domenica 5 febbraio 2017

L’individuo ben socializzato

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1. La folla solitaria di David Riesman è un celebre classico della sociologia, pubblicato nel 1950.[1] L’opera ha goduto di una notevole popolarità anche se poi è stata messa abbastanza rapidamente nel dimenticatoio, insieme alla corrente di studi alla quale faceva riferimento. Riletto a più di sessant’anni di distanza, il libro di Riesman mostra indubbiamente i segni del tempo. Tuttavia alcuni suoi concetti di base, che all’epoca - col senno di poi -  non erano stati del tutto ben compresi, oggi paiono straordinariamente di attualità e quanto mai illuminanti.
Essi si riferivano a fenomeni psicologici e sociali che si trovavano ancora allo stato embrionale e che venivano osservati per la prima volta in alcuni settori della società americana. Più di mezzo secolo fa, sotto l’occhio critico di Riesman, si stavano sviluppando le prime manifestazioni di un nuovo tipo di umanità che sarebbe stato poi destinato a diffondersi e, forse, a soppiantare i tipi precedenti. I nuovi esemplari umani furono interpretati come i conformisti, oppure come gli anonimi consumatori delle società opulente, oppure come i condizionati, gli schiavi della pubblicità e della televisione, oppure, ancora, come il pubblico anonimo, evocato dallo stesso titolo del libro, dell’incipiente società di massa. A più di sessant’anni di distanza, cominciamo solo ora ad accorgerci che c’era ben altro in incubazione.
Può risultare allora decisamente interessante una riconsiderazione dei concetti basilari di Riesman,  per vedere se e come questi possano essere utili per illuminare quel che sta accadendo sotto i nostri occhi e che non riusciamo ancora - o che non riusciamo più - a capire. Una riconsiderazione di Riesman può aiutarci, in particolare, a comprendere le radici profonde di uno dei principali flagelli della nostra attuale società e della nostra epoca, e cioè l’individuo ben socializzato.[2]
 
2. L’opera di Riesman apparteneva a un orientamento di studi che fu denominato “cultura e personalità” e che fu assai popolare, fino agli anni Settanta. Si trattava di un indirizzo caratterizzato dalla fusione di concetti derivati dalla sociologia, dall’antropologia, dalla psicologia sociale e dalla psicoanalisi. Il suo scopo principale era quello di chiarire i rapporti tra le singole individualità e le rispettive culture di appartenenza. Il concetto chiave, che doveva servire per connettere la cultura e la personalità, era il carattere sociale,[3] una nozione che Riesman aveva mutuato da Eric Fromm.[4]
Ne La folla solitaria David Riesman proponeva un’ambiziosa teoria, sebbene talvolta un po’ vaga in alcuni passaggi, che faceva corrispondere ai diversi gradi di sviluppo - di tipo demografico, economico e sociale - una diversa strutturazione del carattere sociale di ciascun individuo. Trattandosi di una teoria causale, l’autore cercava di individuare gli effetti delle trasformazioni economico-sociali (in particolare quelle della società americana) sulla strutturazione interna delle individualità (oggi potremmo anche parlare di personalità, di identità personale o di self).[5] Ciò avrebbe permesso di cogliere le grandi tendenze di cambiamento delle società contemporanee e, quindi, dei relativi caratteri psicologici. Per realizzare una simile impresa occorreva avere a disposizione una tipologia di società e una corrispondente tipologia di caratteri sociali.
 
3. Il presupposto fondamentale della teoria di Riesman era funzionalista. Tutte le società, per sopravvivere adeguatamente, hanno bisogno di mantenere un certo grado di conformità degli individui. Questo risultato tuttavia può essere raggiunto in modi assai diversi. Riesman aveva identificato, sulla scia di una serie di studi sullo sviluppo economico e sociale allora in voga, tre principali modelli di società che costituivano dei tipi ideali, in senso weberiano. Si trattava di tre modelli di società che risolvevano in maniera diversa il problema della conformità e, di conseguenza, plasmavano il carattere sociale in modo diverso.
3.1. Il primo tipo individuato è la società tradizionale. Riesman qui ha in mente società assai semplici, statiche, dove la mobilità sociale è ridotta al minimo.  In questo tipo di società gli individui, in gran parte, sono diretti attraverso la segmentazione della popolazione secondo tipi precostituiti, soggetti a norme rigorose (in base a caratteristiche come sesso, età, ruolo svolto e così via). In una simile situazione ogni individuo non può che adottare ed esibire il carattere sociale tipico del segmento della popolazione di cui fa parte. Solo attraverso complessi rituali si può passare da un segmento all’altro. Questi individui, così strettamente determinati dal loro ruolo sociale, privi di una individualità differenziata, secondo Riesman sono diretti dalla tradizione.
3.2. Il secondo tipo è quello delle società mobili. Sono le società che attraversano una rapida fase di trasformazione, di sviluppo ed espansione - com’è accaduto nel caso delle società coinvolte nella rivoluzione industriale. Si tratta di società piuttosto caotiche, dove l’ambiente sociale circostante è altamente imprevedibile. In queste società, gli individui sono indotti, durante un lungo periodo consacrato all’apprendimento, a interiorizzare un complesso bagaglio formativo e a sviluppare poi, su quella base, la capacità di agire efficacemente di fronte agli imprevisti e ai cambiamenti. Questi individui saranno in gran parte autodiretti.
Questo significa che essi, in un certo senso, portano con sé, nel loro bagaglio personale, tutti gli elementi caratteristici della propria individualità. La conformità necessaria è ottenuta quindi principalmente attraverso la trasmissione, in maniera verticale, da una generazione all’altra, di un preciso tipo caratteriale. Gli agenti principali della formazione di questo tipo di carattere sociale sono la famiglia, le istituzioni religiose e, più in generale, le istituzioni educative. Le differenze individuali, se ci sono, sono dunque legate ai diversi curricoli formativi cui ci si è sottoposti. Ciò che conta è che questi contenuti siano individualmente interiorizzati e entrino a costituire proprio il carattere sociale (che in tal modo risulta costituire una parte comune della personalità individuale). Il bagaglio interiorizzato avrà continuità e stabilità, e darà luogo a caratteri sociali ben riconoscibili e non facilmente trasformabili. Simili individui, muniti del loro bagaglio interiore, saranno in grado di mantenersi, in una certa misura, fedeli a se stessi, nonostante il cambiamento anche turbolento che può avvenire attorno a loro. Curricoli formativi diversi possono dare luogo a caratteri autodiretti diversi e quindi fomentare anche conflitti di vario genere
3.3. Il terzo tipo di società è quello più recente, di cui si avevano le prime avvisaglie quando Riesman scriveva, quello in cui si ha il rallentamento della crescita economica e la diffusione di un relativo benessere, pur senza diminuire la mobilità  - è il caso delle società industriali giunte allo stadio della loto maturità. È un tipo di società relativamente stabile nel quale l’individuo è meno sottoposto a imprevisti e cambiamenti,  dove può usufruire di una relativa abbondanza nell’ambito dei consumi e dove può moltiplicare a dismisura le proprie relazioni sociali. In questa situazione, i legami con la formazione ricevuta e interiorizzata nel primo periodo di vita tendono a indebolirsi e s’intensificano invece i molteplici legami orizzontali con coloro con cui si stabiliscono rapporti interpersonali.
L’individuo si trova immerso in una quantità di relazioni sociali che egli intrattiene con i suoi pari, sul lavoro e nei momenti consumo e di svago. La conformità è ottenuta soprattutto attraverso l’immersione continua nel flusso che si rinnova costantemente delle comunicazioni e delle relazioni. Avere un bagaglio interno troppo rigido, in una simile situazione, diventa uno svantaggio: il bagaglio personale deve dunque essere alleggerito e diventare flessibile, in modo da consentire un adattamento continuo ai flussi mutevoli delle comunicazioni e delle relazioni sociali.
Ciò crea una notevole mutazione nel carattere. Il self o identità personale, invece di essere il risultato di una trasmissione di tipo verticale, ben strutturata al proprio interno e mantenuta saldamente per tutto il periodo della vita (quello che tradizionalmente in Occidente si chiamava educazione), è ora sempre più dipendente dalle relazioni orizzontali mutevoli che ciascuno instaura di volta in volta col proprio ambiente sociale. È dunque un’identità di tipo interattivo, un abito che si mette e dismette secondo le circostanze che sopravvengono. Il fine della maturazione individuale non sta più tanto nel disporre di un’identità personale unica, continuativa e spiccata, nel costruirsi una struttura stabile e ricca al proprio interno, quanto piuttosto nell’estrema adattabilità, nel saper stare sempre al posto giusto nel momento giusto, nell’essere, in altri termini, sempre adeguati alle circostanze.[6] Gli individui che possiedono queste caratteristiche sono definiti da Riesman come eterodiretti.[7]
Riesman era convinto che nella società americana fosse in atto, per effetto dello sviluppo economico e sociale che aveva ormai raggiunto la maturità, un passaggio tendenziale dal carattere autodiretto al carattere eterodiretto. Questo cambiamento era allora visibile soprattutto nelle grandi concentrazioni urbane americane, ma sarebbe stato destinato a diffondersi ovunque in concomitanza con le trasformazioni economiche e sociali. Si sarebbe trattato di un passaggio che avrebbe cambiato completamente il volto della società americana e del resto dell’Occidente.
 
4. La nozione di carattere sociale utilizzata da Riesman è coerente con la psicologia e l’antropologia del suo tempo. Secondo Riesman: «Il “carattere sociale” è quella parte del “carattere” propria dei gruppi sociali rilevanti e - come afferma la maggior parte degli studiosi di scienze sociali - prodotto dall’esperienza di tali gruppi. La nozione di carattere sociale ci permette di parlare, […] del carattere di classe, gruppi, regioni e nazioni».[8]
Un carattere sociale di qualche tipo è necessario poiché ogni società, se vuol mantenersi tale, deve in qualche misura assicurare la conformità dei propri membri. Riesman cita in proposito Erich Fromm: «Affinché qualsiasi società possa funzionare bene, i suoi membri devono acquisire un tipo di carattere che porti loro a voler agire nel modo in cui devono agire in quanto membri della società stessa o di una sua classe particolare. Essi devono desiderare ciò che nei fatti è oggettivamente necessario fare. La forza esterna viene sostituita da una costrizione interna e da quel particolare tipo di energia umana che si incanala nei tratti caratteriali».[9]
Cambiando il tipo di società, cambiano anche i modi attraverso i quali le diverse società si assicurano la conformità. Questi cambiamenti sono considerati da Riesman come delle vere e proprie rivoluzioni nel rapporto tra individuo e società. Naturalmente occorre guardarsi da ogni schematismo. Riesman precisa infatti che: «[…] nei fatti non può esistere un oggetto come una società o un individuo completamente diretto dalla tradizione, completamente auto o eterodiretto: ognuno di questi modi di conformità è universale, e la questione è sempre l’intensità con cui un individuo o un gruppo sociale si sostiene sull’uno o sull’altro di questi tre meccanismi. […] Inoltre, poiché ognuno di noi è in grado di praticare tutti e tre i modi di conformità, è possibile che, nel corso della vita, un individuo si sposti da una forte dipendenza da una combinazione di essi verso un altrettanto forte dipendenza da un’altra combinazione».[10]
L’aspetto importante della teoria del carattere sociale di Fromm e Riesman sta nel riconoscere che una parte importante di noi stessi, del nostro self, è strettamente legata alle modalità con cui ci rapportiamo – nello stesso modo in cui lo fanno tanti altri simili a noi – alla società e alla cultura in cui siamo immersi. È questa comune interazione che costituisce un carattere sociale che è perfettamente distinguibile nelle sue caratteristiche e nei suoi effetti.
 
5. Vediamo ora, con qualche maggior dettaglio e con le parole stesse di Riesman, come si caratterizzano i tre caratteri sociali da lui individuati.
5.1. Nel caso delle società tradizionali: «[…] la conformità di un individuo tende a rispecchiare la sua partecipazione a un particolare gruppo distinto in base all’età, a un clan o a una casta; ed egli impara a comprendere e ad apprezzare quei modelli durati per secoli e modificati solo leggermente dal susseguirsi delle generazioni. Le importanti relazioni della vita possono essere controllate da regole rigide e accurate, che i giovani imparano nel corso degli anni di intensa socializzazione, i quali terminano con l’ammissione al gruppo degli adulti. Inoltre la cultura, oltre dai suoi compiti economici, o come parte di essi, fornisce il rito, la consuetudine e la religione per occupare e orientare gli individui».[11] Il carattere sociale risulta dunque del tutto omogeneo ai gruppi segmentali di cui l’individuo fa parte. Gli individui sono il ruolo che ricoprono di volta in volta.
5.2. La crisi della società tradizionale porta a una rivoluzione. Il venir meno delle rigide strutture normative esterne sposta l’asse della direzione all’interno del singolo individuo. L’individuo diventa allora principalmente diretto dall’interno o autodiretto. Secondo Riesman: «[..] La fonte di direzione per l’individuo è “interiore”, nel senso che essa viene impressa nel corso dei primi anni di vita da parte dei più anziani e diretta verso fini generalizzati, ma non di meno inevitabili».[12] Questo implica che nel self o nell’identità personale debbano accumularsi una notevole quantità di contenuti, un vero e proprio bagaglio per la vita che ciascuno deve mantenere, coltivare e sviluppare, indipendentemente dalla situazione esterna che può ora essere la più varia e la più mutevole.
Avendo un suo proprio bagaglio interno permanente e autonomo, l’individuo è così messo in grado di affrontare un ambiente in continua trasformazione. La variabilità accentuata dell’ambiente e la sua complessità fanno sì che le linee guida del progetto vitale individuale si trovino al proprio interno e non più all’esterno. Questo tipo di individuo è adatto per tutte quelle situazioni caratterizzate dalla mobilità, dalla complessità e dalla concorrenza.
5.3. Quando la società, dopo un periodo di sviluppo, di cambiamento rapido, si assesta e quindi l’ambiente torna a essere principalmente stabile e prevedibile, in una situazione di ridotta conflittualità e di relativa abbondanza, si producono le condizioni per l’affermazione del carattere eterodiretto. Afferma Riesman: «Il tratto comune a tutte le persone eterodirette consiste nel fatto che i coetanei rappresentano la fonte della direzione per l’individuo; essi sono composti sia dalle persone che conosce direttamente, sia da quelle con cui ha relazioni indirette, mediate da amici o da mezzi di comunicazione di massa. Naturalmente, poiché la dipendenza da tale fonte di orientamento si radica presto nella vita del bambino, essa è una fonte “interiorizzata”. Gli obiettivi che le persone eterodirette perseguono si spostano seguendo questa guida: sono soltanto il processo che porta all’obiettivo e il fatto di prestare attenzione ai segnali provenienti dagli altri che restano inalterati per tutto il corso della vita. Questo modo di mantenere i contatti con gli altri permette un’elevata conformità comportamentale che non si ottiene tanto esercitando il comportamento stesso come nel caso del carattere diretto dalla tradizione, quanto piuttosto per mezzo di un’eccezionale sensibilità nei confronti delle azioni e dei desideri altrui».[13]
Aggiunge ulteriormente Riesman che: «Mentre tutti desiderano e hanno bisogno di essere apprezzati da qualcuno per qualche tempo, soltanto il tipo eterodiretto moderno fa di ciò la sua principale fonte di direzione e l’ambito principale della sua sensibilità».[14] L’identità personale dell’eterodiretto non è più costituita come un complesso formatosi nel corso dell’educazione e individualizzatosi attraverso le particolari esperienze personali. Molti elementi che prima erano caratteri distintivi e facevano parte del bagaglio individuale sono ora collocati all’esterno, nel contesto relazionale dei gruppi di riferimento cui l’individuo partecipa quotidianamente. Non occorre più tanto guardare all’interno di sé, basta guardare fuori di sé.
5.4. I diversi caratteri sociali naturalmente sono efficaci poiché gli individui fanno nei loro confronti un forte investimento emotivo. Riesman ritiene che per evidenziare le diversità fra questi tipi si possa prendere in considerazione il luogo del controllo emotivo e il diverso tipo di sanzioni che sono implicate in caso di non conformità. Per il tipo tradizionale il luogo del controllo emotivo è l’esterno. Per il tipo autodiretto il luogo del controllo è l’interno, mentre per il tipo eterodiretto il luogo del controllo è l’altro interiorizzato.
La sanzione per il tipo tradizionale è costituita dalla vergogna pubblica. La sanzione per il tipo autodiretto è costituita dal senso di colpa, la colpa per la violazione della norma interiorizzata, mentre la sanzione per il tipo eterodiretto è costituita da una diffusa inquietudine che, con terminologia attuale, potrebbe essere definita come ansia da prestazione. L’ansia cioè di non essere in grado di adeguarsi a quanto chiesto dal contesto relazionale in cui si è immersi. È importante comprendere come l’ansia da prestazione non è vissuta come colpa (perché non c’è alcuna violazione di una norma interiorizzata) ma come inadeguatezza a essere come gli altri. Non è un mero copiare gli altri, ma trovarsi nell’impossibilità di essere in modo significativo, posto che il significato stia nell’essere come gli altri.
È degno di nota, in proposito, che nel campo della psicologia clinica sia stata osservata – negli ultimi decenni – la progressiva sparizione della repressione derivante dal senso di colpa e la diffusione sempre maggiore dell’ansia da prestazione.[15]  Il problema della prestazione sembra sia diventato una delle questioni centrali della psicologia clinica degli ultimi decenni. Questo cambiamento sarebbe perfettamente collimante con un passaggio del carattere sociale modale dall’autodirezione all’eterodirezione.
5.5. Secondo Riesman, osservando lo sviluppo delle società in progressione storica si può ritrovare una specie di lotta tra i caratteri: «Possiamo descrivere gli ultimi secoli della storia occidentale come il graduale susseguirsi del predominio degli ultimi due tipi. Il tipo diretto dalla tradizione lascia il posto a quello autodiretto e quest’ultimo a quello eterodiretto. Le trasformazioni del tipo di società e di carattere non avvengono ovviamente tutte in una volta».[16] Solo quando le trasformazioni si sono accumulate e assestate è possibile rendersi conto che qualcosa è mutato. È ovvio che la prevalenza di un determinato carattere a discapito degli altri in una società costituirà un elemento caratteristico di quella stessa società e potrà essere usata come elemento esplicativo per una varietà di fenomeni.
 
6. La tipologia di Riesman in realtà non si limita alla definizione dei tre caratteri sociali. Essa è più complessa poiché, oltre ai tre modi di conformità, e quindi di adattamento, sono previsti anche due modi diversi (anomico e autonomo) di esercitare ciascuna conformità. Si ricordi che il modo di conformità corrisponde sempre a richieste tipiche da parte della società. L’individuo può poi ancora rispondere in maniera diversa a queste richieste.
 
 
Adattato
Anomico
Autonomo
Carattere tradizionale
 
 
 
Carattere autodiretto
 
 
 
Carattere eterodiretto
 
 
 
 
All’interno di ogni tipo di carattere sociale abbiamo in gran prevalenza i bene adattati (che mostrano quindi lo specifico carattere della loro società in modo spiccato). Abbiamo poi, però, anche gli anomici, cioè quelli che interpretano in modo anomalo il modello di adattamento prevalente nel loro ambiente, e poi coloro che sono invece autonomi, sono cioè in grado di controllare consapevolmente e autonomamente il proprio tipo di adattamento. Entrambi questi gruppi costituiscono per lo più delle minoranze  o  delle eccezioni. Purtroppo Riesman non ha approfondito in dettaglio e in modo sistematico i diversi tipi generati dall’incrocio tra le variabili della sua tabella (alcuni dei quali, presumibilmente, possono anche essere del tutto vuoti, come nel caso del tradizionale - autonomo).
 
7. Particolarmente interessante, nell’analisi di Riesman, è la declinazione della nozione dell’autonomia che non coincide per nulla con quella di autodirezione. Autonomi, in generale, sono quelli particolarmente consapevoli del loro specifico carattere sociale e che possono decidere, quindi, se e in quale misura conformarsi e, soprattutto, come conformarsi. L’autonomia costituisce dunque, in un certo senso, una regia di secondo livello che permette all’individuo di monitorare la propria stessa adesione a un certo carattere sociale. Questa regia di secondo livello probabilmente può essere ottenuta solo attraverso una sorta di riflessione autobiografica condotta attraverso un uso del linguaggio per monitorare se stessi e i propri comportamenti (quel che è chiamato inner speech o, più recentemente nella psicologia sociale, self - monitoring). È una condizione che probabilmente si può raggiungere più facilmente nel contesto di un livello elevato di istruzione o in seguito a particolari esperienze di riflessione e meditazione su di sé.
Da ciò si evince come, per Riesman, il carattere autodiretto non sia necessariamente autonomo. Chi abbia una profonda formazione religiosa, ad esempio, può essere fortemente autodiretto ma, non per questo, autonomo. L’autonomia dunque, se ha senz’altro una sua premessa nel carattere autodiretto, richiede un lavoro aggiuntivo da parte del singolo individuo. La nozione di auto o eterodirezione si riferisce fondamentalmente al luogo da cui scaturisce l’indirizzo verso la conformità. È la modalità attraverso cui la società si assicura la conformità, mentre l’autonomia o l’anomia costituiscono gli approcci attraverso cui il singolo individuo reagisce al modello di adattamento che gli è riservato.
 
8. È interessante il fatto che una società di eterodiretti, invece di essere depositaria di un preciso bagaglio formativo, di una tradizione da ereditare e sviluppare, sarà invece aperta ai cambiamenti e alle trasformazioni che si affermano a livello di massa (come nel caso delle mode); il bagaglio di ciascun individuo andrà soggetto a una progressiva obsolescenza secondo gli sviluppi delle mode, degli stili, delle preferenze. Per usare una metafora, è come se il bagaglio personale dell’autodiretto fosse sostituito da un bagaglio collettivo medio collocato e diffuso nell’ambiente relazionale di riferimento. Il bagaglio collettivo medio, che va soggetto anch’esso a cambiamenti, è dotato di un forte potere di attrazione verso i singoli. Si cambia continuamente, ma si cambia tutti insieme, tenendosi d’occhio continuamente.
Se questo è vero, il caso dell’eterodiretto autonomo dovrebbe risultare poco diffuso, poiché l’eterodiretto tende a porre il proprio nomos fuori di sé e quindi tende a modificarsi costantemente avendo gli altri significativi come riferimento, tende cioè a interiorizzare le novità e ad abbandonare ciò che non ha più rispondenza nell’ambiente. Qualora attraverso un attento monitoraggio di sé egli giunga a problematizzare la propria dipendenza dal suo milieu sociale diventerebbe immediatamente in grado di filtrare consapevolmente le influenze. Non è tuttavia impossibile ipotizzare che ci sia un’eterodirezione vissuta con lucida consapevolezza, con perfetta cognizione di causa.
È il caso di notare che il carattere sociale di Riesman è una disposizione appresa e quindi mutevole all’interno dello stesso individuo. Entro certi limiti il carattere sociale può andare soggetto a cambiamenti. Quando i cambiamenti individuali vanno tutti nella stessa direzione allora diventano tangibili, tanto da caratterizzare un certo ambiente sociale.
 
9. La teoria di Riesman ha un’interessante conseguenza nella interpretazione della stessa nozione di individualità che è una delle caratteristiche più tipiche della civilizzazione occidentale. Gli autodiretti tout court sono coloro che, avendo ricevuto una formazione precisa, l’hanno interiorizzata e ne hanno fatto la fonte costante e permanente delle loro scelte. Ciò permette una situazione di grande omogeneità tra coloro che hanno ricevuto la stessa formazione. Gli individui si assomigliano non perché interagiscono continuamente l’uno con l’altro ma perché hanno lo stesso bagaglio interno. Questa condizione è la base per la formazione e il mantenimento dei gruppi religiosi o dei gruppi ideologizzati. Insomma, le ideologie (comprese le religioni) tendono a formare gruppi ampi e permanenti ove gli individui siano dotati di un carattere sociale omogeneo. In queste comunità ci sarà una forte pressione per la conformità autodiretta ove, di conseguenza,  i devianti non saranno bene accetti e gli e autonomi potrebbero essere oggetti di sospetto. Queste comunità sono costituite da coloro che, in un certo senso, sono di fatto depositari di una stessa tradizione (sia una tradizione di famiglia, che di fede religiosa, che di militanza politica).
Max Weber ha perfettamente interpretato questa situazione attraverso le sue celebri analisi sul carisma (che corrisponde al momento dell’autonomia) e sull’istituzionalizzazione del carisma, che corrisponde al momento della riproduzione di individui autodiretti che portano dentro di sé l’insegnamento carismatico e che contribuiscono così alla sua istituzionalizzazione. L’epoca dei movimenti, delle religioni e delle ideologie, almeno in Occidente, si è dunque basata sul tipo di conformità assicurato dalla perpetuazione del carattere autodiretto. Dovrebbe essere abbastanza chiaro il rapporto teorico e concettuale che viene a instaurarsi tra l’avvento del nuovo carattere eterodiretto e la tanto discussa fine delle ideologie.
 
10. Come anticipato in apertura, i concetti di carattere sociale, di autodirezione, di eterodirezione e di autonomia, elaborati da Riesman ormai più di sessant’anni fa, possono risultare ancora, soprattutto oggi, di estrema attualità e possono risultare quanto mai utili per interpretare una serie di processi sociali e culturali che sono diventati evidenti soltanto negli ultimi decenni del Novecento, cioè in quell’epoca in cui le società occidentali hanno cominciato a definirsi a torto o a ragione – attraverso le elaborazioni dei loro stessi intellettuali – come società postmoderne. Del resto, nella sua prospettiva storico sociologica, Riesman aveva previsto l’avvento di un cambiamento epocale, costituito dalla progressiva sostituzione del carattere autodiretto con il carattere eterodiretto, cosa che sarebbe stata possibile dalle trasformazioni di tipo demografico, economico e sociale. Ovviamente Riesman non era ancora in grado di apprezzare il ruolo, in questo cambiamento, degli sviluppi delle tecnologie dell’informazione.
Proveremo in quel che segue a sviluppare alcune linee generali di analisi che ci permetteranno, grazie alle categorie di base di Riesman, di interpretare sotto una luce nuova diverse questioni assai problematiche che oggi ci preoccupano alquanto. Si tratta di questioni che solitamente sono state rubricate sotto la categoria generale di una mutazione antropologica degli individui che popolano le società occidentali. Il termine “mutazione antropologica” – detto per inciso – pare sia stato usato per la prima volta da Pasolini, anche se egli lo riferiva a tutt’altre problematiche.
 
11. Secondo la concezione classica più diffusa della modernità e della modernizzazione, col trascorrere del tempo avremmo dovuto assistere, nei termini di Riesman, alla progressiva sparizione del carattere tradizionale e alla progressiva affermazione del carattere autodiretto e, più specificatamente, del carattere autodiretto autonomo. Gli autodiretti autonomi, infatti, sono sempre stati considerati come il tipo umano indispensabile per l’affermazione di tutte quelle caratteristiche considerate come progressive e tipiche del mondo moderno, come la laicità, la secolarizzazione, lo sviluppo della scienza e della tecnologia, lo sviluppo economico e sociale, l’affermazione dei diritti umani, del pluralismo e della democrazia. Il carattere autodiretto autonomo è, insomma, quel carattere sociale che è strettamente connesso con la realizzazione dell’ideale umanistico e, più in particolare, della classica idea guida dell’emancipazione umana. Persino l’ideale marxiano dell’uomo comunista corrispondeva a un modello di uomo autodiretto e autonomo. Gli autodiretti autonomi hanno costituito, per secoli, il modello umano per eccellenza, l’obiettivo stesso della civiltà occidentale.
Gli eterodiretti, come Riesman li ha descritti, costituiscono invece qualcosa di molto diverso, una vera e propria rottura in quello che si era creduto dovesse essere il destino antropologico dell’Occidente o addirittura dell’umanità. Secondo la visione classica della modernità, gli eterodiretti sarebbero decisamente antimoderni e probabilmente anche antioccidentali.[17] Insomma, nell’interpretazione classica della modernità, gli eterodiretti non erano proprio stati previsti. Se erano stati in qualche modo considerati, lo erano stati come modello negativo, un modello di uomo imperfetto, di uomo alienato, da superare. Gli eterodiretti odierni non sembrano invece proprio degli autodiretti ancora immaturi, in fase di crescita, che aspirano a diventare autodiretti autonomi. Sembrano invece avviarsi a costituire un modello umano alternativo, un ramo evolutivo del tutto incompatibile con il precedente. Un modello autosufficiente, capace di affermarsi e generalizzarsi e soprattutto di fare a meno del modello precedente.
 
12. Questa nuova situazione sarebbe stata resa possibile proprio dallo sviluppo e dalla modernizzazione prodotti originariamente dagli autodiretti. Per la prima volta nella storia dell’Occidente, seguendo Riesman, lo sviluppo economico sociale e culturale sembra avere reso possibile un nuovo tipo di carattere sociale capace di rendere superflui, o addirittura controproducenti, gli autodiretti stessi e, in particolare, gli autodiretti autonomi. La stabilità raggiunta delle diverse società, la loro relativa ricchezza, la crescita dei consumi, la diffusione delle nuove tecnologie e dei social media hanno permesso la costituzione di un nuovo tipo di tessuto sociale incentrato intorno alle relazioni, dove i rapporti interpersonali, potenziati dai social media, sono ora in grado di assicurare la conformità e di fornire tutte le remunerazioni necessarie e le eventuali sanzioni per i comportamenti. Detto in altri termini, sarebbe recentemente avvenuto, nel campo delle relazioni sociali, lo stesso processo di autonomizzazione avvenuto secoli fa nel campo delle relazioni economiche con il mercato. Si sarebbe cioè realizzata e diffusa una gigantesca mano invisibile, in grado di regolare in modo automatico le interazioni sociali dall’esterno dell’individuo e non più dall’interno.
In questa nuova situazione il carattere autodiretto, cioè il carattere regolato principalmente dall’interno, diventa tecnicamente superfluo. Esso così, lungi dal costituire il modello più autentico dell’umanità, come avevano pensato gli antichi e i moderni, è ora ridimensionato a una delle diverse possibili strategie per assicurare la conformità, una strategia tra le tante che è stata caratteristica precipua di una certa epoca storica e che si trova ormai in via di abbandono.
 
13. L’obsolescenza progressiva del carattere autodiretto, che peraltro si può osservare sempre più frequentemente,[18] non è stata imposta da nessuno, si è diffusa spontaneamente, appena se n’è presentata la possibilità tecnica, ed è stata accolta trionfalmente dal pubblico. Ha avuto il senso di una liberazione da limitazioni e costrizioni. Al di là di ogni aspetto specifico, l’abbandono è dovuto principalmente al fatto che la produzione dell’autodiretto è scomoda; è un processo lungo e dagli esiti incerti e non è affatto divertente. Comporta un notevole dispendio di energie, un cospicuo investimento, un notevole impegno e, soprattutto, una certa sofferenza a livello individuale. Questa caratteristica, decisamente penosa, della costruzione dell’autodirezione è bene espressa dalla parola disciplina. Freud ha condensato la nozione del costo di produzione del carattere autodiretto attraverso il suo concetto del disagio della civiltà. Max Weber, dal canto suo, ha sottolineato la stessa problematica attraverso le nozioni della vocazione e dell’ascetismo.
La produzione degli eterodiretti - che solo ora sta diventando tecnicamente possibile in termini di automatismo sociale - confrontata con quella dell’autodirezione, è decisamente assai più soft, assai più friendly. In altri termini, si può ora fare a meno di un vero e proprio disciplinamento interiore fin dalla più tenera età. Non serve più spendere una vita per costruire e manutenere il proprio bagaglio interno.  Non c’è più bisogno della selezione e di apparati repressivi espliciti. La conformità necessaria è ottenuta principalmente intrappolando gli individui nella rete ormai onnipresente e onnipotente delle relazioni interpersonali, reali o virtuali che siano. L’integrazione sociale avviene così in modo spontaneo – più o meno come avviene l’apprendimento della lingua materna - e ha il vantaggio di essere immediatamente gratificante, poiché si ha sempre un’immediata risposta da parte di coloro che sono coinvolti nella relazione. E’ la realizzazione del sogno della pedagogia anti autoritaria.
 
14. Detto in altro modo, il centro di gravità del self eterodiretto non è più la dimensione privata dell’individualità bensì l’insieme delle relazioni esterne. Siamo cioè alla presenza di un’ipertrofia della dimensione sociale del self che sopravanza a dismisura la parte privata individuale. Foucault ha descritto una simile situazione in modo particolarmente fosco, evidenziando e analizzando gli elementi di potere coercitivo che si trovano diffusi nelle relazioni e nelle istituzioni sociali e culturali. A differenza di Foucault, si tratta semplicemente di assumere che il potere del sociale non abbia soltanto un lato repressivo, bensì anche un lato costruttivo, un lato di edificazione del self, capace di fornire una remunerazione immediata e di indirizzare in modo soft. Una remunerazione sociale che è ora perfettamente in grado di sostituire l’auto remunerazione differita tipica invece dell’autodiretto.[19]
Essere sempre in contatto con un ambiente sociale con cui si ha un continuo scambio di remunerazioni più o meno immediate riempie l’esistenza, la rende tutto sommato più facile e meno problematica. Le dinamiche affettive nei confronti delle persone (presenti o virtuali) sono molto più soddisfacenti degli investimenti emotivi che in precedenza si dovevano fare nei confronti di cifre, simboli, concetti e sistemi astratti. Basta lasciarsi guidare dalla trama delle relazioni, che fornisce in modo auto evidente il significato delle situazioni, di tutto quel che avviene e di tutto quel che si sta facendo. Che svolge, dunque, anche una potente funzione normativa.
 
15. Ciò può soltanto ora funzionare perfettamente, poiché il tessuto relazionale (entro cui entrano molti individui singoli, molte situazioni) è ormai diventato estremamente denso e onnipervasivo. L’individuo ben integrato è, infatti, tutt’uno con questo tessuto relazionale. Tutti gli sforzi individuali sono dunque indirizzati a immergersi sempre più nel mare delle relazioni, in modo da giungere a massimizzare tutte le proprie chance. Tutto ciò però fa sì che il bagaglio privato del self si riduca sempre più. Si è sempre più presenti sulla piazza pubblica delle relazioni e sempre meno nel proprio foro interiore. Prova ne è che, quando per qualche motivo il tessuto relazionale viene meno, l’individuo eterodiretto si trova depauperato della parte principale del proprio self, senza avere un suo self indipendente. Questo lo porta, come un animale domestico che ha perso il padrone, a cercare immediatamente un altro ambiente relazionale sostitutivo, senza il quale non saprebbe più come fare. Si può in tal modo passare continuamente da un ambiente relazionale all’altro, senza sviluppare mai un self auto sostenuto e indipendente.
Un self indipendente (che come abbiamo osservato è costoso e penoso) diventa così superfluo, un vero e proprio spreco, quando vi sia un’abbondante offerta di situazioni relazionali in cui infilarsi e soggiornare. In fondo basta avere l’agenda piena di scambi, incontri, comunicazioni. Quando l’offerta relazionale è abbondante, quando sopravanza grandemente il tempo disponibile, si può saltare da una relazione all’altra senza accumulare alcun bagaglio, senza produrre alcuna sintesi, senza alcun elemento critico – mettendo anzi accuratamente da parte ogni elemento critico – senza alcuna presa di distanza. Un continuo esserci, stando immersi beatamente nella corrente.
 
16. Sembra così che, seguendo le intuizioni di Riesman, l’uomo nuovo del prossimo millennio non sia destinato a essere il prodotto dell’autodirezione e dell’autonomia. Non sia un prodotto dell’evoluzione culturale, avvenuta in seguito all’affermazione di qualche religione o di qualche ideologia. La genesi dell’uomo nuovo prossimo venturo sembra destinata a essere decisamente assai più prosaica. Nel momento in cui, nell’esperienza quotidiana, diventa di per sé evidente che la faticosa conquista dell’auto direzione è un’inutile sofferenza, magari una pratica legata a tempi passati assai più bui, che è tempo sprecato, che si può vivere benissimo senza, e che si può ottenere immediatamente una quantità di risposte emotivamente gratificanti immergendosi nel mare sovrabbondante delle relazioni - ecco che allora si è pronti per l’amputazione preventiva della parte più personale del proprio self, per relegarla in un angolo, per zittirla, per non darle alcuna possibilità di crescita. Il tutto per non disturbare il lavorio della mano invisibile del mercato delle relazioni sociali che intanto è sempre all’opera. Questo, ahimè, è, e sarà sempre più, l’individuo ben socializzato, quello che in Occidente, in quest’ultimo mezzo secolo, è stato l’obiettivo formativo prevalente delle famiglie e delle istituzioni, cioè quello che si esprime e comunica continuamente ma che non ha più nulla di proprio da esprimere.
 
Giuseppe Rinaldi
25/09/2016
5/02/2017 (rev.)
 
 
OPERE CITATE
 
1998   Brown, Jonathon D.
The Self, Mc Graw Hill.
 
1941 Fromm, Eric
Escape From Freedom, Holt, Rinhearth and Winston, New York. Tr. it.: Fuga dalla libertà, Comunità, Milano, 1963.
 
2004 Gallino, Luciano
Dizionario di sociologia (2a ediz.), UTET, Torino. [1978]
 
2010   Recalcati, Massimo
L'uomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicoanalitica, Raffaello Cortina, Milano.
 
1969 Riesman, David & Glazer, Nathan & Denney, Reuel
The Lonely Crowd, Yale University Press, New Haven and London. Tr. it.: La folla solitaria, Il Mulino, Bologna, 1999. [1950]
 
 
NOTE
 
[1] Cfr. Riesman et Al. 1969. L’opera, oltre a Riesman, è attribuita ad altri due coautori, Glazer e Denney, appartenenti al team di ricerca. Qui si seguirà l’uso corrente di citare il solo Riesman quale autore principale. Il titolo The Lonely Crowd, a quanto pare, era stato imposto dall’editore. Anche se esprime qualcosa del contenuto del libro, ha contribuito ad avvalorarne un’interpretazione riduttiva.
[2] Qui il termine socializzazione è utilizzato secondo il senso comune che ha assunto nella seconda metà del secolo scorso. Originariamente il termine aveva avuto un utilizzo accademico ed era pressappoco sinonimo di inculturazione. Stava cioè a indicare quel processo attraverso il quale un individuo apprende la propria cultura. Solo nella seconda metà del Novecento, sull’onda della pedagogia progressista sviluppatasi sulle due sponde dell’Atlantico, il termine ha cominciato a essere usato nel senso di sviluppo delle abilità sociali e relazionali. Insomma, da allora i “socializzati” sono i particolarmente socievoli, qualsiasi cosa ciò stia a indicare. Secondo quest’accezione, un eremita che, grazie alla sua inculturazione religiosa perfettamente riuscita, decida di passare la vita da solo, in penitenza e preghiera, sarebbe dunque poco socializzato.
[3] Sulla nozione di carattere sociale vedi, in generale, Gallino 2004.
[4] Cfr. in particolare, Fromm 1941. Fromm, come altri francofortesi, era migrato in America in seguito all’avvento del nazismo.
[5] Dagli anni Settanta la psicologia sociale ha compiuto notevoli progressi nella ricerca intorno al self. Una panoramica di questi risultati si trova in Brown 1998.
[6] Mentre l’autodiretto cerca soprattutto di essere fedele a se stesso (per come si è definito nel suo percorso di formazione e di crescita), l’eterodiretto cerca di essere adeguato all’ambiente sociale nel quale si trova. È come se la stabilità, che prima si dava per scontato risiedesse dentro al singolo, sia ora collocata all’esterno, nell’intreccio delle relazioni sociali in cui si è immersi..
[7] Negli anni ’70, nel nostro Paese, questi individui sarebbero stati definiti come “ben socializzati". La sinistra pedagogica è stata in questo caso vittima di un colossale errore, poiché ha ritenuto di formare dei cittadini autonomi attraverso metodi pedagogici che al più potevano essere adatti per la formazione di individui eterodiretti nel senso di Riesman.
[8] Cfr. Riesman et Al. 1969: 62.
[9] Cfr. Riesman et Al. 1969: 63.
[10] Cfr. Riesman et Al. 1969: 90-91.
[11] Cfr. Riesman et Al. 1969: 69-70.
[12] Cfr. Riesman et Al. 1969: 74.
[13] Cfr. Riesman et Al. 1969: 81.
[14] Cfr. Riesman et Al. 1969: 82.
[15] Cfr. Recalcati 2010.
[16] Cfr. Riesman et Al. 1969: 92.
[17] Su questo punto vale la pena di formulare un’osservazione, che qui non ho spazio per sviluppare, secondo cui gli eterodiretti potrebbero avere alcuni punti in comune con le culture collettivistiche, soprattutto  con quelle orientali, come studiate da Hofstede e Triandis. Mi riprometto di tornare altrove sulla questione. In sostanza, l’individuo occidentale ultra socializzato potrebbe manifestare alcune caratteristiche – ma non tutte – delle culture collettivistiche orientali.
[18] Le evidenze empiriche che prospettano una crisi o una progressiva sparizione del carattere autodiretto sono innumerevoli. Esse coincidono con la progressiva crisi del modello umano inaugurato e promosso dalla modernità. A mo’ di esempio – riservandoci eventualmente di tornare sull’argomento – possiamo citare le principali tematiche filosofiche proposte dal postmodernismo, la questione della fine delle ideologie, la crisi degli intellettuali, il post-pensiero e la post-verità, gli attacchi sempre più diffusi e popolari al pensiero scientifico, alla logica e alla razionalità.  La tematica della sparizione dell’uomo gutemberghiano e dell’affermazione del villaggio globale su cui ha insistito la Scuola di Toronto. La questione delle ipotetiche mutazioni antropologiche derivanti dalle nuove tecnologie e dai social media. La prevalenza dell’homo videns descritta da Sartori. La crisi dei sistemi educativi occidentali, che stanno rinunciando a qualsiasi tipo di formazione di caratteri autodiretti per diventare centri di intrattenimento e di “socializzazione”, cioè di iniziazione al carattere sociale eterodiretto. La nuova configurazione dei disturbi psichici nella psicologia clinica, cui abbiamo già accennato.
[19] L’autodiretto, seguendo la propria direzione, è in grado di opporsi al proprio ambiente sociale immediato e di scartare qualsiasi remunerazione per trovare una remunerazione in se stesso. Solo così sono possibili le diverse forme di opposizione sociale.