lunedì 10 agosto 2015

Secolarizzazione e pirateria morale

Dialoghi con Sofia 17

magritte
 
È abbastanza assodato che nei Paesi occidentali si stia manifestando una tendenza verso la secolarizzazione. Generalmente si ritiene che si tratti di una buona cosa. Tuttavia se si osserva in termini analitici quel che sta avvenendo nel nostro Paese si è costretti a concludere che, accanto a una buona secolarizzazione, dobbiamo per lo meno ammettere la possibilità di una cattiva secolarizzazione. L’Italia è senz’altro stata investita da una secolarizzazione tarda e nello stesso tempo assai rapida e ciò ha indubbiamente prodotto una serie di molteplici effetti indesiderati. L’effetto indesiderato di maggior portata è tuttavia spesso misconosciuto, tanto misconosciuto da non essere quasi mai messo in relazione con la secolarizzazione stessa.
 
Per comprendere la questione, dobbiamo avere un’idea abbastanza precisa di quale sia stata la funzione sociale della religione nelle società tradizionali. Non si tratta qui di rispolverare il funzionalismo sociologico su vasta scala, quanto di riconoscere la sussistenza di alcuni meccanismi innegabili che presiedono il rapporto tra la religione e la società. La religione, in un modo o nell’altro, ha sempre presieduto alla strutturazione dei rapporti sociali. Può darsi anche che questa sia una delle ragioni della sua sopravvivenza. La religione impone fin dalla tenera infanzia, a tutta la popolazione, una visione del mondo complessiva e, più specificatamente, una visione della società e dei rapporti interpersonali. In fondo la religione fornisce tutto quel che serve per la strutturazione di una società, comprese le nozioni dell’etica e della politica. Le società teocratiche possono ricavare dalla religione tutto quel che serve loro per strutturarsi e per mantenersi. Gli Stati moderni, da pochissimo tempo sul piano storico, hanno sottratto alla religione parte delle sue originarie competenze e le hanno esercitate in proprio (anche se non sempre con pieno successo). Così la religione è stata relegata nel privato.
 
Con l’avvento degli Stati moderni non c’è stata tuttavia una netta cesura con la religione. Soprattutto negli Stati moderni di più recente formazione, dove è ancora forte l’influenza della tradizione, la religione ha continuato a governare i rapporti tra le persone, la loro visione del mondo, le regole generali dell’etica. Anche quando la partecipazione religiosa è nettamente diminuita, come nel Novecento, il peso della religione nella definizione della visione del mondo e della visione della società ha continuato a rimanere rilevante (si pensi alla lentezza con cui sono state acquisite e si sono diffuse certe libertà personali che andavano a confliggere con i precetti religiosi tradizionali: la libertà di coscienza, la libertà di divorziare, l’aborto, … ). Insomma, pur in presenza di un forte declino delle pratiche religiose, la visione religiosa del mondo e l’etica religiosa in particolare hanno continuato a persistere, quasi come per inerzia (evidentemente in mancanza di un’altra etica sostitutiva). E hanno continuato ad alimentare la cultura comune. Questa persistenza della tradizione ha un senso, poiché ha permesso di strutturare gli elementi comuni di base utili per raggiungere un minimo di integrazione. Nel medioevo, ad esempio, al di là della giurisdizione politica, ovunque si andasse si poteva contare sul fatto di incontrare persone che avevano la stessa grammatica morale, perché erano stati allevati in una cultura cristiana. Questo ovviamente non voleva dire che fossero tutti buoni cristiani, tuttavia si poteva sempre presumere l’esistenza di un qualche terreno comune. Tanto più che i valori del cristianesimo erano apertamente professati, narrati, celebrati – per quanto spesso, nei fatti, disattesi.
Queste persistenze, questa cultura comune diffusa, seppure poco avvertite sono della massima importanza. Ad esempio, ancora oggi nel nostro Paese la regola “non rubare” oppure “non dire falsa testimonianza” oppure “non uccidere” la si impara più con il catechismo e non con lo studio delle leggi o del diritto. Quando si prende la patente di guida, le regole della circolazione si imparano dal testo giuridico; quando invece si diventa cittadini, le regole basilari del comportamento sociale si apprendono per lo più dal catechismo. Si è lasciato cioè che i valori religiosi facessero da supplenza. O almeno questo avveniva fino a poco tempo fa.
 
Questi meccanismi di supplenza – che hanno funzionato più o meno per tutta la Prima repubblica – si sono oggi inevitabilmente inceppati. In Italia abbiamo avuto una secolarizzazione tardiva e rapida, per cui le tradizionali agenzie di socializzazione di marca religiosa si sono trovate improvvisamente screditate. Hanno perso prestigio e seguito. Il problema è che questo normale ridimensionamento dei valori religiosi nella formazione non è stato sostituito da nient’altro. In sostanza, nel nostro Paese, in seguito alla secolarizzazione non si è dato luogo alla formazione di un’etica laica sostitutiva.[1] Questa è la vera anomalia.
 
Questa situazione dà oggi luogo a diversi fenomeni: a) da un lato un ritualismo parolaio che riafferma i vecchi valori, di fronte a un comportamento palesemente differente (si veda la morale sessuale, ma anche la morale economica). Ciò ha come conseguenza che non ci sia più alcuna coerenza tra quello che si proclama e quello che si fa effettivamente. b) D’altro lato, si ha l’affermazione tacita, mai proclamata da nessuno, di una sorta di etica della situazione che, alla fin fine, riesce a giustificare qualsiasi cosa. c) L’individuo diventa così il produttore delle proprie regole, ma non in relazione a un discorso etico coerente e neppure in relazione a una serie di pressioni sociali coerenti, ma in relazione a una specie di considerazione individuale (dove ciascuno fa pesare quel che gli va, di momento in momento). Abbiamo quindi un’apparente libertà morale, una autonomia morale che è, in realtà, una forma di anomia morale.
 
In una simile situazione non stupisce dunque che la maggior parte delle persone siano diventate del tutto imprevedibili, intrattabili, inaffidabili. Non stupisce che – come dicono tutte le ricerche – la fiducia generalizzata negli altri sia in netta diminuzione. La secolarizzazione all’italiana ha generato una serie di mostri morali (per un inventario basta aprire le pagine dei giornali) che investono i campi più disparati, dalla cronaca nera (alcuni efferati delitti presentano questi profili morali di una autonomia autoassolutoria) fino al campo infinito della corruzione, fino al campo del degrado della politica e della cultura.
In questa situazione, ogni singolo incontro interpersonale diventa rischioso e precario. Rischioso perché al posto di una configurazione stabile ci si può trovare di fronte alle uscite comportamentali più imprevedibili (e magari anche pericolose); precario perché ci si trova ormai in un regime di massima volatilità dei propositi, in una situazione dove si cambia spesso e volentieri, per cui qualsiasi fedeltà, qualsiasi impegno, può essere affermato e negato in un batter d’occhio. Finiscono così le amicizie, gli amori, le famiglie, i rapporti tra i figli e i genitori. Ma anche i rapporti tra i “compagni” dello stesso movimento, dello stesso gruppo politico o dello stesso partito, tra elettori ed eletti, i rapporti tra gli operatori economici, come quelli tra concorrenti o tra clienti e fornitori. Non parliamo poi dei rapporti con le istituzioni. Tutto diventa più difficile.
 
Sotto questo profilo, la figura più diffusa è diventata quella del pirata morale, colui che usa il discorso morale con spregiudicatezza, come arma a proprio vantaggio e a danno degli altri, magari di coloro che – per qualche strana particolarità – continuano a darsi dei vincoli di qualche tipo. Il discorso morale viene invocato e nello stesso tempo viene immediatamente tradito, trovando altre giustificazioni morali, le quali poi verranno anch’esse tradite. Questo tipo umano lo si incontra ormai dovunque, nelle corsie degli ospedali, dietro agli sportelli, tra gli operatori sociali e tra i maestri di scuola, tra gli uomini di spettacolo o tra i divi dello sport, tra i sindacalisti di carriera, tra i politici navigati, nelle cooperative sociali. Ma lo si trova anche tra i parenti, nelle famiglie. Lo si trova anche tra i preti e nelle istituzioni della Chiesa cattolica.
 
Sbagliano coloro che ritengono (e questa è la tesi più diffusa) che il pirata morale sia un prodotto dell’illuminismo, cioè un prodotto della modernità. Costoro non hanno capito nulla né della pirateria morale né dell’illuminismo. Il pirata morale è un prodotto della più totale assenza di modernità. Il pirata morale italico odierno[2] è il risultato, certo, della secolarizzazione, ma è soprattutto il risultato del fallimento del progetto educativo della modernità che avrebbe dovuto conseguire e accompagnare la secolarizzazione. Ai tempi della Rivoluzione francese fu subito chiaro che la massa doveva essere educata. Nacque allora l’istruzione pubblica e laica. In Italia l’istruzione pubblica e laica è sempre stata debole e non è mai stata presa in considerazione, né dai cattolici, né dai socialisti e dai comunisti (l’altra “chiesa” che aveva ambizioni di formazione del popolo). L’educazione nel nostro Paese non è mai riuscita a costruire uno straccio di cultura civica capace di costituire un comune fondamento della cittadinanza laica.
 
Questo è il motivo sostanziale per cui nel nostro Paese, di fronte alla spettacolarità degli appelli ai valori e all’intensità della retorica morale profusa ovunque, la fiducia negli altri è in netta discesa e la fiducia nella politica è al minimo. Per questo si vede in giro un sacco di gente arrabbiata e s’incontrano continuamente delle teste mal fatte. Questo è il motivo per cui ogni interazione sociale con conosciuti o sconosciuti è eminentemente rischiosa. Per questo non ci possiamo più ormai fidare abbastanza di nessuno, neanche dei nostri amici e conoscenti più intimi. Il pirata morale ormai può nascondersi ovunque. Questo è in ultima analisi il motivo per cui il capitale sociale, la vera ricchezza delle comunità socialmente integrate, oggi viene soltanto più consumato e non più riprodotto. È chiaro che una simile dilagante situazione non è altro che un potente incentivo a praticare a propria volta, in forma allargata, la pirateria morale. Pare essere la sola strategia vincente. Come un vero e proprio Alien, il pirata morale ormai si sta riproducendo anche dentro ciascuno di noi e preme per uscire.
 
10/08/2015
Giuseppe Rinaldi
 
 
 
NOTE
[1] Non si afferma qui che non esista un’etica laica sostitutiva, ma che questa non abbia avuto alcuna diffusione, non sia stata insegnata.
[2] Può essere utile pensare a quanto ha scritto Guicciardini o a quanto ha scritto Leopardi circa i costumi morali degli italiani.