Questo articolo riguarda specificatamente la politica locale di Alessandria. Può non essere ben compreso da chi non conosca i meandri della politica cittadina. Penso comunque oggi la situazione alessandrina sia del tutto emblematica di come vanno le cose nel nostro Paese. C'è materia istruttiva per tutti. Per comprendere l'essenziale occorre sapere che Rita Rossa è la candidata del centro sinistra (sindaco uscente della città), mentre Cuttica di Revigliasco è il candidato del centro destra. Si parla delle elezioni comunali del giugno 2017.
1. Prima di ogni valutazione politica, data la gravità di quel che è successo, è il caso di fare anzitutto qualche attenta considerazione sui risultati del voto. Mi servirò dei dati finora comunicati, con la riserva di qualche lieve inesattezza dovuta ai conteggi. Userò per i confronti le cifre assolute, che si prestano meglio a dimensionare il fenomeno, anche se sono un po’ più noiose da seguire. Le mie considerazioni sono puramente interpretative dei risultati numerici. Se qualche Istituto di ricerca avrà voglia di calcolare i flussi elettorali si potranno avere maggiori ragguagli e dettagli.
2. Al secondo turno del 25 giugno, Rita Rossa ha incassato 14937 voti, corrispondenti al 44,3%. Il suo contendente, Cuttica di Revigliasco, ha invece ricevuto 18762 voti, pari al 55,7%. La differenza tra i due è di ben 11,4 punti percentuali. I dati messi così comunicano tuttavia la conclusione illusoria che Cuttica abbia avuto il consenso di più della metà degli alessandrini. E che Rossa abbia ricevuto un consenso di meno della metà. Se calcoliamo le percentuali non sui votanti effettivi ma sugli aventi diritto (che sono 75761) otteniamo un quadro più realistico. Il risultato di Rossa vale il 19,7% degli aventi diritto, mentre quello di Cuttica è pari al 24,8%. Fatto questo ridimensionamento, una prima considerazione è che Rita Rossa è riuscita a governare la città per cinque anni ottenendo, alla fine del mandato, il consenso esplicito (anche se non sempre entusiasta) di neppure il 20% dei cittadini elettori. Evidentemente, ben oltre la questione del dissesto, qualcosa non deve aver funzionato se solo due cittadini elettori su 10 hanno deciso di votare per lei. D’altro canto, il nuovo sindaco ha vinto e si appresta a governare con il consenso esplicito di neanche un quarto degli alessandrini elettori. Solo due cittadini e mezzo su 10 lo hanno votato. In termini di rappresentatività effettiva, Cuttica dunque non sta molto meglio di Rossa. Si vedrà se e come riuscirà a essere il sindaco di tutti.
3. Tutto ciò pone evidentemente il gravissimo problema dell’astensione: al primo turno ha votato il 54,9%, al secondo il 45,7%, con una caduta del 9,2%. Cinque cittadini e mezzo su 10 (la maggioranza) non hanno votato. In termini assoluti, i votanti effettivi sono passati dai 41587 del primo turno ai 34627 del secondo, con una caduta di 6960 unità (tra questi, si trova probabilmente una ampia quota, difficilmente stimabile, dei 4943 votanti del M5S che sono stati invitati ad astenersi secondo le indicazioni nazionali del movimento[1]). L’elevata astensione, questa sì può essere considerata come un risultato indiretto ma negativo di cinque anni di governo di Rita Rossa. Non dimentichiamo che cinque anni fa Rossa aveva adottato proprio il motto «Insieme» come slogan elettorale. Qui non possiamo cavarcela invocando una tendenza nazionale all’astensione. Ci sono stati evidentemente dei fattori locali, delle carenze nella promozione della partecipazione politica che hanno contribuito a determinare questa situazione. Sono anni che il capitale sociale di questa città si degrada sempre più, senza che nessuno si accinga a porvi rimedio. È un allarme che, personalmente, ho lanciato anni fa ma che è rimasto inascoltato, probabilmente per limiti miei. Purtroppo però l’effetto boomerang non è un’invenzione mia.
4. Vediamo ora quel che è successo nel secondo turno.[2] Rita Rossa al primo turno aveva ricevuto 12821 voti personali. Ciò significa che – presumendo che questi voti di sostenitori espliciti siano stati in gran parte reiterati nel secondo turno - nel passaggio dal primo al secondo turno Rossa è riuscita a guadagnare appena 2116 voti. Si tratta di un’inezia rispetto al suo concorrente. Il quale invece aveva avuto 12144 voti al primo turno e ne ha ottenuti 18762 al secondo, guadagnandone così 6618. Evidentemente Rossa aveva già raggiunto la gran parte dei consensi al primo turno e nel secondo non è riuscita ad allargarsi oltre la fascia dei già convinti, mentre il candidato Cuttica è riuscito ad andare ben oltre.
5. Ciò significa – ulteriormente - che per Cuttica, che non ha fatto apparentamenti espliciti, qualcosa deve avere ben funzionato, essendo con ogni evidenza riuscito ad attrarre una parte consistente dei voti di Locci (3296) e probabilmente una parte dei voti lasciati in libertà dal M5S di Serra. Le statistiche nazionali affermano infatti che, approssimativamente, tra i seguaci del M5S, un terzo di loro ha più simpatie verso sinistra, mentre due terzi ha più simpatie per la destra.
Sembra allora – e qui sta la questione di fondo - che qualcosa non deve avere funzionato nell’apparentamento esplicito di Rossa con il variegato mondo della candidata Trifoglio. Qualcosa deve esser venuto meno anche con gli altri apparentamenti di area possibili (Miraglia e Ivaldi) non esplicitati nell’ambito del centro sinistra. Se sommiamo i voti di Miraglia (490), Ivaldi (1591) e Trifoglio (4653) la candidata Rossa, nell’ipotesi più favorevole, avrebbe potuto avere a disposizione, in un confronto contro il centro destra, un pacchetto di 6734 voti.[3] I quali voti, sommati ai propri personali, avrebbero determinato un pacchetto complessivo di 19555. Insomma, Rossa, se doveva perdere, doveva perdere avendo però ottenuto più di 19000 voti, se tutti avessero fatto il loro dovere.[4] Ne ha incassati solo 14937. Mancano dunque all’appello 4618 voti.
6. Questo significa che – come minimo - una parte rilevante dei voti di Miraglia, Ivaldi e Trifoglio non sono andati alla Rossa. È probabile che siano finiti nell’astensione, oppure che una parte sia andata a Cuttica (nell’esplicito intento di far perdere la Rossa, proseguendo in modo imperterrito lo spirito autolesionista del primo turno).[5] Possiamo quindi ipotizzare fondatamente che la sconfitta di Rossa, per com’è avvenuta, sia stata prima di tutto causata dalla defezione della sua parte del centro sinistra più che da una prestazione elettorale straordinaria della destra di Cuttica.
Se esaminiamo infatti la prestazione di Cuttica, assommando ai suoi voti personali del primo turno (12144) quelli “naturali” di Locci (3296) si giunge già a 15440. Se a questi aggiungiamo una parte dei due terzi di grillini che simpatizzano con la destra, una quota degli elettori anti Rossa del centro sinistra che hanno votato a destra per farla perdere, oppure qualche astenuto della prima ora che aveva qualche conto in sospeso con la Rossa, otteniamo facilmente una quota di voti che si approssima a quelli ottenuti da Cuttica (18762). Questo significa che Cuttica ha preso esattamente ciò che poteva prendere dalla sua area già predefinita, con qualche travaso dal lato opposto dello schieramento. Cioè, Cuttica non ha incantato gli alessandrini con il suo carisma personale, con il suo programma o con le sue capacità professionali. Lo si vede del resto facilmente dalla differenza tra i voti di lista e i voti personali al primo turno, che è assai limitata. Cuttica è semplicemente passato a incassare il dovuto agli sportelli della sua parte, la quale si è comportata lealmente.
7. Queste considerazioni, puramente numeriche, dimostrano che – sulla carta – Cuttica poteva anche essere battuto se tutti i votanti del centro sinistra del primo turno, apparentati e non, avessero fatto minimamente il loro dovere civico - cioè quello di far di tutto pur di impedire il ritorno di un governo di centrodestra in città. Evidentemente per molti questo obiettivo non era una priorità. Dalle cifre emerge dunque come la sconfitta di Rita Rossa sia nata e maturata all’interno dello schieramento del centro sinistra (inteso qui, come s’è detto, in senso ampio, comprendendo anche Miraglia, Ivaldi e Trifoglio). Le tre liste avevano lo scopo fondamentale di battere Rita Rossa, si sono impegnate e ci sono riuscite (certo, forse con la complicità di un’oggettiva debolezza della candidatura Rossa).
Quello che sto tentando di dire è che il risultato di Rossa non è assolutamente dovuto al fatto che sia stata un buon o cattivo sindaco ma è dovuto alla defezione di una parte della sua stessa area politica di centro sinistra. Un episodio di lotta politica spregiudicata interno alla sua parte politica e non certo la valutazione del suo operato in quanto sindaco. Gli oppositori di Rossa appartenenti al centro destra non sono aumentati (ciò sarebbe accaduto fosse stata decisamente un cattivo sindaco), sono i suoi fautori che si sono spaccati e poi ritirati, per farla cadere rovinosamente. E – maliziosi come siamo - abbiamo tutti i motivi per credere che non si siano ritirati in seguito a una sua valutazione in quanto sindaco. Una lotta politica interna in cui, pur di punire il nemico di turno, s’è fatta fallire l’intera coalizione.
8. Possiamo ora passare dall’analisi del voto a qualche considerazione di ordine politico più generale. Si può affermare con relativa certezza che la sconfitta di Rita Rossa era già implicita nella gravissima frammentazione dell’area del centro sinistra locale (inteso sempre in ampio senso) che si era determinata ormai da un pezzo. La frammentazione solo in ultimo si è fisicamente concretizzata in quattro candidati a sindaco e ben 12 liste, con una media di 20-30 nominativi per lista. Di questa frammentazione, una responsabilità politica grave va addossata al partito più importante dell’area, il PD locale, che non ha saputo egemonizzare l’area e non ha saputo mantenerne l’unità.[6] Una responsabilità altrettanto grave l’hanno avuta tutti i vari personaggi che hanno dato vita ai vari improbabili cespugli che hanno cercato, in modo vandalico, di ricavarsi il loro piccolo e inutile spazio.
È successo esattamente come se l’area del centro sinistra avesse, in modo totalmente demenziale, scambiato le elezioni comunali, quelle vere, per una sorta di primarie di coalizione per mettere in competizione i vari candidati e per scegliere il candidato migliore. Visto che Rossa era considerata un candidato inadatto.[7] Uno spettacolo davvero indecoroso. Quattro candidati a sindaco e dodici liste che si contendono gli elettori nello stesso spazio politico e che poi, quindici giorni dopo, avrebbero dovuto scendere a combattere unitariamente contro il centro destra (o contro il M5S, se avessero passato loro le primarie)!
9. In altri termini, è successo anche ad Alessandria quello che personalmente definisco il Metodo Fassino. Mi riferisco a quel che è accaduto a Torino, alle scorse elezioni amministrative, quando l’onesto sindaco Fassino è stato travolto dalle bordate congiunte provenienti dalla destra e dalla sinistra «unite nella lotta». La stessa cosa è successa nel referendum sulla riforma costituzionale, dove Renzi è stato impallinato dall’unità d’intenti della sinistra e della destra. Questo, l’impiego estensivo del Metodo Fassino, forse è davvero l’unico aspetto che allinea Alessandria con le elezioni nazionali. Oggi in molte occasioni l’elettore generico non va più a votare per sostenere un programma (i programmi intanto nessuno li conosce e poi si assomigliano un po’ tutti), ma va a votare per punire il proprio nemico diretto, anche a costo di votare per il primo che passa. Quando viene meno la politica, e pare proprio che in Alessandria la politica nel senso nobile del termine sia proprio venuta meno, di fronte ad altre istanze particolaristiche, non possono che venire in primo piano i sentimenti forti (la pancia, come dice Grillo). Solo che, in questi casi, il sentimento in questione non può essere che l’odio. Quando si fa politica con l’odio, non ci sono poi apparentamenti che tengano. Se poi, in questo clima, si organizzano anche formazioni politiche contro qualcuno, anziché a favore di qualcosa, si può dire che il Metodo Fassino possa dare davvero il massimo.
10. Dunque ci possiamo rassegnare. Grazie alle varie, contorte e machiavelliche defezioni del centro sinistra, abbiamo di fronte cinque anni di governo locale del centro destra. E - sia detto per inciso - quelli della mia età cinque anni da buttare non li hanno nemmeno più.
I responsabili oggettivi di questa gravissima sconfitta sapranno prendersi le loro responsabilità? Rita Rossa ha dichiarato di assumersi la responsabilità della sconfitta. Bene. La sua dichiarazione era doverosa. Chissà se sentiremo presto i vari Ivaldi, Miraglia, Trifoglio e, uno per uno, tutti gli esponenti nominativi delle 12 liste (e l’ottimo Cavalchini, che merita qui una menzione d’onore), dichiarare con chiarezza, ciascuno per quel che gli compete, «Scusateci!», «È stata colpa nostra!», «Abbiamo fatto una fesseria!». E in tal caso, di conseguenza, si faranno da parte? Saranno sostituiti da altri più competenti? O continueremo a trovarceli tra i piedi a fare i grilli parlanti, spiegandoci che «Dobbiamo aprire subito una riflessione»? E ci chiederanno il voto ancora un’altra volta?
La storia politica degli ultimi decenni di questa città insegna peraltro che la sinistra (il discorso vale anche per la destra, sia chiaro), dalle sconfitte, non ha mai imparato niente. Gli sconfitti, dalle nostre parti, possono solo peggiorare. Questa trista lotta politica cui abbiamo assistito in questi mesi rappresenta l’onda lunga di un peggioramento che viene da lontano, dalle precedenti sconfitte. Le sconfitte politiche, invece di essere, come talvolta può accadere, occasioni di cambiamento e di crescita, alimentano soltanto la selezione dei peggiori. E poi i peggiori si esprimono. Per cui l’area del centro sinistra alessandrino (sempre in senso ampio), così sovrabbondante di candidati e di liste per tutti i gusti e per tutte le “sensibilità”, è sicuramente destinata a diventare politicamente, socialmente e culturalmente sempre più evanescente e irrilevante. Come al solito, questa cosa la pagheremo cara, la pagheremo tutti.
Giuseppe Rinaldi
26/06/2016
NOTE
[1] Serra ha invece lasciato libertà di voto. Tuttavia, nel M5S, le indicazioni nazionali spesso prevalgono su quelle locali.
[2] Diamo qui per scontato che la popolazione che si è avvicendata alle urne nei due turni sia grossomodo la stessa. La maggior parte degli astenuti si suppone siano astenuti totali, cioè si siano astenuti sia nel primo sia nel secondo turno. La diminuzione di affluenza che c’è stata tra il primo e il secondo turno può essere dovuta anzitutto a un fattore comune a tutti i votanti e distribuito più o meno ugualmente su tutte le liste, come ad esempio il caldo o le vacanze incipienti. Oppure a fattori specifici. Il fattore specifico più noto è dovuto al caso del M5S, il cui dettato nazionale è stato di non andare a votare ove non ci fossero candidati del movimento ai ballottaggi. Come già detto a parziale correzione, Serra ha lasciato libertà di coscienza.
[3] Ci sembra fattibile questa somma poiché i candidati Rossa, Miraglia, Ivaldi e Trifoglio sono genericamente appartenenti a un’area di centro sinistra e hanno avuto esperienze politiche comuni, oltre che aver presentato programmi assai simili, talvolta indistinguibili. Si può ritenere che gravi divergenze personali abbiano indotto a presentare diverse candidature concorrenti, tuttavia si può altrettanto presumere che, in caso di alternativa secca tra centro destra e centro sinistra, queste forze avrebbero ben potuto e dovuto coalizzarsi.
[4] Su questo punto, cioè sull’impegno necessario delle liste di centro sinistra per arginare il centro destra, si veda l’editoriale di Renzo Renna su Città Futura in data 18/6/2017.
[5] Gli elettori del M5S che avrebbero potuto astenersi sono 4943. Gli elettori del blocco Miraglia, Ivaldi, Trifoglio sono 6734. Le astensioni in più tra il primo e il secondo turno sono state 6970.
[6] Questa incapacità è un fatto abbastanza generalizzato ed è una conseguenza della legge sull’elezione dei sindaci. Un tempo la politica locale era diretta dal partito il quale provvedeva a selezionare gli amministratori ed eventualmente a revocarli. La legge sull’elezione dei sindaci ha comportato la distruzione di ogni autonomia dei partiti locali e li ha trasformati in espressioni del potere personale degli amministratori. È chiaro che ogni candidato a sindaco aspira ad avere un partito (un partitino, un movimento) come massa di manovra. Se non l’ha, se lo costruisce.
[7] Se Rita Rossa era considerata da qualcuno come un candidato inadatto (considerato che, dopo 5 anni, l’hanno votata solo 2 alessandrini su 10 questa tesi poteva avere anche qualche fondamento) si trattava di porre esplicitamente il problema, di fare le primarie seriamente per trovare – ammesso che ci fosse - un candidato più adatto. Poiché, dopo dibattiti e conflitti interni estenuanti, tutto questo non è stato fatto, al momento delle elezioni non si poteva che serrare le fila, poiché ogni candidatura in contrapposizione non poteva che indebolire ulteriormente un candidato forse già debole. Evidentemente è mancato un processo democratico di scelta delle candidature che permettesse all’area del centro sinistra di raggiungere la sua unità. Così le divergenze personali hanno preso il sopravvento.