domenica 11 agosto 2019

Le elezioni di Salvini, … e quelle di Zingaretti














1. Ora che, finalmente, l’unico concreto obiettivo che il segretario del PD ha continuamente sbandierato negli ultimi tempi, e cioè la caduta del governo gialloverde e le (presumibili) nuove elezioni, pare sia stato raggiunto, nonostante tutta la simpatia umana e qualche moto di compassione che possiamo provare per Zingaretti, non vediamo proprio cosa ci sia da essere così tanto soddisfatti. Cosa ci sia tanto da ridere. La situazione politica non è mai stata così drammatica per la sinistra italiana e per il PD. Forse gli ultimi a rendersene conto sono proprio certi dirigenti del PD che paiono, da un bel po’, vivere in un bel mondo a parte. Dopo le elezioni del 4 marzo 2018 – le quali furono, ricordiamolo, disastrose per la sinistra e per il PD – che hanno consacrato il governo gialloverde e, soprattutto, dopo le elezioni europee del 26 maggio 2019 che hanno segnato un’avanzata netta della Lega rispetto al M5S, nonché dopo infiniti sondaggi che hanno continuamente attestato la crescita della popolarità di Salvini fino a cifre tra il 35 e il 40 %, chiunque non avesse spesse fette di salame davanti agli occhi si poteva attendere che Salvini  avrebbe deciso lui quando far saltare il governo e andare a nuove elezioni, e cioè nel momento giudicato tatticamente più favorevole. Evidentemente quel momento è arrivato. In politica non sono mica tutti allocchi. Se Salvini apre di sua iniziativa la crisi proprio adesso, vuol dire che, secondo i suoi disegni, politicamente gli conviene. Il tuo principale avversario, sceglie di andare a elezioni anticipate proprio ora e tu dici «Sì, bene, era ora! Andiamo a elezioni!». Forse sarebbe appena il caso di cercare di capire le mosse del tuo avversario, invece di festeggiare e di assecondarlo.


2. Si può decidere di assecondare la linea del proprio avversario solo se si ha una ragionevole prospettiva di vincere. Noi saremo anche un po’ miopi, ma non ci pare proprio di scorgere dove stia, in questo caso, l’asso nella manica del PD. Forse è il caso di fare un ripassino per avere chiara qual è la situazione attuale del PD. Dopo la sconfitta clamorosa avvenuta il 4 marzo 2018, il PD ha passato un lungo anno di coma e di afasia profonda. Invece di fare subito, tatticamente, l’unica cosa che avesse un qualche senso – cioè formare un governo con il vincitore di allora che era il M5S – il PD (che era oltretutto reduce da una scissione interna) ha preferito mettersi da solo nell’angolo. Favorendo – non contiamoci storie - così sul piano esterno la nascita del governo gialloverde. E dando luogo, sul piano interno, alla sbiadita e penosa segreteria di transizione di Martina, sotto la guida del quale il partito è stato a guardare quel che facevano i gialloverdi – sempre minacciato dai mugugni di Renzi. Tutto quel che è riuscito a fare Martina è stato di traghettare il PD verso un Congresso (tenuto, con gravissimo ritardo, ben un anno dopo, nel marzo del 2019). Si è trattato di un Congresso che, col senno di poi, è stato del tutto inutile. Un congresso dove le correnti interne si sono contate e dove non si è discusso della linea politica, degli obiettivi politici e delle alleanze. In concomitanza all’inutile Congresso, attraverso le primarie del 3 marzo 2019 è stato eletto un segretario che avrebbe dovuto avere i pieni poteri di direzione politica (lo Zingaretti, appunto).

La politica prevalente, tra Renzi, Martina e Zingaretti è stata quella del pop-corn, quella di stare a guardare, aspettando che il governo gialloverde si imballasse con le proprie mani. Ma la politica del pop-corn non aveva fatto i conti con Salvini. Poco tempo dopo, alle elezioni europee del 26 maggio 2019, cioè dopo un anno suonato di governo gialloverde, abbiamo potuto registrare un declino clamoroso di consenso per il M5S e l’avanzata della Lega al 34%. Il PD all’opposizione con il 22%, con una modestissima rimonta rispetto al marzo 2018. Va osservato che le elezioni europee erano state condotte dalla compagine di sinistra con un dilettantismo davvero straordinario. In quella occasione perdemmo anche la Regione Piemonte.

In questo quadro, l’unica recente iniziativa politica di Zingaretti – prova tangibile che quello del marzo 2019 era stato congresso del tutto inutile - è stato l’annuncio del lancio, per l’autunno, di un grande dibattito nel Paese (una “Costituente delle idee”) per fissare (finalmente!) gli obiettivi dell’azione politica del PD. Per altro, il PD ha continuato a trovarsi in difficoltà (con le solite risse interne) ogni qual volta ha dovuto esprimersi su qualche questione specifica. Una delle ultimissime è stata la doppia raccolta di firme per le dimissioni di Salvini. Meno male che Zingaretti, in TV, un giorno sì e uno no, è andato avanti a proclamare che quelli del governo «Sono divisi su tutto»!


3. Va ricordato che, dopo la sua elezione a Segretario, il simpatico Zingaretti ha continuato a fare il Governatore del Lazio, quasi che fare il Segretario del PD sia una sinecura a mezzo tempo (del resto a cose simili ci aveva già abituato Renzi). Governare il PD non richiede evidentemente molto tempo, visto che di grandi svolte non se ne sono proprio viste. Se il problema più grosso è quello di mantenere l’equilibrio tra le correnti, in simili casi, meno si fa meglio è. Zingaretti si è esibito in qualche viaggetto in giro a stringere un po’ di mani, a incontrare “la parte sana del Paese” e poi non ha fatto altro che cantare la costante cantilena dell’invito al governo a dimettersi e ad andare a nuove elezioni. In più Zingaretti non ha mancato di enunciare pubblicamente – contro chi avanzava qualche opposta possibilità – che mai il PD sarebbe andato al governo con il M5S. Va bene. È del tutto legittimo andare a nuove elezioni e non allearsi con il M5S. Ma dove sta, allora, l’asso nella manica per vincerle, le nuove elezioni?

Ci piacerebbe sapere su quali basi pensa Zingaretti (dico lui per tutti gli altri della sua corrente) di fare un risultato migliore del 4 marzo 2018. Su quali basi pensa di poter fare un risultato tale che gli consenta di mettere fuori gioco i suoi competitori e di riuscire a governare. Per governare bisogna avere la metà dei voti più qualcosa. E se uno non li ha di proprio, deve pensare a trovare degli alleati. La politica delle alleanze passa o per Berlusconi, oppure per il M5S. Berlusconi non ha i voti sufficienti e il M5S è stato dichiarato off limits per definizione. In questa situazione, Zingaretti si condanna, andando a nuove elezioni, o a fare il pieno di voti e governare da solo, o a stare a guardare quel che faranno gli altri.

Purtroppo il PD non ha mai capito (non ci ha neanche provato, a capire) perché il M5S ha stravinto nel 2018. Il PD non ha mai capito quell’ampia fascia di elettori italiani, soprattutto giovani e soprattutto centro meridionali, che si sono “rotti i coglioni” e hanno votato in massa per il M5S. E quindi non riesce neanche a formulare alcuna politica di alleanze nei confronti del M5S. Si vorrebbe riportare a casa gli elettori che dalla sinistra sono andati a votare M5S. Si, ma come, con quali obiettivi? Con la “Costituente delle idee”? In realtà il PD considera il M5S semplicemente come un corpo estraneo. Un branco di neofiti sprovveduti da guardare con senso di superiorità. Il vero problema è che cercare di capire le ragioni del successo del M5S significherebbe, per il PD stesso, interrogarsi a fondo sulla propria storia degli ultimi due decenni. Sui propri limiti. E questo il PD non è proprio in grado di farlo.


4. Per essere così contenti di andare a nuove elezioni dicevamo che bisognerebbe avere, almeno, un piccolo asso nella manica. Delle due l’una: o il PD è davvero cambiato, oppure gli elettori sono cambiati. Da quel che s’è detto, non si può proprio sostenere che il PD sia cambiato. Se il PD “sta in piedi per una scommessa”, come si dice dalle nostre parti, allora si potrebbe presumere che gli elettori siano cambiati. Si presume che una parte consistente di elettori abbia costatato la negatività del governo gialloverde e che ora possa “tornare a casa”, rivolgersi con nuovo entusiasmo al vecchio usato sicuro che prima aveva rifiutato. È chiaro che questa è una narrazione del tutto insensata. Non ci sono frotte di elettori gialloverdi che smaniano nuove elezioni per poter tornare nell’alveo della sinistra, per votare il PD di Zingaretti. I sondaggi parlano chiaro: gli elettori delusi vanno a destra, a rafforzare Salvini e non a sinistra. Certo, con nuove elezioni qualche punto si potrà anche rosicare, ma non abbastanza per governare.


5. Se si invocano le elezioni un giorno sì e uno no, bisognerebbe poi sapere che si dovrebbe anche discutere di legge elettorale. L’attuale legge elettorale è firmata PD (a proposito, Rosati che fine ha fatto?). Non abbiamo mai sentito Zingaretti parlare della legge elettorale. Se s’invocano le elezioni e non si parla di legge elettorale, vuol dire che questa va bene. Una simile legge elettorale potrebbe anche andar bene in forma difensiva, visto che è un quasi proporzionale, ma non va certo bene in forma offensiva, per vincere, perché non si parla di premi e di coalizioni, se non in parte minima. Il rosatellum, favorendo la frammentazione, impone di fare coalizioni per governare, proprio quelle che Zingaretti non è disposto a fare. Ci dica allora Zingaretti con chi pensa di farla questa benedetta coalizione di governo. O pensa davvero di vincere da solo, superando il 45-50%? Sembra dire Zingaretti: andiamo alle elezioni, contiamoci e poi vediamo quel che succede. Irresponsabile!


6. Per andare alle elezioni con baldanza, bisognerebbe avere migliorato la propria capacità attrattiva nei confronti degli elettori. Bisognerebbe aver mandato un chiaro messaggio di cambiamento, di rinnovamento. Domandiamoci allora se è cambiato qualcosa nel PD. Il passaggio da Renzi/ Gentiloni a Zingaretti è stato sufficiente a costruire una nuova immagine, tale da attrarre le ipotetiche folle di elettori delusi dai gialloverdi? Dalla sconfitta del 4 marzo, nel PD, prima sotto Martina e poi sotto Zingaretti, non si è neppure cominciato a fare quello che – sotto gli occhi di tutti – sarebbe stato immediatamente necessario: una ristrutturazione radicale dell’organizzazione stessa del partito. Tanto visibile da poter dire che finalmente “il PD è cambiato”. Già dalla sconfitta referendaria subita da Renzi s’era capito che il Pd oramai non aveva più alcun radicamento territoriale, la militanza era sparita, venuti meno i giornali e gli altri strumenti di comunicazione, le feste popolari, la vita delle sezioni e così via. Le primarie zoppicanti.  La “Leopolda” - e altri simili riti di corrente - non può sostituire il radicamento territoriale di un partito che voglia essere di sinistra. Questo non l’ha capito Renzi e non l’anno capito neanche i suoi avversari interni. Tutto quel che è stato fatto è stato di dare l’incarico all’ineffabile Martina di elaborare una proposta di riorganizzazione dello Statuto del PD. Nessuno ne ha più sentito parlare. Intanto sono emersi – proprio a livello locale – un certo numeri di scandali, alcuni dei quali molto gravi. In primis il caso della regione Umbria e della presidente Catiuscia Marini. Anche in Calabria sembra ci sia qualche problema. Parecchio personale politico minore del PD è stato poi coinvolto in scandali e inchieste di vario genere. È questo un malessere diffuso che è conseguenza proprio della perdita della militanza e del radicamento territoriale. Quelli che restano nel partito spesso lo fanno per interesse personale e non sempre gli interessi personali sono limpidi. Anche le consultazioni interne (primarie) spesso sono risultate inficiate da contestazioni. Il caso della regione Sicilia, con la revoca dell’elezione di Faraone fa testo. Il PD è nato con la parola d’ordine delle primarie, per dare la parola agli elettori, ma ora a quanto pare non sa più cosa farsene delle primarie. Insomma, siamo in presenza di un “PD nuovo” che, ovunque ti giri, mostra soltanto il lato vecchio e peggiore.


7. La mancata riforma dell’organizzazione del partito fa a tutt’oggi del PD un partito dove a competere non sono le idee ma i gruppi di potere e una serie di leader che ormai appaiono consunti, vere e proprie minestre riscaldate. Non è un mistero che i renziani abbiano il controllo del gruppo parlamentare, mentre gli zingarettiani pare non controllino gran ché, se non i fumosi organi dirigenti che, a quel che si vede, pare dirigano ben poco. Sinceramente non riusciamo ad appassionarci al dibattito interno tra renziani e zingarettiani, anche perché non si tratta di un dibattito di contenuti politici bensì di conta delle poltrone.

Un partito siffatto - diciamo pure in via di sintesi - allo sbaraglio, nella prospettiva elettorale aperta da Salvini e plaudita da Zingaretti, si troverà a dover designare in breve tempo il nome di un leader per il confronto elettorale con Salvini. Si è già sentito parlare di Gentiloni, tipica, ahimè, minestra riscaldata. È appena il caso di ricordare che Gentiloni era il Primo ministro quando il PD ha avuto il tracollo elettorale più spaventoso della sua storia. In caso di nuove elezioni, il PD si troverà dunque a doversi presentare agli elettori con un personale politico rinnovato, con un programma nuovo, con un progetto politico più convincente di quello dei concorrenti. Dovrà cioè fare in sessanta giorni quello che non ha fatto in due anni.


8. I più patetici di tutti – davvero meritevoli di compassione – sono i cespugli con cui il PD si dovrebbe alleare, sia come coalizione elettorale che – forse – come eventuale coalizione di governo, nel caso di grande vittoria. I quali cespugli, dopo avere fatto di tutto per perdere le elezioni europee, continuano a insistere nel fare le mosche cocchiere. Parlo per brevità di Bonino, Fassina, Speranza, Fratoianni e quant’altri. E Grasso, che fine ha fatto?  E Pisapia? Sinceramente, abbiamo perso la conta dei rimescolamenti “a sinistra” del PD. Già, ma per fare anche solo una coalizione elettorale (notare che le coalizioni elettorali con l’attuale rosatellum sono solo sulla carta e non contano nulla agli effetti della formazione del governo) le attuali possibili forze dei cespugli, mettendo anche in conto qualche veto incrociato, non bastano. C’è stato, infatti, chi recentemente ha proposto di promuovere altre nuove formazioni di centro sinistra con cui il PD si possa poi alleare, per catturare più elettori. Renzi è da un po’ che ci pensa. Può darsi che lo faccia, ora che con il probabile scioglimento delle Camere lui e tutti i suoi andranno a casa. Calenda poi l’ha proposto esplicitamente. Una bella scissione del PD da parte di Renzi e dei suoi, a uno o due mesi dalle elezioni, sarebbe proprio un bijou. Un eventuale partito di Calenda poi non si sa quante divisioni potrebbe mettere in campo, anche se Calenda è tra i leader attuali del PD che sa meno di minestra riscaldata. Dunque, non è chiara la coalizione elettorale e non è neanche chiara – cosa assai più importante – la coalizione di governo che si ha in mente. E Zingaretti è tutto contento di andare alle elezioni!


9. Con avversari di questo genere, in caso di nuove elezioni anticipate, la Lega andrà a stravincere. Se non riuscirà ad avere da sola la maggioranza per formare un governo, troverà facilmente quelli disposti a saltar sul carro. Così Salvini avrà i tanto sospirati “pieni poteri” per fare quello che il M5S non gli permetteva di fare fino in fondo. Questo implicherà la compiuta vittoria del sovranismo in Italia, con conseguenti probabili sconquassi di tipo economico, problemi con l’Euro e la prevedibile incrinatura o rottura dei rapporti con la UE. Steve Bannon e Putin saranno proprio contenti. E forse anche Trump. Quel che più conta è che, a questo punto, i sovranisti avranno una netta maggioranza in parlamento e alla scadenza del mandato saranno loro a dire l’ultima parola sull’elezione del prossimo Presidente della Repubblica. Naturalmente non si fermeranno all’elezione del Presidente. Introdurranno tutte quelle modifiche costituzionali ritenute opportune e consone alla loro visione del mondo. La Costituzione attuale così diventerà uno straccetto. Si spera che i valorosi difensori della Costituzione – che in Italia sembrano viaggiare un poco a singhiozzo – facciano un pensierino serio sulla pericolosità della situazione e si diano da fare per tempo.


10. L’unica strada per evitare la catastrofe sicura sarebbe quella di non fare quello che oggi desiderano ardentemente fare proprio Zingaretti e Salvini. Evitare cioè, a  tutti i costi, di andare a elezioni anticipate. Per evitare il peggio, si tratta dunque di tenere, ahimè, in piedi questa sfortunata Legislatura.  Fare cioè quel che si sarebbe dovuto fare dopo il marzo 2018. Del resto chi ha governato con Berlusconi non dovrebbe guardare troppo per il sottile. Si tratta di cercare di mettere in piedi un governo alternativo a Salvini, basato sulle attuali rappresentanze parlamentari.  Lo ha capito anche Grillo – il che è tutto dire. La possibilità numerica ci sarebbe: una coalizione PD con M5S e altri volenterosi e responsabili cespugli. Magari con un Primo ministro di prestigio, super partes e bene accetto a tutti, particolarmente in Europa. Qualcuno ha provato ad avanzare una simile proposta ma è già stato zittito. Si è subito parlato di inciucio. Si spera che – entro i limiti dei suoi poteri – ci pensi Mattarella a rilanciare l’ipotesi. Ma senza l’appoggio dei partiti più importanti (tra cui il PD e il M5S) anche Mattarella potrà fare ben poco.  

Purtroppo quest’anno vissuto pericolosamente del governo gialloverde ha lacerato gli spiriti oltre che il Paese. Purtroppo quella che è la scelta più logica sarà con ogni probabilità stupidamente scartata. Per fare una simile scelta occorrerebbe un minimo di professionalità politica, di lungimiranza, sapere distinguere bene la tattica dalla strategia. Intanto per fare una qualche tattica un poco spregiudicata, da contrapporre allo spregiudicato Salvini, una strategia bisognerebbe averla e questo purtroppo non è il caso, né del M5S né del PD. Queste due forze politiche oggi non hanno alcuna strategia e non sono dunque neanche in grado di fare una buona tattica. Sono soltanto in grado di fare delle dichiarazioni di propaganda, appelli a identità inesistenti o vani gesti di coraggio (“Noi non abbiamo paura delle elezioni!”). Hanno soltanto un coacervo di slogan appiccicati in testa che continuano a ripetere – “Noi con questi non governeremo mai!” – per cui alla fine resteranno entrambi con un pugno di mosche. E Salvini vincerà su tutta la linea. Dilettanti allo sbaraglio.



Giuseppe Rinaldi

11/08/2019