’attenzione da altri problemi che affliggono la Chiesa. Chi può
dargli torto? Così la plurisecolare, profonda e drammatica riflessione sulla
violenza, sulla guerra e sulla resistenza che è contenuta nel Catechismo passa
puntualmente in secondo piano di fronte agli slogan elementari. Ho un grande rispetto per l’attuale papa e,
personalmente, mi è anche molto simpatico. Amichevolmente, stando in ogni caso dalla
sua parte, visti anche i numerosi nemici interni che ha, avrei una umile e modesta
richiesta da fargli. Relativamente alle questioni della pace e della guerra, faccia
un po’ meno il peace populist e
spieghi un po’ di più il suo Catechismo. Almeno qualche volta. Gli ucraini
ringrazierebbero.
OPERE
CITATE
NOTE
[2] Si veda ad esempio quanto riportato su Città
Futura: http://www.cittafutura.al.it/sito/n-p-note-sulla-crisi-ucraina/ . Più recentemente i giornali hanno
recentemente riportato una serie di post di qualche anno fa, ove il Pagliarulo
faceva propaganda filorussa, tifava per i separatisti del Donbass e usava
esattamente le stesse argomentazioni usate da Putin per giustificare
l’invasione dell’Ucraina.
[3] In campo filosofico, il diritto di resistenza risale come minimo a Tommaso d’Aquino, uno
dei fondatori della nozione del diritto
naturale.
[4] Si vadano a vedere i dibattiti tenuti alla
Costituente. Cfr. su questo punto Ciervo 2014.
[5] Ne ho parlato diffusamente nel mio saggio
recente: Finestre
rotte: Ucraina. Lo spettro di Milošević. [6] So bene che Kant ha negato il
diritto al popolo di resistere al governo, quale che sia, ma si tratta di una
stupidaggine del pur grandissimo filosofo. Nessuno è perfetto.
[7] Si veda Bobbio 1984, Bobbio 1989 e Bobbio
1991.
[8] Spero non la si voglia chiamare “Operazione
militare speciale”. C’è anche chi ha autorevolmente parlato di “tre guerre”: la
guerra patriottica (contro l’occupante), la guerra civile (contro il fascismo)
e la guerra di classe.
[9] Qualcuno ha sostenuto che, trattandosi il
conflitto russo ucraino di un conflitto tra due eserciti di due Stati, non ci
possa essere resistenza. Dunque non sarebbe lecito l’aiuto in termini di armi.
Per di più solo i cobelligeranti si possono aiutare con le armi. Davvero un
pensiero straordinario e lungimirante! La resistenza c’è quando dall’altra
parte c’è aggressione. Non importa lo status statuale o meno dell’aggredito.
Oltretutto la guerra russo-ucraina non è stata mai dichiarata. Per i Russi non
è neanche una guerra.
[10] Personalmente capisco molto bene perché in
Ucraina la cerimonia non è stata trasmessa dai mezzi di informazione. La
simbologia delle due donne di Paesi in guerra tra loro che portano la croce va
magari bene per noi, ma non può proprio andare bene per quelli che ogni giorno
si pigliano le bombe in testa. Le nostre esigenze di retorica simbolica possono
spingersi fino all’offesa di coloro che crediamo di voler aiutare.
[11] Quelli che vogliono che la guerra finisca
subito, a tutti i costi, evidentemente sono quelli che vogliono anche la rapida
capitolazione dell’Ucraina, con tutto quello che comporta. La decisione
drammatica, se capitolare o no, la dovrebbero prendere anzitutto gli Ucraini.
Dovremmo almeno avere l’umiltà di spingerci a riconoscere che sono loro i
padroni del loro destino.
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