1. Dopo[1] le elezioni regionali in Sardegna, presso molti
osservatori e leader politici di
sinistra[2] si erano accese grandi aspettative di un bis alle elezioni
abruzzesi. Il ragionamento era più o meno il seguente: se abbiamo vinto in
Sardegna dove ci siamo presentati divisi, allora in Abruzzo, dove ci
presentiamo tutti uniti appassionatamente, con un candidato che non sfigura,
non possiamo che stravincere.
Era abbastanza chiaro
che si trattasse di pie illusioni. Intanto è vero che in Sardegna la sinistra
si è presentata divisa come non mai. Grazie alle faide locali e al “compagno”
Soru. La vittoria risicata è avvenuta per 1600 voti. Cioè, si è trattato di una
vittoria sostanzialmente legata al caso.
Se quel giorno fosse anche soltanto cambiata la situazione meteo, il risultato
avrebbe potuto essere diverso. Com’è noto poi, il voto disgiunto ha
occasionalmente permesso a una parte della destra di regolare i propri conti
interni, favorendo così la Todde. Anche loro per fortuna hanno ogni tanto le
loro faide locali. Le pie illusioni, così frequenti e diffuse, ci dicono che la
sinistra vive di illusioni e che non cambia mai. Invece di ragionare sulle cause delle ripetute
sconfitte, cause alquanto profonde e che vengono da lontano, si va in cerca di
superficiali segni di cambiamento che possano annunciare strabilianti stagioni
di crescita e di consenso. E puntualmente ci si deve poi rassegnare alla
disillusione.
Il prossimo 21 e 22
aprile si voterà in Basilicata e, a quanto pare, lì la questione delle alleanze
e delle candidature nell’ambito della sinistra (il famoso “campo largo”) sta
attraversando un formidabile travaglio.[3] Come dire che la sinistra non sa che
pesci pigliare. Avremo poi l’8 e 9 giugno le elezioni regionali in Piemonte
(accoppiate alle elezioni europee). Anche in questo caso le alleanze e le
candidature – discusse in ristretti e misteriosi circoli torinesi – sono ancora
del tutto per aria. Prevedibilmente, per quel poco che se ne sa, la sinistra si
presenterà divisa e molto probabilmente perderà.[4]
2. C’è una curiosa interpretazione circolante sui media. Le
elezioni regionali di questo periodo sarebbero in qualche misura influenzate
dalle prossime elezioni europee di giugno, dove si voterà con il proporzionale.
Dunque, sussurrano quelli che la sanno lunga, i partiti tenderebbero
attualmente “a contarsi” uti singuli,
a non fare alleanze compromettenti, a presentarsi cioè ai propri elettori nella
purezza delle proprie posizioni. Dunque questo non sarebbe senz’altro tempo di
alleanze, anzi, sarebbe meglio andar divisi per contarsi. Le alleanze, se si
faranno, diventeranno possibili solo dopo le elezioni europee. Non abbiamo dubbi
che i dirigenti nazionali e locali dei vari partiti la pensino esattamente
così. Si tratta, come ognun vede, di una posizione del tutto suicida, oltreché
del tutto priva di senso.
La sinistra italiana,
indipendentemente dalle elezioni europee, è in realtà profondamente spaccata e
nulla sembra essere cambiato dalle ultime elezioni politiche, nelle quali, di
fatto, la sinistra ha colpevolmente
regalato la vittoria alla destra.[5] La memoria del 25 settembre 2022 è
stata tranquillamente lavata via. Ora, è davvero demenziale che si perseveri a
giustificare l’esigenza di marcare le divisioni per meglio presentarsi alle
elezioni europee col proporzionale. Questo potrebbe avere un qualche minimo
senso almeno se nella sinistra ci fossero diverse
idee dell’Europa (ce ne dovrebbero essere almeno tre o quattro!) e se fosse
in corso un acceso dibattito interno
tra i diversi modelli di Europa da realizzare. Nulla di tutto ciò. Nessun dibattito
approfondito e appassionato. Quel che circola nella sinistra a proposito di Europa
è un programma dalle davvero grandi ambizioni: «Speriamo che non vinca la
destra!».
3. Ma vediamole meglio queste tre (o quattro) sinistre e i
loro cespugli. Per avere un’idea della sinistra italiana oggi sarà meglio
partire dalla consistenza elettorale
delle diverse formazioni. Useremo i sondaggi di You Trend, che producono una media di diversi sondaggi a distanza
ravvicinata (detta “Supermedia”). Abbiamo (in data 8 marzo) il PD con il 20,1;
il M5S con il 16,3; Azione col 4%; Alleanza Verdi e Sinistra con il 4,1%. Poi
abbiamo Italia Viva col 3,2%; Più Europa con il 2,7% e Unione Popolare con l’1,3%.
In tutto abbiamo il 51,7%, cioè più della metà di coloro che si sono espressi. È
il caso di specificare che Alleanza Verdi
e Sinistra è un cartello elettorale che comprende Europa Verde (di Bonelli)
e Sinistra Italiana (di Fratoianni). Unione
Popolare è invece un cartello elettorale, riunito sotto il nome di de
Magistris,[6] che comprende ben sette formazioni politiche, tra le quali la più
nota sembra essere Rifondazione Comunista.
A tutte queste
formazioni già note, va aggiunta una nuova
formazione, che a quanto pare si presenterà alle elezioni europee dell’8-9
giugno 2024, guidata da Michele Santoro. Collocabile si presume anch’essa nell’ambito
della sinistra in senso lato. La nuova formazione sarà denominata “Pace, Terra,
Dignità”. Essa pare presentarsi, come partito
monotematico, nell’ambito del pacifismo, contro la guerra, l’invio di armi
in Ucraina, le spese militari e quant’altro. Si presenta come partito del leader non scevro da uno stile
populista, soprattutto nella comunicazione. Non è impossibile che rosicchi un
certo spazio agli altri partiti della sinistra (e non certo a destra).
4.È davvero difficile dire cosa
esprima sul piano dei contenuti questo coacervo di sigle e di leader, la cui preoccupazione principale
non pare proprio essere quella dell’unità. A guardar le sigle e le
denominazioni, la eterogeneità delle
culture politiche è davvero elevata. Se poi appena un po’ si conosce la
storia delle diverse formazioni si è effettivamente indotti a domandarsi cosa c’entrino
le une con le altre. Il PD viene da lontano e vorrebbe essere una specie di
sintesi della parte vagamente progressista delle ex culture politiche del PCI e
della DC, culture ormai ampiamente defunte. La dizione “democratico” non è
affatto un committment alla
democrazia come cultura politica,[7] bensì una scimmiottatura veltroniana dei
democratici americani e delle loro primarie, cosa dannosissima di cui il partito
non riesce a liberarsi.[8] E non ha neppure capito di doverlo fare al più
presto. Una caratteristica specifica del PD è quella poi di essere, al proprio
interno, suddiviso in numerose correnti che risentono di marcati personalismi,
che governano la distribuzione del potere nel partito, ma che tendono anche a
riprodurre svariate contrapposizioni ideologiche che già si ritrovano tra i
partiti esterni. Attualmente le correnti non compaiono in pubblico più di tanto
ma sono ben presenti e senz’altro avranno un luminoso futuro.
Il M5S in origine era
portatore di una concezione infantile della democrazia, il direttismo. Che avrebbe corretto tutti i mali della politica. Inoltre
proclamava di essere un partito post
ideologico. Meglio: un non partito
con un non statuto. Teorizzavano il mandato imperativo. Per essere generosi,
possiamo parlare di una cultura populista
che aspirava presuntuosamente a superare
la contrapposizione tra destra e sinistra. Il M5S si è presentato nel 2009
in termini di rottura e ha avuto una rapida ascesa, fino a giungere al governo
Conte I nel 2018. È facile comprendere come il M5S abbia potuto affermarsi nel
colossale vuoto lasciato dal PD,
soprattutto nei confronti delle nuove generazioni. Nel M5S c’era e c’è tuttora
una forte componente di cultura
generazionale delle ultime due generazioni che hanno avuto accesso al voto
e cioè la Y e la Z. Il loro plateale analfabetismo
politico è dovuto, oltre alla frattura generazionale, alla devastazione
culturale intervenuta dopo la fine della Guerra fredda e in seguito alla
affermazione dei nuovi media.[9] Indubbiamente il M5S odierno è oggi alquanto
cambiato, sembra collocato ormai genericamente su posizioni di sinistra ma il
patrimonio genetico sembra ancora esattamente lo stesso.
5. Questi sono dunque i due partiti principali della sinistra
odierna, almeno sul piano numerico. Si tratta di prendere atto che sono due partiti
incompatibili e in feroce concorrenza tra di loro. Le altre numerose formazioni
non arrivano individualmente al 5%,[10] ma complessivamente contano per il
15,3% Hanno cioè il peso di un terzo partito
di media taglia. E qui dentro c’è proprio di tutto. Azione e Italia Viva
sono partiti che sono caratterizzati in senso populista soprattutto dai loro leader piuttosto che dalle loro
ideologie. La loro intenzione sarebbe quella di una collocazione
liberaldemocratica vicina al centro, ma sono costantemente impediti proprio da marcati
tratti populistici e dal leaderismo dei capi. Non si capisce bene quali siano
le differenze tra i due partitini. Hanno perfino provato a unificarsi senza successo, con episodi decisamente comici,
da avanspettacolo.
L’Alleanza Verdi e
Sinistra si rifà a due culture politiche abbastanza contrapposte: alla cultura
politica dei Verdi, che in Italia non ha mai avuto fortuna e a una specie di
socialdemocrazia radicale che, idem, in Italia non ha mai avuto grande fortuna.
Entrambi i partiti comunque si comportano anche e soprattutto come partiti del leader. I verdi potrebbero
esser considerati come un partito monotematico, ma svolgono comunque la
funzione di partito generalista, prendendo posizione su qualsiasi cosa.
Più Europa è il partito
che forse più si avvicina alla cultura liberaldemocratica, di matrice liberale e radicale, ma ha il problema di essere un partito elitario, incentrato su problemi che suonano per di più
estranei a molti elettori. È questo il vecchio antico difetto dei
liberaldemocratici azionisti. In effetti stanno da soli perché non avrebbero
gran posto dove andare, perché quella cultura negli altri partiti (soprattutto
PD e M5S) proprio non c’è.
Unione Popolare è un’incredibile
accozzaglia di sigle (ben sette formazioni, molte delle quali sconosciute al
grande pubblico) che, pur marcando la loro irriducibile diversità, stanno
insieme principalmente per il vantaggio
del cartello elettorale e per un certo radicalismo
antisistema. Anche loro risentono marcatamente di tendenze populiste. Tranne
forse il partito annunciato di Santoro, tutti gli altri – Verdi compresi –
tendono a presentarsi come partiti generalisti, cioè partiti che hanno (o
dicono di avere) una linea più o meno su tutte le questioni di pubblico
interesse. Come effetto di questa varietà, ci dovrebbe essere a sinistra un
formidabile dibattito. Invece non si discute seriamente proprio di nulla e ci si
contrappone però volentieri sulle questioni più occasionali e disparate. E le “linee”
non collimano quasi mai. Quando poi si passa alle questioni regionali o
decisamente alle questioni locali, le ragioni di differenziazione spesso
aumentano anziché diminuire. Il tempo di una più facile collaborazione a livello locale sembra finito. Non di rado le
direzioni nazionali richiamano i livelli locali desiderosi di fare qualche
alleanza poco ortodossa.
Ci sono degli spiritosi
che sostengono che tutta questa rissosa diversità sarebbe in realtà una ricchezza. Sì, sarebbe una ricchezza se ci
fosse un autentico dibattito, se ci fosse la capacità di creare degli amalgami.
In realtà questa supposta ricchezza serve solo a creare spaccature, ostilità,
veti incrociati e particolarismi. La cosa è quanto mai evidente. Stanti così le
cose, un’unità operativa di qualche tipo sembra davvero impossibile.
6. La politica della sinistra in senso lato tuttavia non è
tutta qui. Vale la pena, tanto per avere chiare le idee fino in fondo, di dare
un’occhiata anche alle associazioni, ai movimenti e ai partitini monotematici che popolano la cosiddetta società civile, spesso di taglio locale
ma talora anche con ambizioni internazionali, quelli cioè che non si presentano alle elezioni ma che
intenderebbero essere la base delle elaborazioni, delle novità, della domanda
politica più spontanea, originale e autentica. Può essere interessante, per i
nostri scopi, produrre una sintetica tassonomia di questi movimenti. Possiamo
identificare per lo meno i seguenti ambiti: movimenti per l’ampliamento dei
diritti costituzionali; movimenti ecologisti; movimenti delle donne ad ampio spettro
e movimenti gender; movimenti
antirazzisti e anti discriminazione; movimenti per la riforma dei codici
linguistici; movimenti relativi ai migranti e alle migrazioni; movimenti
animalisti; movimenti di volontariato a loro volta suddivisi in una miriade di
settori di intervento; movimenti contro la guerra e pacifisti; movimenti
religiosi e di spiritualità (diversi dalle religioni tradizionali); movimenti a
sfondo localistico per la difesa, valorizzazione e promozione del territorio e
dell’arte; movimenti giovanili e/o studenteschi; movimenti per la salvaguardia
dei beni ambientali e del patrimonio storico; movimenti per la difesa degli
interessi di singole categorie economiche; movimenti per la difesa di
popolazioni minacciate e di tradizioni, usi e costumi. Movimenti europeisti.
Movimenti autonomistici e financo nazionalisti a sostegno delle patrie oppresse.
L’elenco non è esaustivo e, ovviamente, non è possibile produrre una rigorosa
separazione tra i diversi tipi. La considerazione che si può fare è che tutto
questo impegno e fermento, oltremodo ricco e interessante, non diventa mai capitale politico spendibile a vantaggio di una
sinistra complessiva, non si traduce mai
in mobilitazione politica organizzata e finisce per disperdersi in mille
rivoli. C’è un’obiettiva spaccatura tra questo mondo e quello dei partiti
generalisti. Gli attivisti raramente si trasformano in dirigenti politici. Spesso
tutta questa movimentazione non si
traduce neppure in un arricchimento del capitale
sociale a livello locale.
7. Come risulta abbastanza chiaro dalle argomentazioni che
abbiamo fin qui accumulato, le differenze interne al mondo della sinistra sono fomentate
e alimentate da due diverse componenti: in
primis la condivisione e propagazione di elementi fortemente identitari (come nel caso del M5S o dei Verdi).
Le tematiche identitarie della sinistra italiana si configurano variamente e
vanno dalla condivisione di precise ideologie, magari del secolo scorso (ad
esempio Sinistra italiana, oppure il PRC che sta dentro a Unione popolare) che
sono ormai solo più ritualizzate. Oppure fino alla fissazione su obiettivi
specifici di carattere pragmatico, che divengono elementi discriminanti per
distinguere amici e nemici (ad esempio il “reddito di cittadinanza” per il
M5S). Secondariamente, abbiamo la presenza di leader tossici divisivi che legano il loro stesso destino politico
alla frammentazione del campo. Inoltre, se andiamo a ben vedere, ci sono delle
formazioni che soffrono di entrambe le problematiche. Sono fortemente identitarie e guidate da leader tossici divisivi. Che
usano cioè gli elementi identitari in senso divisivo. E questo è davvero il
massimo! Lo stesso discorso si può fare per i numerosi movimenti monotematici
citati che pure non si presentano alle elezioni ma che si piccano di influire
sugli orientamenti delle diverse formazioni politiche, puntando correttamente
sui contenuti. Capita spesso che certe iniziative locali siano sottoscritte da
una gran quantità di sigle e che i partecipanti effettivi siano di meno delle
sigle firmatarie. Viva il pluralismo.
I caratteri strettamente
identitari e i leader tossici sono gli elementi dunque che avventurosamente tengono
insieme e aggregano i rispettivi elettorati, molti dei quali ridotti ormai a
cifre davvero esigue. Quando il capitale
politico è tutto lì, allora è chiaro che la situazione non può che
fossilizzarsi. Ciascuno cercherà di massimizzare il proprio ambito ristretto e
lascerà andare in malora l’interesse comune a mettere in piedi una sinistra
forte e determinata.
8. Ci sono un altro paio di elementi da aggiungere, che
valgono come quadro di sfondo, come condizione
sufficiente per spiegare queste divisioni perpetue. Si tratta anzitutto del
deterioramento della qualità della classe
politica. I leader e i comprimari sono sempre più superficiali,
impreparati, vaghi e generici, adusi a un dibattito politico fatto di tweet, di talk show, di richieste di dimissioni altrui, di slogan passeggeri.
Totalmente incapaci di studiare e approfondire i problemi. Incapaci financo di
scrivere da soli un articolo di media lunghezza, che sia dotato di senso
compiuto. Sempre in giro a stringer mani e a fare dichiarazioni. Oppure spesso
rinchiusi nelle loro sedi a discutere di contrapposizioni personali e di spartizione
della quota sempre più esigua di poltrone e poltroncine a disposizione. Morti
di fame.
In secondo luogo abbiamo
il deterioramento dello spazio pubblico
di discorso. Qui l’analisi si farebbe lunga. Non ci sono più nemmeno le
sedi nelle quali possa realizzarsi un dibattito politico approfondito. Non ci
sono più le sedi fisiche (sezioni locali, convegni, congressi, centri studi,
scuole di partito), non ci sono più le sedi comunicative ad alto valore
aggiunto (come giornali o case editrici), tutte soppiantate dalla comunicazione
social di basso livello, non ci sono
più le sedi deputate alla riflessione e alla elaborazione: mi riferisco qui al
ruolo degli intellettuali,[11] anch’essi
sempre meno numerosi e più deteriorati, prezzolati, ridotti a fare le comparse
televisive, del tutto incapaci e/o poco interessati a studiare i problemi e a
formulare teorie, a elaborare proposte. Sono del tutto spariti gli
intellettuali a livello locale che nella Prima Repubblica costituivano un
importante riferimento. Ormai è del tutto chiaro che i media e le nuove
tecnologie non sono stati in grado di costituire un nuovo spazio pubblico di
discorso adatto a far crescere i corpi intermedi e la democrazia. Il risultato
è quello noto: il trionfo della semplificazione,
la riduzione della politica a meri slogan privi di spessore e di analisi. Il
populismo che avanza. Le tendenze
populiste sono presenti in una gran parte delle formazioni politiche della
sinistra che abbiamo esaminato.
9. Per così com’è oggi, dobbiamo prendere atto del fatto che la
sinistra italiana è del tutto inemendabile.
Sta andando incontro a una sconfitta dopo l’altra, non per la forza degli
avversari ma per le sue intrinseche debolezze. Continua a girare a vuoto, senza neanche più domandarsi perché. Avendo
del tutto smarrito i fini continua ad
arrabattarsi con i mezzi sempre più vecchi
e stantii. Siamo senz’altro in presenza del ritualismo,
ben descritto da Robert K. Merton. Tutti vedono ormai i limiti grossolani di
questa sinistra. Anche nei talk show
più sguaiati, le battutine da parte dei giornalisti e dei conduttori sulle
divisioni della sinistra e i sorrisetti di sufficienza sui colpi di testa dei
vari leader e leaderini sono all’ordine
del giorno. Quei dirigenti politici della sinistra che, in questi giorni,
stanno nel chiuso delle loro stanze a studiare gli algoritmi per il “campo
largo”, stanno a discettare di candidature, alleanze, gradimenti di questo o di
quello, danno l’impressione di guidatori di una locomotiva suicida ormai
instradata verso il baratro, che nessuno tuttavia vuol fermare. Rubando la
battuta a Bersani, è da un bel po’ che qui, a sinistra, stiamo a pettinare le bambole!
Felici e contenti, come se nulla fosse.
Dobbiamo allora
necessariamente concludere che una
sinistra così non serve a niente e fa solo dei danni. Rappresenta un
insulto morale quotidiano per quei pochi che ancora si sentono e sono di
sinistra e condividono effettivamente una cultura politica di sinistra. Non
resta che augurare a questa sinistra, colpevolmente smarrita e sbardellata, una
sconfitta pesante e definitiva che
faccia finalmente un po’ di pulizia, e nel più breve tempo possibile. Ormai è
chiaro che qualunque accanimento terapeutico potrebbe servire soltanto a
prolungare una dolorosa quanto inutile agonia. E per il futuro, possiamo solo
invocare l’intervento della distruzione
creatrice schumpeteriana. Così sia.
Giuseppe Rinaldi (12/03/2024).
NOTE
[1] Scrivo queste note appena dopo le elezioni
regionali abruzzesi.
[2] Intendo qui la sinistra in senso ampio e
generico. Diciamo pure un campo larghissimo.
[3] Al momento in cui scriviamo, in Basilicata
pare che PD e M5S abbiano trovato l’accordo su un candidato suscitando tuttavia
la rottura da parte di Azione. La storia forse non è finita qui.
[4] Anche nel caso del Piemonte, le ultime
notizie danno per certa una spaccatura tra M5S e PD e, forse, l’appoggio da
parte di Azione per il centro destra.
[5]
Si veda la mia analisi, rivelatasi del tutto profetica, contenuta in Finestre
rotte: Il Centro Sinistra Disunito e la sfida elettorale .
[6]
Il quale de Magistris ha tuttavia recentemente dichiarato di rinunciare
all’incarico.
[7] Non sto dicendo che il PD è antidemocratico.
Sto dicendo che il PD non è l’erede, in Italia, della cultura
liberaldemocratica che fu del Partito d’Azione. In tutta l’abbondanza
dell’offerta della “sinistra”, la cultura liberaldemocratica semplicemente non c’è.
[8] Si vedano in proposito i due
documentatissimi studi di Antonio Floridia. Si veda: 2021 Floridia, Antonio, Un partito sbagliato. Democrazia e
organizzazione nel Partito Democratico. Postfazione di Nadia Urbinati,
Castelvecchi, Roma. [2019] e anche 2022 Floridia, Antonio, PD. Un partito da rifare? Le ragioni di una crisi, Castelvecchi,
Roma. Ma sono ancora capaci a leggere, quelli del PD?
[9] La cosa vale particolarmente per il M5S, ma
vale anche per i giovani di altre formazioni politiche.
[10] E sarebbero giustamente escluse da ogni
peso politico qualora il nostro sistema elettorale avesse un provvidenziale
sbarramento al 5%.
[11] Si veda in proposito l’interessante analisi in 2023 Caravale, Giorgio, Senza intellettuali. Politica e cultura in Italia negli ultimi trent’anni, Laterza, Bari.
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