1. Avrei diversi rilievi da fare a proposito
dell’interessante dibattito tra Boatti e Lodato circa la questione della
politica culturale locale, degli “intellettuali alessandrini” e del Teatro. Mi
riservo semmai di intervenire tra un po’ con uno scritto ponderato. Per ora
propongo una breve nota sulla politica culturale costituita da una citazione e
da una serie di osservazioni spicciole da parte mia. Mi sembra che la nota sia
nel complesso davvero divertente, nel senso però che si tratta, ahimè, di ridere per non
piangere.
2. Preso atto che la politica culturale della
precedente amministrazione sarebbe stata criticata - come dice Boatti - da non
ben precisati “intellettuali alessandrini” (Avrebbe detto Don Abbondio: “Ma chi
sono costoro?”), allora mi è sembrato per lo meno il caso di andare a vedere se
nel principale programma concorrente, quello della candidata Trifoglio, fossero
contenuti degli spunti alternativi
di politica culturale, capaci di colmare i limiti lamentati. Se Rossa ha
sbagliato, e può anche darsi, allora chi l’ha contestata e si è presentato in
concorrenza, dovrebbe esibire nel suo programma almeno una qualificata
soluzione alternativa.
3. La citazione che propongo all’attenzione dei lettori
è per l’appunto presa dal programma elettorale della candidata Trifoglio che, mi
permetto di ricordarlo, nelle recenti elezioni amministrative si è presentata
con il sostegno di ben tre liste e ha guadagnato una quota ragguardevole di
consensi (4653 voti), in uno spazio politico che, approssimativamente, può
essere definito di centro sinistra.
Quasi cinquemila elettori, virtualmente
di centro sinistra, evidentemente insoddisfatti dalla politica del centro
sinistra, che hanno dato il loro consenso a un programma
alternativo. Ricordo anche che la candidata Trifoglio, in seconda istanza,
si è poi ufficialmente apparentata
con la stessa candidata Rossa, avendo trovato alla fine alcune convergenze
sui programmi. Ho già scritto altrove – su Città
Futura – intorno agli effetti elettorali di questo apparentamento.
4. La citazione - cui, la prima volta che l’ho letta,
ho apposto un vistoso punto esclamativo - è la seguente. È un po’ lunga ma vale
la pena di ponderarla attentamente: «CULTURA e quindi la valorizzazione del
Territorio alessandrino nelle sue diverse peculiarità. L’espansione totalizzante
di ciò che chiamiamo rete; di più:
la progressiva, inesorabile evoluzione degli strumenti elettronici in
intelligenza artificiale è la connotazione preponderante del “liquido”
presente-futuro in cui stiamo vivendo. Talvolta stacchiamo gli occhi dallo
smartphone per altre attrazioni. Il cibo: abbiamo quasi un’ossessione per
le ricette “di una volta” e per il “buon vino”. Il corpo:
molti gli dedicano più cura di quanta gli dedicava un atleta di Olimpia. E i
temi davvero importanti. La natura:
quella che si chiama “paesaggio” la cui bellezza vorremmo ripristinare
pienamente e, all’opposto, quella che si chiama “ambiente”, un involucro del
tutto innaturale da cui ci siamo fatti avvolgere e in cui sta per mancare
l’aria. La società: che abbiamo
intasato con il benessere più ridondante e che oggi deve imparare a contenere
tutte le razze, tutte le tradizioni, tutte le religiosità; sapendo che il
bisogno di sicurezza fisica può
spazzare via qualsiasi buona intenzione. Questi temi, e altri, oggi vanno sotto
il titolo collettivo di CULTURA. La definizione di culturale,
non la si nega più a niente; si può applicare a qualsiasi materia, a qualsiasi
oggetto, a qualsiasi evento; proporre dei distinguo sarebbe inutile. Persino la
travagliata antinomia fra Scienza e Cultura non interessa più, superata com’è
proprio dalla percezione onnicomprensiva della “tecnologia”. La politica
culturale di una pubblica amministrazione (p. es. quella che vogliamo per
Alessandria) non può che muoversi fra questi temi, metterne in rapporto le
competenze. Su di essi deve trovare un dialogo con l’economia privata, non
soltanto per reperire finanziamenti ma, in primo luogo, per condividere
obiettivi interessanti per la comunità di riferimento. Questi temi devono
essere la cornice del programma di governo, nel senso che è la cornice a tenere
appeso il quadro. L’assessorato-cultura deve essere la coscienza critica della
vision di una Giunta, il
collegamento fra le sue linee-guida».
5. A parte la lingua italiana, a parte la liquida
citazione del liquido Bauman, a parte la complicità con le debolezze umane
(“talvolta stacchiamo gli occhi dallo smartphone”), l’estensore del documento ci
informa che varie cose decisamente eterogenee come rete,
cibo, corpo,
natura, società,
sicurezza, vanno ormai tutte sotto
il titolo collettivo di cultura. E
poi ci spiega, in un passaggio davvero forte e innovativo: «La definizione di culturale, non la si nega più a niente;
si può applicare a qualsiasi materia, a qualsiasi oggetto, a qualsiasi evento;
proporre dei distinguo sarebbe inutile». Si poteva pensare che la banalizzazione
della nozione di cultura fosse la denuncia di una situazione di degrado. Invece
no. Proprio questo principio banalizzato all inclusive di cultura viene posto
come carattere di fondo della nuova
politica culturale. Opporsi sarebbe inutile.
Se poi, colti da qualche mania filologica, riflettiamo
bene sul passaggio citato, le perplessità s’ingigantiscono. Non si capisce se la
«qualsiasi materia» a cui ci si riferisce è quella di cui parla la fisica o sono
le materie scolastiche; del resto poi anche le espressioni «qualsiasi oggetto» e
«qualsiasi evento» sono decisamente ambigue. È imbarazzante dover ricordare che
ci sono cose che esistono indipendentemente dalla cultura e invece ci sono delle
cose che esistono perché sono dei costrutti culturali. È imbarazzante anche
dover ricordare che c’è una differenza tra C1 (cultura in senso antropologico –
dove anche le latrine e i tagliatori di teste sono cultura) e C2 (cultura nel
senso di civilizzazione – dove invece contano i valori e allora si devono fare
delle scelte, si può e si deve mettere qualche gerarchia tra le salamelle, i
centri estetici, i tagliatori di teste e cose come la ricerca scientifica, Kant
o la Nouvelle
Vague).
6. Così mi pare proprio che d’un botto siano stati
accontentati quegli “intellettuali alessandrini” – citati da Boatti e che io non
conosco - che si lamentavano del fatto che «Il Comune non ha una politica
culturale». Qui siamo in presenza di una proposta di politica culturale
veramente alternativa. Non avevate
capito che oggi tutto è cultura?
Quelli che avrebbero dovuto andare oltre a una inesistente politica
culturale e proporre finalmente una autentica politica culturale hanno
scovato la magica soluzione: una
politica culturale proprio non ha da esserci! Siccome tutto
è cultura, allora tutto va bene,
anything goes come diceva
Feyerabend. Dalla rete al buon vino, alla cura del corpo, alla sicurezza. Non
c’è più differenza tra le salamelle, la sicurezza fisica e l’opera lirica. Noi
che continuavamo a credere il contrario non avevamo capito niente. Gli è che non eravamo ancora abbastanza
liquidi.
7. Proseguendo nella lettura del testo, ahimè non
abbiamo proprio capito in cosa consista la «travagliata antinomia fra Scienza e
Cultura» che sarebbe ormai scaduta e che «non interessa più». Un’antinomia tra
Scienza e Cultura (con le maiuscole) suggerisce che la Scienza sia qualcosa di
estraneo alla Cultura. Forse qui si voleva alludere alla cultura umanistica ma
non è del tutto chiaro. Si alludeva forse alla questione delle due
culture come posta da C.P. Snow? Ma lì le culture erano due
ed erano culture nel senso C2.
Forse si voleva sostenere che la nuova cultura liquida all
inclusive, che sembra piacere alquanto agli estensori, rende ormai superata
la questione posta da Snow. Ma, in effetti, non è stato detto. Insomma, siamo
ancora in presenza di preoccupanti e diffuse incertezze sulla stessa nozione
di cultura, in un programma che dovrebbe trattare di politica
culturale.
8. Non essendo chiaro in cosa consista l’antinomia tra
Scienza e Cultura, è ancor meno chiaro come questa (l’antinomia, che «non
interessa più») venga superata dalla «percezione onnicomprensiva della
tecnologia». La tecnologia è una questione di percezione?
Forse anche i termini dell’antinomia erano, allora, una percezione? Forse il
«“liquido” presente-futuro in cui stiamo vivendo» è approdato nel mondo di Matrix? Il sospetto che ci ha colto è
che possa trattarsi di un’altra espressione sbrigativa à
la Bauman. Possiamo intendere, in
camera caritatis, che la Scienza e la Cultura (umanistica) siano state
snaturate e uniformate dalla tecnica. Il filosofo polacco, com’è noto, è stato
sostenitore di una discutibile teoria secondo la quale non saremmo noi a
fabbricare la tecnica ma sarebbe la tecnica, intesa come potenza demoniaca, a
fabbricare noi stessi e la società, asservendoci a nostra insaputa. Ma anche
così non funziona del tutto, perché per Bauman la scienza e la tecnica sono
esattamente la stessa cosa, cioè espressione della modernità e della ragione
illuministica.
Poiché – diamolo per buono a questo punto - siamo
nell’epoca della “percezione onnicomprensiva della tecnologia” e poiché di
conseguenza tutto è percepito dal
pubblico sotto il profilo della tecnologia – comprese le salamelle e la danza
classica – si ricava allora finalmente quali significative
implicazioni se ne debbano trarre per una politica
culturale a livello locale, e cioè: «muoversi fra questi temi», «mettere in
rapporto le competenze», «trovare un dialogo con l’economia privata» e poi
«condividere obiettivi interessanti per la comunità». Tutto qui? Diceva una nota
macchietta di Nanni Moretti: «Mi muovo, faccio delle cose, … vedo
gente».
9. Ma come può concretizzarsi questa visione
rivoluzionaria? Nel programma ci sono diverse proposte pratiche, alcune delle
quali assolutamente convenzionali e del tutto condivisibili. Ma la proposta che
più si confà a questa nuova vision è
quella a proposito della destinazione della sala
grande del Teatro. Citiamo alla lettera: «Una proposta concreta: con un
intervento economico sostenibile si può trasformare il deserto attuale di sala
grande e palcoscenico in uno spazio artistico unico, una sorta di atelier aperto
al pubblico, “nudo” come una moto senza carenatura, una “pedana” per la
recitazione, la danza, la musica, il circo, le mostre, le performances più
diverse: l’essenza delle discipline dello spettacolo dal vivo. Una nudità che
viene dai classici ed è perfetta come strumento della contemporaneità. Un luogo
per scoprire linguaggi». Come si vede, mancano solo le salamelle. Già che ci
siamo, perché non un quartiere fieristico? Qui prende il sopravvento una vera e
propria estetica del vuoto, una
celebrazione del non luogo eretto a
istituzione, senza farci mancare anche un romantico fascino
delle rovine. Sottolineiamo che questa orrenda
cosa prospettata sarebbe, secondo gli estensori, «perfetta come strumento
della contemporaneità». Se è così, noi siamo decisamente pronti a
regredire.
10. Ricapitoliamo quel che abbiamo capito. Stiamo
vivendo in un «“liquido” presente - futuro». Nel mondo liquido/ tecnico
ineluttabilmente tutto è cultura,
dalle salamelle a Kant, dai centri estetici alla gravità quantistica. Proporre
dei distinguo sarebbe inutile. Sono trasformazioni ineluttabili – epocali
come si dice volentieri - di cui non possiamo che prendere atto. Meglio allora
diventare flessibili, muoversi, scivolare un po’ di qua e un po’ di là, aggirare
gli ostacoli come fanno i fluidi. In sostanza farsi
liquidi nel mondo liquido. Come diceva il già ricordato Feyerabend,
“Anything goes!”.
Questa prospettiva di una cultura finalmente all inclusive - dall’aria così
popolare, innocente, accattivante,
permissiva e libertaria – sembra costituire però, nonostante la sua esibita
vattimiana “debolezza”, un vero e proprio programma
forte di politica culturale. Tanto forte che dovrebbe, sempre secondo gli
estensori, non solo governare la politica culturale locale ma fungere anche da
quadro politico unificante. Dovrebbe
essere cioè «la cornice del programma di governo», nel senso beninteso – ed è
sempre bene specificarlo - che «è la cornice a tenere appeso il quadro» (sic!).
11. Ma c’è di più. Affermano gli estensori sempre
nello spirito della cornice che una siffatta politica culturale dovrebbe
costituire «la coscienza critica della vision di una Giunta, il collegamento
fra le sue linee-guida». Ci risulta davvero difficile capire come, in un quadro
postmoderno dove anything goes, ci
possa ancora essere una qualche coscienza critica o comunque ci possano essere
delle linee-guida. Feyerabend era più serio: dopo avere sostenuto che nella
ricerca “tutto va bene” aveva anche ammesso, di conseguenza, che i risultati non
possono che essere dovuti al caso.
12. Insomma, mentre gli “intellettuali alessandrini”
citati da Boatti accusano la Giunta precedente di non avere avuto una politica
culturale, qui, in alternativa, si enuncia per esteso un’elaborata
teoria filosofica per cui proprio non si può più avere una politica
culturale e – posto che questa debba fare da quadro alla politica - neanche
una politica tout court.
Evidentemente, nell’epoca liquida della tecnica e del suo tramonto, a un nulla
di fatto sarebbe da preferire un nulla alternativo ben
teoricamente fondato. E poi - vuoi mettere la soddisfazione? - due nulla in
concorrenza sono meglio di
uno!
Giuseppe
Rinaldi
18/07/2017