1. Per la fortunatissima fiction
seriale intitolata Continuiamo a farci
del male, nata da un’idea originale del compagno Tafazzi nel lontano 1993,
il PD e i cespugli della sinistra sembrano seriamente intenzionati a segare l’esile
rametto sul quale stanno seduti, con il prevedibile effetto di precipitare a
ruota libera e di andare a schiantarsi. Mi riferisco al surreale dibattito che
da qualche giorno si è scatenato intorno alla posizione da prendere sul
Referendum circa la riduzione del numero dei parlamentari che si terrà tra una
ventina di giorni, il 20-21 settembre 2020.
Fino a qualche giorno fa
sembrava una scadenza di routine, una
decisione praticamente già presa in
Parlamento da tutte le più importanti forze politiche e che aveva solo
bisogno di una conferma formale da parte dell’elettorato. Ripeto: decisione già presa, con tutti gli
eventuali pro e contro e, soprattutto, dall’esito scontato. Il quesito è
davvero semplice. Ridurre il numero dei parlamentari da 945 a 600. Non si
tratta di una riforma costituzionale complessa. La legge contiene poche righe. Si
tratta peraltro dello spacchettamento
di una singola vecchia questione, appunto la diminuzione del numero dei
parlamentari, della quale nel nostro Paese si discute da decenni e che, in
tempi diversi, ha sempre visto una marea di consensi. Soprattutto a sinistra.
2. Ora che l’obiettivo è effettivamente a portata di mano,
come al solito, l’effetto Tafazzi ha cominciato a prender mano e hanno
cominciato a moltiplicarsi i mugugni, i dubbi, le perplessità, i distinguo, i
pentimenti, i cambiamenti di posizione. Costituzionalisti, giornalisti
autorevoli, grandi testate nazionali, comici e vignettisti, gruppi politici
grandi e piccoli, associazioni politiche e culturali di vario genere,
opinionisti a vario titolo hanno cominciato a esprimere le loro riserve, a
elencare una serie di catastrofi in cui potrebbe incorrere la nostra democrazia
se la legge venisse definitivamente approvata. Si respira nuovamente un’aria di
mobilitazione, del tutto analoga a quella del 2016, da «scendiamo in Piazza per
difendere la Costituzione» e «difendiamoci contro il subdolo attacco alla
democrazia». S’è scoperto all’improvviso, come fosse un colpo di sole, che
questa legge, dopo essere stata approvata in Parlamento a grande maggioranza, sarebbe
una legge populista che darebbe una
mano ai populisti ad affossare la democrazia parlamentare. Così si susseguono, con
sempre maggior rapidità, comunicati, prese di distanza, mozioni e così via.
Com’è noto il PD, per
sostenere il Sì referendario, ha chiesto in cambio che, contestualmente,
venisse approvata anche una legge
elettorale che fosse coerente. Si tratta di una richiesta del tutto comprensibile,
nonostante questo fatto ricordi il tragicomico combinato – disposto del 2016. È ovvio che la legge elettorale deve
essere adattata alla Costituzione e non viceversa. Evidentemente il Covid 19 ha
senz’altro ritardato le cose. O forse la difficoltà ad affrontare un argomento
spinoso come la legge elettorale ha spinto a rinviare. Ad ogni modo, di nuova legge
elettorale neppure l’ombra e ora i tempi sono davvero stretti. Così accade che
il PD si mostri sempre più in crisi con il M5S. Entrambi si lanciano reciproche
accuse circa l’osservanza dei patti. Mentre scriviamo, a tutt’oggi il PD non ha
ancora detto chiaramente quale sarà effettivamente la sua posizione sul
Referendum e ha rinviato il tutto a una prossima Direzione che dovrebbe tenersi
(forse) il 7 settembre. Proprio in questi giorni, Italia Viva di Renzi ha
comunicato che lascerà libertà di coscienza agli elettori e quindi non darà
indicazione di voto.
3. Non è facile spiegare questo improvviso rigurgito “anti
populista” da parte del PD e della “sinistra genericamente intesa”, visto che
questi stanno al governo proprio con i suddetti
populisti. E, bisogna dire che - va riconosciuto - stanno al governo perfino
con un discreto successo o, per lo
meno, senza demerito. Questi
scricchiolii intorno al Referendum non paiono dunque elementi occasionali e impongono
anzitutto di cercare di comprendere quale sia lo stato delle cose relativo alla attuale alleanza di governo e al suo
futuro.
Come ognun ricorderà, la
formazione di questa coalizione di governo è stata una scelta difficile e
drammatica. È stata tuttavia – almeno a nostro giudizio - anche una scelta
saggia, che anzitutto ha permesso al PD di non
sparire (nonostante abbia poi subito una grave scissione) e ai piccoli
partiti di avere quotidianamente la loro tribuna e qualche posto nel governo.
Ha permesso di dare vita a un governo di centro-sinistra, nonostante i “populisti”.
Si è trattato di un compromesso ineludibile e necessario che, col senno di poi,
si è mostrato anche utile per il nostro Paese. D’altronde la politica decente è
fatta anche di compromessi. Se alla caduta del governo giallo-verde si fosse
andati alle elezioni, la sinistra avrebbe preso una batosta storica. Lascio poi
a chiunque immaginare cosa sarebbe successo se, all’esplosione del Covid 19,
avessimo avuto in Italia un governo di centro destra, fresco di una vittoria
elettorale e magari egemonizzato da Salvini. Avremmo con ogni probabilità avuto
un misto di politiche sanitarie sui modelli di Trump e Bolsonaro, magari in
salsa Briatore.
Certamente, l’inserimento
della Riforma per la diminuzione del numero dei parlamentari nel programma del governo
giallo-rosso è stato anche un prezzo da pagare per poter mettere in piedi la
coalizione stessa, visto che il M5S, numericamente egemone, ha sempre teso a
sopravvalutare l’importanza di questo obiettivo. Si è trattato tuttavia di un
prezzo del tutto innocuo, visto che gli effetti collaterali saranno minimi e considerato
che si trattava di un obiettivo tradizionale della sinistra stessa. Va
ricordato che la stessa Riforma stava anche nel programma della precedente
coalizione giallo-verde: anche in quel caso, fu quello uno dei prezzi che
Salvini aveva dovuto pagare per allearsi con il M5S. Si deve dare atto al M5S
di essere stato coerente su questo punto, tanto che questo obiettivo referendario
ha finito per ricevere il marchio del M5S.
4. Dare una compiuta interpretazione delle attuali frizioni anti
populiste dentro alla maggioranza non è separabile dunque da un primo necessario
bilancio del governo Conte II e della relativa coalizione. Si poteva pensare,
all’avvio della nuova coalizione, che una coabitazione al governo tra M5S e PD avrebbe
contribuito a istituzionalizzare il piuttosto selvatico movimento e avrebbe
permesso al PD di mettere in mostra la propria maggiore esperienza e
lungimiranza politica. Di mettere in luce le migliori qualità del proprio personale
politico rispetto a quello, invero piuttosto improvvisato e raccogliticcio, del
movimento. Ebbene, purtroppo questo non è
successo.
Il M5S – nonostante
abbia una forte maggioranza numerica nella coalizione – sembra non aver dato
buona prova di sé e in pochi mesi ha perso, nei sondaggi, una buona metà dei
propri consensi. Ciononostante, e questo è il fatto davvero notevole, il PD non è cresciuto di un millimetro. Anzi,
è andato a imbarcarsi nella scissione
renziana. Questo vuol dire ormai con una certa chiarezza che il PD,
nonostante la sempre maggior debolezza del M5S, nonostante l’occasione
indiretta fornita dalla crisi del corona virus – l’occasione cioè di mostrarsi,
meglio di altri, all’altezza della situazione - non è riuscito a crescere. Questo è un fatto oggettivo, non è colpa del populismo, è colpa
esclusiva del PD! Il PD sta governando discretamente,
insieme a un partito populista sempre più debole e diviso e, tuttavia, non
riesce ad aumentare i propri consensi da nessuna parte. E, per giunta, rischia seriamente di perdere le prossime elezioni
regionali. C’è evidentemente qualcosa che non va. La conclusione non può
che essere la seguente. Il PD e la sinistra “non populista” in senso lato, pur
stando al governo, stanno soffrendo soprattutto
a causa dei loro limiti intrinseci – limiti che non vogliono o non possono
riconoscere.[1] Certo, in una simile situazione di impasse, può essere forte la tentazione di dare la colpa ai populisti! Non par vero sia giunta, col Referendum,
finalmente l’occasione per dare loro una bella lezione.
5. Quando non si conoscono e non si riconoscono i propri
limiti e non vi si pone tosto rimedio,
subentra inevitabilmente l’autolesionismo,
che poi è il tema centrale di questo mio articolo. In tema di tafazzismo, la memoria va
inesorabilmente al Referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Quello di
Renzi-Boschi. Detto in estrema sintesi, la proposta di riforma Renzi-Boschi del
2016, a parte molti suoi limiti intrinseci, è stata pesantemente sconfitta a
causa del fatto che si era formato, in un brevissimo lasso di tempo, uno
schieramento avverso trasversale che ha visto unite la destra e una gran parte
della sinistra; uno schieramento che alla fine aveva il solo scopo di
abbattere il governo Renzi. Così Renzi non poteva che perdere. Evidentemente da
quell’episodio non s’è imparato nulla.[2] È abbastanza chiaro che sta nascendo
nel Paese – lo vedremo nei prossimi giorni – una manovra del tutto analoga, sebbene
questa volta ai danni del M5S. Quote importanti della destra non ci metteranno
proprio nulla a spostarsi sul fronte del No. O a lasciar liberi i loro elettori
che non sono certo simpatizzanti del M5S. A sinistra, stanno venendo a galla le
stesse parole d’ordine usate contro Renzi nel 2016: rifiutare la Riforma per
difendere la Costituzione e la democrazia. L’obiettivo politico palese è quello
di indebolire ulteriormente il M5S più di quanto già debole non sia. Convinti
che questo porti migliori destini per il PD e per la “sinistra non populista”.
Dal punto di vista del
PD e della sinistra tutto ciò significa – l’abbiamo già anticipato - tagliare
il ramo sul quale si è seduti. Si tratta di un colossale errore tattico: non
sono i Cinquestelle a essere troppo forti,
tanto da dover essere ridimensionati. È il PD e la sinistra che sono troppo deboli, tanto da non capire in
quale pasticcio si vanno a infilare. Cercare di affogare quello che ti tiene a
galla non pare proprio da considerarsi una strategia intelligente. Questi
giochetti di solito fanno male prima di tutto a chi prima se li inventa e poi
li mette in pratica.
Oltre tutto, il periodo
è particolarmente delicato. Il coronavirus non è ancora finito e ce lo godremo
ancora per un bel po’. Poi ci sarà la scadenza delle elezioni del Presidente
della Repubblica. Poi ci dovrebbero essere le elezioni politiche. Come pensa il
PD e il resto della sinistra “non populista” di arrivare fino alle prossime
elezioni politiche (ammesso che si tengano a scadenza) e di vincerle? Vivere
alla giornata come si sta facendo non è certo una grande soluzione.
6. Se questo è dunque il quadro politico generale, veniamo ora
alla questione più specifica del Referendum. Dopo le vicende della riforma
costituzionale renziana del 2016, era prevedibile che per un bel po’ non ci
sarebbero stati altri tentativi di riforma costituzionale. Nonostante il fatto
che il nostro sistema sia altamente inefficiente e avrebbe bisogno di una
molteplicità di interventi. Solo la testardaggine del M5S, oltre alla sua
grande crescita elettorale alle politiche del 4 marzo 2018, ha portato al
recupero e alla riproposta della norma riguardante la riduzione del numero dei
parlamentari. Il M5S grazie alla sua posizione numericamente dominante è
riuscita a imporre la sua proposta prima alla destra (quando ha governato con
la destra) e poi alla sinistra ora che governa con la sinistra.
Evidentemente, la
vittoria del M5S alle elezioni politiche è stato un chiaro indice dell’insofferenza
dell’opinione pubblica nei confronti della politica, da lunga data. Se il M5S è
riuscito a mandare avanti la proposta, pur tra lo slalom delle diverse
coalizioni, è solo perché, nel nostro Paese, la politica è giunta a un livello
così infimo di prestazioni che ormai risulta totalmente indifendibile. Non si possono liquidare i Cinquestelle
con l’epiteto di populismo e poi non
far nulla per curare i mali della politica che generano il populismo. A sentire
ad esempio Calenda, Bonino e Della Vedova, sembra che, eliminati i populisti, la
politica in Italia si rimetta perfettamente a funzionare. Così la pensano molti
altri nella “sinistra in senso ampio”. Secondo costoro, i populisti
curiosamente sarebbero la causa e non
l’effetto dei mali della politica italiana.
Comunque, populismo o non
populismo, questa è l’unica (minimale) proposta di riforma costituzionale che
il nostro sistema attuale è riuscita a produrre dopo il 2016. L’unica che è
stata portata avanti nel suo lungo iter fino alla fine, con un ampio consenso,
per quanto obtorto collo, da parte
delle più importanti forze parlamentari. Si tratta del resto di una proposta
che storicamente ha sempre avuto ampio consenso proprio nella sinistra. Ebbene,
dal nostro modesto punto di vista questa è un’occasione
da cogliere al volo. Per il semplice fatto che non si ripresenterà mai più. Ai tempi del Referendum sulla riforma
Renzi-Boschi molti oppositori si lamentavano che le proposte di riforma fossero
un blocco unico e non spacchettabile.
Si diceva che alcuni provvedimenti erano convincenti, altri meno, altri
addirittura dannosi. Che bisognava spacchettare le questioni e votarle una per una. Ebbene, qui c’è una micro-riforma che è del tutto
spacchettata. Si vota solo su quella. Sarebbe un piccolissimo ma
importantissimo segno che la politica nel suo complesso potrebbe dare al Paese:
la politica che riesce minimamente a
riformare se stessa andando contro i propri interessi di casta.
7. Una volta ammessa e diffusa la pazza idea alla Tafazzi che finalmente bisogna dare il colpo di grazia
ai populisti votando No al Referendum, c’è stata la corsa a trovare le
motivazioni. Data la disorganizzazione dell’Armata Brancaleone arruolata in
fretta e furia, le argomentazioni che si rincorrono sono davvero stupefacenti.
Ci sarebbe da ridere, se non venisse da piangere. L’effetto comico deriva
soprattutto dal fatto che molti di coloro che ora sostengono il No, o la più
totale indifferenza al quesito, si sono trovati, in altre occasioni, a
sostenere esattamente l’obiettivo della riduzione dei Parlamentari. Zanda e
Finocchiaro che avevano presentato una proposta di legge del tutto simile nella
XVIa legislatura ora sono per il No. Il più divertente di tutti recentemente è
stato Prodi. Ha dichiarato che secondo lui bisogna ridurre il numero dei Parlamentari,
ma lui al Referendum voterà No. Chapeau
l’artiste!
8. È comparso recentemente un documento sottoscritto da
numerosi costituzionalisti che hanno preso posizione per il No. Il documento è
stato prodotto grazie all’iniziativa di Huffington
Post e del suo nuovo Direttore, Mattia Feltri. Purtroppo, se si legge il
documento, anziché trovarvi osservazioni di tipo tecnico - come ci si potrebbe
attendere da un’onorata congregazione di costituzionalisti - vi si troveranno
numerose prese di posizione di tipo politico/ ideologico, zeppe per di più di
farraginose ripetizioni. Tanto che viene il sospetto che a scrivere il
documento sia stato proprio lo stesso Direttore dell’HP e che i
costituzionalisti lo abbiano solo firmato, in quanto cittadini, magari anche
bene informati, che intendono fare la loro legittima dichiarazione di voto.
Beninteso, il mio è solo un sospetto.
9. Prenderò in esame alcune delle argomentazioni dei
Costituzionalisti di HP. Secondo i Costituzionalisti dell’Huffington Post, la legge sulla diminuzione del numero dei
Parlamentari costituirebbe un attacco
populistico al Parlamento e al suo prestigio. A parte il fatto che a
diminuire il prestigio del Parlamento ci hanno già abbondantemente pensato i
parlamentari stessi, non passa neppure per la testa dei rispettabili
costituzionalisti che diminuire il numero dei parlamentari possa pre-costituire
le condizioni per un miglior
funzionamento del Parlamento stesso. Per i costituzionalisti di HP, pare
che la funzionalità del Parlamento stia, ahimè, nel numero. Più sono, meglio è.
Secondo questo principio, un bello stadio di qualche migliaio di persone,
agitate e vocianti, costituirebbe un Parlamento migliore. Il problema è che i
costituzionalisti di HP forse non si sono accorti che questo parlamento così
numeroso, così ben rappresentativo,
come dicono, proprio non funziona!
Anzi, funziona sempre peggio. Dovrebbe essere il mestiere dei Costituzionalisti
diagnosticare perché un Parlamento non funziona. Ce l’avete qualche idea
comprovata? Riunitevi, fate un bel documento per spiegare, con motivazioni tecniche inoppugnabili, perché il nostro Parlamento
attuale non funziona e quali riforme si dovrebbero fare per farlo funzionare
meglio. Gli italiani vi sarebbero grati. Purtroppo, non si troverebbero due di
voi d’accordo su una sola questione.
Se andiamo alla storia
Parlamentare degli ultimi decenni, possiamo dire che abbiamo visto davvero di
tutto, dal deputato di nome Cicciolina a tale Antonio Razzi, dal voto su Ruby
Rubacuori nipote di Mubarak, a tale Scilipoti, fino ai solerti incassatori di bonus per partite IVA disastrate. Non
parliamo poi dell’assenteismo, delle compravendite e dei cambi di casacche;
delle sempre più frequenti risse e sceneggiate. I Costituzionalisti di HP non
ci dovrebbero spiegare perché il Parlamento, così com’è, è tanto rappresentativo,
ma perché così com’è non funziona!! Sono decenni che non funziona! Sono decenni che se ne discute! Se c’è il populismo è perché proprio non
funziona e non è in grado di porre uno straccio di rimedio a questa sua
disfunzionalità.
10. A parte la valutazione, che è tutta politica, circa l’attacco
in atto contro il Parlamento da parte del populismo incalzante, l’altro
argomento forte è che, con l’attuale legge
elettorale, ci sarebbero delle gravi disfunzioni. Ancora il combinato - disposto. Fatemi capire,
cari costituzionalisti di HP: la Costituzione deve dipendere dalla legge
elettorale, oppure – più sensatamente - è la legge elettorale che dovrebbe
dipendere dalla Costituzione? Il fatto che manchi una legge elettorale adeguata
alla nuova situazione che verrebbe a determinarsi è una questione del tutto esterna al quesito referendario. L’elettore
in sede costituente deve decidere senza
pensare alla legge elettorale che c’è o ci sarà. Sennò sarebbe una
buffonata! La logica elementare vorrebbe che sia in realtà sensato decidere prima cosa è giusto scrivere in
Costituzione e poi adeguare la legge elettorale
relativa. Se si cambierà la Costituzione, il Parlamento dovrebbe ovviamente darsi da fare per cambiare di
conseguenza la legge elettorale. Non si può rifiutare di votare una legge
costituzionale considerata buona perché si teme che qualcuno poi faccia una
legge elettorale cattiva. La questione, davvero sovra esposta, della legge
elettorale è comunque una spia ulteriore del malessere del nostro sistema
politico, che tanti amano così tanto da voler difendere fino alla morte. In
realtà coloro che vogliono vedere prima
la legge elettorale lo fanno perché non hanno alcuna fiducia che il
Parlamento, dopo un eventuale cambiamento costituzionale, sia in grado di fare
una legge elettorale minimamente adeguata. Questa in fondo è la vera ragione
dell’immobilismo istituzionale del nostro Paese. Neanche i politici credono più
nella capacità della politica di assolvere ai propri compiti elementari. Adeguare le leggi correnti a una eventuale
nuova legge fondamentale è proprio uno dei compiti elementari! “Prima vedere
cammello!” diceva una nota barzelletta!
11. Nel documento dei Costituzionalisti di HP si insiste alquanto
sulla questione della rappresentanza.
Secondo loro, diminuire il numero dei Parlamentari significa diminuire la rappresentanza. È chiaro
che gli illustri costituzionalisti qui usano la parola “rappresentanza” nel
senso del tutto comune. Come se la rappresentanza stesse soltanto nel numero!
Più sono, più rappresentano. Ritenere che l’aumento ad libitum del numero degli eletti implichi una sempre migliore rappresentanza è una forma di
colossale ingenuità (o di malcelata malafede). Nella democrazia rappresentativa
ci sono dei problemi di funzionalità che non sono mai direttamente proporzionali soltanto al numero. Certo, al di sotto
di un certo numero la rappresentanza può essere compromessa, ma anche al di
sopra. Non c’è un parametro numerico fisso. La funzionalità della
rappresentanza va considerata prendendo in considerazione il sistema nel suo
complesso. Nel caso italiano è un dato empirico comprovato che il numero
attuale dei rappresentanti sia disfunzionale. Non lo dico io. Emerge da decenni di dibattito intorno
alla questione e di relative proposte di
riduzione che sono state avanzate. I costituzionalisti dovrebbero saperlo,
o si occupano d’altro?
12. E poi c’è il rapporto tra i rappresentanti e i loro territori. La parola magica sempre evocata è territorio. Purtroppo, memento per i beneamati costituzionalisti di HP, dalla Rivoluzione francese in poi, i deputati rappresentano la nazione, non i loro rispettivi territori. Il Senato attuale non è una Camera delle Regioni. Non è neppure una Camera federale. È vero che i Senatori sono eletti con una procedura su base regionale, ma i senatori rappresentano la nazione. Nella Costituzione americana (che però è uno stato federale) i senatori rappresentano effettivamente i territori, ma sono 100 in tutto! E pare non si lamentino così tanto di essere così pochi e impossibilitati a lavorare. Quelli che piangono sul fatto che i poveri micro territori, caratterizzati da quale chissà preziosa specificità, poi non possano avere “il loro rappresentante locale in parlamento” hanno purtroppo in mente una cosa soltanto. La solita politica clientelare. A proposito, la mafia è senz’altro contraria alla diminuzione del numero dei parlamentari!
13. Un’altra bordata a vuoto del documento dei
costituzionalisti di HP è la considerazione che la riforma lascia inalterato il bicameralismo perfetto. Grazie tante per
avercelo ricordato, lo sappiamo! La attuale legge referendaria non intende
proprio cambiarlo, visto anche che gli elettori italiani, con il Referendum del
2016, hanno scelto, ahimè, di tenersi il
bicameralismo perfetto e tante altre cose disdicevoli insieme. Comunque,
cari costituzionalisti, come si fa a criticare e rifiutare una legge non per quel che fa effettivamente ma per
ciò di cui non si occupa affatto? Certo, si può dire che si tratta di un
intervento che non è bastevole. Che nella nostra situazione – quante volte lo
abbiamo sentito questo ritornello - ci vorrebbe benaltro. Ma, signori miei, non ci sono proprio benaltri interventi in vista. Altre
riforme costituzionali non ci saranno per un bel po’ – non ci saranno perché la
situazione politica non le permetterà. O si prende questa minima riforma o
niente. Per questo va valutata e presa per quel po’ che offre, lasciando
perdere tutti i possibili benaltrismi.[3]
14. Ma non vorrei neppure che la mia posizione risultasse
oltremodo minimalista e riduttiva. È ben possibile il fatto che questa piccola
riforma, nata per un concorso particolarissimo di eventi, magari un po’ buttata
lì, costringa seriamente a fare delle buone modifiche alla legge elettorale e
ai regolamenti parlamentari, introducendo così elementi di miglior
funzionalità. Questo sarà possibile ovviamente se le forze parlamentari – che
hanno approvato la legge a grande maggioranza – sapranno comportarsi con un
briciolo di responsabilità e se sapranno entrare minimamente in uno spirito
costituente, nell’interesse di tutti. Personalmente, aggiungo, lo sostengo da
decenni, suscitando per lo più sguardi interrogativi e ilari, che sarebbe
quanto mai necessaria e urgente una legge
per la regolamentazione dei partiti, secondo quanto prescrive la stessa
Costituzione all’art. 49. I partiti oggi in Italia hanno meno regole di un
Circolo delle bocce. Sono associazioni del tutto privatizzate che spesso non
hanno nulla a che fare col ruolo loro assegnato dalla Costituzione. Partiti che
sono proprietà privata di singoli personaggi o aziende. Ve li immaginate questi partiti, compresi il M5S, il PD e
quelli genericamente “di sinistra”, che fanno una legge per regolamentare se
stessi? Se vuoi davvero difendere la democrazia, datti da fare per una bella
legge che definisca lo stato giuridico
dei partiti. Così il cittadino medio sarà finalmente libero di entrare in un
partito senza passare l’esame delle correnti o dei notabili di turno. Questo
suggerimento vale anche e soprattutto per le cosiddette Sardine che danno
lezioni di democrazia a destra e manca.
15. Sui paventati effetti
collaterali della legge in discussione – se qualcuno avesse ancora dei
patemi d’animo e dei legittimi interrogativi – posso qui invocare la per me del
tutto persuasiva posizione di Vittorio Onida, decano dei nostri
costituzionalisti e non firmatario
dell’appello di HP. Riporto parte della breve intervista rilasciata da Onida a La Repubblica il 24/8/2020, a cura di
Giovanna Casadio e pubblicata online.[4]
(…)
Trecentoquarantacinque
parlamentari in meno: è diventato grillino? «È vero che questa è una riforma
proposta dai 5 Stelle, e non è che tutto quello che viene dai grillini sia per
forza negativo. Ma essendo stata approvata, da ultimo, praticamente all’unanimità
dalla Camera, e quindi da tutte le forze politiche in campo, penso che dire No
senza una validissima ragione di merito, sia improprio. Il No aggraverebbe il
fossato di sfiducia che già c’è tra cittadini e istituzioni».
Per i
sostenitori del No, un Parlamento dimagrito funzionerà peggio. «Non funzionerà peggio,
anzi potrebbe funzionare meglio se si coglie questa occasione per mettere
rappresentanti per ogni Regione, il peso di questi aumenterebbe indebitamente.
Oggi le Camere non funzionano bene, con dibattiti spesso ripetitivi in cui,
invece di dialogare e confrontarsi sul merito delle proposte, ci si dedica per
lo più a polemizzare con gli avversari».
(…)
Quindi
quale è la ragione principale del suo Sì? «Sarebbe un atto di estrema sfiducia
smentire una riforma approvata praticamente all’unanimità dalle forze
parlamentari. Inoltre le presunte conseguenze negative della riforma che
vengono oggi agitate, non mi sembrano tali. Non quella della necessità di
concentrare il lavoro delle Camere in un minor numero di commissioni o di fare
lavorare gli stessi parlamentari in più commissioni. Un Senato di 200 membri
può lavorare benissimo».
Nonostante
manchino i correttivi istituzionali promessi? «I correttivi non sono
indispensabili. Prendiamo la questione dell’elezione del Capo dello Stato. Non
mi convince l’obiezione che riducendosi il numero dei parlamentari e rimanendo,
nell’assemblea che elegge il Capo dello Stato, tre rappresentanti per ogni
regione, il peso di questi aumenterebbe indebitamente. La Costituzione ha
concepito il corpo elettorale del Presidente come più ampio del solo
Parlamento, trattandosi di eleggere colui che per 7 anni rappresenterà l’unità
nazionale».
Ammetterà
che al Senato alcune regioni saranno sotto rappresentate. “No. Ci sono, anche
oggi, delle differenze fra Regioni perché il Senato è eletto su base regionale,
e ogni Regione ha come minimo sette senatori (diventerebbero tre). Quindi il
numero di senatori da eleggere non è perfettamente proporzionale alla
popolazione della Regione».
Senza una
nuova legge elettorale, lo scompenso è però certo. «Quale scompenso? Bene
che si discuta di nuova legge elettorale, ma indipendentemente dal Sì al taglio
dei parlamentari».
Repubblica
si è schierata per il No al referendum, con l’argomento stringente del
disequilibrio costituzionale che si verrebbe a creare. Non ne riconosce la
buona ragione? “Non
capisco l’argomento dello squilibrio costituzionale. Perché un Parlamento meno
numeroso, ma con gli stessi poteri, dovrebbe essere meno influente? Non è così.
Dipende da come il Parlamento funziona e lavora e dai rapporti tra il
Parlamento e gli altri organi istituzionali».
Al
referendum sulla riforma costituzionale di Renzi lei votò No. La riteneva più
rischiosa di una riforma così parziale, come questo taglio? «Il rischio di una
riforma complessiva, e complessivamente negativa, l’abbiamo corso con le
riforme di Berlusconi e di Renzi. Entrambe sono state bocciate nei referendum.
In entrambi i casi sono stato per il No per ragioni di merito. Certo il
bicameralismo paritario merita di essere ripensato. Tuttavia quello attuale è
un quesito semplice, cui è più facile rispondere con un sì o con un no. Nei
referendum precedenti non c’era possibilità di distinguere tra i vari aspetti».
Gli argomenti di Onida,
pur nella loro stringatezza, mi paiono alquanto chiari e distinti e piuttosto
persuasivi.
16. Riprendendo ancora qualche altro contributo al dibattito
recente, non posso che citare Elisabetta Gualmini, politologa e Vice presidente
della Emilia-Romagna, su Huffington Post
il 25/08/2020. La Gualmini, intanto, condivide perfettamente un’interpretazione
negativa dell’attuale animosità anti populista sbocciata nella sinistra: «Almeno siamo sinceri, non ci sono motivi di merito che spingano
a votare No a una riforma marginale, circoscritta e che non ha niente ma
proprio niente di pericoloso. I motivi dei dubbi, dei dietrofront, dei “sì,
però”, sono tutti politici. Primo fra tutti, l’ossessione di colpire il
Movimento 5 Stelle, che ha certamente moltissimi difetti, ma che questa volta
ha solo il problema di aver detto cose che noi diciamo da una vita. Battiamolo
alle elezioni semmai. In secondo luogo, la voglia di contrapporre il purismo al
populismo (noi siamo i paladini delle istituzioni democratiche, intoccabili e
immodificabili, così come sono ora) e voi gli urlatori e gli sterminatori della
rappresentanza. Anche qui, voglia sbagliata e mal riposta».
Prosegue poi la Gualmini
fornendo una piccola ed istruttiva sintesi storica del dibattito sulla
questione, che val proprio la pena di riportare: «Sul merito appunto c’è poco da dire. O da aggiungere a quello
che stimati costituzionalisti hanno ripetuto in varie sedi (da Ceccanti a
Vassallo, da Onida a Fusaro). Il taglio dei parlamentari, anche nelle medesime
proporzioni è presente da sempre nelle proposte di riforma del centro sinistra,
dalla prima Commissione bicamerale del 1983 alla seconda del 1992, alla terza
del 1997. Nel 2005 è stato il turno del centro-destra ad approvare la riduzione
del numero di parlamentari e nel 2007 la Commissione Affari costituzionale
della Camera si è mossa nella stessa direzione (Bozza Violante). Nel 2012
arriva il Senato a votare il ridimensionamento dei parlamentari sino al referendum
del 2016 che è andato come è andato proprio perché, secondo molti quelli che
oggi dicono No al taglio, proponeva una riforma troppo ampia e di sistema e non
spacchettabile in diversi punti. Cosa che invece oggi è possibile. Il quesito è
unico e puntuale. I 945 parlamentari possono essere ridotti a 600? Sì o No.
Punto».
Conclude la solerte politologa con una domanda: «Perché
dobbiamo sempre andare contro, ostinati e contrari, con stizza e con la puzza
sotto al naso, al sentimento popolare? Perché farci del male? Io proprio non lo
capisco».
Davvero difficile darle torto.
17. Vale la pena di fare ancora qualche osservazione aggiuntiva,
di carattere tecnico/ politico, sulla funzionalità delle assemblee parlamentari
relativamente poco numerose. I
sostenitori del No ritengono che assemblee meno numerose avrebbero più
difficoltà ad assolvere ai loro compiti. Si ritiene cioè che con la diminuzione
del numero dei parlamentari da 945 a 600 il Parlamento non potrebbe che
funzionare peggio. Dato il grande carico
di lavoro che pesa sui parlamentari in questione. Qui, oltre a una mia
bella risata, posso citare Marco Travaglio che ha osservato: «Ridurre i
parlamentari – come ha deciso 4 volte il Parlamento, non i suoi nemici, con
maggioranze oceaniche (all’ultima lettura 553 Sì, 14 No e 2 astenuti) – non
implica affatto il “superamento del Parlamento” (che certo non vuole il M5S,
essendovi il gruppo più numeroso) né il “presidenzialismo” (che vuole solo
Salvini, isolato da tutti gli altri, inclusa FI). Ma proprio un “rilancio del
Parlamento” che, diventando meno pletorico, sarà più credibile, efficiente e
funzionale perché composto da eletti meno indistinti e dunque più forti,
autonomi e autorevoli. Difendere un’assemblea-monstre di quasi mille persone,
di cui un terzo diserta una votazione su tre, due terzi non ricoprono alcun
ruolo e solo il 10% assomma più di un incarico, è ridicolo».[5]
Nel nostro Paese,
purtroppo, fin dai tempi storici della famosa ammuina, la nozione di produzione
è sempre stata strettamente legata al numero. Se togli il numero degli addetti,
riduci la produzione. Cosa sia la produttività,
quella cosa strana che talora può curiosamente aumentare anche diminuendo il
numero degli addetti, nessun lo sa. O fanno tutti finta di non saperlo.
18. Un ultimo punto, che non ho ancora affrontato perché mi
pare davvero il meno rilevante: la
questione dell’eventuale risparmio conseguente alla riduzione del numero dei
parlamentari. Convengo che il risparmio economico conseguito, per quanto non
disprezzabile, sarebbe minimale e davvero non decisivo e dirimente. Un
Parlamento che funzionasse davvero bene meriterebbe di essere remunerato anche
dieci volte tanto. Quello della spesa eccessiva, dovuta al gran numero dei cosiddetti
“poltronari” è il vero argomento populista. Argomento decisamente debole.
Diciamo pure qualunquista. È un argomento certamente da rifiutare, ma nello
stesso tempo da considerare assai attentamente. È un argomento che comprensibilmente
si è imposto presso il largo pubblico (si veda la vittoria elettorale del M5S
all’inizio della Legislatura) proprio a causa della infima produttività della politica e della pessima qualità media dei politici stessi. Più in generale, a causa
dell’assoluto discredito in cui è caduta la politica nel nostro Paese. Quanti
Antonio Razzi ci sono ancora in giro?
19. Più in generale, meno seggi disponibili costringeranno i partiti, se non vorranno sparire, a mettere da parte per lo meno i più inetti e i più impresentabili. Se poi si vorrà fare una legge elettorale che elimini le liste bloccate e valorizzi le preferenze degli elettori nella scelta dei loro rappresentanti, sarà ancor meglio. Qui si gioca la rappresentanza, più che sul numero. A proposito, che fine ha fatto il dibattito sulle primarie? E il dibattito sugli sviluppi della democrazia digitale? Lo lasciamo tutto a Casaleggio? E la democrazia partecipativa? E la già citata legge per la regolamentazione dei partiti? Sono tutti temi a proposito dei quali potrebbero utilmente impegnarsi tutti quelli che altrimenti si svegliano soltanto per dire No quando si sta cercando faticosamente di cambiare qualcosa.
Giuseppe Rinaldi (31/08/2020)
NOTE
[1] Su quali siano questi limiti, sono già
intervenuto più volte su Città Futura
on-line. Non ho spazio qui per argomentare su questo punto.
[2] La mia approfondita analisi sul Referendum
renziano si trova sul mio blog Finestrerotte,
in un articolo intitolato Cronache
marziane del 30 novembre 2016.
[3] Quando stavo chiudendo questo articolo, il
costituzionalista Carlo Fusaro ha preso attentamente in esame il documento dei
suoi colleghi e ha avanzato obiezioni assai simili a queste mie, sebbene più
circostanziate. L’articolo, datato 27/8/2020, si trova su Huffington Post, per chi fosse interessato.
[4]
Cfr. https://www.ilblogdellestelle.it/2020/08/il-costituzionalista-onida-per-il-si-al-referendum.html
[5] Cfr. Marco Travaglio, “Taglio dei
parlamentari, perché Sì” su Fatto quotidiano del 20 agosto 2020.