1.
Ora che, finalmente, l’unico concreto obiettivo che il segretario del PD ha
continuamente sbandierato negli ultimi tempi, e cioè la caduta del governo
gialloverde e le (presumibili) nuove elezioni, pare sia stato raggiunto,
nonostante tutta la simpatia umana e qualche moto di compassione che possiamo
provare per Zingaretti, non vediamo proprio cosa ci sia da essere così tanto
soddisfatti. Cosa ci sia tanto da ridere. La situazione politica non è mai stata
così drammatica per la sinistra italiana e per il PD. Forse gli ultimi a
rendersene conto sono proprio certi dirigenti del PD che paiono, da un bel po’,
vivere in un bel mondo a parte. Dopo le elezioni del 4 marzo 2018 – le quali
furono, ricordiamolo, disastrose per la sinistra e per il PD – che hanno
consacrato il governo gialloverde e, soprattutto, dopo le elezioni europee del
26 maggio 2019 che hanno segnato un’avanzata netta della Lega rispetto al M5S,
nonché dopo infiniti sondaggi che hanno continuamente attestato la crescita
della popolarità di Salvini fino a cifre tra il 35 e il 40 %, chiunque non
avesse spesse fette di salame davanti agli occhi si poteva attendere che Salvini avrebbe deciso lui quando far saltare
il governo e andare a nuove elezioni, e cioè nel momento giudicato
tatticamente più favorevole. Evidentemente quel momento è arrivato. In politica
non sono mica tutti allocchi. Se Salvini apre di sua iniziativa la crisi
proprio adesso, vuol dire che, secondo i suoi disegni, politicamente gli
conviene. Il tuo principale avversario, sceglie di andare a elezioni anticipate
proprio ora e tu dici «Sì, bene, era ora! Andiamo a elezioni!». Forse sarebbe
appena il caso di cercare di capire le mosse del tuo avversario, invece di
festeggiare e di assecondarlo.
2.
Si può decidere di assecondare la linea del proprio avversario solo se si ha una
ragionevole prospettiva di vincere. Noi saremo anche un po’ miopi, ma non ci
pare proprio di scorgere dove stia, in questo caso, l’asso nella manica del PD.
Forse è il caso di fare un ripassino per avere chiara qual è la situazione
attuale del PD. Dopo la sconfitta clamorosa avvenuta il 4 marzo 2018, il PD ha
passato un lungo anno di coma e di afasia profonda. Invece di fare subito,
tatticamente, l’unica cosa che avesse un qualche senso – cioè formare un governo
con il vincitore di allora che era il M5S – il PD (che era oltretutto reduce da
una scissione interna) ha preferito mettersi da solo nell’angolo. Favorendo –
non contiamoci storie - così sul piano esterno la nascita del governo
gialloverde. E dando luogo, sul piano interno, alla sbiadita e penosa segreteria
di transizione di Martina, sotto la guida del quale il partito è stato a
guardare quel che facevano i gialloverdi – sempre minacciato dai mugugni di
Renzi. Tutto quel che è riuscito a fare Martina è stato di traghettare il PD
verso un Congresso (tenuto, con gravissimo ritardo, ben un anno dopo, nel marzo
del 2019). Si è trattato di un Congresso che, col senno di poi, è stato del
tutto inutile. Un congresso dove le correnti interne si sono contate e dove non
si è discusso della linea politica, degli obiettivi politici e delle alleanze.
In concomitanza all’inutile Congresso, attraverso le primarie del 3 marzo 2019 è
stato eletto un segretario che avrebbe dovuto avere i pieni poteri di direzione
politica (lo Zingaretti, appunto).
La politica prevalente, tra Renzi, Martina e Zingaretti
è stata quella del pop-corn, quella
di stare a guardare, aspettando che il governo gialloverde si imballasse con le
proprie mani. Ma la politica del pop-corn non aveva fatto i conti con
Salvini. Poco tempo dopo, alle elezioni europee del 26 maggio 2019, cioè dopo
un anno suonato di governo gialloverde, abbiamo potuto registrare un declino
clamoroso di consenso per il M5S e l’avanzata della Lega al 34%. Il PD
all’opposizione con il 22%, con una modestissima rimonta rispetto al marzo
2018. Va osservato che le elezioni europee erano state condotte dalla compagine
di sinistra con un dilettantismo davvero straordinario. In quella occasione
perdemmo anche la Regione Piemonte.
In questo quadro, l’unica recente iniziativa politica
di Zingaretti – prova tangibile che quello del marzo 2019 era stato congresso
del tutto inutile - è stato l’annuncio del lancio, per l’autunno, di un grande dibattito nel Paese (una
“Costituente delle idee”) per fissare (finalmente!) gli obiettivi dell’azione
politica del PD. Per altro, il PD ha continuato a trovarsi in difficoltà (con le
solite risse interne) ogni qual volta ha dovuto esprimersi su qualche questione
specifica. Una delle ultimissime è stata la doppia raccolta di firme per le
dimissioni di Salvini. Meno male che Zingaretti, in TV, un giorno sì e uno no, è
andato avanti a proclamare che quelli del governo «Sono divisi su
tutto»!
3.
Va ricordato che, dopo la sua elezione a Segretario, il simpatico Zingaretti ha
continuato a fare il Governatore del Lazio, quasi che fare il Segretario del PD
sia una sinecura a mezzo tempo (del
resto a cose simili ci aveva già abituato Renzi). Governare il PD non richiede
evidentemente molto tempo, visto che di grandi svolte non se ne sono proprio
viste. Se il problema più grosso è quello di mantenere l’equilibrio tra le
correnti, in simili casi, meno si fa meglio è. Zingaretti si è esibito in
qualche viaggetto in giro a stringere un po’ di mani, a incontrare “la parte
sana del Paese” e poi non ha fatto altro che cantare la costante cantilena
dell’invito al governo a dimettersi e ad andare a nuove elezioni. In più
Zingaretti non ha mancato di enunciare pubblicamente – contro chi avanzava
qualche opposta possibilità – che mai il PD sarebbe andato al governo con il
M5S. Va bene. È del tutto legittimo andare a nuove elezioni e non allearsi con
il M5S. Ma dove sta, allora, l’asso nella manica per vincerle, le nuove
elezioni?
Ci piacerebbe sapere su quali basi pensa Zingaretti
(dico lui per tutti gli altri della sua corrente) di fare un risultato migliore
del 4 marzo 2018. Su quali basi pensa di poter fare un risultato tale che gli
consenta di mettere fuori gioco i suoi competitori e di riuscire a governare.
Per governare bisogna avere la metà dei voti più qualcosa. E se uno non li ha di
proprio, deve pensare a trovare degli alleati. La politica delle alleanze passa
o per Berlusconi, oppure per il M5S. Berlusconi non ha i voti sufficienti e il
M5S è stato dichiarato off limits
per definizione. In questa situazione, Zingaretti si condanna, andando a nuove
elezioni, o a fare il pieno di voti e governare da solo, o a stare a guardare
quel che faranno gli altri.
Purtroppo il PD non ha mai capito (non ci ha neanche
provato, a capire) perché il M5S ha stravinto nel 2018. Il PD non ha mai capito
quell’ampia fascia di elettori italiani, soprattutto giovani e soprattutto
centro meridionali, che si sono “rotti i coglioni” e hanno votato in massa per
il M5S. E quindi non riesce neanche a formulare alcuna politica di alleanze nei
confronti del M5S. Si vorrebbe riportare a casa gli elettori che dalla sinistra
sono andati a votare M5S. Si, ma come, con quali obiettivi? Con la “Costituente
delle idee”? In realtà il PD considera il M5S semplicemente come un corpo
estraneo. Un branco di neofiti sprovveduti da guardare con senso di superiorità.
Il vero problema è che cercare di capire le ragioni del successo del M5S
significherebbe, per il PD stesso, interrogarsi a fondo sulla propria storia
degli ultimi due decenni. Sui propri limiti. E questo il PD non è proprio in
grado di farlo.
4.
Per essere così contenti di andare a nuove elezioni dicevamo che bisognerebbe
avere, almeno, un piccolo asso nella manica. Delle due l’una: o il PD è davvero
cambiato, oppure gli elettori sono cambiati. Da quel che s’è detto, non si può
proprio sostenere che il PD sia cambiato. Se il PD “sta in piedi per una
scommessa”, come si dice dalle nostre parti, allora si potrebbe presumere che
gli elettori siano cambiati. Si presume che una parte consistente di elettori
abbia costatato la negatività del governo gialloverde e che ora possa “tornare a
casa”, rivolgersi con nuovo entusiasmo al vecchio usato
sicuro che prima aveva rifiutato. È chiaro che questa è una narrazione del
tutto insensata. Non ci sono frotte di elettori gialloverdi che smaniano nuove
elezioni per poter tornare nell’alveo della sinistra, per votare il PD di
Zingaretti. I sondaggi parlano chiaro: gli elettori delusi vanno a destra, a
rafforzare Salvini e non a sinistra. Certo, con nuove elezioni qualche punto si
potrà anche rosicare, ma non abbastanza per
governare.
5.
Se si invocano le elezioni un giorno sì e uno no, bisognerebbe poi sapere che si
dovrebbe anche discutere di legge
elettorale. L’attuale legge elettorale è firmata PD (a proposito, Rosati che
fine ha fatto?). Non abbiamo mai sentito Zingaretti parlare della legge
elettorale. Se s’invocano le elezioni e non si parla di legge elettorale, vuol
dire che questa va bene. Una simile legge elettorale potrebbe anche andar bene
in forma difensiva, visto che è un
quasi proporzionale, ma non va certo bene in
forma offensiva, per vincere, perché non si parla di premi e di coalizioni,
se non in parte minima. Il rosatellum, favorendo la
frammentazione, impone di fare coalizioni per governare, proprio quelle che
Zingaretti non è disposto a fare. Ci dica allora Zingaretti con chi pensa di
farla questa benedetta coalizione di
governo. O pensa davvero di vincere da solo, superando il 45-50%? Sembra
dire Zingaretti: andiamo alle elezioni, contiamoci e poi vediamo quel che
succede. Irresponsabile!
6.
Per andare alle elezioni con baldanza, bisognerebbe avere migliorato la propria
capacità attrattiva nei confronti degli elettori. Bisognerebbe aver mandato un
chiaro messaggio di cambiamento, di rinnovamento. Domandiamoci allora se è
cambiato qualcosa nel PD. Il passaggio da Renzi/ Gentiloni a Zingaretti è stato
sufficiente a costruire una nuova immagine, tale da attrarre le ipotetiche folle
di elettori delusi dai gialloverdi? Dalla sconfitta del 4 marzo, nel PD, prima
sotto Martina e poi sotto Zingaretti, non si è neppure cominciato a fare quello
che – sotto gli occhi di tutti – sarebbe stato immediatamente necessario: una
ristrutturazione radicale dell’organizzazione stessa del partito. Tanto visibile
da poter dire che finalmente “il PD è cambiato”. Già dalla sconfitta
referendaria subita da Renzi s’era capito che il Pd oramai non aveva più alcun
radicamento territoriale, la militanza era sparita, venuti meno i giornali e gli
altri strumenti di comunicazione, le feste popolari, la vita delle sezioni e
così via. Le primarie zoppicanti. La “Leopolda” - e altri simili riti di
corrente - non può sostituire il radicamento territoriale di un partito che
voglia essere di sinistra. Questo non l’ha capito Renzi e non l’anno capito
neanche i suoi avversari interni. Tutto quel che è stato fatto è stato di dare
l’incarico all’ineffabile Martina di elaborare una proposta di riorganizzazione
dello Statuto del PD. Nessuno ne ha più sentito parlare. Intanto sono emersi –
proprio a livello locale – un certo numeri di scandali, alcuni dei quali molto
gravi. In primis il caso della
regione Umbria e della presidente Catiuscia Marini. Anche in Calabria sembra ci
sia qualche problema. Parecchio personale politico minore del PD è stato poi
coinvolto in scandali e inchieste di vario genere. È questo un malessere
diffuso che è conseguenza proprio della perdita della militanza e del
radicamento territoriale. Quelli che restano nel partito spesso lo fanno per
interesse personale e non sempre gli interessi personali sono limpidi. Anche le
consultazioni interne (primarie) spesso sono risultate inficiate da
contestazioni. Il caso della regione Sicilia, con la revoca dell’elezione di
Faraone fa testo. Il PD è nato con la parola d’ordine delle primarie, per dare
la parola agli elettori, ma ora a quanto pare non sa più cosa farsene delle
primarie. Insomma, siamo in presenza di un “PD nuovo” che, ovunque ti giri,
mostra soltanto il lato vecchio e peggiore.
7.
La mancata riforma dell’organizzazione del partito fa a tutt’oggi del PD un
partito dove a competere non sono le idee ma i gruppi di potere e una serie di
leader che ormai appaiono consunti, vere e proprie minestre
riscaldate. Non è un mistero che i renziani abbiano il controllo del gruppo
parlamentare, mentre gli zingarettiani pare non controllino gran ché, se non i
fumosi organi dirigenti che, a quel che si vede, pare dirigano ben poco.
Sinceramente non riusciamo ad appassionarci al dibattito interno tra renziani e
zingarettiani, anche perché non si tratta di un dibattito di contenuti politici
bensì di conta delle poltrone.
Un partito siffatto - diciamo pure in via di sintesi -
allo sbaraglio, nella prospettiva elettorale aperta da Salvini e plaudita da
Zingaretti, si troverà a dover designare in breve tempo il nome di un leader per
il confronto elettorale con Salvini. Si è già sentito parlare di Gentiloni,
tipica, ahimè, minestra riscaldata. È appena il caso di ricordare che Gentiloni
era il Primo ministro quando il PD ha avuto il tracollo elettorale più
spaventoso della sua storia. In caso di nuove elezioni, il PD si troverà dunque
a doversi presentare agli elettori con un personale politico rinnovato, con un
programma nuovo, con un progetto politico più convincente di quello dei
concorrenti. Dovrà cioè fare in sessanta giorni quello che non ha fatto in due
anni.
8. I
più patetici di tutti – davvero meritevoli di compassione – sono i cespugli con
cui il PD si dovrebbe alleare, sia come coalizione elettorale che – forse –
come eventuale coalizione di
governo, nel caso di grande vittoria. I quali cespugli, dopo avere fatto di
tutto per perdere le elezioni europee, continuano a insistere nel fare le mosche
cocchiere. Parlo per brevità di Bonino, Fassina, Speranza, Fratoianni e
quant’altri. E Grasso, che fine ha fatto? E Pisapia? Sinceramente, abbiamo perso la conta dei rimescolamenti “a
sinistra” del PD. Già, ma per fare anche solo una coalizione
elettorale (notare che le coalizioni elettorali con l’attuale rosatellum
sono solo sulla carta e non contano nulla agli effetti della formazione del
governo) le attuali possibili forze dei cespugli, mettendo anche in conto
qualche veto incrociato, non bastano. C’è stato, infatti, chi recentemente ha
proposto di promuovere altre nuove formazioni di centro sinistra con cui il PD
si possa poi alleare, per catturare più elettori. Renzi è da un po’ che ci
pensa. Può darsi che lo faccia, ora che con il probabile scioglimento delle
Camere lui e tutti i suoi andranno a casa. Calenda poi l’ha proposto
esplicitamente. Una bella scissione del PD da parte di Renzi e dei suoi, a uno
o due mesi dalle elezioni, sarebbe proprio un bijou.
Un eventuale partito di Calenda poi non si sa quante divisioni potrebbe mettere
in campo, anche se Calenda è tra i leader attuali del PD che sa meno di minestra
riscaldata. Dunque, non è chiara la coalizione elettorale e non è neanche chiara
– cosa assai più importante – la coalizione di governo che si ha in mente. E
Zingaretti è tutto contento di andare alle elezioni!
9.
Con avversari di questo genere, in caso di nuove elezioni anticipate, la Lega
andrà a stravincere. Se non riuscirà ad avere da sola la maggioranza per formare
un governo, troverà facilmente quelli disposti a saltar sul carro. Così Salvini
avrà i tanto sospirati “pieni poteri” per fare quello che il M5S non gli
permetteva di fare fino in fondo. Questo implicherà la compiuta vittoria
del sovranismo in Italia, con conseguenti probabili sconquassi di tipo
economico, problemi con l’Euro e la prevedibile incrinatura o rottura dei
rapporti con la UE. Steve Bannon e Putin saranno proprio contenti. E forse anche
Trump. Quel che più conta è che, a questo punto, i sovranisti avranno una netta
maggioranza in parlamento e alla scadenza del mandato saranno loro a dire
l’ultima parola sull’elezione del
prossimo Presidente della Repubblica. Naturalmente non si fermeranno
all’elezione del Presidente. Introdurranno tutte quelle modifiche
costituzionali ritenute opportune e consone alla loro visione del mondo. La
Costituzione attuale così diventerà uno straccetto. Si spera che i valorosi difensori della Costituzione – che in
Italia sembrano viaggiare un poco a singhiozzo – facciano un pensierino serio
sulla pericolosità della situazione e si diano da fare per tempo.
10.
L’unica strada per evitare la catastrofe
sicura sarebbe quella di non
fare quello che oggi desiderano ardentemente fare proprio Zingaretti e
Salvini. Evitare cioè, a
tutti i costi, di andare a
elezioni anticipate. Per evitare il peggio, si tratta dunque di tenere,
ahimè, in piedi questa sfortunata Legislatura. Fare cioè quel che si sarebbe dovuto
fare dopo il marzo 2018. Del resto chi ha governato con Berlusconi non dovrebbe
guardare troppo per il sottile. Si tratta di cercare di mettere in piedi un
governo alternativo a Salvini, basato sulle attuali rappresentanze
parlamentari. Lo ha capito anche
Grillo – il che è tutto dire. La possibilità numerica ci sarebbe: una coalizione
PD con M5S e altri volenterosi e responsabili cespugli. Magari con un Primo
ministro di prestigio, super partes
e bene accetto a tutti, particolarmente in Europa. Qualcuno ha provato ad
avanzare una simile proposta ma è già stato zittito. Si è subito parlato di
inciucio. Si spera che – entro i limiti dei suoi poteri – ci pensi Mattarella a
rilanciare l’ipotesi. Ma senza l’appoggio dei partiti più importanti (tra cui
il PD e il M5S) anche Mattarella potrà fare ben poco.
Purtroppo quest’anno vissuto pericolosamente del
governo gialloverde ha lacerato gli spiriti oltre che il Paese. Purtroppo quella
che è la scelta più logica sarà con ogni probabilità stupidamente scartata. Per
fare una simile scelta occorrerebbe un minimo di professionalità politica, di
lungimiranza, sapere distinguere bene la
tattica dalla strategia. Intanto
per fare una qualche tattica un poco spregiudicata, da contrapporre allo
spregiudicato Salvini, una strategia bisognerebbe averla e questo purtroppo non
è il caso, né del M5S né del PD. Queste due forze politiche oggi non
hanno alcuna strategia e non sono dunque neanche in grado di fare una buona
tattica. Sono soltanto in grado di fare delle dichiarazioni di propaganda,
appelli a identità inesistenti o vani gesti di coraggio (“Noi non abbiamo paura
delle elezioni!”). Hanno soltanto un coacervo di slogan appiccicati in testa che
continuano a ripetere – “Noi con questi non governeremo mai!” – per cui alla
fine resteranno entrambi con un pugno di mosche. E Salvini vincerà su tutta la
linea. Dilettanti allo sbaraglio.
Giuseppe
Rinaldi
11/08/2019