1. Da molte parti si sostiene che il postmoderno sia
ormai finito. Sarà anche vero, ma i postmoderni continueranno a suonare le loro
trombe ancora per un bel po’. Quando certi modi deleteri di pensare si affermano
e s’insinuano nei meccanismi della riproduzione sociale e culturale, tendono poi
a replicarsi indefinitamente. Un buon esempio di questa pervicace
persistenza delle idee sbagliate è il volume - recentemente pubblicato in
Italia - dal titolo Mediocrazia, del
canadese Alain Deneault[1] che si
qualifica come filosofo e sociologo. Confessiamo di averlo acquistato attratti
dal titolo e spinti da alcune recensioni che lo valorizzavano alquanto. Una
fascetta rossa davvero invitante prometteva di spiegare al lettore «Come e
perché i mediocri hanno preso il potere».
2. Intanto va detto che il libro di Deneault è in sé
un’esemplificazione del suo stesso titolo, cioè della prevalenza ormai
irrefrenabile della mediocrità un po’ in tutti i campi, compresa ahimè anche la
saggistica filosofica e sociologica. Già l’articolazione complessiva dell’opera
lascia alquanto perplessi. L’intero volume è preceduto da una lunga prefazione
di 28 pagine che porta un titolo a sé stante alquanto sibillino e cioè: La politica dell’estremo centro. Si
tratta di un saggio a parte, dall’andamento piuttosto erratico, che si occupa di
svariati argomenti a sfondo politico, i quali però c’entrano poco o nulla con la
mediocrazia e dei quali non siamo riusciti a cogliere bene il filo conduttore.
Vi sono satireggiate un po’ tutte le forme di opposizione politica, vi si
pretende di mostrare come la contrapposizione tra destra e sinistra sia ormai
priva di senso e come – se abbiamo capito bene – i veri estremisti siano
diventati i centristi, cioè coloro
che – secondo l’Autore – oggi svolgono la funzione di riprodurre la mediocrità
dei mediocri. A causa dei centristi
estremisti il mondo sarebbe diventato unidimensionale e si
caratterizzerebbe, appunto, come un mondo di mediocri. La prefazione termina con
un paragrafo che pone una domanda intorno al che
fare dalle vaghe assonanze leniniane. E questa è solo la
prefazione.
3. Per il resto, il volume è costituito – come l’Autore
ammette però soltanto in appendice - dalla «sintesi di articoli e contributi»
già pubblicati separatamente altrove, in occasioni assai diverse. I contributi
elencati sono – udite, udite - ben quarantaquattro. A questi contributi –
beninteso fusi insieme e non
brutalmente riportati in forma antologica – è stata preposta una Introduzione
di 14 pagine (posta subito dopo la prefazione di cui abbiamo già detto). Dopo il
corpo centrale del volume, che riprende gli articoli e i contributi suddetti, è
collocato un capitolo finale - dal titolo La
rivoluzione: rovesciare ciò che nuoce alla cosa comune - di 5 pagine, cui
appartiene, ahimè, un ulteriore unico paragrafo, di 5-6 pagine, dal titolo Co-rompere (presumiamo sia questa la
risposta al che fare iniziale!).
Tutto qui.
4. Purtroppo per noi - che eravamo stati attratti dal
titolo e dalla fascetta - soltanto l’introduzione e la conclusione del volume
sviluppano effettivamente il tema in questione, cioè accennano alla nozione
della mediocrazia, mentre tutto
resto propone una casistica che dovrebbe al più illustrare la tesi principale.
Sono cioè proposti, spesso con tono giornalistico, svariati esempi di impero
della mediocrità, raccolti sotto grandi capitoli come Il
«sapere» e la competenza, Il
commercio e la finanza e Cultura e
civiltà. La casistica è tuttavia esposta con un andamento assolutamente
casuale, risultando appunto -
sospettiamo - dalla varietà dei quarantaquattro contributi che sono stati usati per
comporre il volume. Se uno volesse approfondire il concetto della mediocrazia
come proposto nel titolo basterebbe, insomma, leggere l’introduzione e la
conclusione e lasciar perdere tutto il resto. Il tutto per 18 euro. Si tratta
dunque di un prodotto editoriale che non possiamo che definire mediocre. Ciò
nonostante, pare che il libretto stia avendo un buon successo di vendite, tanto
da essere stato catalogato come un long
seller e da avere ottenuto buone recensioni. Anche questo bel
posizionamento forse ha qualche connessione col titolo. Siccome i mediocri per
definizione sono tanti, e per lo più poco considerati, quando si parli
finalmente di loro questi non possono evidentemente mancare all’appuntamento.
Compreso chi scrive, naturalmente.
5. Una seconda questione preliminare riguarda lo stile.
In una parte del libro si sviluppa una serrata critica contro la «scrittura
fallimentare» dell’odierna mediocre
accademia, con dovizia di esempi. Purtroppo l’Autore stesso usa, ahimè, una
prosa piuttosto “fallimentare”, priva di una decente strutturazione
argomentativa, dove le questioni poste sono sviluppate per semplici associazioni
di idee, invocando un caso specifico dopo l’altro. Può essere che ciò si dovuto
al carattere compilativo del testo. Come del resto accade in molta sociologia
postmoderna, l’Autore deve esser convinto che fare della generica letteratura o
del generico giornalismo d’assalto permetta di penetrare in profondità gli
argomenti trattati, in contrapposizione alla mediocre letteratura accademica da
lui aspramente criticata, la quale lascerebbe invece le cose in superfice e
sarebbe, per di più, complice del potere.
6. È un vero peccato, questo sfoggio di mediocrità
editoriale e scritturale, perché l’argomento proposto da Deneault – per quanto
non nuovo – è decisamente interessante e quanto mai attuale. Proprio per questo
ci aspettavamo – almeno nel capitolo introduttivo – di trovare almeno una
qualche definizione dei concetti
impiegati e un minimo di rassegna
della letteratura scientifica sulla problematica in questione. Evidentemente
queste sono aspettative degne di un mediocre, poiché l’Autore non se ne è preso
cura. L’Autore invece delle definizioni se la cava con una sensazionalistica dichiarazione di fatto compiuto: la
mediocrazia indubitabilmente c’è. Afferma Deneault che: «Non c’è stata nessuna
presa della Bastiglia, niente di paragonabile all’incendio del Reichstag, e
l’incrociatore Aurora non ha ancora sparato un solo colpo di cannone. Eppure di
fatto l’assalto è avvenuto ed è stato coronato dal successo: i mediocri hanno
preso il potere».[2] Insomma, dopo la dichiarazione di Deneault, anche se non è
cambiato nulla, siamo ora in grado di vedere ciò di cui prima non ci eravamo
mai accorti. Anche questo è uno dei tratti tipici della sociologia postmoderna,
far vedere che le cose cambiano a seconda del punto di vista che si
adotta. La conoscenza sociologica si ottiene saltando da un punto di vista
all’altro. Più si salta, più si capisce come va il
mondo.
7. Passi la dichiarazione di vittoria dei mediocri, ma
cosa s’intende per mediocrazia?
L’unico tentativo di definizione che siamo riusciti a trovare è il seguente:
«Mediocrità è un sostantivo che indica una posizione intermedia tra superiore e
inferiore, ovvero suggerisce uno «stare nel mezzo», una qualità modesta, non del
tutto scarsa ma non eccellente; indica insomma uno stato medio tendente al
banale, all’incolore, e la mediocrazia è di conseguenza tale stato medio
innalzato al rango di autorità. La mediocrazia fonda un sistema nel quale la
media non è più un’elaborazione astratta che permette di concepire in modo
sintetico una situazione o un insieme di cose, ma una norma imperiosa che non
basta osservare, bensì bisogna assimilare». Foucault sarebbe felice di sapere
che non solo il discorso è sempre espressione del potere, ma che anche la
media ha fatto quella stessa brutta fine. Avrebbero dunque preso
silenziosamente il potere quelli che
stanno nel mezzo, quelli che possiedono delle qualità a metà strada tra superiore e
inferiore.
8. Se Deneault avesse fatto con profitto un corso di
statistica elementare, saprebbe che un fenomeno qualsiasi, quando è soggetto a
una molteplicità di cause e interazioni, tende a distribuirsi secondo la curva
di Gauss, quella che qualcuno chiama anche “campana” di Gauss. La curva a
campana mostra senza pietà come in una popolazione qualsiasi la gran parte dei
casi si distribuisce appunto attorno
alla media, mentre solo una parte ristretta tende ad allontanarsi dalla
media - in senso negativo, al di sotto della media o in senso positivo, al di
sopra. Dunque accade purtroppo che i mediocri – quelli che possiedono qualità
che stanno più o meno a metà strada tra il superiore e l’inferiore - sono
sempre la maggioranza. Non si scappa. Non è che hanno preso il potere. In
quanto maggioranza, il potere l’hanno sempre avuto. Se poi questa maggioranza di
mediocri è «modesta», «non eccellente», «banale», «incolore» questo dipende dal
giudizio soggettivo. Medio
rispecchia una collocazione in termini descrittivi. Mediocre
un giudizio di valore (che si fonda su un pregiudizio verso la medietà, quando
si voglia invece esaltare l’eccellenza). È ovvio che non tutto ciò che è medio
va considerato per forza mediocre. E viceversa. Evidentemente Deneault ignora
tutte le pagine scritte in filosofia per dimostrare che la medietà va talvolta
considerata positivamente, come testimonia del resto il motto In
medio stat virtus che conoscono anche i bambini. Per lui lo stare nel mezzo
è sempre negativo. Va bene, ma bisognerebbe spiegare almeno perché. È probabile
per lo meno che i medi/mediocri - che appunto costituiscono
sempre la maggioranza – non la pensino così, a meno che non si ipotizzi una
diffusa lacerazione interiore del
mediocre, il quale sappia bene di esserlo ma non riesca a non esserlo. Tra
parentesi, comunque, a Deneault, dati i suoi presupposti, dovrebbe dar molto
fastidio anche la democrazia che non è certo il governo dei migliori, bensì il
governo delle maggioranze (e le maggioranze sono fatte per lo più di uomini
medi/ mediocri). Tuttavia va
riconosciuto che l’Autore non se la prende direttamente con la democrazia,
forse perché poi avrebbe dovuto dirci a quale altro sistema vadano le sue
simpatie.
9. Leggendo attentamente, si capisce però che quello
che dà fastidio a Deneault è il fatto che lo stato medio/mediocre sia «innalzato
al rango di autorità», diventi cioè «una norma imperiosa che […] bisogna
assimilare». Quindi sembra dargli fastidio che il livello medio sia
consideratoun criterio
di riferimento, un valore, e che questo sia imposto universalmente a
fondamento del funzionamento sociale, a fondamento dell’attività istituzionale,
delle imprese, della politica e della cultura. Insomma, oltre al complotto
di Gauss che si presume operi per proprio conto, ci sarebbe un disegno
nascosto – magari da parte di un oscuro potere foucaultiano – che costringe
tutto e tutti alla mediocrità. Ma siamo proprio sicuri che sia così? Come si fa
a provare una simile tesi? A Deneault in realtà dà fastidio – anche se non lo
dice esplicitamente – la tendenza alla standardizzazione, cioè il tendenziale
azzeramento di ogni scarto dalla media. Se la prende insomma con il solito
nemico, il condizionamento da parte della razionalità
strumentale, la gabbia di ferro,
la razionalità che rende possibile la costruzione delle grandi organizzazioni
burocratiche e della società complessa. Possiamo capire come l’imposizione di
uno standard possa essere considerato come un fatto odioso, soprattutto per chi
abbia una mentalità libertaria, ma da ciò non consegue che lo standard imposto
sia sempre quello medio. Deneault
si dovrebbe studiare Taylor e Stakanov.
10. Poniamo pure che un riferimento al valor medio sia
disdicevole, allora, se non va bene la media come criterio di riferimento, quale
altro tipo di criterio bisognerebbe assumere? Sono qui logicamente possibili due
o tre risposte: R1) non ci deve essere alcuna norma, alcun criterio, la società
deve mettere esattamente sullo stesso
piano ciò che è pessimo, medio o eccellente (adottare cioè un relativismo
generalizzato); R2) bisogna adottare invece come norma il principio della
eccellenza, cioè «innalzare al rango di autorità» la coda destra della
distribuzione di Gauss, cioè il piccolo numero degli eccellenti – che per loro
natura sono sempre pochi. Bisogna cioè valorizzare l’eccellenza e magari
addirittura imporla (per quanto ciò
possa essere contradditorio). Trascuriamo qui una terza possibilità - R3 – e
cioè quella di utilizzare come criterio il livello pessimo, per ovvi motivi
(anche se la prevalenza del peggiore
può essere senz’altro un fatto che accade in determinati contesti e, come
concetto, può essere talvolta utile per interpretare certe situazioni sociali).
Qual è in merito la posizione dell’Autore? Ci sarebbe tanto piaciuto saperlo,
purtroppo nel libro non è mai detto. L’andamento delle casistiche presentate è
davvero curioso: l’Autore scandalizzato mostra, con grande fervore, diversi casi
eclatanti in cui l’imposizione di uno standard medio finisce per svalorizzare le
eccellenze. Tuttavia, stranamente, si guarda bene dal teorizzare che si dovrebbe
allora adottare una contrapposta norma
dell’eccellenza (R2). Ciò probabilmente perché anche una norma d’eccellenza
se imposta d’autorità sarebbe
considerata altrettanto oppressiva. Ecco allora che spunta l’opzione R1 e cioè
che nessuna norma valutativa imperiosa deve essere imposta. Presumiamo che
ciascuno debba definire la propria norma senza alcuna interferenza. In mezzo alle diverse plurali espressioni ci saranno magari anche delle
eccellenze, le quali però non debbono mai divenire un imperio.
11. Non è chiaro come possa un’istituzione qualunque
funzionare adottando un simile contradditorio principio. Già Confucio aveva
inventato gli esami per selezionare
chi voleva entrare nella burocrazia imperiale. Ma il modello confuciano non
piacerebbe a Deneault. La selezione in stile burocratico alla Weber non gli
andrebbe bene, ma probabilmente non gli andrebbe bene neanche una selezione alla
Schumpeter del tipo della distruzione
creatrice. Magari si presume, come nella bella favola marxiana, che tutti – una volta liberati dall’imperio
della medietà - diventino
eccellenti. Oppure che ciascuno diventi eccellente
a modo suo. Insomma, la posizione di Deneault è alquanto incoerente,
decisamente anarcoide, una
posizione che si scaglia contro la norma, protesta contro le limitazioni poste
all’eccellenza dai mediocri, ma che poi non intende porsi sotto alcuna regola di
eccellenza. Deneault non è affatto a favore di una rivoluzione contro i
mediocri che porti gli eccellenti al potere, come sarebbe potuto accadere, ad
esempio, nella Repubblica platonica.
Questa posizione dell’Autore risulta abbastanza chiara, sia nella casistica
presentata sia nelle pur scarne conclusioni.
12. Ci sono tuttavia poche righe del libro di Deneault
che valgono i 18 euro del prezzo di copertina. Sono a nostro giudizio le
seguenti: «La principale competenza di un mediocre? Riconoscere un altro
mediocre. Insieme organizzeranno scambi di favori per rendere potente un clan
destinato a crescere, perché i mediocri fanno presto ad attirare i loro
simili».[3] In questo brano è proposta, sinteticamente, una teoria di tutto
rispetto - che però purtroppo non è stata ripresa in nessun’altra parte del
libro - e cioè la teoria secondo la quale la mediocrità è una qualità del carattere sociale[4] individuale e che
la mediocrazia, cioè la società dove
spadroneggiano i mediocri, è un sistema costruito e continuamente mantenuto
dalle scelte e dai comportamenti quotidiani di ciascun mediocre. Cioè,
banalmente, la mediocrità diffusa di innumerevoli mediocri contribuisce a
costruire e a mantenere i vari sistemi
della mediocrità nelle università, nell’industria, nella finanza, nell’arte
e così via, seguendo la casistica di Deneault. La mediocrazia sarebbe dunque
resa possibile a causa della convenienza (magari anche in termini di calcolo
razionale) della maggioranza mediocre a riconoscersi, a scegliersi, ad
appoggiarsi reciprocamente e a escludere chiunque possa metterla in
discussione. Per una simile congregazione di mediocri, gli
eccellenti costituiscono una minaccia costante e vanno attentamente
monitorati e neutralizzati. Tanto da organizzare nei loro confronti delle vere e
proprie pratiche di esclusione. Se
si pensa a come sono oggi distribuiti i posti di comando nelle imprese, nelle
organizzazioni burocratiche, nei partiti politici, non si fa fatica a
considerare davvero interessante questo modello interpretativo.
13. In tutto il resto del libro, purtroppo, Deneault
non segue questo interessante assunto teorico. Assume anzi una posizione del
tutto opposta. La mediocrazia è concepita come un sistema
impersonale che assomiglia alquanto al dominio
della tecnica, più o meno come teorizzato da una pletora di filosofi
continentali come Husserl, Marcuse e tutti i francofortesi, Heidegger, Spengler
e così via. Ci sarebbe dunque, questo è l’assunto teorico di fondo, un sistema
mediocratico che appare come dotato di vita propria, che è più della somma
delle sue parti, come il Leviathan. Un sistema auto instauratosi che pretende da
tutti la mediocrità, che produce così una pletora di mediocri i quali -
evidentemente del tutto innocenti e perfino riluttanti - sono costretti a stare al gioco del sistema. Insomma, i
mediocri sono soltanto delle pedine del sistema. La teoria sfocia così in una
splendida difesa di chi è soltanto mediocre
a titolo personale. Alimentando e sostenendo il sistema della mediocrità, i
mediocri non ci guadagnano nulla. Si tratterebbe di mediocri loro
malgrado o mediocri contro
voglia. Magari anche a loro
insaputa. Sono probabilmente loro i nuovi soggetti
rivoluzionari.
14. Di conseguenza – così avviene nelle conclusioni –
l’analisi di Deneault si trasforma in un’epica anti mediocratica, dove tutto va
bene pur di contrastare l’imperio della media/mediocrità. Sentiamo già lo
slogan: «Mediocri di tutti i Paesi unitevi, contro il Sistema Mediocratico!». Il
lettore non fa alcuna fatica a riconoscere in questa conclusione, la vecchia
radicale lotta contro il sistema,
quel sistema che ha ora indossato la maschera mediocratica. Se non altro, il mediocratismo in questi termini pare un
candidato adatto a sostituire il finanzcapitalismo nei nostri incubi
notturni. Sennonché il progetto politico di Deneault per sconfiggere il
mediocratismo lascia davvero esterrefatti (almeno quelli come noi, che abbiamo
passato la giovinezza sui testi di Marx e sui classici della sociologia). Citando Aristotele in maniera
assolutamente inappropriata e ridicola (e cioè usando i concetti di generazione
e corruzione della Fisica
per proporre una teoria del cambiamento sociale), nelle ultime pagine, Deneault
propone un programma politico distruttivo secondo il quale, dal co-rompimento (sic!) del sistema
mediocratico esistente dovrebbe derivare la generazione
di qualcosa di nuovo. Afferma profeticamente l’autore: «Rompere insieme.
Co–rompere. Adesso sta a noi alterare le fondamenta del regime stabilito. A
questo punto, la forza corruttrice siamo noi. Non ci resta che co-rompere […]
quelle forme terribili per generarne altre».[5] Una bella «dialettica
aristotelica» di corruzione e generazione. Facile,
No?
15. In effetti, non si può andare a raccontare a un
pubblico di mediocri la verità, piuttosto depressiva, che in realtà i
mediocri siamo noi e che, se vogliamo superare la mediocrità, dovremmo
ingaggiare soprattutto una battaglia
contro noi stessi. E che dovremmo ispirarci alle rare
eccellenze che ci sono in giro per migliorare noi stessi e così contribuire
semplicemente ad alzare la media.
Meglio invece raccontare che quello della mediocrità è un sistema
cattivo, del tutto estraneo a
ciò che noi siamo veramente - cioè noi siamo unici e irripetibili e,
soprattutto, non mediocri come tutti gli altri - e che noi senza quel sistema
non saremmo mediocri, e che, dopo aver co-rotto il sistema, saremo finalmente
liberi e, solo a questo punto, ci
sarà la generazione, nascerà
qualcosa di completamente nuovo. Come al solito, solo la radicalità con cui
avremo combattuto e abbattuto il vecchio sistema ci darà la garanzia che quello
nuovo sarà davvero tutto nuovo.
Tutto nuovo, salvo il fatto che, ahimè, la distribuzione di Gauss continuerà a
funzionare esattamente come prima.
Giuseppe Rinaldi
23/03/2018
OPERE CITATE
2015 Deneault, Alain
La médiocratie, Lux Éditeur. Tr. it.: La mediocrazia, Neri Pozza Editore, Vicenza, 2017.
La médiocratie, Lux Éditeur. Tr. it.: La mediocrazia, Neri Pozza Editore, Vicenza, 2017.
NOTE
[1] Cfr. Deneault
2015.
[2] Deneault 2015:
35.[3] Cfr. Deneault 2015: 35.
[4] Mi riferisco qui a un vecchio concetto di Eric Fromm.
[5] Cfr. Deneault 2015: 226.