1. Il titolo di questo saggio[1] fa riferimento a un recente
libretto di Aldo Schiavone nel quale egli descrive e denuncia un ormai
consumato degrado della vita
intellettuale e morale dell’Occidente e, dunque, anche e soprattutto del primo Occidente, cioè dell’Europa. La
nozione di un Occidente senza pensiero
costituisce una sintesi assai evocativa di una situazione di vuoto culturale
che si sarebbe instaurata, sulle sponde atlantiche, pressappoco con l’affievolirsi
delle cosiddette ideologie, proprio quelle ideologie peraltro già in crisi che
avevano avuto il loro ultimo momento di gloria nell’ambito della Guerra fredda.
2. Sulla cosiddetta fine
delle ideologie sono state ormai scritte intere biblioteche.[2] Daniel Bell,
già alla metà del secolo scorso, parlava di una «exhaustion of political ideas». Su questa “fine”, e su altre “fini”,
la baldanzosa corrente filosofica postmodernista ha campato di rendita per
alcuni decenni. Qualcuno ha anche provato a ipotizzare una fine della storia. Con la fine delle ideologie, comunque si valuti
l’evento, ci si poteva attendere il luminoso inizio di una nuova prospettiva culturale, scevra di ideologismi, realistica, con
i piedi ben piantati in terra, capace di guidarci con sicurezza nell’affrontare
le difficili sfide che abbiamo di fronte. Invece, a quanto pare, l’ipotesi più
probabile è che sia subentrato il vuoto.
Un vuoto che non si può soltanto più considerare come un momentaneo
smarrimento, una crisi di crescita. Si tratta piuttosto di un vuoto che si
appresta a diventare un vuoto permanente,
visto che il Muro è caduto nel 1989, quasi quarant’anni fa, 36 per la
precisione.
3. Cosa vuol dire che siamo rimasti “senza pensiero”? È
proprio vero? Perché non ce ne eravamo accorti prima? O non si tratta forse dell’ennesima
moda denigrativa dell’Occidente, tanto popolare nella cultura woke e recentemente denunciata, ad
esempio, da Federico Rampini?[3] Le assenze
sono decisamente più difficili da rilevare delle presenze. I vuoti non parlano, non protestano, non hanno effetti
causali diretti. Per cui occorre un certo tempo perché vengano identificati,
perché venga loro attribuito uno status, per così dire, ontologico. Non è
facile – soprattutto nel dominio culturale – rendersi conto del fatto che ci
manca qualcosa. Che siamo sull’orlo di un buco
nero. A parere di chi scrive l’avvertimento acuto della assenza di un pensiero dell’Occidente (e dell’Europa)
si è avuto piuttosto tardi, in concomitanza con una serie di fenomeni che
avrebbero dovuto avere una interpretazione univoca e una risposta altrettanto
univoca da parte dell’Occidente. E invece non l’hanno avuta. Fenomeni come: 1)
l’aggressione russa all’Ucraina; 2) la diffusione stessa della cultura woke entro e fuori degli USA; 3) la Brexit che in sostanza ha costituito una
scissione dell’Unione Europea; 4) la prima vittoria di Donald Trump alle elezioni
nel 2017, l’assalto al Campidoglio e la sua seconda elezione nel 2024; 5) l’aggressione
di Hamas nei confronti di Israele e la reazione sproporzionata dello “Stato
degli ebrei” nei confronti del territorio di Gaza; 6) lo svuotamento dell’ONU e
dei Tribunali internazionali (a seguito delle guerre di Ucraina e di Gaza); 7)
in generale, poi, la estrema lentezza e riluttanza con cui si sta realizzando
la unificazione europea. Se si vuol essere un poco più drastici, il blocco ormai pluridecennale del processo
di unificazione europea. Se ne potrebbero citare altri.
Questi meri fatti hanno diviso profondamente il
mondo della politica, gli intellettuali e l’opinione pubblica europea e hanno
mostrato come, da tempo ormai, fosse diventato impossibile l’impiego di criteri comuni di interpretazione, di
fronte a questioni che pure sono di enorme importanza, che pure toccano profondamente
i valori e i principi fondamentali. Se di fronte a fatti di questa portata non
hai una risposta tendenzialmente univoca, vuol dire che non sai tanto bene chi
sei, che non hai propriamente un’identità. È lecito domandarsi se non ci sia un
limite nella disomogeneità di pensiero
che possa essere sopportato da una società, in termini di coesione e di
funzionamento. Una società che peraltro è impegnata in un programma di unificazione politica.
4. Se si guarda alla fase storica precedente, quella della
Guerra fredda, avevamo mezzo mondo mobilitato per la costruzione del
socialismo, in qualcuna delle sue molteplici varianti (alcune delle quali
davvero discutibili). Un altro mezzo mondo era alacremente impegnato nella
costruzione delle società democratiche aperte e per resistere alla minaccia del
socialismo o comunismo reale. Un “Terzo mondo” era poi impegnato nella
costruzione di nuovi Stati nazione, per liberare i diversi Paesi dal
colonialismo e dallo sfruttamento straniero. Non si può certo dire che
mancassero ideologie, valori e finalità. Non mancava dunque il pensiero. Certo,
c’erano dei conflitti e alcuni “pensieri” erano del tutto sbagliati, ma questo
è il rischio che si corre sempre quando si è impegnati a fare la storia in qualche modo.
Con l’implosione dell’Unione
Sovietica e con la fine della Guerra fredda, l’Occidente, che poteva considerarsi
come il virtuale vincitore della lunga contesa, è invece entrato in una sorta
di stato comatoso, in una sconcertante assenza di progettualità e di
prospettive, in una stupida concentrazione sugli egoismi nazionali e sui
particolarismi. Sono diventati così visibili, in un certo senso, i due Occidenti, uno dalla statualità
muscolare e l’altro dalla statualità evanescente. L’Occidente europeo
evanescente ha delegato all’altro, agli USA, una serie importante di responsabilità[4] collettive e questi –
oggi possiamo affermarlo con totale certezza – si sono dimostrati assolutamente
incapaci, assolutamente non all’altezza del compito. Con una “assenza di
pensiero” forse ancora più plateale di quella diffusa in Europa. Basta
nominare, uno in fila all’altro, i recenti Presidenti americani. Ve li
trascrivo qui di seguito per comodità. Richard Nixon (1969-1974), Gerald Ford
(1974-1977), Jimmy Carter (1977-1981), Ronald Reagan (1981-1989), George H. W.
Bush (1989-1993), Bill Clinton (1993-2001), George W. Bush (2001-2009), Barack
Obama (2009-2017), Donald Trump (2017-2021), Joe Biden (2021-2025) e Donald
Trump (2025-). Messi così, uno in fila all’altro, che impressione vi fanno?
Riuscite a identificare una qualche linea
di pensiero?
5. Gli ultimi quarant’anni della nostra storia, nel primo e
nel secondo Occidente, ci mettono drammaticamente di fronte a questo vuoto di
prospettiva, vuoto di politica, vuoto di cultura, vuoto, appunto, di pensiero.
Un vuoto che si sta facendo sempre più evidente nella misura in cui i problemi,
abbandonati a se stessi, urgono per una soluzione e si incancreniscono sempre
più. Nel proseguimento di questo saggio – che non va propriamente inteso come
una recensione – prenderò in considerazione soprattutto la parte introduttiva e
la parte conclusiva del libro di Schiavone, al solo scopo di meglio
caratterizzare questo fenomeno, oggi per me divenuto evidentissimo, di un Occidente senza pensiero.
6. Così esordisce Schiavone nel suo libretto: «Nel quadro
delle conoscenze e dei saperi che alimentano la vita pubblica delle nostre
società […] si è aperto da qualche tempo, nell’indifferenza generale, un vuoto
inquietante. Prodottosi quasi di colpo, ha per causa un fatto senza precedenti,
con conseguenze che si stanno rivelando via via più disastrose: la scomparsa
dalla scena d’Europa del grande pensiero sull’umano: filosofia, teoria
politica, scienze storiche e sociali».[5]
Va notata qui l’espressione
“pensiero sull’umano”, una terminologia di cui sembra si sia persa decisamente
l’abitudine. Vorrei ricordare che anche le atroci lacerazioni del Novecento
vertevano comunque, bene o male, intorno a un qualche “pensiero sull’umano”. L’amaro
tribunale della storia ha alfine decretato qualcosa di abbastanza preciso,
intorno all’umano e al disumano. Qualcosa abbiamo dovuto forzatamente imparare.
Oggi, per contro, l’umano e il disumano sono mescolati in una poltiglia
inestricabile: Hamas, Trump, Putin, Netanyahu, cui possiamo aggiungere, fuori
Occidente, gli ayatollah, i talebani e diverse varietà di islamisti. Ma anche
Xi e Kim Jong-un. Eppure ci siamo così abituati che invocare l’umano oggi
suscita senz’altro, presso il pubblico, ilarità e compassione.
Schiavone qui giustamente
denuncia il progressivo venir meno della cultura umanistica nell’attuale
contesto europeo, e più ampiamente nel contesto di quello che suole definirsi
come Occidente. È implicito nel suo discorso che la cultura umanistica
costituisca ancora una componente fondamentale nella definizione degli
orientamenti di una società. Possiamo aggiungere che non assistiamo soltanto a
un venir meno della prospettiva umanistica e alla proliferazione del cinico disincantato, stiamo assistendo a
una promozione sfacciata dell’antiumanismo,
in una varietà di forme che hanno sempre più successo o che comunque, invece di
una condanna, suscitano solo benevola indifferenza.[6] Difendere l’umanismo
oggi significa spesso fare la parte dell’anima bella che sogna i bei tempi
andati. Significa essere malamente apostrofati dai truci realisti della politica che oggi abbondano più che mai. Questa
tendenza antiumanistica si accompagna costantemente con lo screditamento della modernità, lo screditamento della tradizione stessa dell’Occidente e con l’implicito
e conseguente screditamento della
democrazia.
7. Schiavone chiama direttamente in causa le humanities: filosofia, teoria politica,
scienze storiche e sociali. Altre volte cita le discipline giuridiche, l’etica,
l’economia. Chi scrive si è occupato di filosofia e scienze umane fin da quando
era sui banchi di scuola. Ebbene, la filosofia occidentale, nella sua versione
continentale, sta attraversando una crisi epocale dalla quale difficilmente
riuscirà a riprendersi. Ho trattato ampiamente di questo argomento nel mio
recente saggio Esiste la filosofia
continentale?[7] L’aspetto interessante della questione è il fatto che, a
partire dagli anni Settanta la filosofia continentale europea, soprattutto
tedesca e francese (la french theory),
ha completamente colonizzato le facoltà umanistiche americane, gettando le basi
di quella cultura del piagnisteo politically
correct, che si svilupperà poi nel movimento stay woke. In altri termini, stiamo importando in forma
peggiorativa, come vuoto di pensiero, quello che abbiamo esportato oltre
atlantico qualche decennio fa.
Per le scienze sociali è
avvenuto un processo inverso. Le scienze sociali americane del primo Novecento,
che avevano studiato per prime la nuova società di massa, sono state esportate
in Europa, dove hanno avuto una diffusione straordinaria e hanno contribuito
alla conoscenza e all’ammodernamento delle società europee, almeno quelle al di
qua del Muro. Per decenni le scienze sociali nord americane furono le sole capaci
di fare una dura concorrenza all’ortodossia marxista, che pretendeva il
monopolio della conoscenza sociale. Esse diedero notevoli contributi ai
processi di riforma delle società europee postbelliche. Negli anni Novanta tuttavia
le scienze sociali americane caddero vittima dei social studies, del piagnisteo politically
correct e lo stesso accadde, di converso in Europa. Con l’avvento del neo liberismo (la Tatcher sosteneva che “la
società non esiste”) e con l’abbandono dei grandi progetti di riforma, le
scienze sociali cominciarono a perdere qualsiasi ruolo e centralità.
Contribuendo così a quel vuoto di
pensiero di cui stiamo discutendo.
8. Una delle manifestazioni più tangibili di questo vuoto
inquietante è – per Schiavone – la progressiva scomparsa dei Maestri. «Una
volta c’erano tra noi i Maestri. Non in un’età ormai lontana, ma appena qualche
decennio fa, ancora nel tardo Novecento. Guide da cui non si poteva prescindere
e con cui ci siamo a lungo confrontati, fin quasi al passaggio del secolo.
Spesso discussi e criticati, e non soltanto seguiti e imitati, ma comunque
riconosciuti in grado di misurarsi con le grandi personalità del passato, e di
aprire, attraverso quel dialogo, vie inesplorate per affrontare i problemi del
presente nella continuità di una tradizione: quella stessa della modernità».[8]
La collocazione
cronologica posta da Schiavone, “appena qualche decennio fa”, dell’avvento del
vuoto di pensiero, è all’incirca quella che ho segnalato nella mia introduzione.
Va poi ricordato che intellettuali e modernità hanno costituito, per secoli,
un binomio inseparabile. Gli intellettuali, pur con molte contraddizioni, hanno
costantemente svolto il ruolo di coscienza
critica della modernità. Anche i conflitti del Novecento sono stati elaborati
e consumati nell’ambito di un aspro dibattito intellettuale intorno alla
modernità, o a quel che ne restava.
Ma
è ora subentrata la postmodernità, la
reazione contro la modernità che ha finito per scindere il ruolo stesso degli
intellettuali nei confronti della società e della storia. Intellettuali e
modernità sono due categorie che hanno subìto, negli scorsi
decenni, un attacco violentissimo. Proprio ad opera della postmodernità che, in
virtù di questo vandalismo di principio, ha mostrato alla fine la propria
vacuità e inconsistenza. Senza l’apporto della modernità, senza il ruolo degli
intellettuali, abbiamo perso progressivamente la capacità di pensare al nostro
passato, al nostro presente, al nostro destino. Abbiamo rinunciato a domandarci
chi siamo, donde veniamo, dove andiamo. Con chi ci accompagniamo.
9. Schiavone usa alcune pagine per elencare una nutrita
schiera dei grandi Maestri cui faceva riferimento in apertura. «Era insomma la
grande cultura formatasi nel cuore del ventesimo secolo che continuava a
svolgere il proprio ruolo, e finiva con l’illuminare un’intera civiltà. […] Di
comparabile a tanta ricchezza, oggi non rimane più nulla: ed è così che il buio
è sceso senza preavviso sul cuore dell’Occidente. I primi risultati sono sotto
gli occhi di tutti: un’America irriconoscibile, e un’Europa che tace o
balbetta».[9]
Si noti che l’elenco dei
Maestri citati, che qui non riporto e discuto per brevità, comprende posizioni
culturali anche assai diverse e talvolta incompatibili. In omaggio dunque alla
natura sempre conflittuale del pensiero. Per quel che riguarda invece il buio
che ha colto il secondo Occidente, ci
dovremmo soffermare a lungo sulla cultura woke,
che è insieme causa e conseguenza della sparizione dei grandi Maestri e del
rifiuto della modernità. Luca Ricolfi nel suo saggio sul Follemente corretto[10] ha esaurientemente descritto il fenomeno e
ne ha tracciate alcune linee interpretative. Il politically correct e la cultura woke, con tutti i loro annessi e connessi, hanno gravemente minato
la libertà di pensiero, uno dei
principi cardine dell’Occidente.
10. Tuttavia Schiavone mette anche l’accento sul deterioramento
qualitativo della produzione culturale. Ciò ovviamente mette in causa i
meccanismi stessi della produzione e riproduzione dei saperi umanistici. Afferma
Schiavone che: «[…] se si considerasse l’elenco dei docenti di una qualunque
importante Facoltà umanistica in Francia, in Germania, in Italia qual era
quaranta o cinquanta anni fa, e lo si mettesse a confronto con coloro che vi
insegnano oggi, sarebbe arduo sottrarsi all’impressione di una distanza
crescente e incolmabile, se appena si avesse una cognizione non superficiale
delle materie prese in esame: filosofiche, storiche, giuridiche, sociologiche».[11]
Va osservato, da parte
nostra, che l’appiattimento qualitativo riguarda non solo l’offerta culturale,
ma anche il lato della domanda. Le capacità medie conseguite dagli studenti nelle
nostre scuole sono in caduta libera. Lo stesso vale per le capacità medie dei
cittadini di svolgere efficacemente i doveri loro prescritti dalla
Costituzione. Anche su questo appiattimento ormai esiste una letteratura ampia e
ben documentata
11. Ciò vale perfino – ci permettiamo di aggiungere – nel campo
dell’intelligenza. Secondo gli
studiosi dell’effetto Flynn, nei
Paesi occidentali anche l’intelligenza
media avrebbe cessato di crescere. L’Effetto Flynn[12] era quel fenomeno,
ben conosciuto dagli psicologi, per cui le prestazioni nei test di intelligenza
tendevano a crescere col passare del tempo (3 punti ogni decennio). Questo
fenomeno era stato rilevato sulla base dell’accumulo dei dati conseguenti alla
pratica sistematica della somministrazione dei test di intelligenza diffusa in
varie nazioni e istituzioni. Dall’inizio del nuovo secolo sono comparsi diversi
studi che testimoniano di un arresto del fenomeno di crescita dei punteggi medi
nei test di intelligenza. O, addirittura, sembrano avallare la presenza
generalizzata di un effetto Flynn
rovesciato. Col passare del tempo, le prestazioni individuali nei test di
intelligenza non solo avrebbero cessato di crescere ma addirittura tenderebbero
a diminuire. La cosa è tuttora controversa sul piano statistico, ma decisamente
allarmante, se collegata ad altri sintomi di degrado del livello culturale
medio delle nuove generazioni.
12. Eppure viviamo in un’epoca formidabile di progresso tecnico
scientifico. Abbiamo fotografato i buchi neri, abbiamo scoperto il bosone di
Higgs e intercettato le onde gravitazionali. L’intelligenza artificiale
contribuisce a migliorare la nostra vita in un’enorme quantità di settori. Schiavone
precisa che, a suo giudizio, il vuoto di pensiero incombente concerne proprio
il contesto delle humanities, visto
che, per quel che riguarda le scienze della natura, non pare proprio esserci
alcuna crisi alle porte. Non abbiamo dunque a che fare con disturbi funzionali
di base, visto che nel campo scientifico hard
il prodotto è rimasto per ora del tutto competitivo. Abbiamo proprio a che fare
col vuoto di pensiero sull’umano. Un
autentico smarrimento. Come un gigante dotato di un’enorme muscolatura, ma col
cervello di un moscerino.
Schiavone confronta l’epoca
della prima Rivoluzione industriale, quando il passaggio d’epoca fu
caratterizzato da un intenso lavorio culturale allo scopo di comprendere le
trasformazioni che stavano avvenendo, con l’epoca nostra, un’epoca di grandi
trasformazioni che avvengono in una totale mancanza di comprensione. «Ma questa
volta dov’è il pensiero – filosofico, economico, sociale, politico, giuridico,
etico: in una parola, l’indagine sulle società e sull’umano in trasformazione e
sui loro nuovi caratteri – che dovrebbe fare da guida al passaggio d’epoca,
orientandone direzione e conseguenze, come è accaduto con le grandi rivoluzioni
della modernità?».[13] Stiamo, in altri termini, vivendo una grande trasformazione
con gli occhi completamente bendati.
13. Insiste Schiavone: «Quello che manca è in particolare una
cultura – storica, filosofica, sociale – che si ponga il problema di una
lettura d’insieme dei processi che si stanno sviluppando nel mondo, dei loro
caratteri e delle loro tendenze, e che offra soluzioni innovative alla
politica. Un pensiero che analizzi da vicino, con capacità teorica adeguata, il
salto di qualità avvenuto nella struttura dell’economia capitalistica in
seguito alla rivoluzione tecnologica, con il definitivo tramonto della
centralità storica del lavoro umano produttivo di beni materiali – il lavoro
della classe operaia. Un passaggio, quest’ultimo, che ha posto fine a un intero
tratto della modernità, ha provocato il crollo dei regimi comunisti, e ha
portato alla nascita di uno specifico meccanismo unico di tecnica e di economia
per la prima volta senza alternative nell’intero pianeta – sul quale tuttavia
sappiamo pochissimo dal punto di vista della sua teoria e della sua critica».[14]
Qui torna uno dei
problemi su cui Schiavone aveva già insistito, in passato, e cioè «il
definitivo tramonto della centralità storica del lavoro umano produttivo di
beni materiali». Si tratta di un motivo ben presente nel suo Sinistra! Un manifesto del 2023.[15] La
presenza del conflitto di classe
aveva caratterizzato i due secoli precedenti della modernità e aveva
monopolizzato i dibattiti intorno alla configurazione della società. Intorno
alla società giusta. Ora quella
centralità storica non c’è più e ciò imporrebbe lo sviluppo di un nuovo
pensiero intorno al futuro stesso delle società occidentali. Un manifesto,
appunto, per una nuova sinistra.[16]
Ma la sinistra europea appare ammutolita e in difficoltà. Non parliamo poi dei
Democratici americani. Sia le destre tradizionali, sia le sinistre, che bene o
male avevano entrambe una qualche solida visione della società e della storia,
sono oggi soppiantate dal non pensiero
dei populismi organizzati, spesso inestricabilmente rossobruni, nazicomunisti
nei loro fondamenti. A ogni consultazione elettorale questi registrano
incrementi preoccupanti di consensi.
14. Così Schiavone sintetizza la situazione: «L’Occidente è
rimasto in tal modo orfano della sua stessa intelligenza: che lo ha lasciato
all’improvviso completamente solo, a metà strada di un cammino incompiuto. E ne
è rimasta orfana in particolare la politica, sia progressista sia
conservatrice. Una specie di nuovo “tradimento dei chierici”, consumato quando
mettere in campo nuovo pensiero sarebbe stato indispensabile per concepire e
realizzare scenari adeguati alle peculiarità della nuova realtà capitalistica e
al suo rapporto con la tecnica e con la politica».[17] In questi passi si evoca
il tradimento dei chierici, uno
smarrimento cioè della funzione intellettuale, un inchino del mondo della cultura
a interessi totalmente estranei. Il riferimento ovviamente va a Julien Benda
(1867-1956) e al suo noto Tradimento dei
chierici (1927).[18] E il tradimento dei chierici ha avuto effetti esiziali
sulla politica: «E invece proprio nel momento cruciale del salto, il circuito
delle conoscenze si è interrotto. E la politica è diventata cieca, senza
concetti e categorie in grado di leggere oltre la superficie dei processi che
ci coinvolgono, nei caratteri e nelle tendenze di lunga durata del mutamento».[19]
La debolezza della
politica è senz’altro un effetto della debolezza
del pensiero. Il problema è che, in un simile quadro, pare davvero
impossibile che la politica riesca a porre un qualche rimedio alla stessa
debolezza del pensiero. L’immagine che se ne trae è quella di un Occidente
sempre più invischiato in un circolo
vizioso autolesionistico. Invece di politica
e cultura, come in Norberto Bobbio, avremo sempre più politica senza cultura.
15. Non seguiremo da vicino i vari capitoli nei quali Schiavone
approfondisce la propria analisi. Dove si affrontano questioni come il degrado
della politica, la globalizzazione, l’impatto delle nuove tecnologie, i
problemi della democrazia, la situazione americana. Le conclusioni di Schiavone
si aprono con un’affermazione davvero impegnativa: «Solo una rivoluzione
intellettuale e morale dell’intera cultura europea di portata eguale alla
trasformazione che stiamo vivendo potrà essere in grado di indirizzare per il
meglio il cambiamento in cui siamo immersi. Perché lo ripetiamo: la tecnica
dona potenza, non assicura salvezza. Stabilisce la direzione e l’irreversibilità
del cammino, contribuendo a fissare la forma dell’umano attraverso l’aumento
del suo controllo sulle proprie condizioni materiali di esistenza; non
garantisce il buon esito dell’intero viaggio».[20]
La tecnica ci rende
sempre più forti ma non può darci alcuna indicazione su come usare
proficuamente questa stessa forza. Mentre i vari corifei della sinistra in
senso lato invocano il disarmo, oppure gli ennesimi provvedimenti di tutela a
favore di questi o quelli – quelli che non arrivano alla fine del mese – oppure
ancora evocano il diritto alla rivolta e il ritorno alla lotta di classe, ebbene
Schiavone va contro corrente e avverte che è necessaria principalmente una
«rivoluzione intellettuale e morale», due rivoluzioni con cui nell’immediato «non
si mangia». Due rivoluzioni senza cui non sapremmo neanche quale sia la meta
verso cui andare. Non ci mancano i mezzi,
ci mancano i fini. O forse ne abbiamo
di troppi, e di confusi. Il che è come non averne neanche uno.
16. Sarebbe allora da fare una riflessione profonda intorno al
significato di queste parole. Cosa significa «rivoluzione intellettuale e
morale»? In estrema sintesi, così interpreto io, l’Occidente senza pensiero ha coltivato – ancora una
volta – la fiducia nei meccanismi
automatici. Come quando aveva creduto alle leggi marxiane della storia. Oggi si tratta della fiducia nelle leggi automatiche dei mercati, nella
iniziativa individuale e nella concorrenza, nello slogan «Enrichissez vous!», nella fiducia del gocciolamento del benessere
verso tutti gli strati della società. L’Occidente senza pensiero ha fatto di
tutto per ridurre ai minimi termini lo
Stato e le istituzioni, per dare mano libera alla vandalica deregulation. È stata questa una comune ubriacatura
che ha coinvolto sia la destra sia la sinistra. Destre e sinistre che la
capacità di pensare l’avevano forse persa da tempo. Così ci siamo ritrovati immersi
nel populismo e stiamo così mettendo
a repentaglio le stesse istituzioni democratiche. L’Occidente europeo ha
pensato che bastasse «laissez faire, laissez passer». Che bastasse stare a
guardare, e tutto si sarebbe aggiustato da sé.
17. Ora, a quanto pare, la storia ci sta presentando il conto,
e non sappiamo cosa fare. Il fatto è che – di questo dobbiamo davvero
convincerci – la società va pensata. La
società è fatta proprio per essere
pensata. Soprattutto le società altamente complesse come le nostre. Per le
quali occorre un pensiero di pari complessità. Invece abbiamo creduto alle semplificazioni. Da noi, per stare a casa
nostra, abbiamo creduto al pensiero
semplice di Berlusconi, di Bossi, di Renzi, di Grillo, di Meloni, di
Salvini. Mi spiace molto dirlo, ma anche quello di Schlein e di Landini, di
fronte ai problemi che abbiamo davanti, è puro
pensiero semplice.[21]
In Europa, pensare di
continuare a sopravvivere come uno Stato
senza Stato (che non unifichi in sé le fondamentali prerogative di uno
Stato) è puro pensiero semplice, come quello dei pacifinti che vogliono la pace e la sicurezza, non vogliono la NATO
e non vogliono spendere una lira per comperare le cartucce. Pensiero semplice
anche quello dei governi europei che vorrebbero, a fasi alterne, una politica estera di grande potenza,
senza però cedere alcun potere a un Ministro degli esteri europeo di un Governo
europeo. Purtroppo siamo guidati dal pensiero semplice e gli elettori, divenuti
semplici anch’essi, non sembrano
neanche più persuasi di dover andare ogni tanto a votare. Non vanno più a
votare non perché siano delusi dalla politica ma perché sono divenuti incapaci di un qualsiasi pensiero effettivamente
politico. Ricordo che gli esponenti del secondo partito di opposizione italiano
andavano in parlamento agitando l’apriscatole. Non solo intellettuali senza
pensiero dunque, ma anche elettori senza
pensiero.
18. Già, ma allora, come possiamo fare per recuperare un
pensiero alto, degno dell’Europa e dell’Occidente migliore? Davvero all’altezza
delle sfide che abbiamo di fronte? Schiavone si pone il problema, ma qui mi
permetto di dubitare alquanto sulla fattibilità della sua proposta. Dice: «[…]
almeno in Europa, per rimettere in moto la macchina del pensiero serve una
scossa esterna al mondo delle idee, tanto forte da rendere possibile la ripresa
del cammino interrotto. Un impulso che può venire soltanto dalla politica: da
una politica che sappia spezzare con la forza di una decisione il vuoto di idee
che la circonda. E questa non può consistere in altro se non in un passo avanti
decisivo verso l’unificazione del continente».[22]
Qui Schiavone incorre purtroppo
in una qualche circolarità di pensiero, visto che, nella introduzione ha
sostenuto che proprio il vuoto di pensiero confina la politica alla mera
amministrazione. Come farà una politica priva
di pensiero a trovare da sé la forza
di una decisione? Personalmente una risposta ce l’ho, ed è una risposta
poco piacevole. Solo una colossale esternalità
negativa, una grave catastrofe,
potrà costringere i nostri maestri del pensiero semplice a prendere decisioni
forti. A prendere finalmente le ovvie decisioni indispensabili. Non resta che
sperare nella catastrofe.
19. Così l’Occidente si è cacciato in un circolo vizioso che lo condanna a rendimenti sempre più bassi. A
continuare a rimandare e ad attendere, come se avessimo davanti un tempo
infinito. Certo, è comodo fare l’ammuina.
Schiavone avverte che: «Progresso tecnico e scadimento morale e sociale possono
coesistere, entro certi limiti. Con la conseguente deriva verso un mondo in cui
l’anomia sarà diventata la regola di un suprematismo capitalistico –
tecnologico fuori controllo: segnato dal dominio di minoranze più o meno
ristrette – arroccate nei privilegi derivanti dalla loro posizione rispetto al
dispositivo tecnoeconomico globale – su moltitudini uniformate dalla comune
sconfitta e dal patimento condiviso della sopraffazione».[23] L’Amministrazione
Trump è oggi un perfetto esempio di
coesistenza di progresso tecnico e
scadimento morale, intellettuale e sociale. Questo è forse il destino che
ci aspetta.
Rincarando la dose,
secondo Schiavone oggi ci troviamo in: «Una congiuntura in cui la capacità del
pensiero sull’umano di padroneggiare e di orientare verso paradigmi di
razionalità fondati sul bene comune quel potere di trasformazione del reale che
stiamo acquisendo con tanta velocità appare drammaticamente ridotta, se non
addirittura azzerata. Se non riusciremo a riequilibrare in corsa questo scompenso;
se una parte di quella che chiamiamo la nostra civiltà continuerà a rimanere
indietro rispetto all’altra, il prolungarsi del ritardo renderà realistiche
ipotesi di futuro nelle quali l’aver cancellato la comune identità dell’umano
diverrà il principale carattere di una costituzione materiale del pianeta
fondata esclusivamente sulla discriminazione e sul dispotismo».[24]
Val la pena di
aggiungere che non sarà certo demandando alla intelligenza artificiale la soluzione delle maggiori questioni –
come qualcuno auspicherebbe – che risolveremo il nostro deficit di pensiero. Un
imbecille con l’AI diventa un imbecille al quadrato. C’è già chi pensa di
infilare l’intelligenza artificiale nelle scuole, così avremo finalmente il
pensiero semplificato a disposizione di tutti, paziente, autorevole, efficiente
e del tutto incontrollabile. Non sono tra gli scettici oppositori della AI,
sono piuttosto tra gli scettici che dubitano della nostra capacità di
controllare la AI, cui ci stiamo affidando con tanta disinvoltura e dabbenaggine.
Anche qui è in gioco il vuoto del pensiero. Chi pensiero non ha, non può
darselo artificialmente.
20. Schiavone manifesta tuttavia, nonostante tutto, un certo
ottimismo: «[…] nonostante tutti gli ostacoli che si frappongono, credo che in
questo frangente sia proprio dall’Europa che possa partire il primo e più forte
segnale di risveglio; che sia da qui che si possa riannodare il filo spezzato
del nostro pensiero».[25] Schiavone entra qui nel merito di alcuni punti di
forza restanti su cui l’Europa potrebbe basarsi per dare il via a una ripresa. In
effetti, dopo il declino ormai palese e profondo della democrazia americana,
del secondo Occidente, non resta che
riporre qualche speranza nel primo
Occidente. Effettivamente se il patrimonio di pensiero dell’Occidente non è rimasto da qualche parte in Europa,
può allora esser tranquillamente dichiarato in
via di estinzione. Basti pensare al trattamento inferto da Trump alle
università americane per rendersi conto che da quelle parti non verrà più fuori
alcunché, per un bel po’. Bisogna riconoscere che Alexandr Dugin, al di là del suo
tono profetico ed esaltato, nei suoi scritti è andato vicino a una diagnosi ben
precisa della capitolazione dell’Occidente di fronte all’Euroasiatismo. In un
suo scritto[26] di qualche anno fa aveva individuato proprio in Trump il
capofila inconsapevole della reazione dei popoli del Mondo contro l’Occidente,
irrimediabilmente corrotto e pervertito.
Comprendiamo che
Schiavone, nel suo ruolo di pubblico intellettuale, si sforzi di mostrare un
volto tutto sommato ottimistico. Comprendiamo come si sia sentito in dovere di
considerare la partita del pensiero dell’Occidente ancora come aperta. Di
mostrare una strada praticabile per uscire dalla crisi. Di considerare come ancora
non del tutto perduto il nostro patrimonio di pensiero, la nostra scala di
valori e le nostre istituzioni. In questo senso, il suo saggio è un appello. Purtroppo la sua diagnosi è
perfetta, ma una eventuale prognosi positiva è invece dipendente da una miriade
di condizioni che, se considerate da vicino, non possono che risultare
altamente improbabili.
21. Il lettore, compulsando attentamente il testo di Schiavone, potrà farsi un’idea di quanto realistiche siano le possibilità di successo di un programma di rinascita del pensiero europeo da lui intravisto e propugnato. Personalmente, siamo alquanto più pessimisti e il vuoto di pensiero dell’Occidente oggi ci sembra ormai decisamente irreparabile. Più che di un improbabile programma di rinascita, oggi ci pare quanto mai necessario un programma di resistenza. Un appello disperato che chiami alla resistenza le poche forze del pensiero d’Occidente sopravvissute, e non ancora del tutto stravolte. Una resistenza, appunto, intellettuale e morale. Una resistenza destinata tuttavia a diventare sempre più clandestina, sempre più confinata nei bantustan o nelle riserve indiane. Il trattamento inferto da Trump alle università americane è di una chiarezza esemplare. Una resistenza nella lucida consapevolezza che la guerra è stata ormai perduta, che i barbari sono alle porte e che domineranno per secoli. Si tratta allora di mettere da parte e conservare i codici, ricopiare e commentare i testi, trasmettere la tradizione, tenere acceso il lumicino in attesa di un’improbabile nuova alba. Proprio come i monaci irlandesi nei secoli bui della decadenza europea.
Giuseppe Rinaldi (13/07/2025)
OPERE CITATE
1960 Bell, Daniel, The End of Ideology. On the Exhaustion of Political Ideas in the Fifties, Harvard University Press, Cambridge. Tr. it.: La fine dell’ideologia. Il declino delle idee politiche dagli anni Cinquanta a oggi, SugarCo Edizioni, Milano, 1991.
1958 Benda, Julien, La trahison des clercs, Editions Grasset, Paris. [1927]
2021
Dugin, Alexandr, Contro il Grande reset.
Manifesto del Grande risveglio, AGA Editrice.
2022 Rampini, Federico, Suicidio occidentale. Perché è sbagliato processare la nostra storia e cancellare i nostri valori, Mondadori, Milano.
2024 Rampini, Federico, Grazie Occidente!, Mondadori, Milano.
2024 Ricolfi, Luca, Il follemente corretto. L’inclusione che esclude e l’ascesa della nuova élite, La nave di Teseo, Milano.
2023 Schiavone, Aldo, Sinistra! Un manifesto, Einaudi, Torino.
2025
Schiavone, Aldo, Occidente senza pensiero,
Il Mulino, Bologna.
NOTE
[1] Nella scrittura di questo saggio non ho
fatto uso alcuno di strumenti di intelligenza artificiale.
[2] La prima occorrenza della questione risale
al 1960. Si veda Bell 1960.
[3] Cfr. Rampini 2022 e Rampini 2024.
[4] Tra queste responsabilità, attribuite di
fatto dall’Europa agli USA, abbiamo la difesa (attraverso la NATO), il governo
monetario e del commercio internazionale, la politica internazionale, il
controllo degli Stati canaglia, il governo delle crisi internazionali derivanti
da alcuni Paesi ex comunisti e dall’insorgente fondamentalismo islamico,
compresa anche la lotta al terrorismo. Possiamo aggiungere la responsabilità
della salvaguardia e della promozione delle organizzazioni internazionali. A
uno sguardo retrospettivo, gli USA hanno fallito in tutti questi compiti.
Marcatamente, in politica internazionale hanno fallito sulla questione
israelo-palestinese, hanno fallito in Iraq e in Afghanistan. Solo per elencare
le crisi più importanti. Per quanto riguarda le organizzazioni internazionali,
gli USA hanno dato un notevole contributo al loro indebolimento.
[5] Cfr. Schiavone 2025: 15.
[6] Fanno parte dell’antiumanismo, a nostro
parere, anche il transumanismo e il postumanismo nelle loro varie e confuse
manifestazioni.
[7] Si veda Finestre
rotte: Esiste la filosofia continentale?
[8] Cfr. Schiavone 2025: 16.
[9] Cfr. Schiavone 2025: 19.
[10] Cfr. Ricolfi 2024.
[11] Cfr. Schiavone 2025: 20.
[12] Dal nome dello psicologo neozelandese James
Robert Flynn (1934-2020).
[13] Cfr. Schiavone 2025: 25.
[14] Cfr. Schiavone 2025: 26-27.
[15] Cfr. Schiavone 2023.
[16] In un mio saggio precedente ho analizzato
dettagliatamente il Manifesto di
Schiavone. Per chi fosse interessato, si veda Finestre
rotte: Prolegomeni a una nuova sinistra .
[17] Cfr. Schiavone 2025: 30.
[18] Cfr. Benda 1958.
[19] Cfr. Schiavone 2025: 30.
[20] Cfr. Schiavone 2025: 123.
[21] Mi permetto qui di richiamare la mia
recente analisi sui Referendum del
giugno 2025: Finestre
rotte: Referendum 2025 .
[22] Cfr. Schiavone 2025: 123.
[23] Cfr. Schiavone 2025: 124.
[24] Cfr. Schiavone 2025: 124.
[25] Cfr. Schiavone 2025: 124-125.
[26] Cfr. Dugin 2021.
.