1. Nell’Italia di questi giorni,[1] il discorso politico è
sempre più contagiato da una serie di questioni che in un modo o nell’altro ruotano
intorno all’etica. Ciò sta avvenendo in due sensi assai diversi ma
complementari. Da un lato abbiamo una nuova ondata di trasgressioni e violazioni
nel campo dell’etica pubblica. Queste
sono dovute agli scandali dei
politici, degli amministratori e dei dipendenti della PA nello svolgimento
delle loro funzioni. Ma sono dovute anche alla implosione dei partiti, sempre più incapaci di svolgere le loro
funzioni elementari, come la costruzione delle alleanze, la scelta delle
candidature o la stesura dei programmi elettorali. Dall’altro lato, sembra che
il discorso politico sia incentrato sempre più intorno a contenuti che si
riferiscono a questioni etiche in
senso lato. Il caso Vannacci ne è una compiuta esemplificazione. Siamo, cioè, alla
presenza di una specie di deriva eticistica
della politica. Come vedremo, in entrambi i casi non si tratta di un buon
segno.
2. Sulle questioni di etica
pubblica, registriamo oggi – come già alcuni decenni or sono – numerosi casi personali di politici accusati di
avere violato i principi fondamentali dell’etica pubblica. Per costoro accade
comunemente che sia denunciata l’incompatibilità
con la funzione ricoperta, siano chieste le dimissioni.
Oppure ancora, si proceda con vere e proprie inchieste della magistratura. Mentre scriviamo, un caso
recentissimo è il rinvio a giudizio del ministro Santanché.[2] Ancor più
recente è l’arresto del Presidente della Liguria, Giovanni Toti, assieme a un
folto gruppo di amministratori e imprenditori, per una serie piuttosto grave di
ipotesi di reato. Talvolta in questa casistica sono coinvolti anche i
dipendenti della PA come, ad esempio, impiegati, forze dell’ordine o guardie
carcerarie.
Ma non basta. Oltre ai casi personali, abbiamo sempre più la tendenza,
da parte di gruppi o di singoli politici, all’occupazione delle istituzioni attraverso forme di potere personalistico, ben oltre quanto
consentirebbe un appena decente spoils
system. Questo ormai avviene in ogni campo, a livello di singoli ministeri,
a livello regionale o, anche e soprattutto, a livello locale. Ma ciò accade anche
a livello dei mezzi di comunicazione o delle istituzioni culturali. Abbiamo
insomma la tendenza a una vera e propria feudalizzazione
del potere grazie all’intraprendenza di una miriade di leader locali, spesso poco dipendenti dai partiti, che allargano la
loro influenza sul territorio con metodi discutibili e tendono ad agire al di
fuori di ogni controllo.
Ma non basta ancora. Un
ulteriore effetto di questa situazione è lo scontro sempre più ampio e
generalizzato del mondo della politica con la stampa e la magistratura.
C’è una tendenza sempre più marcata da parte della politica a fabbricare ostacoli pretestuosi nei confronti di magistrati
e giornalisti, onde impedire che di certi fatti sia data notizia, oppure
impedire l’avvio e lo sviluppo stesso delle inchieste giudiziarie.[3] In
generale, il ceto politico feudalizzato sopporta sempre meno le regole
deontologiche cui dovrebbe invece sottoporsi, quelle che imporrebbero appunto
di svolgere la propria funzione “con disciplina e onore”,[4] entro i limiti
consentiti dalla legge.
Un’ultima ma non ultima
questione, emersa dalla cronaca corrente, è la totale inettitudine dei partiti nel far fronte ai loro compiti più
elementari che consistono nell’assicurare la funzionalità del sistema politico.
Le direzioni dei partiti sembrano non dirigere proprio nulla. Da parte loro si
moltiplicano sempre più atti di incoerenza e inspiegabili “mosse suicide”. I
partiti sono oggi nelle mani dei potentati locali che fanno il bello e cattivo
tempo, oppure nelle mani delle improvvisazioni dei loro leader personali. Non
riescono a fare una politica credibile di alleanze, non riescono a fare le
liste elettorali. Non sono neanche in grado di compilare decentemente i
programmi elettorali. Chiedete ai rappresentanti dei vari partiti di farvi
avere i loro programmi dettagliati in vista delle elezioni europee!
3. Mentre assistiamo a tutte queste disfunzioni nell’ambito dell’etica
pubblica, non possiamo che registrare nel contempo l’introduzione selvaggia, sempre
più ampia e pervasiva, di questioni
etiche nel dibattito della politica. I nostri politici, invece di discutere
di politica, come sarebbe opportuno, evocano continuamente questioni di tipo
etico, per lo più in forma rozza ed elementare, per spingere il pubblico a schierarsi, per qualcosa e/o contro qualcosa. È di questi giorni la proposta
di “attuazione” della legge 194/78 che consentirebbe alle Associazioni antiabortiste
di intervenire direttamente nei consultori accanto al personale. Si tratta di un
tentativo indiretto di mettere in discussione la libertà di decidere che oggi la legge riconosce alle donne. A
destra e anche a sinistra (vedi il caso Tarquinio) ci sono quelli che, per
tagliar corto, proclamano che «L’aborto non è un diritto». Si tratta di pure
proclamazioni, che tuttavia intendono suscitare uno schieramento.
Va osservato, anzitutto,
che questa tendenza a sbrodolare etica dappertutto non deriva da una qualche
miracolosa conversione all’etica
della nostra classe politica. Deriva bensì dalla scoperta, datata almeno da una
trentina d’anni, che delle questioni etiche si può fare un uso efficace,
soprattutto per mobilitare la propria
parte politica e per screditare la
parte avversa. Il discorso etico,
quando sia opportunamente strumentalizzato, è in grado di creare schieramenti
compatti, l’un contro l’altro armati.
Come vedremo nel corso
della nostra analisi, non c’è alcuna contraddizione, c’è anzi una perfetta
coerenza, tra questi due aspetti dell’abuso in campo etico. Entrambi si rifanno
allo stile populista, oggi egualmente
diffuso a destra come a sinistra e, soprattutto, al carattere sempre più estrattivo che i partiti e il sistema
politico stanno assumendo. Di ciò tratterò ampiamente nelle conclusioni.
4. Prima di proseguire, è il caso di premettere alcune minime questioni di definizione. Che cosa
intendo per etica. Rinuncio qui alla
classica distinzione (che tuttavia per certi versi non ritengo del tutto
inutile) tra etica e morale.[5] Il termine “morale” soffre
oggi di un’ingiusta riduzione del suo campo semantico. Ciò è senz’altro dovuto
al relativismo sempre più imperante.[6]
Se le “regole morali” sono relative,
come crede ormai la maggior parte dell’opinione pubblica, allora tutto può
essere egualmente morale o immorale e le distinzioni in base alla moralità
tendono a non avere più alcun senso. Per etica
intenderò qui, assai riduttivamente, un complesso di regole (o anche una sola
regola) fondato intorno a delle argomentazioni
più o meno ampie e/o approfondite. Spesso anche solo fondato da vaghe intuizioni, da credenze o da altrettanto vaghi sentimenti.
Darò dunque prevalenza all’elemento normativo contenutistico.
5. Cominciamo con l’etica
pubblica. Poc’anzi ho usato il termine etica pubblica per indicare anzitutto
quel campo in cui oggi si compiono innumerevoli trasgressioni, che occupano la
gran parte della cronaca politica e che spesso sono indagate dalla magistratura.
In effetti, si tratta di poco più di un
campo. Purtroppo, soprattutto nel nostro Paese, l’etica pubblica è un po’
come l’araba Fenice: che ci sia ciascun lo dice, cosa sia nessun lo sa.
Non ci credete? Se cercate, ad esempio su Amazon, i titoli
dei libri prodotti nel nostro Paese sull’etica
pubblica, avrete qualche delusione.
C’è di tutto e di più: testi sparpagliati sull’anticorruzione o sulla
trasparenza, questioni di legalità nei più diversi settori degli affari,
manuali di ogni tipo per i concorsi nella PA, tentativi sparsi di produrre
codici etici per diversi settori della PA, saggi intorno a diversi scandali
assurti all’onore delle cronache, progetti di educazione civica diretti agli
insegnanti e ai ragazzi delle scuole, celebrazioni di eroi civici che si sono
sacrificati per il bene comune.
Dall’eterogeneità dei suoi contenuti non
è neppure ben chiaro se l’etica pubblica appartenga prevalentemente alla
filosofia, al diritto o alle scienze sociali, o a tutte queste insieme. L’etica
pubblica, evidentemente, non esiste come
disciplina matura. Probabilmente non ha neanche un insegnamento
universitario, visto che di manuali organici non ne esistono.[7] Utilizzare
oggi, in questo Paese, la nozione di etica
pubblica significa allora, più che altro, manifestare un’aspirazione a un
minimo di fondazione teorica, la pretesa di una qualche organicità, la
richiesta di definizione precisa del campo. E, forse, la speranza di arrivare,
chissà quando, a una formulazione ampia e circostanziata di un’etica pubblica democratica.
6. Qualche dritta provvisoria tuttavia
dobbiamo pur averla. Mi dilungo appena un po’ sulla questione, perché mi pare circolino
molte idee confuse. Sotto l’incerto ombrello dell’etica pubblica mi sembra che,
in forma provvisoria, possiamo utilmente collocare almeno tre ambiti principali.
Anzitutto, possiamo individuare un’etica
pubblica in senso descrittivo (caso
A). Si tratta di descrivere l’etica pubblica che c’è, in un certo preciso
spazio, in un certo tempo. Eventualmente, si tratta anche di descriverne gli
sviluppi storici. Si tratta di raccogliere dei fatti, dei documenti e di
cercare delle spiegazioni. In quest’ambito sarebbe richiesta una metodologia
empirica, attinente più che altro alle scienze
storico sociali. Questo settore dell’etica pubblica dovrebbe anzitutto
basarsi sulla statistica, sulle indagini di opinione, sui fatti di cronaca.
Rientrano in questo campo molti studi intorno ai reati, alla corruzione, alla
mafia, alle inefficienze, al degrado di talune zone del Paese, ai pubblici
servizi, all’esercizio della cittadinanza, al capitale sociale e alla cultura
civica. Nonché alla partecipazione elettorale e alla libertà di stampa. E poi studi
su problemi particolari, magari anche come quello di Marcello Dei sulle
scopiazzature scolastiche che, davvero con poco, possono spiegare molto del
nostro costume nazionale.[8] La descrizione dell’etica pubblica potrebbe anche
riguardare la dimensione psicologica
soggettiva, il funzionamento dei valori, la formazione delle credenze e degli
atteggiamenti in campo pubblico, il senso di identità nazionale, il
patriottismo della Costituzione e così via.
Una conoscenza non
episodica dei fenomeni legati all’etica pubblica è fondamentale, sia per
conoscere lo stato delle cose sia per identificare i problemi e proporre
riforme efficaci. Basti ricordare che
un elevato tasso di violazione delle
regole abbassa il livello della fiducia
diffusa tra i cittadini, fino a rendere la vita sociale ingovernabile. Per
questo, in questo campo, hanno un certo rilievo gli studi sulla fiducia nei confronti degli altri e
soprattutto nei confronti delle istituzioni.
Il prototipo di questi studi è stato senz’altro quello sul familismo amorale di Banfield, alla fine degli anni Cinquanta.[9] Secondo
il Corruption Perceptions Index, l’Italia
nel 2023 è stata collocata, su 180 Paesi, al 42° posto. Tanto per capire quali
siano i nostri competitor, le mete che
per noi oggi sono di fatto inarrivabili,
ai primi 10 posti della graduatoria figurano Paesi come Danimarca, Finlandia,
Nuova Zelanda, Norvegia, Singapore, Svezia, Svizzera, Olanda, Germania e
Lussemburgo. Siamo piuttosto indietro anche sull’indice della libertà di stampa.
7. Abbiamo poi, secondariamente, un’etica
pubblica intesa in senso prescrittivo
(Caso B). Qui siamo in presenza di quella che, in senso stretto, sarebbe la deontologia politica.[10] Siamo in
presenza di quelli che, nella oggi misconosciuta tradizione repubblicana, si dovrebbero
chiamare doveri del cittadino e dei
funzionari pubblici.[11] Di fatto, l’etica pubblica prescrittiva riveste
sempre più importanza nella nostra vita associata perché ha a che fare con i doveri grandi e piccoli che abbiamo
verso gli altri e, parimenti, con le aspettative, che legittimamente possiamo
avere, circa i doveri degli altri nei nostri confronti. L’etica pubblica
prescrittiva indica, tra l’altro, i comportamenti generalmente attesi da chi svolge un determinato ruolo pubblico.
Alcuni aspetti dell’etica pubblica sono
ovviamente regolati dalla legge. In tal caso la violazione delle norme comporta
conseguenze di ordine legale. Tuttavia molte norme relative all’etica pubblica
hanno risvolti semplicemente morali. La loro violazione comporta al più una condanna morale da parte dell’opinione
pubblica. Si tenga presente, tuttavia, che le condanne morali possono comunque
avere delle conseguenze rilevanti per coloro che vi incorrono. Oggi è assai
frequente la richiesta di dimissioni per chi sia incorso in un qualche tipo di
condanna morale. Si tratta dunque di un ambito piuttosto sfumato, che comprende
regole assai diverse, che vanno dalle semplici aspettative di ruolo a vere e proprie prescrizioni di tipo legale.
In un ambito intermedio tra questi due
estremi, si collocano poi i cosiddetti codici
etici (o anche codici deontologici)
promossi a vari livelli da una miriade di gruppi, associazioni e istituzioni
del settore pubblico. È questa una pratica, in ampia crescita, legata all’esigenza
sempre più sentita di una specificazione precisa
dei diritti e dei doveri in particolari settori. In questi codici, i
comportamenti attesi e dovuti sono esplicitamente formalizzati. Anche in questo caso, la loro violazione può
comportare conseguenze di vario tipo per gli appartenenti. Recentemente, la
Segretaria del PD, essendosi accorta che nel suo partito alcuni procedimenti
interni erano fuori controllo, ha invocato l’applicazione del codice etico interno. Non sappiamo con
quale esito.
8. Dovremmo infine avere poi (caso C) un’etica
pubblica in senso più propriamente disciplinare, di carattere teorico e critico. Si tratterebbe di un settore disciplinare di carattere filosofico, afferente alla etica pratica.
L’etica pubblica disciplinare dovrebbe occuparsi dell’elaborazione di teorie in senso generale. Ad esempio
potrebbe discutere e determinare i contenuti di un’etica pubblica democratica. Per avere un’idea di cosa possa ciò significare,
mi sento di consigliare il libretto di Flores d’Arcais che s’intitola Il sovrano e il dissidente.[12] Una
simile disciplina potrebbe, ad esempio, disquisire intorno alla cultura civica,
ai diritti e ai doveri. Oppure intorno ai rapporti tra il pubblico e il privato Mi
viene qui in mente, ad esempio, il classico caso di Mandeville, oppure Hirschman.[13]
Molte analisi di etica pubblica si trovano nell’opera di studiosi come Norberto
Bobbio, Gustavo Zagrebelsky o Giovanni Sartori. Alcuni studiosi della mafia
come Pino Arlacchi, Diego Gambetta o Fabio Armao hanno sicuramente sviluppato,
implicitamente, una serie di teorie interessantissime attinenti l’etica
pubblica come disciplina teorica. C’è comunque molto da fare in quest’ambito.
9. A questo punto, per documentare il ritorno delle trasgressioni dell’etica pubblica da parte del mondo
della politica (caso A) dovremmo far ricorso a una gran mole di dati e
statistiche. Purtroppo i dati e le statistiche proprio non ci sono. Se ci sono, sono sepolti là dove un comune cittadino
non riuscirebbe mai ad accedere. Questo tipo d’indagini non trova sponsor e finanziatori.
Non trova audience, se non per gli
aspetti scandalistici. Vediamo allora, nel nostro piccolo, tanto per consolarci,
quel che si può desumere dalle cronache di queste ultime settimane.
Grazie alla cronaca,
abbiamo compreso che le famose alleanze
tra i partiti non sono tali, ma sono piuttosto ammucchiate di concorrenti interni
che hanno la finalità di sopravanzarsi gli uni con gli altri. Anche a costo di procurare la sconfitta dell’alleanza
stessa. Abbiamo compreso bene come le candidature alle elezioni non abbiano
come oggetto la scelta dei migliori,
secondo il criterio del merito, bensì comportino lo scontro tra i vari gruppi
di potere che si contendono la supremazia nei partiti e sul territorio. Abbiamo
così scoperto che i partiti hanno in realtà delle direzioni centrali assai
deboli e sono nelle mani dei signori
delle tessere, dei cacicchi e dei
capibastone, nomi pittoreschi per
mestieri sciagurati. Sappiamo che esiste ancora, a tutt’oggi, un mercato dove
si fa la compravendita dei voti, dove il valore di un voto ammonta a una cinquantina
di Euro. Una cena per due in pizzeria. Abbiamo imparato che lo stile mafioso è
usato ormai anche dai nemici della mafia: il glorioso governatore Emiliano non
ha esitato a usare un perfetto stile mafioso a proposito della “protezione”
accordata al suo Assessore. Del resto le collusioni
tra mafia, politica e affari continuano imperterrite e la loro pratica,
tanto per cambiare, è stata estesa oggi anche alle regioni del Nord, che si
credevano immuni.
Abbiamo poi dovuto registrare un fittissimo cambio di casacca di numerosi politici, non solo a livello parlamentare ma anche ai livelli locali. Si tende oggi, dopo essere stati eletti, a cambiare formazione anche solo per un piatto di lenticchie. Con ogni evidenza, l’appartenenza politica ormai è qualcosa di eminentemente estrinseco e strumentale. La carriera politica non si fa più dentro a una formazione politica, bensì saltando spregiudicatamente da una formazione all’altra. Inoltre, il conflitto d’interessi sembra essere sempre più generalizzato, tanto che non ci fa caso più nessuno. La Santanché, ad esempio, non sarebbe neanche dovuta diventare ministro del Turismo per il suo conflitto di interessi, essendo Lei imprenditrice proprio nel campo del turismo. Lo stesso vale per il sottosegretario Sgarbi oggi dimissionario e sotto inchiesta. Il quale, evidentemente per i suoi meriti, è stato perfino ricandidato dal suo partito alle prossime elezioni europee. Il riciclaggio degli altrimenti impresentabili è un’altra tendenza pericolosamente in aumento. L’elenco di quel che abbiamo imparato potrebbe essere alquanto allungato, ma penso possa bastare.
10. Da dove viene tutta questa porcheria? In attesa di studi
organici, in termini empirici e descrittivi, tutto quel che possiamo fare, noi qui,
è di delineare sinteticamente gli sviluppi
storici recenti della questione dell’etica pubblica nel nostro Paese. Guardando
appena indietro nella nostra storia recente, emerge senza dubbio il macigno di quel
complesso di eventi che è stato definito come Tangentopoli. In altre parole, l’inchiesta
Mani Pulite, la quale, a partire dal 17 febbraio 1992 (data dell’arresto di
Mario Chiesa) ha sconquassato il sistema dei partiti della Prima Repubblica.
Tuttavia, già ben prima di Mani Pulite, Enrico Berlinguer, tra il 1979 e il
1981, aveva posto all’attenzione dell’opinione pubblica proprio la questione morale. La questione di cui
parlava il leader comunista era una questione strettamente deontologica. Berlinguer denunciava una serie di degenerazioni del personale politico e
dei partiti, soprattutto di quelli governativi. In un’intervista a Eugenio
Scalfari – cito da Wikipedia – definì la questione morale come «l’occupazione
dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, i quali
oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela, privi di ideali, senza
sentimento e passione civile».
11. Perché i fatti di Tangentopoli? Sul piano interpretativo,
le cose in termini generali sono abbastanza chiare. La storia della Prima Repubblica
e, in particolare, la situazione della Guerra fredda hanno in pratica
contribuito a bloccare la classe politica,
preservandola da qualsiasi avvicendamento
e ricambio. In tal modo ne hanno accentuato la propensione alla corruzione. Il fatto poi che controllati e controllori
in gran parte coincidessero ha fatto il resto. Si noti che, in gran parte, i
corrotti di Tangentopoli rubavano non per arricchire se stessi, bensì rubavano per il partito. I corrotti di
Tangentopoli erano sorpresi di essere inquisiti. Avevano per lunga tradizione
ormai la certezza dell’impunità. Avevano perfino una notevole stima di sé come
benefattori della loro causa. C’è un famoso discorso con cui il tanto celebrato
Craxi ha chiamato in correità tutti i parlamentari di tutti i partiti. La
questione morale viene dunque da lontano.
Indubbiamente, Tangentopoli
ha prodotto un enorme scossone nell’opinione pubblica, ponendo all’ordine del
giorno proprio la questione dell’etica pubblica
e, indirettamente, la questione dei costi
della politica e quella del suo rendimento.
In quel frangente emerse dai cittadini la domanda pressante di una riforma radicale della politica che
avrebbe dovuto introdurre nuove regole, bloccare la corruzione e fare pulizia
delle mele marce. Per rispondere a questa domanda di pulizia, a partire dalla
metà degli anni Novanta, si affrontarono molte questioni, seppure in modo del
tutto raffazzonato e episodico. I temi affrontati furono quelli del finanziamento
pubblico dei partiti, della legge elettorale locale e nazionale, dell’abolizione
degli enti inutili, di una serie non ben definita di riforme istituzionali (tra
cui il monocameralismo e la diminuzione del numero dei parlamentari). Quello
che seguì fu, insomma, un processo di auto
riforma della politica che tuttavia non fu mai ben strutturato e soprattutto non fu mai terminato. Si è trattato di un processo caotico e farraginoso e,
soprattutto, reticente. Nulla o quasi
si fece, infatti, sulla riforma dei
partiti, i quali erano stati in realtà il centro propulsore della
corruzione. Ci si concentrò sulla questione dei finanziamenti ai partiti, quando il problema era costituito dall’assenza
di una loro regolamentazione pubblica[14]
e di un sistema stringente di controlli.
Era evidente anche la loro più totale assenza di democrazia interna.
Da allora nulla è
cambiato. Berlusconi, proprio in quegli anni, s’inventò il partito proprietario, e in ciò fu seguito da altri, senza che
alcuno gridasse allo scandalo. Non si giunse inoltre mai a regolare il conflitto d’interessi che in tal modo fu
sempre più radicato e pervasivo, fino a oggi. Si ebbe forse qualche successo
nella lotta alle collusioni tra mafia, politica e affari, soprattutto grazie a
una certa mobilitazione popolare e all’impegno e al sacrificio di pochi eroici
servitori dello Stato. Tuttavia neanche qui si trattò di una vittoria
definitiva, poiché è un fatto che oggi la mafia si stia espandendo a macchia d’olio,
dalle regioni originarie verso il Centro e il Nord.
12. Sono passati più di trent’anni dal 1992 e forse abbiamo il
diritto – e magari anche il dovere – di fare un bilancio. Nonostante il forte
chiacchierare di questione morale e di etica pubblica, e le rutilanti
contrapposizioni tra le forze del bene e le forze del male, le tre grandi novità della politica della
Seconda Repubblica (La Lega Nord, Forza Italia e il M5S) non sono affatto riuscite a moralizzare la vita pubblica, non sono
riuscite a incanalare in un ambito
deontologico accettabile il comportamento dei politici a tutti i livelli.
Non hanno affatto risanato i partiti, che anzi sono stati abbandonati alle più
varie degenerazioni e sperimentazioni. Gli altri partiti, i residui
della Prima Repubblica, erano in pesante declino e alcuni di loro erano decisamente
con le ossa rotte, in seguito alle inchieste giudiziarie. Invece del
rinnovamento, si ebbe la disgregazione progressiva in frammenti sempre più
piccoli e instabili. Insomma, i vecchi e i nuovi hanno fallito miserabilmente
tutte le riforme della politica che hanno tentato. La vergognosa posizione del
nostro Paese sull’Indice della percezione
della corruzione è un verdetto implacabile circa i pessimi risultati
ottenuti.
Inutile dunque soffermarsi
nel dettaglio sul fallimento, nel campo dell’etica pubblica, di Berlusconi e
del berlusconismo, com’è inutile soffermarsi sulle cadute etiche della moralizzatrice
Lega Nord (dai bilanci allegri fino al diploma del Trota).[15] Il M5S-II,
rinnovato nel 2021, dopo una crisi melodrammatica, è oggi un partito diverso
rispetto alle origini, anche se ha mantenuto lo stesso nome. Forse ha sviluppato
una minor corruzione al proprio interno, ma la sua articolata e tanto
strombazzata “riforma della politica” (tutti ricordiamo il famoso apriscatole esibito in Parlamento) non
ha minimamente funzionato e continua a non funzionare. Ci si dovrebbe ricordare
dei contenuti del “movimento” originario, organizzato intorno al Blog di Grillo
e alla piattaforma digitale di Casaleggio. Non sto neanche ad esaminare in
dettaglio le imprese di riforma della politica tentate dal PD, dove brilla il
fallimento clamoroso della riforma costituzionale renziana, affossata anche dai
suoi stessi alleati di sinistra. Oggi è senso comune diffuso che il PD, il
principale partito di opposizione, abbia urgente necessità di una radicale riforma interna. L’attuale
Segretaria, eletta proprio per questo scopo contro la burocrazia delle tessere,
sembra tuttavia non essere in grado di farlo.
La storia però non finisce qui. In perfetta linearità con tutti questi fallimenti, ora il centro destra – degno erede di tutta questa miseria ed eletto il 25 settembre 2022 con il contributo sostanziale della sinistra – sta proponendo agli italiani, ahimè, l’ennesima grande riforma della politica, quella che dovrebbe essere finalmente risolutiva, sotto la forma cioè dell’autonomia differenziata e della riforma del premierato. La storia che abbiamo raccontato non sembra proprio stare dalla sua parte.
13. Sono cose risapute, certo. Il solo il fatto di metterle tutte
in fila produce tuttavia un effetto davvero impressionante. Mettendo in fila
tutto ciò siamo in grado davvero di individuare il nodo fondamentale che, da
almeno trent’anni, soffoca il nostro Paese e gli impedisce di crescere. Si
tratta proprio dello scarsissimo
rendimento generale della politica. È quasi banale riconoscere che lo
sviluppo di un Paese dipenda essenzialmente dalla qualità delle sue istituzioni e dalla qualità delle istituzioni politiche in particolare.[16] Quando la
politica fa male il suo lavoro, o
proprio non fa il suo lavoro, viene
danneggiata la società nel suo insieme. Lo scarsissimo rendimento della
politica viene indirettamente pagato da tutti i cittadini, che vedono
costantemente tarpate tutte le potenzialità di sviluppo. La storia generalmente
ci restituisce tutti gli errori che abbiamo fatto, ma non ci dice gran ché di
tutte le opportunità che abbiamo gettato al vento, per noi e per le generazioni
future. L’inefficienza della politica è
la pesante zavorra che ci impedisce di crescere.
Ne fanno testo alcune
semplici evidenze. Il debito pubblico in continua crescita, lo stato sempre più
precario dei servizi pubblici, tra cui la sanità. Il disastroso bonus “110 per
cento” che ha pesato e peserà sui bilanci per molto tempo a venire. Abbiamo poi
l’incredibile vicenda del pessimo
utilizzo dei fondi del PRNN.[17] Dovuto anche al fatto che disponiamo di
una Pubblica Amministrazione farraginosa ed arretrata, neanche capace di
gestire i progetti di spesa. Possiamo aggiungere l’interminabile questione
della riforma della giustizia. Anche la questione fiscale è del tutto irrisolta
e ciò nonostante si continuano a fare condoni per favorire gli evasori. Non
parliamo poi di politica estera e di politica europea. Va riconosciuto che i
pochi aspetti di modernizzazione che abbiamo introdotto, e stiamo introducendo obtorto collo, derivano proprio dalle
pressioni esterne della Unione Europea. Il campo della politica italiana continua
così ad avere il carattere di una istituzione
estrattiva[18] ai danni dei cittadini. I quali si lamentano continuamente
ma continuano a tollerare e ad alimentare il meccanismo estrattivo
stesso.
Nello stesso tempo, in
questi trent’anni è stata messa in atto una colossale attività di diseducazione civica, nei confronti dei
giovani e dei cittadini di tutte le fasce sociali, che ha abbassato gli indici
di fiducia nei confronti delle istituzioni, ha abbassato gli standard della
moralità pubblica, ha allontanato gli elettori dalla politica, peggiorato
nettamente la qualità della classe politica, consegnato il Paese al populismo
becero e ignorante. E distrutto quello straccio di capitale sociale di cui ancora disponevamo alla fine della Prima Repubblica.
Di fronte a questo complessivo bilancio
fallimentare trentennale, i fatti di cronaca spicciola, cose come le
vicende della Santanché o di Sgarbi, dell’uomo con la pistola, o l’improvvido
Emiliano che raccomanda il suo assessore alla mafia, i cacicchi e capibastone
del PD, i voti comprati a cinquanta euro, i continui cambi di casacca degli
eletti sembrano soltanto innocenti bruscolini.
14. Possiamo passare ora alla seconda questione, già delineata in
sintesi nell’introduzione. Nonostante il più che trentennale tracollo della
politica italiana nel campo dell’etica
pubblica, se ci fate caso, nel dibattito politico quotidiano si discute continuamente di questioni etiche
o di questioni che con l’etica hanno una stretta relazione. Incredibile ma
vero. Le questioni etiche hanno finito per invadere lo spazio della politica. Si
tratta di un fatto relativamente nuovo, e per certi versi preoccupante, che è
stato assai poco notato dai commentatori.
Anche in questo caso,
per capirci qualcosa, dobbiamo tornare a Tangentopoli. Più che la riforma della
politica, tanto ventilata ma mai veramente realizzata, fu proprio l’antipolitica di quegli anni a
determinare una sorta di nefasta torsione
etica del discorso politico. Si smise di discutere degli ideali, della
modernizzazione del Paese, delle grandi riforme, dei rapporti tra Stato e mercato
e tra pubblico e privato, dei diversi modelli alternativi di società, dello
sviluppo economico e delle prospettive per il futuro e ci si cominciò ad
accapigliare sui buoni e i cattivi, sugli
onesti e i disonesti, su noi e quelli diversi da noi.
Con la fine della Guerra
fredda e, in Italia, con la fine della Prima Repubblica, non c’è stata alcuna efficace
riflessione intorno alla politica, per adeguarla alla nuova condizione,
nazionale e internazionale. Fu questo il vero disastro lasciatoci in eredità –
un velenoso regalo d’addio – dal vecchio mondo della Repubblica dei partiti. Le
ideologie politiche col loro rispettivo sottofondo di etica pubblica, sono
semplicemente state abbandonate. Sono finite nel dimenticatoio. Al più sono
divenute elementi rituali sempre più sterili. Ci hanno raccontato che,
finalmente, eravamo approdati all’epoca della fine delle ideologie, all’epoca post
ideologica. Invece di una revisione
della politica effettuata proprio sul piano stesso del discorso politico,
siamo scivolati sempre più avventurosamente su un terreno primitivo, opposto alla politica, sul terreno antipolitico. Questo è il periodo in cui i nuovi contenuti
di carattere etico elementare hanno
sostituito le complesse argomentazioni politiche cui i cittadini della Prima Repubblica
erano in qualche modo abituati.
15. Le prime due imprevedibili
novità politiche della Seconda Repubblica – sempre di loro si tratta, la Lega
Nord di Bossi e Forza Italia di Berlusconi – nascevano su un terreno
propriamente etico elementare. Si
pensi alle tirate berlusconiane sulla libertà (che non avevano proprio nulla a
che fare con la politica liberale) o contro i comunisti (che ormai non
esistevano più), o al penoso patriottismo da stadio di “Forza Italia”. O al “Contratto
con gli italiani”. La Lega Nord nasceva, a sua volta, da una altrettanto
elementare reazione antimeridionale,
che tendeva a nobilitare le qualità morali della gente del Nord. Una reazione di pancia, come si dice. I
politici oppressori del popolo erano tutti meridionali (e stavano dal fiume Po
in giù). Chi non ricorda lo slogan «Roma ladrona» messo al posto dei seriosi
dibattiti sulla Questione meridionale
che avevano occupato il secolo precedente. Fu proprio a partire da un antimeridionalismo
razzista e di maniera che si produssero grandi cose come il progetto della secessione padana e l’ideologia comunitaria etnocentrica,
quella dei celtici cornuti e delle ampolle del Dio Po. Chiarendo con ciò
definitivamente che il Paese, un’effettiva identità
nazionale non l’ha mai avuta. E continua a non avercela.
Appena una generazione più
tardi, lo stesso fenomeno primitivo, antipolitico e post ideologico, darà vita
al movimento di Grillo (si ricordi l’elegantissimo Vaffa), che proponeva anch’esso
una piattaforma politica elementare, le
cinque “stelle”, unita a una rilettura
della politica stessa in chiave di etica elementare. Si pensi al direttismo, il mandato imperativo dei “portavoce”,
lo slogan “uno vale uno”, il disprezzo della politica come professione, il non
statuto, il movimento e la rete come spazio politico democratico alternativo.
Ma anche a contenuti specifici, come i costi della politica, oppure la riduzione
del numero dei parlamentari. Sembravano dire «Noi siamo i migliori, noi abbiamo
capito come va il mondo, noi siamo il futuro, il resto è porcheria».
Insomma, abbiamo avuto tre
nuove forze politiche che, con la
scusa della riforma della politica, hanno di fatto svolto il compito di fare a pezzi quel che era rimasto della
politica dopo la fine della Guerra fredda. Caratteristica generale tipica
di queste tre forze antipolitiche era quella del rifiuto delle ideologie (del resto si era in pieno postmodernismo) e della sostituzione delle ideologie con l’appello,
appunto, a principi etici elementari
(o anche etno-etici). Così furono orgogliosamente mandati al macero il repubblicanesimo,
il liberalismo, la democrazia, la socialdemocrazia. Anche la tradizione
federalista, quella autentica, fu maciullata. Non solo, anche il complesso dei
diritti e delle garanzie. E i diritti
umani in particolare. Ricomparve prepotente il razzismo, dapprima contro i meridionali e poi contro gli immigrati
e gli islamici. L’antifascismo, la Costituzione e i simboli nazionali furono
sberleffati. Non va dimenticato neppure il sovranismo,
un vero attentato contro il progetto federalista di costruzione dell’Unione
Europea. Si rilegga il Manifesto di
Ventotene, per rendersi conto della distanza abissale che intercorre tra la
prospettiva etico – politica di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi e le cialtronerie
leganordiste.
Da quegli anni di
volgarità, le grandi correnti del pensiero
politico contemporaneo e i principi fondamentali della nostra civiltà giuridica hanno smesso di trovar
posto nel curricolo formativo e nel linguaggio dei giovani, dei cittadini e dei
politici. Al loro posto un’interminabile querelle
spettacolare contro i magistrati, colpevoli di essere i persecutori dell’Unto
dal Signore. Inutile dire che non si trovarono solerti difensori della politica
e delle istituzioni presso i vecchi partiti della Prima Repubblica, presso la
gloriosa classe operaia ormai in disarmo o presso il cosiddetto popolo. E i risultati li vediamo oggi
che quei giovani politicamente diseducati sono divenuti quarantenni e stanno
prendendo in mano il Paese come dei dilettanti, capaci oltre a tutto di
danneggiare non solo gli altri ma anche e soprattutto se stessi.
16. Non basta però stare ai fatti. Occorre anche cogliere più
in generale la profonda trasformazione,
avvenuta in quegli anni, nei rapporti tra etica
e ideologie politiche. Prima, in un
passato indeterminato, c’erano le
religioni. Interiorizzare l’etica religiosa (cioè la morale religiosa – qui
il termine “morale” funzionava ancora) era d’uopo. Anche perché non farlo
poteva essere alquanto rischioso. Non che la morale religiosa venisse di fatto
seguita sempre, ma non c’era molto da discutere nel merito. Si rischiava l’eresia,
la scomunica, la condanna. La nascita di una moralità di tipo laico, accanto a quella religiosa, è stato un
processo lungo e faticoso. Si pensi a Montaigne e a Machiavelli. A Galileo e a
Voltaire. Poi, a partire dal Settecento, ci sono state le ideologie. Il repubblicanesimo, il federalismo nord americano, il
costituzionalismo, il contrattualismo, il liberalismo, la democrazia, il
socialismo e tutte le loro complesse combinazioni successive. Le ideologie –
che erano sistemi di pensiero piuttosto ampi, compatti e articolati – avevano anch’esse
di fatto un’etica incorporata. Infatti,
c’è chi ha detto che le ideologie fossero, più o meno, delle religioni laiche. Ogni ideologia aveva
un proprio pacchetto etico incorporato.
Se ti professavi liberale, era ovvio che dovevi avere un minimo di commitment per l’etica liberale. Se eri
comunista, in qualche modo ti riferivi all’etica comunista (per quanto fosse
controversa). E così via. Il nostro Maurizio Viroli ha riscoperto e riproposto,
con i suoi studi e i suoi interventi, la nobile e poco praticata etica repubblicana.[19] Da parte sua, il
cattolicesimo democratico faceva continuo riferimento all’etica cattolica, anche se spesso la sua osservanza lasciava
alquanto a desiderare. Certo, ci furono anche le degenerazioni ideologiche totalitarie,
ma furono appunto degenerazioni. Non è
proprio il caso di mettere sullo stesso piano Mazzini o Giolitti con Mussolini
e Hitler.
C’erano ovviamente delle
discussioni, dei contrasti, perché le ideologie erano numerose e agguerrite.
Tuttavia i dibattiti inter ideologici, quando si facevano, erano spesso di alto
livello e si giovavano di specialisti riconosciuti e di tutte le migliori
risorse della cultura alta. Le differenze di opinione erano esaminate con cura,
erano accuratamente argomentate. È pur vero che, via via che si scendeva a
livello popolare e ultra popolare, si ritrovavano le semplificazioni, le
falsificazioni e gli slogan a carica emotiva. Tuttavia ogni corrente politica
le argomentazioni buone le aveva e, all’occorrenza, poteva sfoderarle. C’erano
valorosi intellettuali al lavoro. I dibattiti parlamentari lo testimoniavano. E
anche i giornali e le riviste. La questione morale posta da Berlinguer non
nasceva dal nulla. Così ancora aveva funzionato, nel bene e nel male, la Repubblica
dei partiti.[20]
17. Il fatto è che l’etica oggi corrente, l’etica dei tempi nostri, non è più quella
di una volta. Con l’accantonamento delle religioni e poi delle ideologie, i pacchetti etici preconfezionati hanno
smesso di essere elaborati e coltivati dalle rispettive centrali intellettuali
e di essere recapitati al grande pubblico. E hanno smesso di essere insegnati, memorizzati e interiorizzati. Non sono
neppure più facilmente riconosciuti. Hanno perso cioè ogni rilevanza pubblica. Sono
stati zittiti. La svolta, in Italia, anche in questo caso, s’è avvertita più o
meno con la fine della Prima Repubblica, che coincide con la fine della Guerra
fredda. Per tutta la Prima Repubblica c’erano ancora, sparse per il Paese, le
comunità etico politiche, come quelle descritte da Scoppola.[21] Magari erano già
in crisi, ma c’erano ancora.
A partire proprio dai
primi anni Novanta – Berlusconi, sempre lui, ne fu il principale promotore – si
è cominciato a parlare di deregulation.
Si noti che con questo termine non ci si riferiva soltanto al laissez faire liberista, bensì anche e
soprattutto al costume pubblico e
financo a quello privato. Insomma, ci
si poteva finalmente liberare dalle
regole. Se per la Lega Nord i problemi del Paese erano dovuti ai
meridionali, per Forza Italia erano dovuti all’eccesso di regole che tarpavano la libertà del singolo. Questo fu
il “liberalismo” berlusconiano. Ognuno era così autorizzato a confezionarsi la
propria etica custom. In base a regole
che non potevano mai essere di ordine universale ma che venivano sempre adattate alla situazione. Una specie di
cialtronesco casuismo gesuitico (oggi
il casuismo è condannato anche dai gesuiti!). Eravamo oltre tutto in una
situazione in cui la distinzione tra
pubblico e privato stava subendo gravi e preoccupanti stiramenti.[22] Ciò
che era pubblico poteva diventare privato e ciò che era privato poteva
facilmente diventare pubblico. La privatissima Ruby rubacuori divenne la “nipote
di Mubarack”, cioè un caso di Stato. Con tanto di ratifica del Parlamento. Non
a caso Berlusconi ebbe a che fare, per tutta la sua carriera, col conflitto di interessi e con la
magistratura. Berlusconi fu il primo a scrivere il proprio nome nel simbolo del
partito di sua proprietà. E il suo nome, nonostante tutto, sta ancora lì,
ampiamente imitato da tanti altri. Berlusconi, grazie alle sue televisioni e a
un certo numero di giornali addomesticati, impose così al Paese una specie di etica fai da te che aveva al centro il relativismo e, nel contempo, la trasgressione. Un’etica estemporanea,
superficiale e strumentale. Adattabile a tutte le situazioni, capace dei lassismi
e dei fondamentalismi più estremi.
Abbiamo così assistito a un impressionante
caso di sostituzione etica. Le complesse
argomentazioni etiche sono diventate slogan
brevi, spesso confezionati dai pubblicitari, da memorizzare e ripetere
incessantemente, sostituibili e intercambiabili. Il discorso pubblico e il dibattito
in campo etico sono diventati contrapposizioni
di slogan. Senza più nemmeno alcun obbligo
di coerenza, visto che, poco a poco, è caduto anche ogni obbligo di
ricordare il giorno dopo quel che s’era dichiarato il giorno prima. A mettere
il cappello a questo luminoso trend furono
poi gli intellettuali postmoderni.
Alcuni direttamente assoldati da Berlusconi stesso, altri, decisamente
volenterosi, hanno fatto il loro lavoro completamente gratis. Ad esempio, nel
2009 usciva un libretto di uno dei nostri più celebrati filosofi nazionali dal
titolo, davvero emblematico, di Addio
alla verità.[23]
18. Su questa eticizzazione della politica si è basato il populismo berlusconiano che si è poi diffuso
presso tutti i movimenti, i partiti, ed è divenuto rapidamente il solo vero costume politico nazionale. Ben prima
dell’americano Donald Trump. La sola vera etica
reale diffusa, esattamente come il
socialismo reale. Il M5S di Grillo e
Casaleggio si è limitato, una generazione dopo, a cucinare gli ingredienti che
Berlusconi aveva già preparato. Sotto questo profilo, il M5S non si rende conto
di quanto deve proprio a Berlusconi.
All’interno del
populismo trovano posto, ancora oggi, gli echi di quei pacchetti etici estemporanei che hanno spopolato pur valendo il
tempo di uno slogan. Volete degli esempi? Vediamo un piccolo elenco, un po’ a
caso. Ognuno, sul filo della memoria, può farsi la sua antologia personale. Si
pensi, ad esempio, al già citato pacchetto di «Roma ladrona», al pacchetto sovranista ai tempi di Steve
Bannon, oppure a «Aiutiamoli a casa loro», magari condito con il «blocco navale».
Oppure, ancora, al più recente pacchetto etico dei NoVax[24] che fu sostenuto
da importanti filosofi italiani. Apprendiamo in questi giorni che un noto NoVax
si appresta a essere eletto a Bruxelles: non si getta mai via nulla. Non si può
non prendere poi in considerazione anche le cose di bioetica spicciola, come «Basta
con “Genitore 1” e “Genitore 2”. Tutti i bambini e tutte le bambine devono
avere un papà e una mamma». Oppure «La famiglia naturale deve essere composta
da un uomo e una donna». Oppure ancora che «L’utero in affitto è un crimine
universale».
Non si pensi soltanto a
temi di portata generale. Anche «Mettere fuorilegge la farina di insetti» e
«Proibire la carne sintetica» sono esattamente prescrizioni di etica elementare.
D’altronde sappiamo bene che da sempre i tabù
alimentari sono tipici delle religioni. Abbiamo poi l’ossessione della
difesa della casa e della proprietà: «La sinistra vuole tassare la casa» e poi «Se
un malintenzionato entra in casa mia ho il diritto di sparargli». Lo ricordate Salvini
che suona al citofono e chiede «È qui che si spaccia?». Per attaccare i
magistrati, s’insinua che questi potrebbero essere degli squilibrati e se ne
deduce che si debba «sottoporre i magistrati a un test di personalità». E che
dire di «Ricordatevi di Bibbiano!», dove la sinistra fu accusata di sottrarre i
figli ai legittimi genitori. Sulle tasse ci sarebbe un vagone di citazioni, da «Non
metteremo le mani nelle tasche degli italiani» fino alle tasse che sarebbero un
«Pizzo di Stato». Oppure ancora: «Quelli che pigliano il reddito di
cittadinanza sono dei mantenuti». Ma anche: «Giudici e giornalisti non possono
violare la privacy». O ancora «L’aborto non è un diritto!», oggi condiviso, come
abbiamo già ricordato, oltre che dal ministro Roccella, anche dal candidato del
PD Tarquinio. L’impressione che si ricava è quella di una continua mobilitazione dell’opinione pubblica su questioni distorte,
ingannevoli, labili o inesistenti, che hanno veramente poco a che fare con la
politica propriamente intesa.
19. Ma la cosa ha contagiato anche la sinistra (anch’essa
sensibile al populismo) la quale tuttavia ha mostrato forse minor fantasia. Ha tuttavia
perso un sacco di tempo a rintuzzare quanto prodotto dai pubblicitari di
Berlusconi, lasciandogli comunque quasi sempre l’iniziativa, cioè l’Agenda, come si dice. Interessante,
sebbene un po’ controproducente, fu «Anche i ricchi devono piangere». Oppure «I
soldi si prendono dove sono». Più recentemente circola con insistenza una
proposizione normativa del tipo: «Devolvere le spese militari a favore della sanità».
Oppure, di fronte alla situazione internazionale altamente contorta come quella
che si profila: «Noi siamo per la pace». Anche lo «Smettetela!» rivolto a
Russia e Ucraina è un bel capolavoro, facendo a meno di distinguere tra
aggredito e aggressore. Bellissimo poi «L’ha detto anche il Papa!», che va bene
per tutto. Personalmente, assolverei però completamente «Le tasse sono belle»
di Padoa Schioppa, in quanto estrema sintesi di un sacrosanto principio di
etica pubblica democratica. Per venire ai tempi nostri, si pensi al pacchetto
quasi esclusivamente etico di Santoro e della sua nuova formazione politica Pace, Terra e Dignità. Si badi bene che anche
il recentissimo ritornello: «Rifiuta di dirsi antifascista» fa parte dello
stesso stile riduzionista.
20. Mi soffermo qui in particolare su due esempi di semplicismo etico populista di sinistra,
ma solo perché se ne parla in questi giorni. Il fatto che la Schlein non abbia proprio
inteso il significato del nome nel
simbolo, e abbia dovuto essere pesantemente
consigliata a toglierlo, la dice lunga sui limiti oggettivi dei nuovi
politici quarantenni. Il fatto poi che, comunque, Schlein si farà votare almeno
in una circoscrizione e poi non andrà a
ricoprire il seggio in Europa, la dice lunga sul deficit in termini di
etica pubblica che ormai è così diffuso che non se ne accorge più nessuno. E
non per il fatto banale, come dice qualcuno, che ingannerebbe gli elettori (i quali in realtà sanno benissimo cosa
farà o non farà la Schlein) ma per l’implicita demolizione del principio fondamentale
della democrazia rappresentativa. Che
ci siano dei principi che sono
fondamentali, dunque inviolabili,
non frega più niente a nessuno. Berlusconi docet.
Lui che anche da morto ha il nome nel simbolo.
Un altro caso legato alle
liste è quello della candidatura di Ilaria Salis nelle liste dell’Alleanza
rosso verde. Con tutta la solidarietà che si può avere per la nostra concittadina
Ilaria Salis, è evidente che questa iniziativa costituisce uno sfregio nei
confronti dell’etica pubblica democratica. Il principio della democrazia
rappresentativa qui è usato strumentalmente
per correggere il mal funzionamento della giustizia ungherese, oppure per dare
una lezione a Orban.[25] Oppure, ancora, per una riparazione della pur grave ingiustizia
subita dalla Salis. Si evidenzia qui fino a qual punto sia giunto il disprezzo delle istituzioni europee
nella testa di Fratoianni, Bonelli e compagnia bella. Ma la cosa piace ai loro
elettori, perché anch’essi condividono lo stesso disprezzo antipolitico per la rappresentanza democratica. O forse –
sarebbe ancor peggio – pensano di usare la candidatura della Salis per passare
lo sbarramento del 4%? Anche in questo caso avremmo un volgarissimo uso strumentale dell’istituto della
rappresentanza.
Abbiamo poi, sempre di
questi giorni, Calenda il quale ha dichiarato di non candidarsi, salvo poi
cambiare idea la settimana successiva. Abbiamo anche Renzi, il quale ha deciso
di candidarsi e ha detto che, a differenza degli altri, lui a Bruxelles ci
andrà. Evidentemente, in questa politica odierna, chi fa una cosa normale brilla come una stella. Comunque il costume non è
nuovo. Anche nelle precedenti elezioni europee le candidature di facciata sono state assai numerose. Il primo a
candidarsi in Europa e poi a non andare a Bruxelles fu sempre Berlusconi. Un
vero pioniere. A chi volesse chiarirsi le idee sulla democrazia rappresentativa, consiglio l’ottimo saggio di Bernard
Manin.[26]
21. Perché tutta questa porcheria funziona benissimo? Per capirlo
bisogna soffermarsi un momento intorno alla nozione della frattura etica. In talune situazioni, diverse proposizioni
normative si organizzano più o meno come dei macro pacchetti, dotati di una qualche elementare coerenza al
proprio interno. Non siamo al livello delle vecchie ideologie. Diciamo che
potrebbero essere definiti come i loro surrogati. Questi pacchetti – ammesso
che si configurino con un minimo di chiarezza – potranno essere compatibili tra
loro oppure trovarsi in contrapposizione, definendo delle linee di frattura
nette tra i loro sostenitori. Si tratta di una frattura non più in base a
caratteristiche tangibili (reddito, classe sociale, istruzione ricevuta, …) e a
precisi interessi, bensì in base a quel che i singoli hanno in mente. Le linee di frattura mentali sono assai più
manipolabili di quelle sociali reali. Non si confrontano mai con la realtà.
Queste linee di frattura saranno anche e
soprattutto linee di confine tra
diversi mondi etici. Coloro che si
ritrovano in accordo col medesimo pacchetto avranno la sensazione di
condividere alcuni principi di fondo, di trovarsi a casa propria, di essere ap-paesati nel proprio mondo etico.
Coloro che si trovano collocati in pacchetti diversi e contrapposti, avranno la
sensazione di una forte estraneità reciproca. Addirittura avranno la sensazione
che gli appartenenti al diverso pacchetto possano costituire una minaccia. I diversi da noi potranno di conseguenza essere
etichettati negativamente, sviliti, derisi, insultati, aggrediti e combattuti
con tutti i mezzi. Le fratture etiche
funzionano approssimativamente come le fratture etniche e possono avere effetti devastanti.
22. Un esempio davvero plateale di questo uso politico della frattura etica è quanto sta accadendo intorno
alla candidatura del generale Roberto Vannacci da parte della Lega per Salvini Premier. Il libro di Vannacci
costituisce, nel suo complesso, un pacchetto etico altamente distintivo che
riguarda una pluralità di questioni eticamente
sensibili. Questioni riguardanti la figura e il ruolo della donna, la
sessualità, il confine tra la normalità e la anormalità nei campi più diversi, l’identità
nazionale e il nazionalismo, il colore della pelle, l’immigrazione, la
composizione delle classi scolastiche e così via. Chi scrive ha letto il libro attentamente
il libro di Vannacci e non ha potuto fare a meno di notare il livello elementare delle argomentazioni
e l’assoluta superficialità della
trattazione dei singoli argomenti. Tuttavia gli argomenti sono
strategicamente organizzati per costruire esattamente una frattura radicale tra
una macchietta della modernità (il
mondo che va “al contrario”) e una collezione raffazzonata di valori e credenze decisamente antimoderne,
le quali, se adottate, servirebbero finalmente a fare andare il mondo nel verso giusto.
L’opposizione – avendo
poco da dire per conto suo – sta passando il tempo a chiosare, una per una, le
sparate di Vannacci, dandogli probabilmente una rilevanza che non merita.[27]
Comunque, il libro e la propaganda di Vannacci stanno costruendo con un certo
successo una linea di frattura tra
destra e sinistra. È così efficace nel produrre spaccature che sta dividendo
anche quelli di destra, tra moderati e radicali. Il caso Vannacci è ben lungi
dal costituire un unicum. Vadano i
lettori a vedere quali sono i pacchetti etici diffusi tra i seguaci di Trump. La
credenza nella sostituzione etnica,
diffusa anche nella destra europea, oppure il complotto del Deep State contro la rielezione di
Trump. La congiura della cabala internazionale, oppure le altre bizzarre teorie
di QAnon.
In tema di etica
pubblica, ci sarebbe piuttosto da ragionare sugli aspetti deontologici del
comportamento di Vannacci in quanto militare, cioè dipendente pubblico. Si vuol
sottoporre ai magistrati il test MMPI-II per verificare il loro equilibrio
personale e poi si permette a un alto ufficiale di debordare da suo ruolo come più
gli aggrada.
23. Possiamo a questo punto enunciare una specie di piccola legge sociologica che deriva da quel che
abbiamo evidenziato finora. E che può servire da guida nell’interpretazione di
questo tipo di fenomeni. Le fratture etiche saranno quanto più nette (e potenzialmente
violente) quanto più bassa sarà la
qualità cognitiva delle argomentazioni espresse intorno alle rispettive
posizioni. E quanto più alta sarà la componente di intuizioni, sentimenti e credenze ad alimentare la frattura
stessa. Se è vero che il populismo tende a semplificare
e a usare l’emotività al posto delle
argomentazioni razionali allora – in un’epoca di populismo come l’attuale – le
fratture etiche saranno sempre più efficaci. Gli appartenenti ai diversi
pacchetti etici troveranno facilmente dei capibanda
(quelli che altrove ho definito leader
tossici),[28] che useranno proprio le linee di frattura etica in senso
divisivo, con lo scopo di consolidare le loro posizioni di potere. Vai a fare
delle alleanze in situazioni come queste!
24. Per concludere, vorrei fare un ultimo sforzo per cercare di
capire il vero problema di fondo che
emerge da quanto abbiamo detto finora. Come mai, da trent’anni almeno, nel
nostro Paese, la politica ha un pessimo
rendimento – così pessimo da distorcere o da bloccare lo sviluppo della
società stessa – e perché tutti i tentativi di riforma della politica hanno fallito miserevolmente. E perché continueranno
a fallire.
La risposta sta, implicitamente,
nel circolo vizioso per cui la
riforma della politica non può che dipendere dalla politica stessa. Si tratta
del paradosso ben noto del codino del Barone di Münchhausen. Il Barone, in
sella al suo cavallo, deve passare oltre una palude e racconta: «… caddi dentro
fino al collo nel fango. Senza fallo vi sarei dovuto morire, se la forza del
mio braccio, afferrandomi per il codino, non mi avesse estratto dalla melma
assieme al cavallo che stringevo forte tra le ginocchia».[29] Il problema che
si pone qui ovviamente è quello della autoreferenzialità.[30]
Ci si domanda se la politica, che ha il potere di cambiar tutto, possa cambiare
anche se stessa. Alla luce degli ultimi trent’anni, la risposta è un secco No.
25. Per evidenziare il nocciolo della questione, userò alcuni
concetti presi in prestito dalla teoria istituzionalista
dello sviluppo di Daron Acemoglu, autore, insieme a James Robinson, di Perché le nazioni falliscono.[31]
Acemoglu e Robinson sono economisti e sono particolarmente interessati a
spiegare le cause ultime dell’incapacità cronica di talune nazioni di uscire
dal circolo vizioso del
sottosviluppo. Userò i loro concetti per spiegare il fenomeno analogo che qui
ci interessa, cioè l’incapacità cronica della politica italiana di uscire dal circolo vizioso del suo sempre più scarso
rendimento.
Secondo i due studiosi, che
si basano sull’analisi di un’ampia casistica anche di tipo storico, il fattore
determinante dello sviluppo o del sottosviluppo è in ultima analisi costituito
dalle istituzioni. Sono le
istituzioni a governare le società. Dunque ci sono istituzioni che hanno il
potere di favorire oppure di scoraggiare lo sviluppo. Acemoglu e Robinson
distinguono così due tipi di istituzioni, le istituzioni estrattive/ estorsive e le istituzioni inclusive.[32]
Le istituzioni estrattive, in
generale, sono istituzioni che consentono a individui o a particolari gruppi di
potere di mettere le mani arbitrariamente sui beni prodotti dalla collettività.
In presenza di simili istituzioni, i singoli individui, sottoposti a una tacita,
costante e prevedibile forma di estorsione, non avranno alcuna possibilità e
alcun interesse ad adottare tutti quei comportamenti e tutte quelle misure che
favoriscono lo sviluppo. Le istituzioni
inclusive sono invece quelle che garantiscono attivamente l’autonomia dei
soggetti individuali, permettono una remunerazione
proporzionale alle capacità e agli sforzi e, quindi, sono in grado di favorire
l’iniziativa individuale, l’imprenditorialità e lo sviluppo.
26. I partiti italiani, come s’è visto, si comportano da almeno
trent’anni come tipiche istituzioni estrattive.
I partiti raccolgono voti e i voti si tramutano in posizioni di potere nelle istituzioni e, dunque, determinano gli
indirizzi di governo. Tuttavia, nelle istituzioni estrattive, coloro che
occupano le posizioni di potere, invece di svolgere il loro compito di governo “con
disciplina e onore” a beneficio dei cittadini, degli elettori e della
collettività, sono costantemente impegnati nella riproduzione e nell’accrescimento
delle loro stesse posizioni di potere, attività per cui consumano gran parte
delle risorse che hanno a disposizione. Costoro svilupperanno una consumata capacità mantenersi al potere invece
della capacità di governare a
beneficio della collettività. Questa è la causa ultima fondamentale del cronico
basso rendimento della politica
italiana.
È chiaro che i singoli
cittadini, gli elettori o i militanti – coloro cioè che hanno ceduto il loro voto,
o la loro militanza, ai partiti estrattivi e che non hanno ottenuto nulla in
cambio o che sono stati addirittura danneggiati in quanto cittadini – tenderanno
alla defezione e a lasciare così il
campo ai carrieristi che hanno voglia di intraprendere la lotta oligarchica per
ricoprire le posizioni che contano, quelle posizioni dove si comincia ad avere
dei dividendi di varia natura, per sé o per i propri sodali. I carrieristi ovviamente
saranno indotti a usare il potere loro consegnato per accrescere sempre più la
loro stessa capacità estorsiva. Insomma, un vero e proprio processo di auto selezione degli estorsori.
Poiché, in ultima
analisi, la posta in gioco per la sopravvivenza è il voto, il partito estrattivo avrà principalmente due strade davanti.
A) tenderà a raccoglier voti dando in cambio merce illusoria, cioè in ultima
analisi il nulla. Le cose più simili al nulla sono i simboli, il senso di
appartenenza, l’identificazione col leader, oppure l’identificazione con un
principio etico, con uno slogan, oppure ancora la denigrazione della parte
avversa e la mobilitazione intorno a questioni inesistenti. B) Tenderà a
raccoglier voti elargendo in cambio mance elettorali di corto respiro, con la
mera logica della clientela. Fino a comprare esplicitamente i voti. Chi accetta
la mancia elettorale avrà certo nel breve periodo un tangibile vantaggio.
Tuttavia nel lungo periodo sarà anch’esso danneggiato, in quanto cittadino,
dalla cronica inefficienza della politica
che si instaura e mantiene con questo stesso sistema. Dal punto di vista del
partito estrattivo naturalmente è meglio se esso riuscirà a fare entrambe le cose insieme. Macchine del
vuoto e distributori di mancette elettorali. Questo è tutto ciò che gli estrattivi
fanno e sono spinti a continuare a fare, con grande professionalità. Altro che
politica.
27. I partiti estrattivi possono permettersi di disseminare
ovunque la loro merce scadente perché, di fatto, considerati nel loro
complesso, sono dei monopolisti. Nel
caso delle istituzioni politiche, o del sistema politico stesso, è chiaro che non c’è concorrenza esterna. Non ci si può rivolgere a un altro fornitore
di politica. L’unico fornitore concorrente potrebbe essere la mafia e, in effetti, ad essa ci si rivolge
sempre più spesso. Purtroppo anche la mafia è un’istituzione estrattiva.
L’unico sistema politico
che abbiamo è esattamente quello che c’è. Il pubblico può protestare,[33] come sta facendo continuativamente da Tangentopoli
in qua, tuttavia senza ottenere alcun risultato. Oppure può defezionare, usando l’astensione. Ma la defezione
sarà soltanto un gesto espressivo, non fermerà il processo estrattivo in corso
e non alzerà certo il rendimento del sistema. Al momento buono i cittadini saranno
comunque chiamati a votare. Saranno
chiamati a scegliere i propri estorsori.
E ciò avverrà indipendentemente dalla consapevolezza o meno dei singoli. È
questa ormai una caratteristica oggettiva
del sistema.
Compariranno così i
faccioni sui manifesti elettorali, con qualche slogan striminzito, senza
dibattito, senza programmi,[34]
intanto tutti ormai danno per scontato che i programmi non avranno alcun
seguito. Le posizioni di potere che mal
decideranno, o non decideranno affatto,
del nostro futuro sono quelle già prestabilite. Qualcuno le ricoprirà senz’altro e finirà sicuramente per
perseguire finalità che comunque non
coincideranno col bene comune, perché il
basso rendimento delle istituzioni politiche produrrà comunque sottosviluppo,
disservizi, sprechi e danni. Perché il circolo vizioso del processo estrattivo
è ormai in moto e non può che andare avanti.[35] Lo spettacolo deve continuare. Quel che sta appena emergendo dall’inchiesta
sul “sistema ligure” è una perfetta illustrazione del meccanismo.
28. Da Tangentopoli in qua, l’enorme protesta del pubblico nei confronti dei partiti politici, del sistema politico e delle istituzioni politiche[36] è stata completamente svuotata e ritualizzata. Usata per i fini opposti. E così sarà per l’attuale protesta. In cambio abbiamo avuto solo sproloqui a sfondo etico e cervellotiche sperimentazioni di riforme della politica, tutte miseramente fallite. Abbiamo allevato una marea di furbetti che si sono acquartierati con comodo per sviluppare le loro attività estrattive. Abbiamo assistito a trent’anni di espedienti gattopardeschi, a innumerevoli promesse di cambiar tutto con il risultato di lasciare le cose come prima. Se non peggio. L’inefficienza della politica nel nostro Paese è ormai un dato di fatto assodato. Completamente inemendabile. Costituisce oggettivamente una zavorra, un’enorme tassa obbligatoria con prelievo alla fonte, alla quale nessuno può sfuggire. Cara e simpatica Giorgia, questo è il vero «pizzo di Stato»! E lo paghiamo proprio a tutti, sia a quelli del governo sia a quelli dell’opposizione.
Giuseppe Rinaldi (11/05/2024)
OPERE CITATE
2012 Acemoglu, Daron & Robinson, James, Why Nations Fail, Crown Publishers, New York. Tr. it.: Perché le nazioni falliscono, Il Saggiatore, Milano, 2013.
1958 Banfield, Edward C., The moral Basis of a Backward Society, Free Press, Chicago. Tr. it.: Le basi morali di una società arretrata, Il Mulino, Bologna, 1976.
2024 Boeri, Tito & Perotti, Roberto, PNRR. La grande abbuffata, Feltrinelli, Milano.
2011 Dei, Marcello, Ragazzi, si copia. A lezione di imbroglio nelle scuole italiane, Il Mulino, Bologna.
2004 Flores d’Arcais, Paolo, Il sovrano e il dissidente. La democrazia presa sul serio, Garzanti, Milano.
1970 Hirschman, Albert O., Exit, Voice and Loyalty, Harvard University Press, Cambridge. Tr. it.: Lealtà, defezione, protesta. Rimedi alla crisi delle imprese, dei partiti e dello Stato, Bompiani, Milano, 1982.
1982 Hirschman, Albert. O., Shifting Involvements. Private Interest and Public Action, Princeton University Press, Princeton. Tr. it.: Felicità privata e felicità pubblica, Il Mulino, Bologna, 1983.
2004 Lakoff, George, Don’t Think of an Elephant: Know Your Values and Frame the Debate!, Chelsea Green Publishing. Tr. it.: Non pensare all’elefante!, Internazionale, Roma, 2006.
1997 Manin, Bernard, The Principles of Representative Government, Cambridge University Press. Tr. it.: Principi del governo rappresentativo, Il Mulino, Bologna, 2010.
1991 Scoppola, Pietro, La Repubblica dei partiti. Profilo storico della democrazia in Italia, Il Mulino, Bologna.
2009 Vattimo, Gianni, Addio alla verità, Meltemi, Roma.
1999 Viroli, Maurizio, Repubblicanesimo, Laterza, Bari.
2008 Viroli, Maurizio, L’Italia dei doveri, Rizzoli, Milano.
1988 Watzlawick, Paul, Münchhausen Zopf Oder Psychotherapie und “Wirklichkeit”, Verlag Hans Huber, Bern. Tr. it.: Il codino del Barone di Münchhausen. Ovvero: psicoterapia e “realtà”, Feltrinelli, Milano, 1989.
NOTE
[1] Il contenuto di questo saggio riguarda
alcune questioni che ho avuto modo di dibattere in ripetute occasioni con gli amici di Città Futura. Ringrazio i
miei interlocutori per avere riportato la mia attenzione su questi problemi.
Per situare le notizie di cronaca che riporto, ho cominciato a scrivere il
29/3. Preciso di non avere usato alcuno strumento di AI per la redazione di
questo saggio.
[2] Il Ministro del Turismo è stato rinviato a
giudizio per truffa all’INPS. Sul suo capo pende anche l’accusa di falso in
bilancio.
[3] Non intendo sostenere, con ciò, che stampa e
magistratura non abbiano limiti, colpe o responsabilità. Si tratta di
accertarle con rigore. Il più delle volte tuttavia le accuse nei loro confronti
sono pretestuose.
[4] Dalla Costituzione: «Art. 54. Tutti i
cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la
Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno
il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi
stabiliti dalla legge».
[5] La morale, tradizionalmente, costituirebbe
il contenuto normativo. L’etica
sarebbe invece il discorso filosofico
intorno alla morale. Insomma, la morale sarebbe il prodotto dell’etica.
[6] Il relativismo è una componente rilevante
della filosofia postmoderna che oggi è diventata una specie di senso comune di
massa.
[7] A mia conoscenza, nel nostro Paese, sul
piano filosofico si sono occupati dell’argomento, peraltro episodicamente,
filosofi come Veca, Maffettone e Viano. Altri, come Bobbio, Sartori o
Zagrebelsky se ne sono occupati indirettamente nel contesto filosofico o
politologico.
[8] Cfr. Dei 2011.
[9] Cfr. Banfield 1958.
[10] Ricorda Wikipedia che la deontologia, dal greco δέον e λογία, è
letteralmente lo “studio del dovere”, cioè la
trattazione filosofico-pratica delle azioni doverose e la loro
codificazione. Questo termine ha oggi nell’ambito dell’etica una qualche
ambiguità di fondo. Da un lato serve a designare le etiche del dovere, cioè le etiche simil kantiane. Così è,
soprattutto nel mondo anglosassone. D’altro canto, a partire da un uso
relativamente recente, il termine serve a indicare l’insieme delle prescrizioni
che dovrebbero guidare il nostro comportamento
pratico, in una varietà di casi, soprattutto nell’ambito pubblico,
soprattutto nel campo delle professioni, ma non solo. Così intesa la
deontologia, da corrente generale dell’etica, è stata confinata nell’etica
pratica. Solo dal contesto è possibile evincere quale uso se ne sta facendo.
[11]
Cfr. Viroli 2004.
[12]
Cfr. Flores d’Arcais 2004.
[13]
Cfr. Hirschman 1982.
[14] L’Art. 49 della Costituzione è tuttora
inattuato e tutti fanno finta di non accorgersene.
[15] Si rammenti che la Lega Nord ha terminato
la sua storia politica nel 2017. L’attuale partito che è succeduto, che si
chiama per intero Lega Nord per Salvini
Premier, è forse anche peggio della precedente.
[16] Mi riferisco qui alla teoria istituzionalista di Acemoglu e Robinson. Vedi oltre.
[17] Si veda in proposito Boeri & Perotti
2024.
[18] Il concetto di istituzione estrattiva è stato elaborato da Daron Acemoglu (uno dei
più prestigiosi economisti a livello mondiale) e spiega perfettamente quello
che fanno in realtà i partiti nel nostro Paese. Ne discuterò ampiamente in
chiusura del saggio.
[19] Cfr. Viroli 1999.
[20] Si osserverà che si trattava di pacchetti etici preconfezionati, da
prendere o lasciare. Che concedevano poco spazio all’autonomia individuale.
Insomma, indottrinamenti. Che erano –
come si dice – poco rispettosi delle molteplici “sensibilità” individuali. In
effetti, in margine alle etiche ideologiche preconfezionate furono realizzate
varie sperimentazioni, proprio sul filo della sensibilità individuale. Si pensi
ad esempio al caso di Don Milani in campo cattolico. O al caso di Norberto
Bobbio in campo laico. La fine delle
ideologie avrebbe dovuto dare spazi mai visti alle molteplici sensibilità
etiche individuali. Tuttavia, se ci guardiamo intorno, oggi non scorgiamo
miriadi di sperimentatori, equivalenti morali di un Bobbio o di un Don Milani.
Come mai?
[21] Cfr. Scoppola 1991.
[22] Si veda in proposito Hirschman 1982.
[23] Cfr. Vattimo 2009.
[24] In un mio ampio saggio, ho mostrato la
profondità e la pericolosità di questo pacchetto. Si veda Finestre
rotte: Novax. Gli ultimi eredi della filosofia occidentale .
[25] Lo stesso discorso vale anche per i pochi
casi precedenti, quando ad esempio fu candidato Enzo Tortora. È bene ricordare
che anche la sedicente Cicciolina fu candidata dai radicali come rappresentante del popolo.
[26] Cfr. Manin 1997.
[27] Cfr. Lakoff 2004.
[28] Si veda il mio precedente saggio Finestre
rotte: Finestre
rotte: La sinistra italiana e l’arte di pettinare le bambole .
[29] Da Wikipedia.
[30] Sull’uso del paradosso di Münchhausen e della nozione di autoreferenzialità nelle scienze umane si veda Watzlavick 1988.
[31] Cfr. Acemoglu & Robinson, 2012.
[32] Nella traduzione italiana del libro è
impiegato il termine italiano estrattivo
che corrisponde all’inglese extractive.
Si noti tuttavia che il termine inglese extractive
possiede anche il significato di estorsivo
che, in taluni casi del nostro discorso, sarebbe stato più appropriato. Quando
lo riterrò opportuno, userò anche il termine estorsivo.
[33] Qui uso le categorie di Hirschman della lealtà, defezione e protesta.
Cfr. Hirschman 1970.
[34] Siamo a poco dalle elezioni e la maggior
parte dei partiti estorsivi si è accapigliata per le liste, per i nomi nel
simbolo, ma non si è neppure data la pena di scrivere i programmi per l’Europa.
[35] Secondo Acemoglu e Robinson, si può anche permanere indefinitamente nel circolo
vizioso del sottosviluppo. Sono questi i casi del sottosviluppo cronico, ampiamente reali e ben documentati. Tuttavia
in certe circostanze (altrettanto reali e ben documentate) – sebbene più
raramente – si possono rompere i circoli
viziosi e si può imboccare una strada virtuosa verso lo sviluppo. Ciò però
avviene, secondo i due Autori, soltanto in seguito all’insorgenza di una
qualche congiuntura critica. Le
congiunture critiche possono essere eventi fortuiti favorevoli, ma possono essere anche di tipo catastrofico.
Non ho spazio qui per esaminare in dettaglio la questione. Tornando ai partiti,
nel nostro Paese, non c’è neppure uno straccio di consapevolezza che ci sia,
appunto, un qualche circolo vizioso da rompere.
[36] Ci sono dei perfetti sprovveduti
(soprattutto nel campo dei media e anche tra certi studiosi) che concludono, a
questo punto, che la democrazia non funziona. Personalmente sono convinto
che la democrazia di per sé funzioni benissimo. Ha i suoi problemi quando è
messa nelle mani sbagliate ed è usata per altri scopi.
.