1. Nel lontano aprile del 2006, alla vigilia della
risicatissima vittoria dell’Ulivo alle elezioni (con circa 25.000 voti di
vantaggio) - fatto che avrebbe determinato la vita stentata del secondo governo
Prodi - mi ero imbattuto in un simpatico libretto del linguista George Lakoff[1]
che sembrava spiegare con chiarezza le enormi difficoltà che il centro sinistra
di allora incontrava nella sua propaganda elettorale. Ebbi modo di scriverne
una breve recensione che vale la pena di trascrivere, qui di seguito, data la
sua estrema attualità.
2. Scrivevo allora: «Questo
agile e acuto libretto […] scritto per spiegare ai democratici perché hanno
perso le elezioni (i. e. perché i conservatori le hanno vinte),[2] può essere
di grande aiuto per comprendere come mai quella che abbiamo sotto gli occhi
oggi in Italia sia la più anomala campagna elettorale degli ultimi decenni. Il
segreto, spiega Lakoff, si chiama framing
(concetto ben noto a coloro che si sono occupati un po’ di linguistica e
comunicazione). Provate a “non pensare all’elefante”! È una prescrizione paradossale perché, per non
pensarci, bisogna proprio pensarci. Il centro destra e Berlusconi stanno
riuscendo con successo, da mesi, con qualsiasi mezzo lecito e illecito, a
imporsi costantemente al centro dell’attenzione e dell’agenda politica. La risposta
tipica del centro sinistra è stata “Noi non ci faremo distrarre”, ma intanto si
sono già distratti. Oppure “Il centro destra stravolge il nostro programma”, ma
intanto non hanno parlato dei contenuti del loro programma. Nei termini di
Lakoff, il centro sinistra nostrano non ce la fa a proporre un frame alternativo, un quadro complessivo
di riferimento che obblighi l’avversario a “non pensare all’elefante”. Non ce
la fa a imporre la propria agenda politica, per cui l’elettore oggi si trova a
scegliere, de facto, pro o contro
Berlusconi. Contrariamente a molte analisi correnti, il problema quindi non è
solo di “par condicio” tra i due schieramenti (chi controlla o meno le televisioni),
ma di diversa capacità nell’uso (ed eventualmente nell’abuso) delle tecniche di
comunicazione. Certo, la propaganda non è tutto, ma aiuta».
3. Ci sarebbe davvero poco da aggiungere, se non il fatto ormai assodato che da allora non abbiamo imparato proprio nulla. Mi verrebbe ulteriormente da dire che quella che abbiamo oggi sotto gli occhi è la più brutta campagna elettorale degli ultimi decenni; mi astengo per carità di patria. Non so come andranno i risultati, ma ormai una piena vittoria della coalizione di centro sinistra, sia alla Camera che al Senato, è alquanto improbabile. A conti fatti, si apriranno con ogni probabilità i giochi delle alleanze, resi però alquanto difficili dai veti incrociati di Monti, Vendola, Ingroia. Nella peggiore delle ipotesi potrebbe aprirsi un periodo d’instabilità politica che potrebbe portare, entro tempi brevi, a nuove elezioni (molti la pensano così e alcuni ci contano). Vale forse la pena, allora, cercare di capire meglio perché la sinistra, nelle sue strategie di comunicazione elettorale, continua a ripetere sempre gli stessi errori.
4. Cerchiamo intanto, sulla scorta di Lakoff, di capire meglio
che cos’è un frame e in cosa consiste il framing.
Racconta Lakoff: «Quando insegno cos’è un frame (in italiano “cornice”, “quadro”,
“struttura”) e come lo si crea, […] assegno ai miei studenti un esercizio. L’esercizio
consiste in questo: non pensate a un elefante! Qualunque cosa facciate, non pensate a un elefante. Non sono mai
riuscito a trovare uno studente che ci riuscisse. Ogni parola, come per esempio
“elefante”, evoca un frame, un quadro di riferimento, che può essere costituito
da una serie di immagini o di conoscenze di altro tipo. Gli elefanti sono
grandi, hanno le orecchie pendule e la proboscide, fanno venire in mente il
circo, e così via. Ogni parola si definisce in relazione a un frame. E anche
quando neghiamo un certo concetto non possiamo evitare di evocarlo. Richard Nixon
lo scoprì a proprie spese. Durante lo scandalo Watergate, quando c’erano forti
pressioni perché si dimettesse, Nixon parlò al paese in televisione. Si
presentò davanti la nazione e disse: “Non sono un imbroglione”. E tutti pensarono
che era un imbroglione. Questo ci permette di capire un principio fondamentale
del framing, per quando discutete con
i vostri avversari: non usate mai il loro linguaggio. Quel linguaggio evoca un
frame – e non sarà certo quel che serve a voi».[3]
5. Lakoff esemplifica ulteriormente la sua teoria riflettendo
sull’introduzione, da parte dei conservatori americani dell’epoca, del termine “sgravi
fiscali”: «Pensate a quello che evoca la parola “sgravio”. Perché possa esserci
uno sgravio si presuppone che ci sia una situazione gravosa, che qualcuno
soffra, e la persona che rimuove la causa di questa sofferenza diventa un eroe.
Quindi se qualcuno cerca di fermare l’eroe è un malvagio, perché non vuole che
la sofferenza finisca. […] Le tasse sono un’afflizione. Chiunque le elimini è
un eroe, e chiunque cerchi di impedirglielo è un malvagio. Questo è il frame.
[…] I senatori democratici mi invitarono a una riunione del loro gruppo poco
prima che il presidente (George W. Bush ndr)
presentasse il suo piano di sgravi fiscali al senato. Anche loro ne avevano una
versione, quindi avevano accettato il frame dei conservatori. I conservatori
avevano teso loro una trappola: con quelle parole li avevano attirati nella
loro visione del mondo. Il framing
consiste proprio in questo, nell’usare un linguaggio che riflette la propria
visione del mondo. Ma naturalmente non è solo una questione di linguaggio. La cosa
più importante sono le idee: il linguaggio ne è solo portatore, serve a
evocarle».[4]
6. Naturalmente l’analisi di Lakoff si basa sulla situazione
americana nel 2004. Mentre i conservatori americani dimostravano di essere
capaci di porsi il problema della comunicazione, e di risolverlo efficacemente,
i progressisti non ne sembravano capaci. Quali erano i fondamenti di questo
grave limite dei democratici americani? Secondo Lakoff: «La cosa peggiore sono
i miti dei democratici e dei progressisti. Sono miti che hanno una nobile
origine, ma finiscono per danneggiarci. Derivano tutti dall’Illuminismo, e il
primo mito è il seguente: la verità ci
renderà liberi. Se raccontiamo alla gente i fatti, poiché le persone sono
fondamentalmente razionali, arriveranno alle conclusioni giuste. Ma le
scienze cognitive ci insegnano che la gente non ragiona così. Le persone
ragionano per frame. […] Per essere accettata, la verità deve rientrare nei
frame mentali delle persone. Se non rientrano in un frame, i fatti rimbalzano
via e il frame rimane. Perché? Le neuroscienze ci insegnano che tutti i
concetti che abbiamo – i concetti a lungo termine che strutturano il modo in
cui pensiamo – sono impressi nelle sinapsi del nostro cervello. I nostri concetti
non cambiano solo perché qualcuno ci racconta un fatto. Possono anche venirci
presentati dei fatti, ma perché noi li possiamo interpretare devono concordare
con quello che già esiste nelle sinapsi del nostro cervello. Altrimenti i fatti
entrano, ma poi escono immediatamente. Non li vediamo, o non li accettiamo come
fatti, oppure ci confondono: perché qualcuno dovrebbe dire una cosa del genere?
A quel punto etichettiamo il fatto come folle, irrazionale o stupido. È
esattamente quel che succede quando i progressisti “mettono i conservatori di
fronte ai fatti”. Non ottengono quasi nessun effetto, a meno che i conservatori
abbiamo già un frame che dia a questi fatti un senso. Allo stesso modo, molti
progressisti sentono parlare i conservatori e non li capiscono, perché non
hanno gli stessi frame mentali. Quindi presumono che i conservatori siano
stupidi. Non sono stupidi. Vincono perché sono intelligenti. Sanno benissimo
come ragiona e parla la gente».[5]
7. In secondo luogo, aggiunge sempre Lakoff, «Esiste anche un
altro mito che abbiamo ereditato dall’Illuminismo, e si potrebbe riassumere più
o meno così: è illogico andare contro il
proprio interesse e, quindi, una persona normale ragiona in base al proprio
interesse. L’economia moderna e la politica si basano su questo presupposto.
Questo mito è stato messo in discussione da cognitivisti come Daniel Kahnemann
[…] e Amos Twersky, i quali hanno dimostrato che le persone non ragionano
veramente in questo modo. Nonostante ciò, la maggior parte delle teorie
economiche parte ancora dal presupposto che ognuno ragioni sempre in funzione
del proprio interesse personale. Questa visione della razionalità influisce
notevolmente sulla politica dei democratici, i quali presumono0 sempre che gli
elettori voteranno nel proprio interesse. E quando questo non succede sono
tutti sconvolti e perplessi: “Come fanno i poveri a votare per Bush”, continuano
a chiedermi i democratici, “visto che li danneggia così gravemente?”. E cercano
ancora una volta di spiegare ai poveri perché votando per loro farebbero il
proprio interesse. Nonostante tutte le prove che presentano, i democratici
continuano a sbattere la testa contro il muro».[6]
8. Le stesse domande cui accennava Lakoff circolano oggi, nel
nostro Paese, negli ambienti del centro sinistra. Ci si stupisce come mai l’impressionante
accumulo di fatti negativi a carico di Berlusconi non impedisca a una parte
consistente degli italiani di considerarlo come il loro naturale rappresentante.
La conclusione di Lakoff è la seguente: «La gente non vota necessariamente per
il proprio interesse. Vota per la propria identità, per i propri valori, per la
persona con cui s’identifica. A volte può identificarsi con il proprio
interesse, può succedere, non è che non abbia mai a cuore il proprio interesse.
Ma tutti votano per la propria identità. E solo se identità e interesse
coincidono, voteranno per il candidato che li rappresenta. È importante
comprendere questo. È un grave errore presumere che le persone votino sempre
nel proprio interesse».[7]
9. Il terzo errore o mito, secondo Lakoff, è quello che io
personalmente chiamerei dell’additività
dell’offerta politica: l’idea che per guadagnare un elettorato ampio, occorra elaborare un insieme ampio di proposte che vadano bene un po’ per tutti. Spiega
Lakoff: «Si fa un elenco dei temi più popolari, e si inserisce nella
piattaforma. Si procede anche alla segmentazione del mercato: si cerca di
scoprire quartiere per quartiere che cosa interessa di più alla gente e quando
si va nel quartiere si parla di quello. Ma non funziona. A volte può essere
utile e, in effetti, i repubblicani utilizzano anche questo sistema oltre alla
loro pratica consueta. Ma la loro pratica consueta, il vero motivo del loro
successo è un altro: espongono quel che credono dal punto di vista ideale.
Parlano alla loro base usando i suoi stessi frame mentali. I candidati democratici
e progressisti tendono a basarsi sui sondaggi per decidere se è opportuno
assumere posizioni più “centriste” spostandosi leggermente a destra. I
conservatori non si spostano mai a sinistra, eppure vincono!».[8]
10. Se prendiamo questa teoria in termini schematici, ci
troveremmo di fronte a elettorati immutabili, rinchiusi all’interno dei loro
frame e impenetrabili alla comunicazione avversaria. Elettorati dove i leader non possono che rivolgersi esattamente
al proprio elettorato. La cosa funziona così senz’altro per una parte dell’elettorato,
ma non per tutti. I frame infatti sono
molteplici, plurali, mobili, sempre in competizione tra di loro. Si diffondono
probabilmente secondo la logica dell’epidemiologia
delle idee di Sperber.[9] È chiaro che non è possibile sperare di
convertire l’opinione del conservatore puro al modello progressista puro. Allora,
«Lo scopo è quello di attivare il vostro modello nelle persone che sono “a
mezza strada”. Sono persone che hanno interiorizzato entrambi i modelli e li
usano regolarmente per contesti diversi della loro vita. Basta spingerle ad
applicare il vostro modello alla politica, portarle ad applicare la vostra
visione del mondo e il vostro sistema di valori morali alle decisioni
politiche. Per ottenere questo basta che vi rivolgiate a quelle persone usando
i frame che riflettono la vostra visione del mondo».[10]
11. Trovare il frame
giusto significa dunque - posto che si voglia diventare maggioranza - riuscire
a far arrivare il proprio messaggio ai nuovi elettori sostituendo lo schema
avversario con uno schema nuovo che però sia compatibile con la loro visione
del mondo. Soprattutto: deve essere uno schema condivisibile da una maggioranza di elettori. Capire
quale sia il frame giusto non è lavoro semplice, richiede un’attività
consapevole di elaborazione e richiede senz’altro un investimento di energie,
di risorse. Lakoff, in più punti del suo libretto, elenca l’imponente
investimento di denaro che i conservatori americani hanno fatto, attraverso le
loro istituzioni, i centri studi, le fondazioni, per elaborare la loro
strategia.[11] I progressisti invece non sembrano abbastanza convinti di avere
bisogno di qualcosa di simile.
Spiega Lakoff: «Uno dei
maggiori errori che commettono i progressisti è quello di pensare di avere
tutte le idee di cui hanno bisogno. Pensano che a loro manchi solo la
possibilità di accedere ai mezzi di informazione. Oppure qualche formula magica
come “sgravi fiscali”. Quando qualcuno pensa che gli manchino solo le parole,
in realtà mostra una carenza di idee. Le idee prendono la forma di frame.
Quando ci sono i frame, le parole vengono fuori facilmente. Esiste un sistema
per capire quando ci mancano i frame giusti. Probabilmente avrete notato che
quando parlano in televisione i conservatori usano al massimo due parole per
esprimere un concetto, per esempio “sgravi fiscali”, mentre progressisti per
illustrare il proprio punto di vista su quello stesso argomento si lanciano in
un lungo discorso. I conservatori fanno riferimento a un frame consolidato,
quello secondo cui le tasse sono un’afflizione un peso che permette di usare l’espressione
sintetica “sgravi fiscali”. I progressisti, invece, non hanno nessun frame
consolidato. Possono parlarne, ma devono fare una bella fatica perché non
esiste un frame di riferimento, un’idea già pronta in chi ci ascolta. Nelle
scienze cognitive esiste un nome per questo fenomeno. Si chiama “ipocognizione”,
e indica la mancanza delle idee di cui si ha bisogno, l’assenza di un frame
relativamente semplice consolidato che può essere evocato con una o due
parole».[12]
12. Un simpatico esempio del funzionamento dei frame a livello
della micro comunicazione politica si può trovare nei giornali di questi
giorni: la candidata Giorgia Meloni ha lasciato una dichiarazione in cui
affermava che le era capitato spesso di vergognarsi, quando stava all’interno
del PDL. Questa dichiarazione naturalmente focalizzava l’attenzione del
pubblico su una quantità di cose indicibili che accadevano in quel partito, sotto
gli occhi dell’esterrefatta Meloni. La risposta della Santanché è stata
fulminea e degna della miglior scuola di comunicazione: «La Meloni sputa nel
piatto dove ha sempre mangiato». In questo modo l’attenzione del pubblico è stata
costretta a passare immediatamente dal registro delle porcherie interne al
partito alla questione della lealtà
personale della Meloni nei confronti del partito. L’obiettivo dell’avversario
è stato parato e ha fatto seguito un contrattacco su un altro piano, quello
della solidarietà con il gruppo.
13. Nell’attuale dibattito elettorale possiamo trovare alcuni
esempi di framing ben riuscito. Uno
dei frame più indovinati è senz’altro quello della macro-regione propugnato della Lega Nord di Maroni e cioè l’obiettivo
di far sì che il 75% delle tasse resti sul territorio regionale. Il frame
contiene in sintesi l’intera analisi della Lega Nord circa l’ingiustizia nella
distribuzione del carico fiscale territoriale, contiene una soluzione per
uscire dalla crisi economica e per risolvere i problemi della disfunzione della
politica; contiene anche, implicitamente, una soluzione interpretativa del
rapporto tra la Lombardia e l’Europa. Il frame parla certamente a chi condivide
la visione leghista, ma può essere tranquillamente adottato da molto elettori borderline, infatti suggerisce
implicitamente che i benefici del provvedimento si ripartiranno su tutta la
popolazione in termini di investimenti, servizi, benessere e sviluppo. Si
tratta di un frame difficile da scalfire. Sarebbe del tutto inutile contrapporre
a questo messaggio le squallide vicende del Trota, oppure i traffici del cassiere
della Lega. Occorrerebbe invece trovare parole d’ordine altrettanto attrattive
che immediatamente riescano a riformulare, da un punto di vista nuovo, la questione
della giustizia fiscale territoriale. Nonostante le occasioni avute in passato,
il centrosinistra ha sempre rifiutato di affrontare seriamente la questione e
ora non ha alcuna visione alternativa da contrapporre (magari ha tante
argomentazioni, ma non una visione, non un frame).
14. Un altro frame recente che si è mostrato sicuramente
efficace è quello proposto da Berlusconi circa la restituzione dell’IMU.[13]
Dopo la restituzione dell’IMU, a seguire, Berlusconi ha annunciato altre mirabolanti
proposte come il condono fiscale e il condono edilizio. L’idea della restituzione richiama sicuramente l’altro
celebre frame berlusconiano delle “mani nelle tasche degli italiani”. Se l’IMU
è una tassa ingiusta, una rapina di Stato, allora lo Stato deve restituire il
maltolto. Sarebbe un errore pensare che l’efficacia del frame dipenda dall’entità
della cifra.[14] È in questione il valore simbolico e identitario di unire tutti
coloro che protestano contro i “soprusi fiscali” dello Stato. Per controbattere
occorre riuscire a cambiare il piano del
discorso e, a quanto pare, l’unico che c’è finora riuscito, seppure solo in
negativo e non con una proposta positiva, è stato Mario Monti quando ha
affermato “Berlusconi compra i voti con i soldi degli italiani”. È ovvio il
riferimento alle “mani nelle tasche degli italiani”, ma questa volta il
rapinatore è Berlusconi.[15] Monti non è riuscito tuttavia a elaborare un frame
positivo rispetto alla sua politica fiscale. Bisognerebbe avere il coraggio di
ricordare agli italiani che, in una democrazia, “Le tasse sono belle” ma
nessuna forza politica ha il coraggio di farlo.
15. Un frame che ha molto successo, usato ugualmente a destra a
sinistra, Grillo compreso, è quello che esprime una visione negativa dell’Europa e, soprattutto, uno spirito di revanche contro la Germania e contro la
Merkel. Si basa sullo schema a buon mercato secondo cui i buoni siamo noi e i cattivi
sono gli altri e sullo schema del complotto
straniero ai nostri danni (già Mussolini lo aveva abbondantemente
utilizzato). Anche la sinistra più moderata vuole avere i voti “per andare a
ridiscutere” qualcosa in Europa. Il fatto che sia usato un po’ da tutti ha
fatto sì che questo frame non sia diventato particolarmente distintivo (e
questo forse è un bene). È tuttavia un frame molto pericoloso perché
oggettivamente ci impedisce di avere una visione chiara di quello che potrebbe
essere il nostro ruolo di paese guida
dell’Europa. Solo Monti sta riuscendo con molta fatica a contrapporsi al frame
della Germania cattiva. Ma solo in modo alquanto cerebrale.
16. Armato di pazienza, sono andato alla ricerca, nei
documenti, nelle dichiarazioni dei leader,
di quale potesse essere il frame guida della coalizione del centro sinistra. Ebbene,
è impossibile trovare qualcosa di simile a un frame. Lo slogan della coalizione
“L’Italia giusta” non è un frame, è solo un cappello
pubblicitario (peraltro molto brutto) che fa da ombrello a un elenco vago e
generico di contenuti eterogenei che sembrano
scritti da un notaio. Spesso i leader
del centro sinistra hanno detto che il lavoro sarà l’elemento al centro della futura
attività di governo. Nel programma ci sono, in effetti, una trentina di righe dedicate
al lavoro, dove si afferma in apertura che «La nostra visione assume
il lavoro come parametro di tutte le politiche». Quando si tratta però
di dare contenuto alla parola (cioè
di elaborare il frame) troviamo un assunto moralistico inutile (“la
dignità del lavoratore da rimettere al centro della democrazia, in Italia e in
Europa”)
e poi un incredibile sproloquio sociologico - sindacalese secondo cui occorre:
«[…] riconoscere
la nuova natura del conflitto sociale. Fulcro di quel conflitto non è più solo
l’antagonismo classico tra impresa e operai, ma il mondo complesso dei
produttori, cioè delle persone che pensano, lavorano e fanno impresa. E questo
perché anche lì, in quella dimensione più ampia, si stanno creando forme nuove
di sfruttamento. Il tutto, ancora una volta, per garantire guadagni e lussi alla
rendita finanziaria. Bisogna perciò costruire alleanze più vaste». È ovvio che per chi
non sia avvezzo al politichese di sinistra quest’ammasso di roba non ha senso
alcuno.[16]
17. Seguono poi gli obiettivi specifici, e cioè quello che la
coalizione intende fare per il lavoro che sono elencati con onestà: «Il primo passo da
compiere è un ridisegno profondo del sistema fiscale che alleggerisca il peso
sul lavoro e sull’impresa, attingendo alla rendita dei grandi patrimoni finanziari
e immobiliari. Quello successivo è contrastare la precarietà, rovesciando le
scelte della destra nell’ultimo decennio e in particolare l’idea di una
competitività al ribasso del nostro apparato produttivo, quasi che, rimasti
orfani della vecchia pratica che svalutava la moneta, la risposta potesse stare
nella svalutazione e svalorizzazione del lavoro. Il terzo passo è spezzare la
spirale perversa tra bassa produttività e compressione dei salari e dei
diritti, aiutando le produzioni a competere sul lato della qualità e dell’innovazione,
punti storicamente vulnerabili del nostro sistema. Quarto passo è mettere in
campo politiche fiscali a sostegno dell’occupazione femminile, ancora adesso
uno dei differenziali più negativi per la nostra economia, in particolare al
Sud».
Tutte cose condivisibili ma sfido chiunque (penso ai giovani, ad esempio) a identificarsi con questa roba. Sembra la
lista della spesa dal ferramenta. Questa roba non attiva alcun frame, se non quello della fedeltà e dell’assuefazione
al linguaggio politichese - sindacalese. Sarà giusto il programma dell’Italia
giusta, ma in termini di comunicazione non
funziona. Solo chi condivide già questo
linguaggio può condividere questo programma. Questo significa parlare solo a se stessi (e gli ultimi
sondaggi lo hanno fatto rilevare senza pietà).
In compenso, se la
coalizione di centro sinistra non ha saputo individuare un frame unificante
attorno al lavoro, al suo interno è in atto – ed è la sola cosa davvero
visibile - una snervante attività di marcamento
dei confini, passati, presenti e futuri. I possibili nuovi elettori, invece
di trovare qualche aggancio con la loro visione del mondo sono costretti a
sorbirsi interminabili contumelie sulla in/compatibilità tra Monti e Vendola,
su Bersani /Vendola e Ingroia.
18. Per quale motivo il centro sinistra e la sinistra sono così
in ritardo nell’individuazione di frame di comunicazione efficaci? La risposta
è soltanto una: il primato della politica.
Nella loro immensa pochezza i leader
del centro sinistra e della sinistra sono convinti di non avere bisogno di
studiare, sono convinti che le cose basta
dirle (e qualcuno non ci riesce neanche tanto bene) per farsi capire. Il
problema è che quello che dicono scivola
via. Non sono in grado di dare vita dei frame capaci di penetrare nelle
fortezze dell’avversario, come non sono in grado di agganciarsi ai frame della
gente comune (nonostante la giaculatoria “Dobbiamo parlare dei problemi che interessano
alla gente!”). Questo significa che sono condannati a parlare soltanto a coloro
che sono già d’accordo con loro e che si dimostrano incapaci di allargare la cerchia degli elettori.[17]
Quest’inettitudine viene mascherata come estrema trasparenza, amore della verità, rifiuto di servirsi di bassi strumenti propagandistici. In realtà serve a nascondere la concezione prevalente della politica: quella delle alleanze. Ognuno coltiva il suo orticello, fabbricando accuratamente le sue differenze con tutti gli altri, convinto di poter fidelizzare i suoi. Ottenuto così il massimo del risultato, si andrà poi al mercato delle alleanze con il bottino raccolto. Così si resta sempre di meno e si consegnano gli elettori borderline, estranei a questi giochetti, ai frame prodotti dagli avversari. Bisogna proprio aver mangiato pane e volpe tutte le mattine!
Giuseppe Rinaldi (13/02/2013 – 05/07/2021 rev.)
OPERE CITATE
2004 Lakoff, George
Don’t Think of an Elephant: Know Your Values and Frame the Debate!, Chelsea Green Publishing. Tr. it.: Non pensare all’elefante!, Internazionale, Roma, 2006.
1994
Sperber, Dan
The Epidemiology of Beliefs, in Fraser, C. & Gaskell, G. (a cura di), The Social Psychological Study of Widespread Beliefs, Clarendon
Press, Oxford. Tr. it.: L’epidemiologia
delle credenze, Anabasi, Milano, 1994.
NOTE
[1] Cfr. Lakoff (2004).
[2] Si riferisce ovviamente alla situazione
americana (ndr).
[3] Cfr. Lakoff 2004: 17-18.
[4] Cfr. Lakoff 2004: 18-19.
[5] Cfr. Lakoff 2004: 35-36.
[6] Cfr. Lakoff 2004: 38.
[7] Cfr. Lakoff 2004: 39.
[8] Cfr. Lakoff 2004: 40. Berlusconi, in
effetti, ha giocato la sua rimonta radicalizzando
e non moderando le proprie posizioni.
[9] Cfr. Sperber 2004.
[10] Cfr. Lakoff 2004: 41.
[11] Molti degli artifizi usati in passato da
Berlusconi non sono che sottoprodotti copiati di sana pianta dai conservatori
americani. Un esempio per tutti è il famoso “contratto con gli italiani”. In
Italia è stato salutato come un grande innovatore (anche dai commentatori di
sinistra) quando era solo uno scopiazzatore di quart’ordine.
[12] Cfr. Lakoff 2004: 45.
[13] Questo frame,
secondo i sondaggisti, avrebbe aperto la rimonta di Berlusconi.
[14] È stato fatto notare che, poiché l’IMU è
progressiva, una restituzione implicherebbe piccole ricompense per i meno abbienti
e grandi ricompense per i più abbienti: ma queste considerazioni razionali non
sono sufficienti a cancellare l’impatto identitario della proposta.
[15] Berlusconi, nella sua risposta, a quanto
riportano i giornali, non ha saputo spostare l’attenzione dall’idea forte di un
Berlusconi compratore di voti con i soldi altrui e si è limitato a sostenere
che Monti sarebbe “indecente”, lasciando così la vittoria al Professore.
[16] Coloro che sono avvezzi al politichese di
sinistra non faranno invece fatica a riconoscere, oltre a una lingua
decisamente sciatta e contorta, una serie di stupidaggini che hanno il solo
scopo di conciliare l’inconciliabile: la visione della lotta di classe old style con la visione interclassista new style. È sempre bene dare ragione a
tutti.
[17] Si ricorderà che proprio queste erano le
problematiche poste da Matteo Renzi durante le primarie, ma questa è una storia
ormai archiviata.