mercoledì 9 settembre 2015

Nietzsche e la metafisica

Friedrich Nietzsche_Munch_2b
1. Fortunatamente,[1] nel mondo anglosassone ci sono degli ottimi storici della filosofia che si stanno applicando allo studio della filosofia continentale dell’Ottocento e del Novecento, senza i quali saremmo indotti a credere a tutte le improbabili narrazioni che i continentali stessi si sono inventati e continuano a inventarsi. Uno di questi storici è John Richardson il quale ha prodotto un’interessantissima e fondamentale ricostruzione della filosofia di Nietzsche. Richardson sostiene, con argomenti decisamente non heideggeriani, che Nietzsche è un metafisico appartenente in pieno alla tradizione della metafisica occidentale. Secondo le sue parole: «This book’s project is to show that Nietzsche has a metaphysics – to show it by presenting, in conceptual and argumentative detail, a metaphysical system that both fits and clarifies what he says (writes)».[2] Nietzsche ha dunque soggettivamente, creduto di avere sottoposto a critica radicale tutti i sistemi metafisici e, quindi, di esserne ormai al di fuori. Nietzsche tuttavia avrebbe sviluppato la sua attività critica esattamente sullo stesso terreno e con lo stesso apparato concettuale di quella metafisica che andava criticando.
La questione posta da Richardson è decisamente interessante perché mira a chiarire, storiograficamente, la posizione di Nietzsche all’interno della storia della filosofia continentale. Secondo una certa vulgata, la filosofia continentale dell’Ottocento e del Novecento sarebbe costituita dalla corrente dell’idealismo hegeliano, da un lato, e da una serie di filosofie dell’esistenza dall’altro, le quali comprenderebbero al proprio interno anche la filosofia di Nietzsche. Queste ultime costituirebbero una reazione individualistica contro le pretese totalitarie dell’idealismo. Se la tesi di Richardson fosse fondata, si potrebbe allora collocare tranquillamente anche Nietzsche tra i metafisici post hegeliani.[3] È in gioco, insomma, l’interpretazione di Nietzsche come filosofo negativo, oppure come filosofo della crisi, un’interpretazione che, ha avuto un certo peso nello sviluppo della recente filosofia italiana.
 
2. Dopo l’abuso devastante che è stato fatto del termine metafisica, soprattutto dalla corrente ermeneutico - heideggeriana, un progetto come quello di Richardson può suonare strano. Ormai con metafisica s’intende tutto e il contrario di tutto. Volendo ripristinare un po’ d’ordine si tratta necessariamente di ripartire dalle definizioni.[4] Sostenere che Nietzsche sia stato in realtà un metafisico implica anzitutto produrre una chiara definizione operativa dell’uso che vien fatto del termine stesso.
Richardson è ben consapevole della questione e così ha argomentato in proposito: «This result, of course, depends on what I mean by ‘metaphysics’. Let’s begin with this: concretely, it’s that historical series of philosophical systems that preceded Nietzsche, and that he complains so emphatically against. These philosophies are (broadly) metaphysical, by being organized systematically around a (more narrowly) metaphysical core. I proceed on a guiding assumption about this substantive core: that it consists in an account of the ‘essence’ or ‘being’ of things, so that ‘metaphysics’ is equivalent to ‘ontology’. Differently put, metaphysics tries to see and describe things in an aspect that is not only true of them but also (somehow) basic to them - prior even to all the other true ways we can view them. And metaphysics needs system, because it needs to show how these primary truths reach out into all those other views, in a way that helps us see that, and how, they’re true. So, to begin with (I’ll gradually add to this list), metaphysics claims a (1) systematic (2) truth (3) about essence. Such were the ambitions or pretensions of Nietzsche’s predecessors. How much does he share with them, and where and how does he break from them?».[5]
Nietzsche dunque, secondo l’ipotesi di Richardson, non avrebbe fatto altro che cercare, più o meno come il tanto vituperato Socrate, una qualche verità, di carattere sistematico intorno all’essenza. E questo lo collocherebbe, per lo meno in base alla definizione operativa adottata, in pieno nell’alveo della metafisica occidentale. Il fatto che, per raggiungere il suo obiettivo, egli abbia criticato le “verità sistematiche intorno alle essenze” elaborate dagli altri filosofi precedenti è del tutto marginale e rientra perfettamente nell’ordine delle cose. Questo fatto, oltretutto, qualora l’ipotesi di Richardson risultasse comprovata, sarebbe dunque sufficiente a qualificare come essenzialismo[6] la posizione ontologica e metafisica di Nietzsche e dei suoi stessi predecessori.
 
3. La filosofia di Nietzsche è notoriamente disseminata in una marea di frattaglie che comprende opere organiche, aforismi, opere poetiche, quaderni di appunti, note sparse e quant’altro. A partire da questo immenso materiale, dandone letture parziali, su può far dire a Nietzsche tutto quel che si vuole. In tanti ci hanno provato e ci sono riusciti perfettamente. Nietzsche poi, notoriamente, non aveva alcuna sistematicità nel proprio lavoro. La domanda di fondo è se, al di là della superficie farraginosa, il lavoro di Nietzsche non possieda un qualche nucleo sistematico attorno al quale esso abbia costantemente ruotato, capace di spiegare le più diverse e contrastanti occorrenze del suo pensiero. Il progetto di Richardson è proprio quello di ricostruire questo nucleo sistematico. Il titolo del suo lavoro è proprio Nietzsche’s System.[7] Così viene enunciato il suo progetto di lavoro: «I try to present his thought as a system of views organized around an ontology: an interpretation of the being or essence of things. I try to lay out this ontology and show how it fits and even shapes his other main thoughts, including those that seem to renounce any such metaphysical intent. To be sure, it fits the latter only by being a new kind of metaphysics: by making changes in those central notions of system, truth, and essence. Nietzsche’s metaphysics is different not just in content but in form - in the very type of truth it claims. But I argue that these revisions keep him still clearly within the traditional project».[8] L’indagine di Richardson su Nietzsche cerca dunque di enucleare il sistema nicciano, conferendo una qualche sistematicità al profluvio di materiali sparsi che costituiscono il corpus nicciano. Essa è articolata in varie parti dedicate rispettivamente a 1) l’ente; 2) il divenire; 3) il valore; 4) la verità. Data la novità della questione (almeno per quel che riguarda il nostro panorama storiografico), ci si concentrerà soprattutto sulla questione dell’ente.[9]
 
4. Secondo Richardson, l’ente intorno a cui ruota l’ontologia di Nietzsche è la volontà di potenza. Essa costituirebbe l’ente fondamentale, secondo Nietzsche. «He says many times, in many ways and many contexts, that things are will to power [Wille zur Macht]».[10] Si tratta di un concetto che è stato a lungo equivocato, poiché è stato inteso soprattutto come una disposizione psicologica individuale. In realtà, contrariamente a quanto si pensa comunemente, la nozione nicciana della volontà di potenza non si riferisce primariamente alle persone, ma soprattutto alle entità basilari di cui sarebbe costituita tutta la realtà. «To begin with, ‘will to power’ is most basically applied not to people but to ‘drives’ or ‘forces’, simpler units which Nietzsche sometimes even calls ‘points’ and ‘power quanta’. […] These are the simplest ‘units’ of will to power, or the simplest beings that are such will; we grasp Nietzsche better if we begin with these and only later make the complex extension to persons».[11]
Nietzsche ci appare dunque come il propugnatore di un’ontologia pluralista nella quale ciascun singolo elemento può essere definito come volontà di potenza. Detto in altri termini, è come se la volontà schopenhaueriana, concetto metafisico per eccellenza, che era eminentemente una, si fosse suddivisa in una pluralità di impulsi orientati, qualitativamente diversi l’uno dall’altro e incompatibili tra loro, posti in una situazione di conflitto strutturale permanente. Siamo in netta continuità con le filosofie della natura del Romanticismo, dove erano già state elaborate innumerevoli teorie – tutte nettamente contrarie alla fisica e alla biologia moderne – che avrebbero dovuto restituire una conoscenza della natura più approfondita e più vera del piatto positivismo. Siamo anche in presenza di entità elementari dotate di una causa finale, il che ci riporta alquanto più indietro nella storia della filosofia. La causa finale era una delle quattro cause aristoteliche che non ha mai smesso di costituire una presenza negli sviluppi della metafisica occidentale. Del resto del finalismo (o teleologismo che dir si voglia) si erano ancora occupati Kant e Schopenhauer. Nulla di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire.
 
5. Queste entità basilari plurime, assimilabili a impulsi, hanno la caratteristica di essere direzionate e di operare in maniera inconscia. Si potrebbe parlare di una specie di intenzionalità inconscia verso finalità assai specifiche. Afferma Richardson a proposito di queste entità: «I take it to be evident from the expression itself that ‘will to power’ is a potency for something, a directedness toward some end. So I take it that Nietzsche, despite his repeated attacks on (what he calls) ‘teleology’, really has such a theory himself: the beings or units in his world are crucially end-directed, and to understand them properly is to grasp how they’re directed or aimed. Above all, it’s to grasp how they’re aimed at power, an end somehow essential to them. […] Of course, his choice of these as his units also shows that this essential directedness is not (inherently) conscious; he proposes to describe a nonconscious intentionality».[12]
È appena il caso di far notare come l’idea di un finalismo inscritto nella natura delle cose, che opera a livello inconscio e che si riflette solo superficialmente nella coscienza degli individui, è una vecchia conoscenza della metafisica occidentale. Abbiamo già ricordato la causa finale che era una delle quattro cause aristoteliche. Quel che cambia qui è che il sinolo non è più costituito di materia e forma, la cui dicotomia, attraverso Schopenhauer era stata ormai soppressa, bensì da unità energetiche che possono essere interpretate come unità elementari di vitalità orientate allo scopo. Naturalmente l’uso che si fa di “energetico” è puramente analogico e non ha molto a che fare con le definizioni di energia della fisica contemporanea. Diciamo pure che questa terminologia non è che la prosecuzione di quella fisica romantica, di carattere irrazionalistico che ha preteso di sfidare e sopravanzare le scienze della natura nella convinzione di conseguire una conoscenza più profonda (non fenomenica bensì essenzialistica).[13] La nozione freudiana di libido, per quanto diversa, ha molti punti in comune con questa prospettiva.
È il caso di notare che la nozione di potenza usata da Nietzsche non è di carattere quantitativo, come accade nella fisica contemporanea, ma è concepita in maniera profondamente qualitativa, in relazione alla questione della direzionalità. Osserva Richardson che «[…] just as scientists speak of a variety of drives or forces, so Nietzsche takes the units of will to power to be deeply diverse in their types, differentiated by their distinctive efforts or tendencies. The sex drive, for example, is one pattern of activity aiming at its own network of ends-perhaps these are centered on seduction or coupling or orgasm whereas the drive to eat aims at a very different network».[14]
Non abbiamo dunque a che fare con una energia vitale generica che di volta in volta assuma e persegua diversi obiettivi. Ogni unità di volontà di potenza è già qualitativamente definita nel suo scopo finale che è di tipo qualitativo (approssimativamente come le omeomerie di Anassagora che erano qualitativamente strutturate e direzionate). Lo scopo finale di questi quanta può essere indebolito, impedito o distorto (sublimato) ma non può cambiare la sua direzionalità. Un impulso di natura sessuale sarà sempre tale, così come un impulso per la nutrizione. Quanti siano questi diversi tipi di impulsi Nietzsche non lo ha mai detto, esattamente come Anassagora non ha mai detto quante fossero le diverse qualità.[15]
Occorre comunque precisare che lo scopo finale perseguito da queste entità non va considerato come uno stato stazionario da conseguire, un risultato (come la sazietà dopo aver mangiato), cioè come un’entelechia. Ognuna di queste unità qualitative tende al proprio continuo sviluppo, possiede cioè, in un certo senso, uno spirito animale, una sua effettiva vitalità. Come spiega Richardson: «[…] power is a movement of growth or enhancement rather than a persisting state (or repeated event). As will to power, a drive’s essential end is movement beyond what it now is or does. And this doesn’t just mean that it wants to be more than it is; a drive’s essential aim isn’t even to arrive at some better state. If we think of the ends distinguishing drives as states of achievement, then will to power’s object will be the passage toward and into these states and not their occupation».[16]
Insomma, nei quanta nicciani viene incorporata l’idea di uno sviluppo indefinito dell’impulso egoistico, di una specie di sua evoluzione. «So the world consists of behavior patterns, each striving to enhance itself, to extend its own scope of activity. […]In a way, this makes drives ‘selfish’: each essentially aims at its own development or growth. […]Nietzsche says many times that will to power aims at growth and not mere stability».[17] Ciascun impulso direzionato cerca dunque di prendere il controllo e di svilupparsi indefinitamente. La teoria del gene egoista di Dawkins sarebbe probabilmente piaciuta, sia a Schopenhauer sia a Nietzsche, con la non trascurabile differenza che la prima ha una fondazione scientifica, non è l’espressione di una biologia romantica e non porta con sé alcuna delle conseguenze filosofiche postulate dai due.
 
6. L’attività di questi quanta o drive non avviene nell’isolamento. Non si tratta di un passaggio dalla potenza all’atto che avvenga esclusivamente per impulso interno in un mondo ordinato e razionale, come nel caso di Aristotele. L’attività avviene, invece, a spese degli altri impulsi. Come spiega Richardson: «In willing power, a drive strives to become stronger, to grow in its distinctive activity. […]It’s clear from the bulk of Nietzsche’s remarks that growth has to do with a drive’s relation to other drives: one drive typically enhances its strength relative to, or even at the expense of, others. Usually, at least, power is power ‘over others’».[18] Qui non possiamo che registrare l’influenza schopenhaueriana a proposito della sopraffazione violenta che ciascuna forma di vita produce nei confronti delle altre. A proposito di questa sopraffazione, diversi studiosi hanno evocato Hobbes, seppure piuttosto a sproposito.[19]
Richardson discute approfonditamente su come si debba intendere il “power over others” e conclude che, a partire dagli scritti di Nietzsche, il significato autentico è quello tutto sommato più aggressivo. «[…] drives are ‘will to power’ in that they essentially pursue the continual enhancement of their distinctive activities, enhancement that consists in increasing their mastery of others. So the level of a drive’s activity, its strength, is measured by ‘how much’ it rules over others. […]Mastery is bringing another will into a subordinate role within one’s own effort, thereby ‘incorporating’ the other as a sort of organ or tool. As his important term ‘incorporation’ [Einverleibung] suggests, Nietzsche very often thinks of this process by analogy with physical ingestion».[20] L’idea è che ciascun impulso direzionato tenda a cercare di asservire gli altri impulsi e di funzionalizzarli ai propri scopi, producendo così un’organizzazione finalizzata caratteristicamente vitale.
 
7. Questa è, in sostanza, la ricostruzione delle caratteristiche sistematiche delle unità elementari che sono definite come volontà di potenza. Quando Nietzsche parla di volontà di potenza non fa quindi tanto riferimento a una scelta morale compiuta da un individuo, quanto alla stessa struttura profonda della realtà, a un principio metafisico che è posto e dato per scontato. Per quel che concerne la giustificazione di questo principio, va ricordato che, sulle orme di Schopenhauer, ormai era saltato qualsiasi limite e la famosa intuizione intellettuale era di casa. Peraltro, sempre sulle orme di Schopenhauer, erano ormai saltati i confini e le differenze tra il mondo fisico, il mondo sociale e il mondo dello Spirito. Lo stesso principio frutto dell’intuizione poteva quindi agevolmente essere invocato per spiegare tutto. Abbiamo quindi individuato una verità, di carattere sistematico che costituisce l’essenza complessiva della realtà. Abbiamo cioè una metafisica, cui peraltro Nietzsche farà riferimento in maniera abbastanza coerente e costante, pur nella frammentarietà della sua produzione filosofica e letteraria.
 
8. Queste unità, questi impulsi direzionati, queste volontà di potenza che cercano di sopravanzare e asservire le altre, sono a fondamento del prospettivismo.[21] Questo è senz’altro un punto decisivo che costituisce un ribaltamento interpretativo piuttosto rilevante. In genere si presume che il prospettivismo nicciano abbia a che fare con un’epistemologia, sia cioè una teoria della conoscenza. In realtà, nella filosofia di Nietzsche – sempre per eredità di Schopenhauer – non esiste la possibilità di un campo cognitivo separato dal resto. Il prospettivismo è piuttosto la condizione ontologica derivante dal fatto che ciascun impulso cerca di prendere il sopravvento e di asservire gli altri. Il prospettivismo è dunque soltanto l’altra faccia della volontà di potenza. Correttamente, in Nietzsche, che non era affatto interessato a produrre teorie della conoscenza,[22] il relativismo cognitivo è soltanto un effetto del conflitto tra gli impulsi che caratterizza la sua metafisica / ontologia.
Come ha affermato chiaramente Richardson: «[…] it’s important to keep clear, as is not often done, how the ‘perspectives’ this teaching speaks of are those of drives or wills to power. His power ontology, with its distinctive conceptions of wills and of power, stands prior to this perspectivism as (something like) its objective precondition, and thereby gives to that teaching some unexpected features. Or at least, this is the relation between ontology and perspectivism that Nietzsche usually suggests and whose tenability we’re exploring now».[23]
 
9. Il prospettivismo quindi, ben lungi dal costituire semplicemente una gnoseologia relativista, cioè un’ermeneutica, esprime una ben precisa prospettiva ontologica incentrata sulle relazioni intercorrenti tra i quanta o i drive, dando così luogo a una sorta di fisica romantica che sarebbe in grado di esprimere la natura profonda della vitalità stessa. Spiega esaurientemente Richardson:
«We’ve seen that, as will to power, a drive aims at ongoing growth in its distinctive activity. Nietzsche’s perspectivism begins in the thought that this telic directedness goes together with an intentional one, with being a perspective, ‘at’ or ‘on’ some intentional content. Just by virtue of striving in the way it does, every drive involves, is partly, a particular ‘view’: a view of its purpose or end and of the surroundings as helps or hindrances to that end. In thinking this an aspect of all will to power, Nietzsche attributes views to far more than just human beings; he calls perspective “the basic condition of all life” []. And (still more generally) he speaks of “this necessary perspectivism according to which every center of force - and not only the human being -construes the whole rest of the world from itself, i.e., measures, touches, forms, according to its own force” []».[24]
La nozione d’interpretazione, intorno alla quale ruota l’ermeneutica nicciana, è così soltanto la conseguenza della sussistenza dei molteplici centri di forza e della loro competizione.
Così spiega Richardson:«In willing its own power or growth, the drive acts and reacts toward other things in accordance with this aim, by whether they help or hinder its pursuit. It senses, and differentially responds to, different things in its environment. And (Nietzsche thinks) these patterns of effort and avoidance in themselves constitute an ‘interpretation’, of things in their relevance to its aim. They constitute this viewpoint whether or not they occur consciously. Each drive’s end-directed activity already ‘polarizes’ the world toward it, giving everything a significance relative to it. So, for example, the sex drive views the world as inspiring or requiring a sexual response; the world appears with erotic potential as its meaning or sense».[25]
Gli ermeneuti post nicciani hanno quasi del tutto messo da parte questa dimensione fondamentalmente ontologica dell’ermeneutica nicciana. Ciascuna interpretazione nel quadro di questo prospettivismo ontologico dunque non può che essere una vera e propria attività di forzatura mossa da un drive del tutto egoistico. Questo punto è stato senz’altro colto correttamente da Foucault nelle sue teorie che connettono costantemente il prospettivismo a una situazione di potere. Dalle premesse nicciane, più che il relativismo cognitivo, consegue dunque un prospettivismo del potere. Tutti i poteri si equivalgono, non ci sono poteri buoni o cattivi. Quel che conta è il potere che prevale e le valutazioni morali sono solo strumenti nella competizione.[26] Si capisce così come mai la filosofia nicciana nello stesso tempo sia capace di predicare sia la sopraffazione sia l’arrendevolezza nei confronti del più forte.
Secondo Richardson, ci sono tre elementi che segnano la differenza tra il prospettivismo nicciano e quello più cognitivo dei suoi parenti prossimi: a) la prospettiva nella maggior parte dei casi è inconscia; b) la prospettiva non ha nulla di specificatamente cognitivo e non è separabile dagli specifici corsi di azione complessivi; c) la prospettiva così intesa costituisce un tutt’uno con i processi di valutazione, i quali in tal modo sono radicati nella intenzionalità dei drive, nei loro specifici interessi. Quest’ultimo punto significa che non solo la cognizione ma anche la valutazione viene da Nietzsche consegnata all’arbitrio di forze vitali irrazionali che confliggono tra loro senza posa per affermare e sviluppare il loro intrinseco egoismo. L’egoismo è insuperabile poiché è inscritto nella natura ontologica della realtà stessa. Questo tra l’altro è il motivo per cui l’uomo preso a modello da Nietzsche, il superuomo, non riuscirebbe probabilmente neanche a superare il test della maturità morale di Kolhberg.
 
10. Nell’ontologia della potenza di Nietzsche – così come in quella di Aristotele – non poteva non entrare anche una teoria dell’impotenza, cioè delle condizioni della mancata piena realizzazione della potenza. Nonostante tutto sia volontà di potenza, accade che alcune di queste volontà non riescano a sviluppare coerentemente la loro intima essenza. Sono in tal caso volontà degenerate. Ciò è stato teorizzato da Nietzsche attraverso la distinzione tra attivo e reattivo. Ciò che è reattivo è una volontà di potenza che, in un certo senso, vien meno alla sua finalità essenziale.
Così spiega Richardson: «We must go on to see how will to power can occur in either of two basic forms, which I call ‘active’ [aktiv] and ‘reactive’ [reaktiv]. The contrast is indeed so basic to Nietzsche that he marks it with many other pairs of terms: the most important are ‘health’ [Gesundheit] and ‘sickness’ [Krankheit], ‘ascent’ [Aufgang] and ‘decline’ [Niedergang] , ‘overfullness’ [Uberfulle] and ‘poverty’ [Verarmung]. And he claims special insight into this difference: “I have a subtler sense of smell for the signs of ascent and decline than any human being before me; I am the teacher par excellence for this” []. The distinction rests on the notion of will to power: the active drive wills power itself, whereas the reactive has somehow turned aside from its essential end. So the contrast marks the dimension of Nietzsche’s metaphysical values, those embedded in the power ontology itself».[27]
 
11. Si tratta a questo punto di comprendere cosa intenda Nietzsche con la coppia attivo / reattivo. Tradizionalmente s’intende con attivo ciò che è libera causa del suo proprio comportamento, interno o esterno che sia. È bene tuttavia tenere presente che Nietzsche rifiuta le tradizionali nozioni di libertà e causalità. Come pure rifiuta il concetto dell’autodeterminazione kantiana. Tutto ciò dovrebbe essere concepito come un’interazione, come una specie di competizione tra le volontà. Questa non va tuttavia considerata come uno scontro tra forze fisiche, dove sia destinato a vincere chi è più forte. Va piuttosto interpretata come una forma di obbedienza nei confronti del più forte, un’obbedienza che consiste nel far propria la volontà che viene riconosciuta come la più forte. In un certo senso possiamo parlare di un’internalizzazione della prospettiva del più potente.
Così spiega Richardson: «Reacting is indeed a matter of ‘obeying’ but in a stronger sense, in which one will obeys another only by adopting, ‘internalizing’, the latter’s views and values, and indeed by adopting them in preference to its own. It obeys not especially in what it does but in what it views as worth being done. A reactive will is one with a tendency-a habit or an instinct-to obey in this special sense. So a drive obeys (in this sense) not when some constraining force temporarily displaces it from pursuing its own goals, while it keeps these goals for itself and regrets being so diverted from them. It obeys by being persuaded into willing and valuing foreign goals as superior to its (original) own, by being colonized by the other will and induced to adopt the latter’s perspective in preference to its own. So reacting is more a consequence of temptation than constraint».[28]
Invece dell’autonomia kantiana, sottoposta al vaglio discorsivo della ragione, abbiamo dunque una teoria della colonizzazione della volontà che mette le stesse volontà in una dipendenza gerarchica. Un complesso gioco di forze di attrazione e repulsione che fanno sì che ciascuna volontà di potenza possa attrarre altre volontà nella propria orbita o possa a sua volta entrare nell’orbita di altre.
 
12. Accanto a questo rapporto di dipendenza, Nietzsche tuttavia identifica anche un altro tipo d’interazione reattiva che consiste nel rifiuto della gerarchizzazione e che quindi si sviluppa come contrapposizione. Invece di lasciarsi colonizzare dal più forte ci si può contrapporre negativamente al più forte. Nel dominio delle relazioni interpersonali reattive abbiamo così il tipo dell’animale del branco che precostituisce il conformismo e il tipo della persona del risentimento. Com’è noto il risentimento ha una notevole importanza nelle analisi di Nietzsche.
Spiega Richardson: «Now in fact, Nietzsche most often uses ‘reactive’ (and its relatives) for wills of just this sort: for those obsessively, resentfully struggling against others; his analysis of ‘resentment’ is a highly characteristic teaching. He distinguishes (we might say) two main species of reactivity: the herd animal and the person of resentment, the former obeying by following, the latter obeying by reacting against. Although Nietzsche pays much attention to the herd instinct, he takes far more interest in resentment: it’s both harder to notice than simple conformity (being more devious), and also more important to understand (being indeed more distinctively human and the source of most of our values)».[29]
Mentre la reattività del branco consiste nel conformismo e non crea particolari problemi interpretativi, la reattività del risentimento è quella più interessante per Nietzsche, poiché costituirebbe una caratteristica tipica della società contemporanea.
 
13. Nell’universo delle volontà di potenza, solo ciò che è attivo è libero in senso nicciano. Come spiega Richardson: «[…] the active is Nietzsche’s rewriting of freedom: it’s a will that is not so tempted away away from its own distinguishing activities and values. This is why, contra Kant, “‘autonomous’ and ‘ethical’ [sittlich] exclude one another”».[30] La volontà di potenza attiva costituirebbe dunque l’interpretazione nicciana della libertà. La volontà di potenza reattiva, sia nella versione del branco sia in quella del risentimento, non darebbe luogo ad alcuna forma di libertà. Questo è il motivo per cui nelle società contemporanee, dove l’atteggiamento del risentimento è il più diffuso, non ci sarebbe alcuna libertà. E’ chiaro perché la filosofia di Nietzsche non può che essere radicalmente antidemocratica.
 L’autonomia in Kant era sottoposta alla regola dell’universalità, era cioè sottoposta alla ragione. Il nomos era universale. In Nietzsche esso si particolarizza ora in ciascun singolo brandello di volontà di potenza e si mette in competizione con tutti gli altri. Ora viene ridotto a una sorta di egocentrismo che ha come obiettivo solo il perfezionamento degli scopi di ciascun elemento volontaristico. Dietro a questa concezione, in forma assai trasparente, si trova sempre l’autonomia dell’artista romantico o, se si preferisce, del genio che si esprime, caratteristici di Schopenhauer e del primo Nietzsche.[31] La supposta rottura che Nietzsche avrebbe realizzato nella filosofia continentale è più apparente che effettiva e in ciò Richardson pare abbia colto in pieno.
 
14. È interessante il fatto che la volontà di potenza attiva s’imponga sulle altre volontà concorrenti non attraverso la costrizione esteriore (cioè l’uso causale della forza) ma mediante una influenza che passa per la colonizzazione interna. In questo senso si mostra la stretta parentela tra il genio romantico e quello che diverrà il superuomo.[32] Dice in proposito Richardson: «Instead, the active will commands others ‘internally’, by interpreting them and their values from the viewpoint of its own, thus granting them only a subordinate role in a world still revolving about itself».[33] Questa concezione, se applicata alla dimensione sociale e politica, ricorda in modo davvero impressionante la famosa egemonia gramsciana. Gramsci era rimasto sconcertato dal potere di fascinazione che la cultura borghese esercitava sulle masse, appunto “dall’interno”, senza alcuna costrizione esteriore, e riteneva che il Partito comunista avrebbe dovuto saper fare altrettanto per raggiungere i suoi obiettivi rivoluzionari.[34] Insomma, il Principe gramsciano pare in effetti costituire una perfetta incarnazione del superuomo nicciano.[35]
 
15. La tipologia nicciana che suddivide la volontà di potenza nei due tipi attivo e reattivo permette di comprendere appieno il carattere essenzialistico della stessa. Spiega Richardson: «If reactive drives don’t will power itself, how can they still be wills to power? How can Nietzsche justify attributing this essence to them? Or does he just mean that this is what those drives ‘should’ will, and if so, how could he justify this? […] I think Nietzsche so combines these points because he operates with a sense of ‘essence’ that is clear in the tradition, yet still surprising and odd to us. With his power ontology, he means an essence that is ‘differentially realized’, achieved to different degrees, in different cases».[36] La nozione di una essenza differentemente realizzata, oltre che richiamare pesantemente Aristotele e tutta la tradizione scolastica, richiama ovviamente Schopenhauer e la sua teoria dell’arte. Tutto ciò non può che essere posto a fondamento di una gerarchia.
Spiega Richardson: «Nietzsche’s claim of essence is in part the claim of a certain logical priority of the active, a teleological priority: the reactive will’s way of aiming presupposes the active. […] It does so not in the sense that there can only be reactive wills because others are active, but because the reactive is intrinsically a failing to be active. It belongs to its motivational structure that it gets meaning from others because it can supply none itself; it belongs to the way it wills that it adopts its course as second best. By contrast, the active will ‘realizes’ its essence not consciously, and not cognitively, but telically, in aiming at what it, as a will to power, wants first and foremost».[37]
Ciò rende ancor più chiaro il fatto che Nietzsche continua a ragionare in termini di potenzialità che si attuano o che non si attuano (né più né meno che come uno scolastico), anche in un contesto apparentemente innovativo in cui usa un linguaggio somigliante a quello della fisica o della biologia (a base di forza, potenza, ecc…). La subcultura romantica proveniente da questi paraggi, del resto, continua ancor oggi, con grande consenso di popolo, a costruire visioni parascientifiche del mondo utilizzando concetti presi dalla scienza moderna, stravolgendoli e piegandoli per costruire le più strane immagini filosofiche della realtà. L’uso che i postmoderni hanno fatto della scienza moderna è del tutto in linea con questo trend. Si veda in proposito Sokal 1997.
 
16. La nozione di volontà di potenza, nel senso fin qui discusso, è alquanto astratta e di applicazione alquanto generale. In realtà spesso Nietzsche riferisce questi concetti a delle persone. Si tratta dunque di comprendere come avvenga il passaggio tra le generiche volontà di potenza verso la costituzione delle persone e dei rapporti tra le persone, fino alla determinazione dell’intera società.
Indubbiamente Nietzsche rifiuta la nozione cartesiana di un soggetto che si auto costituisca. La persona non è una volontà semplice ma un complesso organizzato di molteplici volontà di potenza. Nietzsche propende per una nozione pluralistica della persona, come di un complesso di will of power i quali si trovano in un’interrelazione dinamica gerarchizzata.
Spiega Richardson: «A person, then, isn’t a simple will for Nietzsche but an organized complex of numerous drives of various strengths. […] Of course, we must understand these drives in our Nietzschean way: not as ‘doers behind the doing’ but as activity patterns or behaviors themselves. Each habit or practice enacted in a person’s life tries to extend and enrich itself, by crowding out competing practices or making them serve it. So these drives struggle to dominate one another, but this struggle is not just a chaos of forces successively overpowering one another. They reach (shifting) balances of power by arriving at relatively stable relations of command and obedience toward one another. A person is just such a balance among simpler wills, an interweaving of those behaviors, allowing each to express itself proportionately to its strength. For the most part, Nietzsche thinks of this compromise as a being in its own right, as a ‘synthesis’ of those parts».[38]
 
17. Il problema sta dunque nella costituzione, nella conservazione e nello sviluppo di questi complessi sintetici di volontà di potenza. In generale nella teoria di Nietzsche, la formazione di questi complessi sintetici non ricalca per nulla il meccanismo descritto dalla biologia scientifica mediante i vari livelli di organizzazione. Nietzsche per parte sua ha sviluppato una fisica, una biologia e una sociologia di stampo romantico che concepiscono le forme più complesse come poste in una situazione di precarietà, sempre sull’orlo della disgregazione. L’individuo umano, la persona, è solo parzialmente indipendente rispetto alle sue componenti energetiche elementari.
Spiega in proposito Richardson: «He treats it as a new will with some independence from those that compose it. It shows this in sometimes restraining them - even the strongest drive is now somewhat moderated in its expression. This synthetic will thus restrains these parts, because it now wills power itself-tries to develop itself, as this synthesis. Thus a person’s identity lies in the system of his drives, but this system isn’t simply their sum but the power relations, the ‘order of rank’, among them. And so Nietzsche analyzes the expression ‘who he is’ with “in what rank order the innermost drives of his nature are set toward one another” []».[39]
Nello stesso modo sono costituiti tutti gli altri viventi. Per cui non ci sono sostanziali differenze tra gli esseri umani e gli altri animali (questa distinzione era già caduta in Schopenhauer). Gli esseri umani sono semplicemente più ricchi di impulsi e quindi hanno al proprio interno maggiori conflitti. Nella persona non c’è alcuna funzione di unificazione del soggetto: «Not only is there no detached theoretical subject standing above this struggle among our drives, there is also no preexisting ‘overwill’, no simple second-order will whose function it is to control them».[40]
 
18. Il problema della costituzione matura dell’individualità si gioca dunque, per Nietzsche, a livello della capacità d’integrazione dei vari drive al fine di produrre un complesso relativamente stabile. L’individualità è dunque un problema di a) integrazione e di b) complessità.
Per quanto concerne l’integrazione, spiega Richardson: «We’ll see that the extent of unification achieved by a person’s drives is a major valuative standard by which Nietzsche ranks him. This value can be understood as a new form of the activeness we’ve already seen his ontology values. When we rise to the level of complex wills, the active/ reactive distinction can be drawn not just by whether the will commands others ‘outside’ itself but by whether it commands the simpler wills that it comprises.[…] Indeed, Nietzsche supposes that such self-mastery is a crucial precondition (or at least aid) for mastering others. Is the synthesis able to hold its constitutive forces to their contributing roles and prevent them from asserting themselves disruptively against it? A person can either ‘command’ or ‘obey’ his parts, whereas the simple drive can do neither-neither restrain nor give way to itself. Thus the poorly synthesized person exhibits a new form of reactivity; he obeys away from himself, by obeying too small a part of himself. Nietzsche thinks this brand of reactivity is typical of persons: just because we’re distinguished from other living things by our greater complexity of parts, it is harder for us to achieve synthesis. This is why man is ‘the sick animal’, ‘all too human’».[41]
Oltre al criterio dell’integrazione, Nietzsche usa tuttavia anche il criterio della complessità. Afferma Richardson: «But Nietzsche will also rate persons by another standard, somewhat in tension with this one: by their degree of complexity, by their multiplicity of parts. How does this other value emerge? Activeness was valued, recall, as a well-directed pursuit of one’s own power. But power amounted to growth by incorporation: having one’s activity come to encompass the behaviors of others. So growth involves an advance in internal complexity; a will that is now complex, is so because of successful power willing in the past, by itself or others. However, such achieved complexity makes it ever more difficult to continue to will power healthily. The greater the richness of parts at hand, the harder it is to marshal them together».[42]
Si noti che la teoria della complessità individuale è stata ripresa anche nella psicologia scientifica contemporanea, con fondamenti ed esiti ovviamente assai diversi da quelli postulati da Nietzsche.
 
19. Lo stesso principio metafisico viene dunque utilizzato da Nietzsche per la costituzione dell’individualità e delle aggregazioni sociali sovra individuali. Esso viene esteso da Nietzsche alle società e ai popoli. Spiega Richardson: «We mustn’t stop, however, at the level of the person in exploring the synthetic forms of will. Nietzsche’s discussions of societies and their practices show that these should be treated in parallel to persons: they, too, are made up from simpler parts-from drives or persons or simpler complexes of these. They, too, become synthetic units of will to power in their own right, able to pursue their own development and to command their members to serve that end».[43]
L’ontologia dei quanta, drive o centri di forza, applicata agli individui sta alla base della distinzione che ricorre spesso, nell’opera nicciana, tra i tre tipi fondamentali di persone e cioè signori, servi e superuomini. Naturalmente, signori e servi fanno parte delle società storiche, mentre il superuomo è il tipo umano che deve ancora venire. Si noti tra l’altro che questa tipologia, non si sa quanto volontariamente o meno, evoca strutturalmente una triade hegeliana dove il signore è la tesi, il servo l’antitesi e il superuomo la sintesi.
 
20. Possiamo a questo punto sospendere la nostra ricognizione dello studio di Richardson, che prosegue esaminando in dettaglio tutte le altre parti del sistema di Nietzsche. Quel che si può dare per acquisito, in relazione ai nostri specifici interessi, comunque è che: a) Nietzsche non è affatto un filosofo anti metafisico, come spesso è stato definito; egli ha sviluppato una sua propria metafisica che sta strutturalmente alla base della sua impresa filosofica. In questa impresa hanno indubbiamente avuto un gran peso le filosofie romantiche della natura e l’essenzialismo aristotelico scolastico. b) Nietzsche può essere tranquillamente collocato nel corpo della filosofia continentale tra i post kant - hegeliani (esattamente come uno Stirner, un Kierkegaard o uno Schopenhauer). c) Nietzsche è tutt’altro che il filosofo scopritore e difensore dell’individualità, anzi egli è parte di quell’impresa antimoderna e reazionaria, di demolizione dell’individualità illuministica, che è stata in generale la filosofia romantica. d) Sul piano storiografico, Nietzsche può essere collocato correttamente dentro la cosiddetta corrente esistenzialistica, una volta che questa sia correttamente definita come una manifestazione della metafisica continentale.
 
Giuseppe Rinaldi
2/09/2015
 
 
 
OPERE CITATE
 
1996 Richardson, John
Nietzsche’s System, Oxford University Press, Inc., New York - Oxford.
 
1997 Sokal, Alan & Bricmont, Jean
Impostures intellectuelles, Odile Jacob, Paris. Tr. it.: Imposture intellettuali, Garzanti, Milano, 1999.
 
2010 Stewart, Jon
Idealism and Existentialism. Hegel and Nineteenth - and Twentieth - Century European Philosophy, Continuum International Publishing Group Ltd., London and New York.
 
 
NOTE
 
[1] Questo articolo è poco più di una scheda di lettura di una parte del saggio di Richardson 1996. A partire dalla ricostruzione che Richardson fa dell’ontologia di Nietzsche provo a mettere in discussione la collocazione che la nostra storiografia attribuisce solitamente a questo filosofo.
[2] Cfr. Richardson 1996: 3. Poiché ho smesso di scrivere per un pubblico generico (ho sospeso ogni mia collaborazione con il giornale on-line Città Futura), evito l’incombenza della traduzione.
[3] Una simile operazione è ora diventata possibile anche con Kierkegaard, in seguito al lavoro di Jon Stewart 2010. In proposito si veda il mio recente articolo La filosofia continentale nell’«Isola che non c’è» su questo stesso blog Finestrerotte.
[4] La scuola ermeneutico - heideggeriana nega per principio che si possano dare delle definizioni.
[5] Cfr. Richardson 1996: 3.
[6] L’essenzialismo si oppone decisamente al fenomenismo, il quale nega che vi siano essenze o che le essenze siano conoscibili. Sull’essenzialismo si veda il mio saggio Contraddizioni del terzo tipo, pubblicato in questo stesso blog Finestrerotte.
[7] Cfr. Richardson 1996.
[8] Cfr. Richardson 1996: 4-5.
[9] In inglese Richardson scrive ovviamente being. Traduco con ente invece che con essere. Gli storici della filosofia italiani sguazzano da sempre sulla traduzione di being con essere.
[10] Cfr. Richardson 1996: 18.
[11] Cfr. Richardson 1996: 20.
[12] Cfr. Richardson 1996: 21.
[13] La fisica romantica aveva sposato in pieno teorie anti newtoniane. Si vedano anzitutto le posizioni di Goethe e quelle degli idealisti tedeschi. La filosofia continentale nel suo complesso non ha mai smesso di essere anti newtoniana e nei suoi ultimi epigoni ha sviluppato una critica reazionaria del pensiero scientifico e della tecnologia.
[14] Cfr. Richardson 1996: 21.
[15] Può essere interessante considerare che la tavola periodica di Mendeleev è stata pubblicata nel 1869. La Nascita della tragedia che segna l’inizio della carriera filosofica di Nietzsche è del 1872.
[16] Cfr. Richardson 1996: 24.
[17] Cfr. Richardson 1996: 26-28.
[18] Cfr. Richardson 1996: 28.
[19] Hobbes non era interessato alla metafisica e la sua era una descrizione. Tanto che attraverso il contratto l’aggressione può essere controllata.
[20] Cfr. Richardson 1996: 33.
[21] Non sto qui a descrivere cosa sia il prospettivismo nicciano. Esso è abbondantemente citato e spiegato nella letteratura.
[22] In ciò, i relativisti nostrani che si rifanno a Nietzsche hanno evidentemente sbagliato indirizzo.
[23] Cfr. Richardson 1996: 35.
[24] Cfr. Richardson 1996: 35-36. Per brevità, sono stati omessi i riferimenti ai testi nicciani che compaiono nell’originale.
[25] Cfr. Richardson 1996: 36.
[26] Insisto sul fatto che questo tipo di concezione del potere non ha nulla a che fare – se non per qualche somiglianza esteriore – con la concezione hobbesiana. I nazi comunisti nostrani hanno trovato assai comodo mettere insieme una teoria egoistica e irrazionalistica del potere di natura romantica con il realismo hobbesiano o machiavellico, i quali sono invece di tutt’altra natura.
[27] Cfr. Richardson 1996: 39. Per brevità ho soppresso i riferimenti bibliografici alle citazioni di Nietzsche presenti nell’originale.
[28] Cfr. Richardson 1996: 41.
[29] Cfr. Richardson 1996: 42.
[30] Cfr. Richardson 1996: 42.
[31] Che tutto questo venga in ultimo da Hegel non deve stupire più di tanto, poiché si tratta pur sempre di svolazzi, di variazioni sul tema, intorno all’onnipotenza del soggetto. Sia il soggetto elevato a sistema che il soggetto romantico titanico, lacerato e incompiuto raccontano sempre della stessa hybris, dello stesso infantilismo di chi non si rassegna, di chi rifiuta pervicacemente di diventare copernicano (o darwiniano).
[32] Dopo aver costatato che qualcuno, sull’evidente scia di Vattimo, ha pensato bene di rendere il termine con overhuman (Cosa ci sarà mai al di là dell’umano? Il disumano?) mi pare valga la pena di troncare definitivamente con questo politically correct che insiste solo sulla forma esteriore e non si perita mai di definire i concetti che adopera. Si veda peraltro, a proposito di “oltre umano”, la Lettera contro l’umanesimo di Heidegger.
[33] Cfr. Richardson 1996: 42.
[34] Questa riflessione permette di chiarire in pieno il carattere antidemocratico dell’egemonia gramsciana, dovuto non tanto all’esercizio di una presenza attiva di produzione culturale e ideologica, quanto alla implicita considerazione negativa delle masse, le quali avrebbero semplicemente il compito di farsi catturare dalle belle forme della ideologia prodotta dal partito egemone.
[35] Tutto ciò è ulteriormente inquietante per chi possiede un minimo di coscienza e di cultura democratica e suggerisce, se ce ne fosse ancor bisogno, che il nazi comunismo non è soltanto una fantasia. Ho già sfiorato questo tema nei miei scritti precedenti e mi riprometto di tornarci in modo più articolato e approfondito.
[36] Cfr. Richardson 1996: 43.
[37] Cfr. Richardson 1996: 43.
[38] Cfr. Richardson 1996: 45.
[39] Cfr. Richardson 1996: 45.
[40] Cfr. Richardson 1996: 46.
[41] Cfr. Richardson 1996: 49.
[42] Cfr. Richardson 1996: 49-50.
[43] Cfr. Richardson 1996: 50.