domenica 17 novembre 2013

Mal comune, mezzo gaudio

alfabetizzazione 
Saranno ormai passati quasi due mesi da quando tutti i giornali nazionali hanno riportato, con qualche accenno scandalistico e, comunque, con molta preoccupazione, alcune notizie drammatiche circa il livello medio di alfabetizzazione degli italiani.[1] Se n’è parlato per un paio di giorni. Qualcuno ricorderà anche che il ministro Giovannini venne in proposito rimbrottato dai sindacati per avere incautamente fatto alcune dichiarazioni circa la bassa competitività, a livello internazionale, della nostra mano d’opera. Poi più nulla. I nostri giornali si sono riempiti dei tira e molla sul governo, di «Cosa ha detto Grillo sul suo blog», di cosa ha detto la Cancellieri al telefono, delle vicende del cagnolino Dudù, delle disquisizioni su come fare a trovare qualche miliardo per non pagare l’IMU, del quasi fallimento dell’Alitalia, della vendita dell’Inter agli indonesiani, delle lotte a coltello dentro al PD in vista del Congresso. Evidentemente sono proprio queste le cose che contano e l’alfabetizzazione può attendere.
Le notizie allarmanti provenivano da un recentissimo rapporto OCSE che contiene i risultati dell’indagine OECD Skills Outlook sulle abilità della popolazione adulta.[2] L’indagine è stata condotta in circa una ventina di paesi dell’OCSE e comprende anche molti paesi europei. Si tratta di un’indagine che vedrà prossimamente l’estensione anche ad altri paesi. I vari campioni nazionali riguardavano la popolazione adulta compresa tra i 16 e i 65 anni e la rilevazione riguardava essenzialmente le abilità connesse all’alfabetizzazione linguistica e matematica, cui si aggiungeva anche un set di abilità legate all’impiego delle nuove tecnologie. Non si tratta dunque di un’indagine riguardante i livelli di apprendimento dei giovani, oppure il rendimento delle istituzioni scolastiche dei vari paesi, com’è ad esempio la più nota indagine PISA (che peraltro ha visto spesso l’Italia collocata nelle fasce più basse di rendimento). Si tratta di un’indagine sulle competenze dell’intera popolazione per così dire “attiva”.
L’indagine è particolarmente interessante rispetto al nostro Paese perché coloro che nel 2012 (anno cui si riferiscono i dati) avevano 16 anni sono nati nel 1996, e sono cresciuti nel ventennio berlusconiano, altrimenti noto come “Seconda Repubblica”, mentre coloro che avevano 65 anni sono nati nel 1947 o giù di lì e sono coloro che hanno alimentato la generazione del Sessantotto. Si tratta dunque di una popolazione che non ha conosciuto gli eventi più tragici della nostra storia recente, che non ha conosciuto la guerra e la ricostruzione. Si tratta di un complesso di generazioni che hanno vissuto il boom economico degli anni Sessanta e il graduale sviluppo, nel nostro Paese, della società dei consumi e della cultura di massa. Insomma, queste generazioni sono vissute in un clima considerato come di relativo benessere, di cambiamento e di modernizzazione. Va ricordato che la generazione dei nati tra il 1947 e il 1950 è la generazione di coloro che hanno letto La scuola di Barbiana di Don Milani, di coloro che hanno vissuto il Sessantotto e che hanno saputo porre con forza il tema del diritto allo studio e della riforma della scuola. Questa ricerca dunque permette di misurare un importante aspetto del capitale umano che è stato costruito nel nostro Paese, proprio a partire dalla generazione del Sessantotto, fino a coinvolgere tutte le generazioni successive.
Ebbene, i risultati sono davvero sconfortanti. Per farla breve, il nostro Paese si è collocato all’ultimo posto nella graduatoria delle abilità linguistiche e al penultimo posto nelle abilità matematiche (per tacere del resto – non intendo entrare nel dettaglio del rapporto).[3] Per comodità del lettore, ho riportato i due grafici particolarmente più significativi che non sono stati gran che ripresi dalla stampa, forse per vergogna, forse perché molti dei nostri concittadini non li saprebbero neppure interpretare.
Come si può vedere nei due grafici, l’Italia e la Spagna comunque sono sempre le ultime. La Spagna ci batte nelle abilità linguistiche e noi li battiamo nelle abilità matematiche, ma siamo sostanzialmente allo stesso livello. In compenso a entrambe piace da matti giocare al pallone. È davvero molto interessante, in termini comparativi, che tra i 23 paesi considerati nell’indagine al primo posto si sia sempre classificato il Giappone. In Italia, si veda il grafico relativo alle abilità linguistiche, un terzo soltanto della popolazione è sopra la media internazionale mentre in Giappone questo accade per i due terzi. Cos’ha il Giappone che noi non abbiamo? Si ricorderà che il Giappone è stato nostro alleato nella Seconda guerra mondiale, che è uscito dalla guerra distrutto e occupato, più o meno come l’Italia. La Germania, anch’essa distrutta, occupata e divisa, si trova intorno ai rendimenti medi (occorre considerare la riunificazione e la disparità tra Est e Ovest). Noi siamo gli ultimi. È forte la tentazione di concludere che se fossimo stati occupati in modo più massiccio e più a lungo dalle potenze vincitrici forse ci saremmo meglio alfabetizzati. Si tratta di una boutade, ma nemmeno troppo. È noto che gli anglo americani hanno provveduto a defascistizzare la nostra scuola e a introdurre alcune riforme urgenti, suscitando le ire dei nostri conservatori. Poi la scuola italiana è caduta nelle mani dei partiti e della Chiesa cattolica.[4]
L’esame delle due tabelle (nel rapporto ci sono centinaia di tabelle altrettanto stimolanti) suggerisce una marea di considerazioni. Pur non essendo questo il luogo per fare delle ipotesi esplicative, tuttavia non facciamo troppa fatica a intravvedere, tra le possibili cause della distribuzione nella graduatoria dei vari paesi, oltre ai diversi retaggi storici e culturali (i paesi cattolici sono sistematicamente agli ultimi posti) l’influenza del fattore delle diseguaglianze interne (gli USA non hanno in generale una buona posizione) e del fattore del capitale sociale (paesi come la Finlandia, la Norvegia o l’Olanda che dispongono notoriamente di un marcato capitale sociale sono ai primi posti).
Rispetto agli effetti del Sessantotto, poiché l’indagine coinvolge la generazione del Sessantotto e quelle successive, non posso fare altro che riprendere un brano del mio precedente articolo: «Nel Sessantotto, sull’onda di Don Milani e della contestazione, c’era stata una rivendicazione di diritto allo studio che aveva ottenuto importanti successi: l’apertura a tutti dell’Università, l’innalzamento della scolarità, la scuola per gli adulti. Contemporaneamente c’era stata l’esplosione del mercato della cultura di massa (libri tascabili, riviste, musica, cinema, media). Insomma, sembrava che gli italiani fossero tutti destinati a diventare degli intellettuali, dei raffinati consumatori di cultura. Invece ci possiamo accorgere solo oggi che quella generazione (i padri/ le madri dei giovani di oggi), se ha innalzato mediamente il livello dei propri titoli di studio, a causa forse di una trasmissione culturale troppo affrettata non ha saputo acquisire un’autentica dimensione culturale, si è accontentata di un’infarinatura superficiale che è ben presto svanita, di fronte al degrado delle relazioni e delle conversazioni, di fronte alle TV, di fronte agli insuccessi e alle delusioni della vita quotidiana. Non basta il diploma o la laurea per cambiare abitudini culturali radicate da generazioni. Nonostante gli sforzi di cambiamento, ciascuno è stato risucchiato verso i tratti culturali tipici del proprio milieu sociale. Il degrado culturale, come una specie di forza di gravità o come una sorta di entropia ha così fatto sentire alla lunga i suoi effetti. La maggior parte dei padri non aveva 500 libri in casa e non ha fatto granché per procurarseli. E i figli di oggi non sono da meno».[5]
Quanto alle conseguenze di questa situazione, le abbiamo tutti i giorni sotto gli occhi. Nel nostro paese la popolazione legge poco e capisce poco quel che legge.[6] La gran parte dell’informazione passa attraverso la televisione, la quale è nelle mani di Berlusconi per la parte privata e sempre di Berlusconi o di qualcuno dei suoi servants per la parte pubblica. La televisione stabilisce l’agenda politica, stabilisce di cosa ci si deve occupare, stabilisce la priorità dei problemi, determina le intenzioni di voto. Siamo una delle popolazioni con la memoria più corta, ci dimentichiamo facilmente e siamo pronti sempre ad assolvere tutti. In cambio chiediamo soltanto che ci sia permesso occuparci dei fatti nostri senza dovere mai rendere conto a nessuno. Ci preoccupiamo di denigrare e spolpare sistematicamente le istituzioni, salvo poi invocare l’intervento delle istituzioni quando siamo nei guai. Andiamo a votare con lo stesso acume con cui andiamo al supermercato a fare incetta di porcherie che danneggiano la nostra salute. Non siamo stati capaci di assicurare, nonostante le sue pessime prestazioni, un ricambio della classe politica. Abbiamo avuto dei ministri della cultura e dell’istruzione che erano delle barzellette, stiamo dissipando e distruggendo il patrimonio artistico e ambientale. Abbiamo biblioteche che non hanno i fondi per comprare i libri e scuole che cadono in testa agli studenti. I genitori degli studenti di solito sono pronti alla rissa per difendere individualmente i loro pargoli, ma non vedono le aule sporche, le strutture cadenti, la mancanza di spazi, i tagli e le inefficienze della scuola. E gli studenti? Qualche sciopero rituale all’inizio dell’anno, tanto per fare qualche giorno di vacanza, per fare un po’ di confusione, e poi via come prima e più di prima. Ci sono anche loro nella statistica dell’OCSE. Tralascio qui per brevità e per carità di patria le conseguenze dei bassi livelli di alfabetizzazione sull’innovazione e sullo sviluppo economico (argomenti che sono ampiamente trattati nel rapporto OCSE).
Di fronte a risultati come quelli presentati dal rapporto OCSE (assicuro il lettore che il rapporto è pieno di altri dati da brivido per noi italiani) come si dovrebbe comportare un Paese degno di questo nome? Quando sul finire degli anni Cinquanta l’Unione Sovietica mise in orbita il primo satellite artificiale, negli Stati Uniti si ebbe un vero e proprio shock, si scatenarono dibattiti a non finire, e si diede subito mano a un piano di riforme nel campo dell’istruzione che diede luogo anche a importanti ricadute di tipo scientifico. Nel nostro Paese invece non solo non si sono registrati shock di alcun genere, non solo non è stato avviato alcun dibattito, ma tutti hanno continuato il loro chiacchiericcio inconcludente come se niente fosse. I sindacati se la sono presa con le dichiarazioni di Giovannini (lui il rapporto almeno lo aveva letto, i sindacati evidentemente no).
Una domanda s’impone. Siamo alla vigilia di importanti trasformazioni politiche. Il PD farà il suo Congresso, il PdL o Forza Italia è sull’orlo di una svolta rilevante. Si è formato recentemente un partito o movimento che vorrebbe mettere in riga tutti gli altri partiti, considerati vecchi e corrotti. Qualcuno conosce quali urgenti misure e quali riforme complessive del nostro sistema scolastico e dell’educazione degli adulti i vari PD, M5S, PdL-Forza Italia abbiano in mente di realizzare nel nostro Paese, allo scopo di risalire almeno di qualche posizione nella classifica dell’OCSE? Continueremo a occuparci del blog di Grillo, delle dichiarazioni di D’Alema contro Renzi, di Cancellieri, di IMU e del barboncino Dudù?
 
17/11/2013
Giuseppe Rinaldi
 
 
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OPERE CITATE
 
2013 OECD
OECD Skills Outlook 2013: First Results from the Survey of Adult Skills, OECD Publishing. (http://dx.doi.org/10.1787/9789264204256-en).
 
2011 Luzzatto, Sergio
Il Crocifisso di Stato, Einaudi, Torino.
 
1991 Scoppola, Pietro
La repubblica dei partiti. Profilo storico della democrazia in Italia, Il Mulino, Bologna.
 
 
NOTE
 
[1] Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul giornale online Città Futura. Questa è una versione pressoché identica, con qualche lieve correzione. Su questi temi sono già intervenuto con il post I più furbi di tutti.
[2] Cfr. OECD, 2013. Il rapporto, in lingua inglese, può essere scaricato tramite Internet (vedi l’indirizzo in bibliografia).
[3] A questo punto mi aspetto le solite contumelie circa l’inattendibilità delle ricerche internazionali a campione che non sarebbero in grado di cogliere la differenza tra la nostra profonda formazione umanistica e l’arida cultura pragmatica servita nelle scuole anglosassoni. Oltre che somari, anche i paraocchi!
[4] Chi volesse convincersi della questione può consultare il sempre ottimo Scoppola (1991) e il tragicomico Luzzatto (2011).
[5] Cfr. Giuseppe Rinaldi, I più furbi di tutti, citato. L’accenno ai 500 libri si riferisce a una ricerca internazionale che ha fissato in 500 il numero minimo dei libri in casa necessari per compensare lo svantaggio culturale delle famiglie.
[6] De Mauro, non più di qualche anno fa, ha presentato dati agghiaccianti in proposito.