1. Negli ultimi mesi,[1] nell’area che comprende il centro
sinistra e la sinistra, alcuni eventi decisamente traumatici hanno suscitato un
certo stupore e stanno destando svariati interrogativi. Si tratta di eventi per
i quali è davvero difficile trovare una qualche spiegazione convincente ed
esauriente e che meritano tuttavia grande attenzione, perché sono in grado di
destabilizzare definitivamente il già malconcio sistema politico italiano.
2. Da un lato abbiamo il PD che, sotto la segreteria di Renzi,
ha realizzato un clamoroso successo elettorale alle recenti elezioni europee. Successo
elettorale che peraltro è stato confermato nelle recenti elezioni regionali (nonostante
l’elevato, anomalo e allarmante tasso di astensioni).
Per converso, l’avversario storico del PD, Berlusconi, appare quanto mai
confinato all’angolo e il centro destra appare diviso e privo di orientamenti,
per una serie di motivi che non staremo qui ora a indagare. L’unica componente
in controtendenza sembra essere la Lega di Salvini. Anche il movimento di
Grillo sembra aver perso la spinta propulsiva iniziale, che lo aveva portato a
rappresentare un quarto dei votanti alle scorse elezioni politiche, e sembra
avviato verso un periodo di alta instabilità, caratterizzato da spaccature
interne e da scarsi successi in campo politico. I recenti rivolgimenti ai
vertici del M5S sembrano costituire una rivelazione dell’intrinseca debolezza
di questa formazione più che un momento di ristrutturazione in vista di una
nuova crescita. D’altro canto, per completare il panorama, l’area politica
collocata alla sinistra del PD sembra in crisi permanente, sia dal punto di
vista elettorale che dal punto di vista delle idee, dei programmi e delle
strategie comuni. Insomma, il PD è rimasto il solo partito ad avere un consenso
corposo da parte dell’elettorato, ad avere al proprio interno una struttura
organizzativa relativamente democratica, ad aver espresso, in un recente
Congresso, una linea politica attraverso la quale il governo Renzi sta cercando
di realizzare - seppure in condizioni difficilissime - quella trasformazione di
cui il Paese ha urgente bisogno, per riuscire a risollevarsi dal baratro nel
quale si trova.[2]
3. Ebbene, dal punto di vista del PD, ci sarebbero tutti i
motivi per essere soddisfatti e, soprattutto, ci sarebbero tutti i motivi per
profondere una vigorosa iniziativa politica, volta a sostenere l’attività di
governo, volta ad allargare i ranghi degli iscritti e dei militanti, volta a
intavolare con il pubblico un dibattito appassionato e approfondito sul merito
delle riforme che si stanno intraprendendo. Il PD ha l’opportunità di mostrare
agli italiani che la sinistra sa essere, finalmente, concreta, determinata e
fattiva. Nello stesso tempo, sembra ormai chiaro a tutti che, nella situazione
in cui si trova il Paese, occorre agire in fretta, con una certa flessibilità, diciamo
pure senza guardare troppo per il sottile,
rinviando a tempi migliori il perfezionamento eventuale delle diverse riforme.
4. È accaduto invece, negli ultimi tempi, che proprio il PD
abbia dato ai suoi elettori e, più in generale, al pubblico un’immagine
disastrosa di irresponsabilità, di divisione e di inconcludenza. Il Presidente del PD che, un giorno sì e uno no,
attacca il Segretario, fronde di deputati e senatori della cosiddetta minoranza che minacciano costantemente
di non votare i provvedimenti proposti dal governo, che vogliono contrattare su
tutto – come se recentemente non avessero fatto e perso un Congresso. A ciò
possiamo giungere le ripetute minacce di scissione da parte degli insoddisfatti
del momento, compresi alcuni nuovi leader (come Civati) e alcuni dirigenti
storici (come la Bindi). Ma non basta. La cosiddetta minoranza del PD ha
saldato la propria linea d’azione con la Cgil della Camusso e con la Fiom di
Landini, scatenando, nel Paese, nelle Piazze, un’opposizione contro il governo
come non si era mai vista nei confronti dei governi di destra. A quest’ondata
di contestazione contro il governo si sono ovviamente aggrappate tutte quelle
forze minoritarie collocate a sinistra del PD, che hanno così trovato una
insperata occasione di far vedere al Paese che esistono anche loro. Il clou della protesta anti governativa non
è ancora arrivato, si avrà nel ventilato sciopero
generale prossimo venturo.
5. Insomma, nel momento in cui il PD potrebbe dire di avere
finalmente in mano le sorti del Paese, di avere la possibilità di provare a
cambiare effettivamente il Paese, questo stesso partito, incredibilmente, si
trova a discutere nientemeno che di
scissione e una sua componente di rilievo si appresta a organizzare uno
sciopero generale che è, di fatto, uno sciopero contro lo stesso governo guidato
dal PD. Viene in mente l’intrepido on. Diliberto che scendeva in Piazza contro
il governo di cui era ministro. Tutto ciò non può che costituire una gioiosa
macchina da guerra a favore della destra (la quale peraltro potrebbe anche
riuscire a riorganizzarsi in tempi non troppo lunghi). Il risultato di tutto
ciò è che, nei sondaggi, la popolarità di Renzi è ora in diminuzione e che le
percentuali delle intenzioni di voto per il PD hanno ripreso a scendere. La spaccatura
indotta nel PD e nella sinistra è senz’altro uno dei motivi della bassissima percentuale di afflussi alle urne
delle recenti elezioni regionali, nonché della bassissima percentuale di partecipazione
ad alcune primarie regionali che si sono tenute in questi giorni. Dovrebbe
essere abbastanza chiaro che agli elettori non piacciono i partiti che litigano
continuamente al proprio interno e che sono sempre pronti alle spaccature,
soprattutto se sono partiti che hanno in mano il governo e le sorti del Paese.
6. Se questo è il quadro, di fronte a questo comportamento da
Tafazzi, dovremmo domandarci, anzitutto, se le giustificazioni addotte dall’ormai
ampio spettro degli anti renziani
(dentro e fuori il PD) abbiano o meno qualche fondamento, se esse mettano in
gioco questioni così gravi da valere
una perdita di consenso, il blocco delle già difficoltose riforme avviate, un’eventuale
caduta del governo, un colossale insperato favore alla destra e – cosa che si è
palesata in questi ultimi giorni – un pericoloso ingolfamento tra le sempre più
probabili elezioni politiche e le concomitanti dimissioni del Presidente della
Repubblica.
Non entrerò qui nel
merito – per brevità – delle questioni del contendere, legate soprattutto alla
riforma del mercato del lavoro e alle riforme istituzionali e alla legge
elettorale. Diciamo genericamente che è del tutto comprensibile che ci siano diversi punti di vista, diverse
interpretazioni circa il merito di ciascuna riforma. Chi scrive peraltro è
assai critico su alcune soluzioni che probabilmente saranno adottate da Renzi.
Il problema è che, come si diceva poc’anzi, nell’attuale situazione del Paese
(basterebbe ricordare l’enorme debito pubblico, le cifre della disoccupazione,
la crisi della politica, l’anomalia del sistema politico di una forza come
quella di Grillo che non fa alleanze con nessuno), non possiamo davvero
permetterci di guardare troppo per il sottile. Le riforme di questo governo non
produrranno il migliore dei mondi possibili; sono le riforme abborracciate che siamo in grado di fare, dati i
limiti di questo personale politico,
dati questi rapporti politici, data questa situazione economica e
finanziaria. Fare uno sciopero politico
(perché è di questo che si tratta!) contro il governo in questa situazione
significa fare uno sciopero contro tutti quegli italiani che dalle riforme non
si aspettano certo l’apertura dell’età dell’oro ma si aspettano quei
cambiamenti elementari, che sono ormai questione di vita o di morte, che la
classe politica non ha mai saputo o voluto fare nei decenni scorsi.
7. Se è così, dobbiamo cercare di trovare una spiegazione a
questo cupio dissolvi che sembra
essersi impadronito non solo di alcuni dirigenti della sinistra del PD, della
CGIL della FIOM, ma che sembra avere trovato un ampio riscontro (la cosa deve
avere anche sorpreso quegli stessi dirigenti) nel cosiddetto «popolo della
sinistra». Una riprova ne è la partecipazione consistente che si è avuta nello
sciopero e nella recente manifestazione romana contro la riforma del mercato
del lavoro. Insomma, dovremmo tentare di capire come mai, nell’ambito della
sinistra, tutte le volte che si è vicini a vincere si comincia a litigare, poi
ci si spacca, passando così il testimone all’avversario politico di turno.
8. Un’interpretazione facile è che la minoranza del PD che ha
perso il recente Congresso si stia organizzando (con l’appoggio della CGIL e
della FIOM) per mandare a casa Renzi e per prendere in mano nuovamente il
partito. Pur trattandosi di un comportamento miope e irresponsabile
(come quello di chi si appresta a segare il ramo dell’albero su cui è seduto)
potrebbe, in effetti, avere una certa logica. Ma questo spiegherebbe il
comportamento dei dirigenti della minoranza di sinistra, non il comportamento
di coloro che, molto numerosi, si sono dimostrati disponibili ad accogliere gli
appelli e a scendere in piazza contro il governo. Costoro non scendevano in
Piazza contro i governi della destra – i quali non facevano assolutamente
niente – e tuttavia sono disposti ora a scendere in Piazza contro il governo
del PD che per lo meno – comunque lo si giudichi – qualcosa sta cercando di
fare.
9. Occorre allora un’altra spiegazione. Presso i militanti
della sinistra, della base del PD, della CGIL e della FIOM, il conflitto con
Renzi, come segretario e come capo del governo, non è un conflitto che viene consumato
e vissuto semplicemente a livello politico.
Se fosse così, le considerazioni politiche
che abbiamo svolto finora, che vertono su quel che è possibile nell’attuale situazione e su quel che è impossibile, su quel che è
tatticamente opportuno e su quel che è inopportuno, sarebbero più che
sufficienti per indurli a desistere dal loro sistematico impedimento all’attività
del governo. Si tratta invece di un conflitto che viene vissuto su un piano
prevalentemente morale. Se in
politica si possono fare (anzi è doveroso fare) dei compromessi, allo scopo di
ottenere ciò che è possibile ottenere in una data situazione, in campo morale ogni compromesso è concepito
come un tradimento. Renzi che fa politica, che si barcamena come può – si
ricordi con che razza di parlamento ha a che fare[3] – e che è costretto a fare
quotidianamente dei compromessi, appare essenzialmente come un traditore. Solo
così si possono spiegare le diffuse fantasie che assimilano Renzi a Berlusconi,
solo così si possono spiegare le difese a oltranza di un articolo 18 che nell’attuale
situazione del mercato del lavoro non significa più nulla, solo così si possono
spiegare certe opposizioni dure e pure nei confronti delle riforme
istituzionali e della legge elettorale. Si sta costruendo nella sinistra un divide di tipo morale tra il bene e il male, tra amici e nemici, tra i difensori
del lavoro e della democrazia e il resto dei traditori. Questo blocco anti
renziano non ha nulla di politico e di razionale, è piuttosto una chiara manifestazione
irrazionale di odio – ha rivelato
questo fondo di odio proprio Landini, quando ha accusato il governo di usare calcolatamente
la forza pubblica contro i lavoratori e quando gli è scappato che i sostenitori
di Renzi sono dei disonesti.
10. In un momento in cui il PD e la sinistra, CGIL e FIOM
compresi, avrebbero massimamente bisogno
di politica, di capire che non si può avere tutto e subito e che la tattica
ha la sua importanza, che i rapporti di forza hanno la loro importanza, che si
deve sempre prima o poi fare i conti con
la realtà, essi si sono fatti irretire in una spaccatura morale di tipo fondamentalista.
Si parla di valori, di dignità del lavoro, dei diritti violati, del rispetto
della Costituzione, delle regole della democrazia. Tutte cose in sé belle e giuste,
cui è difficile dire di no, ma che devono poi trovare un compromesso con la
realtà. Chi si mobilita grazie all’indignazione
(è una parola di moda) morale non ha invece
nessuna voglia di fare i conti con la realtà, di porsi dei problemi di
fattibilità, di entrare nel merito delle amare questioni dei costi economici,
non vuole saperne di ragionare sulla base degli effettivi rapporti di forza. In
altre parole, si tratta di un colossale ritorno dell’immaturità politica.
Nel nostro Paese, tutte
le volte che viene meno quel poco di maturità politica che ci possiamo
permettere prende il sopravvento il moralismo, l’appello ai valori, la logica
per cui chi non è d’accordo con te non può essere altro che un nemico o,
peggio, un traditore. In queste situazioni i politici (e sindacalisti) trovano
molto comodo agitare i valori, perché
intanto sui valori è facile avere consensi e non è mai possibile alcuna
verifica di efficacia. I valori si condividono, servono a distinguersi dagli
altri, non devono produrre alcunché. Ha ragione Renzi quando chiede «dove
eravate?» ai sindacati e quando fa notare che, con il suo predecessore alla
segreteria, il PD non aveva mai oltrepassato il 20% o giù di lì.
11. È possibile che in Italia continuiamo ad avere a che fare con
il moralismo e con l’immaturità politica? Il fatto merita però una qualche miglior
spiegazione. Dobbiamo domandarci quali siano gli ambiti entro cui è possibile
che si formi una qualche maturità
politica. Ebbene, i partiti e i sindacati sono proprio tra i principali luoghi
deputati alla formazione della maturità politica dei militanti, degli elettori
e più in generale dei cittadini. Sono però almeno trent’anni che i partiti e i
sindacati sono diventati delle organizzazioni burocratiche, luoghi di correnti
e di puri giochi di potere, talvolta anche di malaffare (si pensi alle spese
allegre dei consiglieri regionali, oppure allo stipendio e alla liquidazione di
Bonanni), luoghi da cui militanti ed elettori sono stati sempre più
allontanati, per lasciare il posto a politici e sindacalisti di carriera. Sono
decenni che nei partiti e nei sindacati non si discute più di nulla, le
decisioni sono prese dall’alto e i momenti congressuali sono delle farse. Farsa
è stato, evidentemente, il Congresso recente del PD, visto che, nel dettaglio
delle riforme, non si è discusso di nulla e che, comunque, quelli che hanno
perso continuano a mettere i bastoni tra le ruote alla maggioranza. Sono
decenni che tutti conoscono il trend
impressionante della disaffezione nei confronti della politica da parte dei
cittadini italiani. Recentemente si è discusso con preoccupazione del pesante crollo del tesseramento all’interno
dello stesso PD. Nulla tuttavia è cambiato, perché qualunque cambiamento
significherebbe mettere in discussione le oligarchie, cioè le uniche cose che
contano davvero.
12. Oggi, per effetto di questa tendenza al degrado dei partiti
e dei sindacati, la sinistra in senso ampio è una sinistra senza cultura politica. È questa una condizione che merita
di essere compresa in dettaglio. Diciamo che, schematicamente, presso la fascia
meno giovane, sopravvivono ancora, come fossero imbalsamate, le vecchie parole
d’ordine degli anni ‘70, in una situazione che però è completamente mutata. Non
c’è stato alcun adeguamento, alcun cambiamento, alcuna maturazione. Non s’è imparato
più nulla. Si ripetono sempre le vecchie tiritere. I sociologi in casi come
questi parlano di ritualismo. È la
situazione in cui si continuano celebrare e difendere i fini entro cui si è stati socializzati, anche se questi sono
diventati completamente inefficaci e/o impraticabili. D’altro canto, quelli
della nuova generazione, diciamo pure per semplificare, i renziani, sono
dilettanti allo sbaraglio, mancano di qualsiasi tradizione e di qualsiasi
retroterra, sono, in un certo senso, per forza di cose, innovatori ma anche anomici.
Badano molto più ai risultati concreti che non ai fini ultimi. Non può essere
diversamente. I ritualisti sono dei moralisti
astratti, mentre gli innovatori anomici non
hanno alcuno schema morale prefissato. Per questo questi secondi possono
apparire ai primi come dei devianti o degli immorali. Per tenere insieme in
modo produttivo le due componenti ci vorrebbe, appunto, una cultura politica capace di discutere, capace
di apprendere, di confrontarsi con la realtà, capace di innovare, di adeguarsi
ai tempi, di costruire il consenso senza rompere ed escludere nessuno. Ma, come
si è visto, nel PD ci sono solo correnti, una cultura politica comune non c’è,
non c’è neppure la coscienza che sia necessaria, non c’è nessuno che faccia
qualcosa per costruirla e che ci spenda un centesimo.
13. Proprio qui emerge il limite fondamentale di Renzi (e dei
renziani), che non è tanto dovuto ai contenuti della sua attività di governo (è
stato peraltro già detto che chi scrive ha parecchi dubbi su diversi punti del
programma renziano), ma è dovuto alla sua concezione della politica e del partito. Oggi
il PD è un partito di correnti, con una forte personalizzazione dei leader. È
un partito che, nella sua breve esistenza, ha perso per strada centinaia di
migliaia di militanti, ha chiuso le sezioni, che ha abbandonato qualunque tipo
di radicamento nella società civile. È un partito che ha cessato di essere uno
spazio del discorso politico, del dibattito, della formazione, della
costruzione delle linee politiche. In altri termini è un partito senza una
cultura politica omogenea, diffusa presso dirigenti, militanti ed elettori. In
una situazione simile, i vecchi militanti non possono fare altro che
aggrapparsi ai residui dei simboli e delle parole d’ordine, mentre i più
giovani non possono che tentare qualunque forma di sperimentazione, anche le
più avventate e improbabili. Qui stanno le basi del moral divide che sta facendo collassare il PD e la sinistra tutta
in questi giorni.
14. Renzi che è segretario del PD avrebbe dovuto essere
consapevole di questa situazione e del pericolo gravissimo che essa comporta.
Avrebbe per prima cosa dovuto procedere
a un rinnovamento della cultura politica
e dell’organizzazione interna del partito.
L’unico che, recentemente, ha manifestato un’esplicita consapevolezza in questa
direzione è stato Fabrizio Barca, guarda caso di provenienza non PD, il quale
ha articolato una serie di proposte di riforma e di costruzione di un modello nuovo di partito e di cultura politica. Forse alcune delle specifiche
proposte di Barca sono discutibili, ma l’esigenza che egli sottolineava era di
importanza vitale e avrebbe dovuto essere accolta in pieno e praticata
urgentemente e con convinzione. Invece questa proposta di riforma è stata
combattuta sia dagli innovatori anomici
che dai ritualisti, e così non se n’è
fatto un bel niente.[4]
15. Il risultato ora è che Renzi si trova a governare il Paese essendo a capo della corrente maggioritaria del PD, senza tuttavia avere nulla alle spalle, se non un pugno di transfughi che sono saltati sul carro del vincitore, gli hanno giurato fedeltà in cambio della distribuzione di una serie di posizioni di potere. Un gruppo di transfughi, peraltro neanche tanto coeso, che potrebbe proprio girargli le spalle da un momento all’altro: ci sono sempre quelli specializzati in queste manovre acrobatiche. La corrente minoritaria sa bene questa cosa e ha deciso di giocare la carta dell’indignazione morale, della guerra dei simboli e delle parole d’ordine, contro il segretario e contro il capo del governo, per rimettere in discussione i rapporti di forza interni, senza aspettare il prossimo Congresso. Inaspettatamente, ha trovato un seguito di massa. Non passa minimamente neanche per la testa di costoro che, dopo aver perso il Congresso, sarebbe stato per lo meno necessario dare una chance a chi lo ha vinto, nell’interesse stesso del Partito e del Paese. E che, comunque, sarebbe in ogni caso necessario in primo luogo mettere mano a una ristrutturazione organizzativa del partito e alla costruzione di una nuova cultura politica. Tutto ciò servirebbe per riuscire a fare finalmente dei congressi autentici, per rimettere le scelte fondamentali sempre più nelle mani dei militanti e degli elettori, per riuscire a promuovere così nel Paese un effettivo dibattito di livello politico e non uno scontro moralistico. Decisamente, è più facile scendere in Piazza contro il governo.
Giuseppe Rinaldi (02/12/2014)
NOTE
[1] Pubblicato originariamente in data
2/12/2014. Rivisto il 18/06/2025. Pur legato all’attualità, questo testo
rappresenta uno spaccato della situazione indotta nel PD dal Governo Renzi. Nota
del 18/06/2025.
[2] I dati economici sono sempre estremamente
gravi. La situazione economica, sociale e culturale del Paese è tale per cui
molto probabilmente, per un bel po’, non ci sarà proprio alcuna ripresa. Questa
remora specifica dell’arretratezza italiana è spesso trascurata nelle analisi,
ingenerando ingiustificate illusioni.
[3] Si tratta di un parlamento di nominati, che
rappresenta una parte minima del Paese perché, già alle ultime elezioni
politiche, l’astensione era stata altissima. Si tratta di un parlamento in cui
una delle forze più rilevanti ha deciso di auto escludersi dal gioco politico
delle alleanze, costringendo a un’alleanza innaturale il PD e il partito di
Alfano. Se il PD avesse avuto il coraggio, si doveva allora andare subito a
nuove elezioni, il famoso doppio turno oggi tanto invocato.
[4] Nel mio piccolo, e ciò vale come riscontro
empirico di quanto sostenuto in questo post, nell’ambito della discussione
intorno al ruolo dell’Associazione Città Futura di Alessandria, nel mese di
marzo della scorsa primavera, ho prodotto un documento politico culturale (“Uno
spazio di discorso per una sinistra che non c’è” disponibile ora nell’archivio
di Città Futura). Esso individuava proprio l’esigenza – nel nuovo quadro
politico determinato dalla fine del berlusconismo e dall’affermazione del
governo Renzi – di costituire e
mantenere vivo uno spazio di discorso libero e aperto, per realizzare un minimo
di dibattito autentico sul territorio locale. Cosa che altrove, nei sindacati e
nei partiti, avrebbe continuato a non essere possibile. La finalizzazione era
proprio quella di dare un contributo alla costruzione di una nuova cultura
politica per una sinistra che sapesse andare oltre i rituali simbolici e oltre
il praticismo errabondo. Quel documento, ovviamente, è stato guardato con
sufficienza sia dai ritualisti sia dagli innovatori anomici e non se n’è fatto
proprio nulla. In compenso si sono anche deteriorati i rapporti personali,
grazie a una sorta di legge dell’horror vacui: quando non c’è cultura politica
autentica, il suo posto vien preso da tutta la spazzatura delle idiosincrasie e
dei limiti individuali.
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