mercoledì 30 dicembre 2015

Trascendentalia I

trascendentalia
1. La letteratura[1] su Kant è vastissima. Tuttavia spesso è assai dispersiva e rivolta ad approfondire un’interminabile serie di dettagli. Si tratta senz’altro di legittime investigazioni e disquisizioni, le quali tuttavia, in termini di risultati, non pare abbiano gran che contribuito a un’interpretazione complessiva fondata e condivisa di Kant. Come ha sostenuto Plantinga,[2] ci sono ancora, in effetti, tanti “Kant” quante sono le prospettive filosofiche a partire dalle quali si legge Kant. Come a dire che Kant finisce ancor oggi per essere un luogo divisivo, di proiezione, piuttosto che di ricostruzione sulla scorta dei testi e dei documenti. A ciò va aggiunto che, a dispetto della sua fama e degli indici rigorosi delle sue opere, Kant non sempre è coerente e talvolta il suo pensiero è piuttosto contorto e oscuro. Se a ciò aggiungiamo la presenza – soprattutto nel nostro Paese – di una vulgata storico filosofica alquanto dogmatica e ripetitiva, accade così che aspetti decisivi della filosofia di Kant siano poco considerati e che, a dispetto della posizione monumentale che gli viene attribuita nella storia della filosofia, la sua collocazione effettiva sia ben lungi dall’essere chiarita.
Questa situazione vale soprattutto per la CRP, l’opera più caratteristica di Kant, quella che l’ha reso celebre e che ha avuto senz’altro il maggior peso nella storia della filosofia. Essa è tuttavia anche l’opera più complessa e problematica. Alla luce di queste considerazioni, si cercherà, in quel che segue, di elaborare alcune linee interpretative della CRP che colgano il senso complessivo dell’impresa kantiana, che mettano in grado di individuare quello che è il Kant più “probabile”, quello che serve per comprendere la sua effettiva posizione nella storia della filosofia e per comprendere il rapporto che ancora oggi possiamo intrattenere con il suo pensiero e con il suo lascito che, col passar del tempo, appare sempre più problematico.
 
2. Certo, alcune minime acquisizioni sono ormai consolidate. Limitandoci alla CRP, sono indubbiamente chiari, in Kant, il tentativo di criticare sia le posizioni humeane sia la metafisica alla Wolff che era di pretta derivazione scolastica. Altrettanto chiare sono le sollecitazioni provenienti dagli avanzamenti della fisica e, dunque, l’esigenza di trovare comunque un raccordo positivo con la fisica newtoniana. Ancora, è abbastanza chiara l’esigenza metodologica, che può essere fatta risalire a Locke[3] ma anche a Cartesio, che ha spinto Kant a incentrare i propri sforzi intorno ai meccanismi della conoscenza. Occorre tener presente che siamo in un periodo in cui non era ancora stato ufficializzato alcun netto distacco tra scienza e filosofia, un periodo in cui Kant poteva ancora immaginare e auspicare una metafisica futura capace di presentarsi come scienza. Egli, accademicamente parlando, poteva poi occuparsi di tutto lo scibile umano, dalla formazione delle galassie, all’etica, alla geografia, all’esistenza di Dio e alla questione della vita dopo la morte, fino al bello e al sublime. Abbiamo dunque un Kant epistemologo ma anche metafisico. Sono questi i due aspetti dell’opera di Kant che vanno continuamente soggetti a una difficile tensione interpretativa e che sono però entrambi fondamentali per comprendere la CRP.
 
3. Se queste linee generali hanno un qualche fondamento, la CRP dovrebbe essere correttamente collocata nel quadro delle numerose ricerche, sviluppatesi tra Seicento e Settecento, che avrebbero inteso definire un metodo valido per conseguire qualsiasi tipo di conoscenza. Si tratterebbe cioè della ricerca di una sorta di teoria universale della conoscenza, adatta sia per la scienza sia per la filosofia.[4] Questa tendenza derivava principalmente dalla lunga e progressiva crisi della metafisica scolastica, alla quale tuttavia furono date risposte piuttosto diverse in Francia, in Inghilterra e in Germania.  La particolarità comune di tutte queste risposte è stata proprio quella di aver collocato in primo piano il problema del metodo e di avere conseguentemente relegato in secondo piano ogni discorso intorno alla natura delle cose, cioè ogni discorso di metafisica generale o di ontologia. Questa svolta si era resa necessaria in seguito alla sempre più evidente insostenibilità del linguaggio scolastico nel render conto dei nuovi fatti che le discipline empiriche stavano acquisendo. Così è avvenuto che, proprio in questo periodo, la teoria della conoscenza abbia preso un netto sopravvento sulla neonata ontologia.[5] Quest’ultima non sparirà del tutto ma sarà inglobata dentro la teoria della conoscenza in una situazione di dipendenza. Sarà ora la gnoseologia a fare le funzioni dell’ontologia. La tendenza è già abbastanza palese, oltre che in Cartesio, in Locke e proseguirà fino a Kant e oltre.
In termini di differenze esplicite tra i vari orientamenti seguiti alla crisi della metafisica scolastica, mentre sull’asse Locke – Hume è stato drasticamente criticato, e abbandonato, il tradizionale linguaggio della metafisica, sull’asse Cartesio – Kant c’è stata sì l’ambizione della critica della metafisica, ma anche quella di un suo rinnovamento, di una sua rifondazione che doveva esser guadagnata proprio attraverso una fondazione metodologica. È evidente che si tratta di due nozioni di metodo piuttosto diverse. Mentre nel primo caso il metodo è considerato come uno strumento, nel secondo caso il metodo diventa un elemento di fondazione. Insomma, nel secondo caso la metafisica ha dovuto chiedere aiuto alla teoria della conoscenza per poter risolvere momentaneamente la propria crisi e continuare a percorrere la sua strada.
Pur partendo da un complesso di problemi e di esigenze comuni, i due principali progetti filosofici seguiti alla crisi della scolastica saranno dunque destinati a divergere alquanto. In particolare, sull’asse Cartesio - Kant avremo, pur sotto nuova forma, un vero e proprio ritorno della metafisica che, almeno negli sviluppo della filosofia continentale, avrà dirette e gravi conseguenze riscontrabili ancora fino ai giorni nostri.
 
4. Uno dei luoghi comuni della vulgata storico filosofica più diffusa è che Kant fosse un filosofo anti metafisico, che avesse definitivamente criticato la metafisica e che, quindi, tutto quel che è venuto dopo di lui debba essere considerato come post metafisica. Il progetto di Kant in realtà non era tanto quello di abolire la metafisica, quanto di fondarla su basi certe, di elaborare una metafisica futura che fosse in grado di presentarsi come scienza.[6] Nell’opera di Kant, infatti, si possono distinguere due significati di “metafisica”, un significato negativo e un significato positivo. Solitamente gli interpreti hanno prestato maggiore attenzione al significato negativo, soprattutto con riferimento a quanto è contenuto nella Dialettica trascendentale. In realtà Kant, in tutta la sua opera, ha mostrato di condividere, anche e soprattutto, un significato positivo di metafisica, secondo il quale essa avrebbe dovuto essere completamente rifondata, avrebbe dovuto essere rinnovata come scienza e avrebbe per giunta avuto a sua disposizione un campo di indagine assai specifico, avrebbe cioè dovuto occuparsi dei principi a priori della conoscenza e dell’esperienza. In questo senso, la filosofia trascendentale o, se si preferisce, l’idealismo trascendentale, avrebbe dovuto costituire una nuova metafisica emendata dai difetti di quella vecchia.
Per comprendere bene le trasformazioni della metafisica in questo periodo, è bene ricordare che, all’epoca di Kant, la metafisica era comunemente suddivisa in due grandi settori: la metafisica generale e le metafisiche speciali. Kant, nella CRP ha criticato le metafisiche speciali, quelle che si occupavano, ormai tradizionalmente, dell’Anima, del Mondo e di Dio ma ha ripreso completamente e sviluppato su basi nuove, in termini di teoria della conoscenza, la metafisica generale (quella che si occupava della fondazione dell’ente in quanto ente).[7] La CRP è dunque principalmente un’opera di metafisica e come tale va considerata.
 
5. La chiave della nuova metafisica kantiana sembra tuttavia palesemente ruotare non più intorno a una qualche teoria dell’ente, bensì attorno alla logica. Del resto Kant teneva una cattedra proprio di “logica e metafisica”. È dunque lecito domandarsi: perché proprio la logica? Sullo sfondo del progetto kantiano di rinnovamento della metafisica sta senz’altro il modello dell’Organon aristotelico il quale, pur non facendo parte effettiva della scienza, ne costituiva, appunto, una propedeutica. Insomma, Kant va alla ricerca di un nuovo complesso di regole logiche generali per il conseguimento della conoscenza che potessero anche preludere all’instaurazione di una nuova metafisica in quanto scienza.  Mentre sull’asse Locke – Hume la logica tradizionale era stata piuttosto indebolita e relativizzata a favore del metodo sperimentale, sull’asse Cartesio – Kant l’unico strumento disponibile, onde evitare le stesse conclusioni degli empiristi, era proprio la logica tradizionale, che doveva però essere ripresa, ristrutturata e, anzi, rimessa al centro della riflessione filosofica. Questa tendenza a una nuova sistematizzazione della logica è evidente in tutto il corso del razionalismo seicentesco e settecentesco, dall’etica dimostrata ordine geometrico di Spinoza, fino alla natura logica delle monadi leibniziane. Lambert aveva pubblicato un suo Nuovo Organo nel 1764. Seguendo questa tendenza logo-centrica, la logica trascendentale kantiana rappresenterà un autentico elemento di successo, grazie al suo espediente di togliere definitivamente alla logica tradizionale il suo carattere di strumento e di collocare la nuova logica nel cuore stesso dell’esperienza o, se si preferisce, della realtà. La logica diventa dunque l’impalcatura profonda della realtà. In termini generali, tutto ciò può essere considerato come un ritorno a Platone e quindi una sconfessione di Aristotele. Dopo secoli di Aristotelismo variamente declinato, il lógos tornerà così costituire l’architettura del mondo. La nuova logica trascendentale verrà così inevitabilmente ad assolvere ad alcune funzioni svolte in precedenza dalla metafisica e dall’ontologia, in particolare la funzione della fondazione dell’ens.[8]
 
6. Se questo è vero, allora occorre modificare una certa immagine diffusa della CRP. Spesso si è sostenuto che la CRP sarebbe stata, secondo lo stesso Kant, espressione di una filosofia critica, volta a definire i limiti e le possibilità della ragione, quasi come se si trattasse di un’impresa minimalista di stampo libertario e pluralistico. Il fatto paradossale è invece che, nella CRP, la ragione (l’elemento logico per eccellenza), pur riflettendo sui suoi limiti, è posta proprio al centro del mondo, non soltanto in senso metodologico ma in senso metafisico e ontologico. Con tutto il suo parlare di limiti, la CRP non può che essere considerata, in effetti, come una manifestazione di illimitata presunzione della ragione.
Bisognerà allora riconoscere, una volta per tutte, che la vera filosofia critica che ha riflettuto autenticamente sui limiti della ragione e della natura umana era quella che si era ritrovata sull’asse Locke – Hume.[9] Bisogna provare a leggere contemporaneamente, e a confrontare punto per punto, la CRP e, ad esempio, le Ricerche di Hume, per capire da che parte si trovasse il senso del limite e dove invece la presunzione. Si trattava dunque ormai di due mondi culturali decisamente diversi che si contendevano due opposte definizioni della ragione e che dunque conferiranno all’illuminismo una certa natura contradditoria,[10] cosa che del resto gli è stata spesso rimproverata.
Tutto ciò si ritrova chiaramente nelle conseguenze. Mentre l’autentica filosofia critica darà origine agli sviluppi dell’individualità moderna e contemporanea, all’affermazione del metodo sperimentale, dall’altro canto l’esaltazione della ragione intesa come Ragione, messa al centro del mondo in termini ontologici, darà origine a una varietà di fondamentalismi a sfondo essenzialistico che continueranno a perpetuare, sotto nuove forme, una vecchia visione del mondo, strutturalmente conservatrice anche quando si farà sostenitrice di innovazioni e rivoluzioni. Un orientamento autenticamente critico e pluralista riuscirà a diffondersi solo sulle sponde dell’Atlantico, patria di due rivoluzioni politico-sociali precoci come quella inglese e quella americana.  La tendenza più conservatrice avrà invece la meglio sul continente (nonostante la Rivoluzione francese) e continuerà ad annidarsi ancora per secoli nelle filosofie della vecchia Europa.
 
7. L’intento di usare la logica per costruire ex novo una metodologia universale della conoscenza è stata dichiarata abbastanza espressamente da Kant stesso, nelle diverse sue introduzioni alla CRP. La stessa struttura dell’opera la caratterizza come un trattato di logica e/o di metodologia. È un fatto che la denominazione di “logica” sia stata data alla parte decisamente più ampia dell’opera, dove si parla diffusamente della conoscenza sensoriale, della conoscenza intellettuale e della conoscenza razionale. L’opera termina poi con una serie di riflessioni proprio sul metodo.
Rispetto ai trattati di logica tradizionali la CRP è andata tuttavia ben oltre i confini della disciplina e ha così provveduto ad ampliarne notevolmente il campo d’azione. Il risultato di questo ampliamento è stato l’inaugurazione della nuova logica trascendentale che finiva per inglobare la metaphysica generalis, ossia la parte fondazionale della metafisica.[11] L’ibrido tra logica e metafisica generale è stato indubbiamente reso possibile dall’attribuzione, alla logica, delle proprietà fondazionali della metafisica. L’ens della metafisica tradizionale (comunque fosse definito) è diventato ora il lógos, cioè un soggetto di natura logica con tutte le sue articolazioni logiche interne. È questo l’autentico significato della cosiddetta Rivoluzione copernicana.
In altri termini, allo scopo di risolvere il principale intoppo che impediva ogni accettabile fondazione di una nuova metafisica come scienza, la CRP ha dovuto adottare un’ardita innovazione - decisamente metafisica anch’essa - la quale ha così trasformato quello che poteva essere un trattato di logica nella cosiddetta filosofia trascendentale. Si trattava dunque di un’operazione che, sotto la parvenza di un’estrema modestia, di un confinamento metodologico, nascondeva tuttavia una sostanziale ambizione fondazionale[12] ancor più radicale di quella scolastica seppure apparentemente più moderata.
 
8. Il concetto di “trascendentale” sembra dunque il termine chiave dell’impresa della CRP (e forse dell’intera filosofia kantiana). È questo il concetto che avrebbe dovuto fare la differenza tra la tradizionale logica e la nuova e più fondamentale logica trascendentale.[13] Stupisce abbastanza il fatto che la maggioranza dei commentatori abbia dato per scontato che “trascendentale” sia un termine inventato da Kant o che, comunque, abbia acquistato un suo significato specifico solo ed esclusivamente nell’ambito dell’opera kantiana. Questa convinzione ha così indotto a ritenere che la questione dei trascendentali, dibattuta per almeno quattro secoli nel corso dello sviluppo della filosofia medievale, fosse del tutto inutile per comprendere il senso dell’impresa kantiana. Al più è stato accettato che Kant avesse scelto questo termine in base a una qualche vaga analogia tra la sua teoria della conoscenza[14] e la filosofia tradizionale. Le cose, in effetti, non stanno proprio così.
 
9. I “trascendentali” erano così detti, nel medioevo, perché qualificavano in modo unitario le proprietà o i modi fondamentali dell’ens, sia in senso gnoseologico sia in senso ontologico. Essi erano così denominati perché andavano oltre (cioè “trascendevano”) le tradizionali categorie[15] di matrice aristotelica. Dunque i trascendentali garantivano la stabilità dell’ens e la stessa possibilità di conoscerlo, esprimevano l’architettura razionale di base della realtà intera. L’intelletto coglieva anzitutto l’ens e le sue caratteristiche generali e poi, attraverso le categorie, poteva differenziare le conoscenze, più o meno secondo quanto Aristotele aveva prescritto. Nella filosofia medievale, i trascendentali avevano dunque un compito fondazionale, rappresentavano contemporaneamente la fondazione dell’ens e la fondazione della sua conoscibilità. Per questo essi dovevano stare ugualmente dentro le cose e dentro la mente.
 
10. Il dibattito sui trascendentali era stato senz’altro molto intenso all’interno della scolastica. Aertsen ha sostenuto addirittura che l’elemento caratteristico dell’intera filosofia medievale sia stato proprio costituito dalla questione dei trascendentali. L’ultima grande sintesi in merito fu quella tentata dal Suárez. L’opera del Suárez ebbe peraltro ampia diffusione, non solo negli ambienti cattolici ma anche in quelli protestanti. Con la crisi della scolastica, le stesse tematiche filosofiche che per secoli erano state relative ai trascendentali, che erano cioè le tematiche attinenti alla metaphysica generalis, avevano dato origine (soprattutto in ambito tedesco) a una nuova disciplina che aveva trovato il nome di ontologia. Proprio in questo contesto, logica e ontologia continuarono a combinarsi e a sovrapporsi nel tentativo di ridefinire la vecchia questione della fondazione dell’ente in quanto ente. Tra i contemporanei di Kant, il termine “trascendentale” era stato così recuperato nell’ambito ontologico ed era così ormai diventato equivalente a “fondativo” o “fondazionale”. L’ontologia, che mirava all’individuazione delle proprietà fondamentali dell’ens, mirava proprio a ciò che, per secoli, era stato oggetto delle disquisizioni intorno ai trascendentali. Tutti i più importanti manuali dell’epoca di logica, metafisica o ontologia (le denominazioni disciplinari erano alquanto frastagliate e ondivaghe) proponevano le loro definizioni dell’ens e delle sue proprietà fondamentali.[16]
 
11. Andando oltre le astrusità di linguaggio dell’epoca e le consuetudini interpretative delle vulgate nostrane, possiamo così presumere che quando Kant parla di una “logica trascendentale” egli intenda una “logica fondazionale” (che sarebbe poi, di fatto, un’ontologia), nella quale si studiano gli elementi logici che sarebbero in grado di conferire una struttura logico razionale all’esperienza, garantendone così l’intelligibilità. Come ognun vede, si tratta nient’altro che di una continuazione sotto nuove vesti della vecchia questione. Se si rilegge la CRP avendo chiara in mente questa definizione, molte delle sue astrusità si dissolvono.
Spesso, nella vulgata storico filosofica nostrana, si sostiene che “trascendentale” per Kant volesse dire “formale”,[17] ma questa scelta interpretativa tende piuttosto a sterilizzare il sospetto di una interpretazione sostanziale dei trascendentali e non coglie appieno il ruolo che Kant assegnava alla sua nuova logica nella costituzione dell’esperienza stessa. Non si tratta qui, aristotelicamente, della forma del gatto o del cavallo, bensì del conferimento di una configurazione generale di base all’esperienza. Cioè, si tratta proprio della funzione che i medievali attribuivano ai loro trascendentali.   In Kant, nella CRP, non si tratta solo di conferire una qualche forma a una materia preesistente, si tratta di spiegare come “sia possibile l’esperienza dell’oggetto”, il che è lo stesso di “determinare la realtà dell’oggetto”. Gli elementi della “logica trascendentale” stabiliscono/ producono le proprietà determinanti dell’oggetto, senza le quali l’oggetto cadrebbe fuori da ogni esperienza possibile.
 
12. È stato peraltro anche rilevato come Kant, nella CRP, abbia spesso usato il termine “trascendentale” in modo non univoco. Il fatto non è casuale e diventa del tutto ovvio se si adotta la nostra interpretazione. Nella CRP, i significati più ricorrenti di “trascendentale” sono due: a) anzitutto “trascendentale” è la qualificazione della scienza che si occupa dei principi a priori che costituiscono l’esperienza; b) in subordine, trascendentali diventano anche gli oggetti di questa scienza e quindi gli stessi elementi a priori. Quest’ultimo significato ovviamente è un recupero di soppiatto del carattere fondativo che era tipico dei trascendentali scolastici.
Entrambi i significati sono compatibili con la sottolineatura del nuovo tipo di logica introdotto da Kant che non doveva limitarsi a essere strumento (organon) bensì doveva diventare architettura profonda dell’esperienza stessa, se si preferisce regola dell’esperienza.    
 
13. Possiamo ora intendere con miglior chiarezza il rapporto tra i vecchi e i nuovi trascendentali. Nella sua ricerca di un antidoto contro il cosiddetto scetticismo humeano,[18] cioè per fondare la possibilità di giudizi sintetici e a-priori, Kant aveva bisogno di individuare una serie di caratteristiche basilari e comuni dell’ens che potessero essere imposte a tutte le conoscenze sintetiche.[19] Cioè, aveva bisogno di individuare dei nuovi trascendentali che svolgessero lo stesso mestiere fondativo di quelli vecchi. Nel linguaggio di Kant, si dovevano dunque cercare le condizioni di uniformità (universalità e necessità) cui doveva sottostare qualsiasi conoscenza.
Questo progetto, che, come ognun vede, aveva comunque ancora un taglio tipicamente scolastico, andava però ora incontro a una nutrita serie di difficoltà. L’imponente sviluppo della conoscenza empirica, avvenuto tra Seicento e Settecento, aveva comportato la demolizione della tradizionale teoria qualitativa delle forme/ categorie che resisteva fin da Aristotele. Era ormai del tutto evidente che gli eventuali nuovi trascendentali non potevano più esser cercati nell’ens inteso come oggetto, il quale dopo Locke e Hume era diventato un vero e proprio buco nero.[20] L’unica soluzione che restava era quella di andare a collocare i nuovi trascendentali esclusivamente nell’ens inteso come soggetto, facendo in modo che il soggetto ne fosse l’esclusivo depositario e che, quindi, fosse lo stesso soggetto a imporre le regole generali della conoscenza all’oggetto, tanto da costituire l’oggetto stesso.
Col senno di poi, possiamo oggi renderci conto che questa via di fuga è stata indirettamente facilitata dal fatto storico inconfutabile che, nella storia della cultura occidentale, si è avuto per primo un ampio sviluppo delle scienze della natura, che ha spazzato via dalla natura le categorie scolastiche, prima di tutto la sostanza, mentre le scienze cognitive erano ancora di là da venire. Così l’unico luogo dove ancora avrebbero potuto sopravvivere le categorie scolastiche era proprio quello del soggetto che, all’epoca, era ancora una terra misteriosa, buona per tutti gli usi. Così il soggetto si è popolato dei nuovi trascendentali che hanno poi resistito per due secoli nella filosofia continentale. Solo ora la rivoluzione delle scienze cognitive sta rendendo del tutto inutili le infrastrutture trascendentali del soggetto. Se ci sono degli schemi, questi sono schemi del cervello che saranno studiati con la scienza sperimentale.
Al tempo di Kant, l’unico modo di salvare la vecchia ontologia (cioè la metaphysica generalis) era dunque quello di sfoltirla alquanto, cioè ridurla all’essenziale, e di collocarla dentro il soggetto. Ne sarebbe derivata, come s’è detto, una nuova filosofia apparentemente incentrata sul metodo della conoscenza che però avrebbe celato dentro di sé un’ontologia bella e buona.
 
14. Questo inglobamento dell’ontologia nella teoria della conoscenza porterà una serie di conseguenze di notevole rilievo. Tutti gli “oggetti” che sarebbero stati conosciuti (cioè tutta la realtà come esperita) sarebbero stati costituiti in modo duplice, da un a-priori fondativo di provenienza mentale (cioè una componente logico / ontologica) e, eventualmente, da un elemento sintetico proveniente da un qualche altrove, non più identificabile (cioè dal buco nero). Questa strana dualità dell’oggetto di esperienza, naturalmente, non poteva essere accertata in termini di esperienza, ma doveva essere creduta o ritenuta tale come risultato di un’analisi di tipo trascendentale. Ciò darà origine al vezzo filosofico fondamentale degli ultimi due secoli e cioè a quell’abitudine a considerare che qualcosa non sia quel che sembra ma sia in realtà sempre qualcos’altro. Ci siamo già occupati, in altra sede, delle filosofie del sospetto.
Quello adottato da Kant era comunque l’unico escamotage possibile per la produzione di giudizi che fossero insieme sintetici e a priori,[21] secondo il requisito stesso posto dal programma kantiano. La stessa impostazione data originariamente al problema restringeva dunque piuttosto drasticamente le possibilità di soluzione e Kant ha avuto il merito, se non altro, di andare fino in fondo, fino alle estreme conseguenze.
 Secondo lo schema medievale, nell’oggetto si aveva qualcosa come: [trascendentalia[22] + categorie ] + [trascendentalia + materia]. Questo perché, per assunzione, gli stessi trascendentalia stavano sia nella mente sia nelle cose. Ora, nella CRP invece abbiamo: [trascendentalia (comprendenti le categorie)] + [materia (che però diventa “cosa in sé”)]. I due schemi teoretici sono abbastanza analoghi, ma le conseguenze – come si vedrà – saranno notevolmente diverse.
Secondo lo schema medievale i trascendentalia – che erano comuni alla mente e alle cose – fungevano da fondamento della realtà e della conoscenza. Costituivano i principi primi, elementari, dati per scontati, da cui tutto il resto poteva essere derivato. Secondo Kant invece, i trascendentalia si trovavano ora solo più nella mente e – di fatto – restavano soltanto più loro a svolgere il ruolo dei principi primi e cioè a costituire e mantenere i tratti stabili dell’ens. I nuovi principi primi, stando nel soggetto, potevano essere applicati a qualunque cosa (come vedremo, anche al soggetto stesso) ma nello stesso tempo non disturbavano le scoperte della scienza empirica (almeno di quella del tempo). Il prezzo da pagare sarà tuttavia piuttosto caro.
 
15. Una volta operata la scelta di fondo che abbiamo descritto, si apriva effettivamente la possibilità di una nuova filosofia trascendentale. Si trattava solo più di mostrare come fosse possibile conoscere esaurientemente i nuovi trascendentalia alla luce di questa nuova funzione fondativa e costitutiva loro assegnata e alla luce di questa loro collocazione esclusivamente mentale. Non si trattava più di individuare ciò che fosse comune alla mente e al mondo esterno, quanto di conoscere ciò che la mente proiettava nel mondo esterno.  Invece di studiare la realtà, si trattava di studiare i costituenti elementari della mente che servivano per produrre la realtà e che diventavano, essi stessi, realtà.
A questo nuovo compito nella CRP provvedeva la dottrina degli elementi che, in assoluto, rappresenta la quasi totalità dell’opera. Per individuare gli elementi in maniera certa era tuttavia necessario disporre di un procedimento, cioè avere un metodo e questo non poteva che essere individuato in analogia al procedimento cartesiano delle Meditazioni metafisiche.[23] La conoscenza precisa dei nuovi trascendentalia sarebbe dunque stata guadagnata attraverso un procedimento analitico introspettivo.[24] La cosa davvero notevole era che ora la ragione, in un certo senso, provvedeva a sdoppiarsi e prendeva se stessa come oggetto (una sorta di introspezione logica volta a ispezionare e descrivere il funzionamento stesso della mente nella sua attività “produttiva” dell’esperienza). Mentre l’introspezione psicologica era già stata da tempo screditata, Kant pensava ora che fosse possibile una introspezione logica, meglio ancora, una introspezione logico-trascendentale che potesse costituire una nuova scienza.
 
16. C’era però in agguato una grave conseguenza indesiderata di tipo epistemologico sulla quale Kant non aveva evidentemente concentrato la dovuta attenzione. Adottando il suo nuovo quadro di riferimento, non era più possibile alcuna teoria della verità come corrispondenza. La verità diventava un prodotto (parziale o totale non è qui rilevante) dei trascendentalia stessi, i quali ne garantivano così il fondamento. Nello stesso tempo essi entravano per di più a far parte della nozione stessa di verità, nella stessa costituzione dell’ente vero (inteso come esperienza o realtà esperita). Abbiamo, in altri termini, una logicizzazione dell’ens,[25] una nuova centralità dell’elemento logico che ora costituisce intrinsecamente l’esperienza. Per questo Kant definì, del tutto coerentemente, la sua stessa posizione come idealismo trascendentale, differenziandola da quella di Berkeley.[26]
La vecchia teoria della verità come corrispondenza non era eliminata del tutto, ma era ora inglobata e relegata all’interno della rappresentazione empirica ove, però, il soggetto trovava esattamente quel che vi aveva messo, oltre alle verità sintetiche che comunque non potevano che conformarsi a quanto il soggetto stesso aveva già istituito a-priori. I principi sintetici dell’intelletto puro ci restituiscono, in effetti, l’esperienza così come questa è stata già configurata dai trascendentalia. Si tratta di un gigantesco meccanismo tautologico volto a garantire il monopolio del soggetto, cioè degli elementi logici, nella produzione stessa dell’esperienza. Il soggetto logico diventa fondativo dell’esperienza, ma anche un componente dell’esperienza stessa.[27]
Con questa trasformazione, e qui sta la conseguenza più grave, la teoria della verità come corrispondenza si apprestava a essere sostituita da una teoria della verità come auto rispecchiamento del soggetto (teoria che, se è ancora parziale in Kant, diverrà completa nei suoi successori idealisti). L’auto rispecchiamento del soggetto implica che la verità risieda ultimativamente dentro al soggetto stesso e che venga replicata parzialmente o totalmente nell’oggetto. Implica dunque che il soggetto non abbia più, di fronte a sé, una realtà effettivamente diversa da sé, un mondo oggettivo con cui rapportarsi, da cui ricevere per lo meno qualche limitazione.[28] Implica piuttosto che abbia a che fare con una copia speculare di sé di cui può anche non essere del tutto consapevole.[29] Di fronte a questi mondi rispecchiati, che sono sempre mondi del soggetto, non avrebbe senso alcuna scienza sperimentale, sarà sufficiente l’applicazione di un’analitica del soggetto.[30] La filosofia continentale si svilupperà d’ora in poi proprio in quanto analitica del soggetto e di tutti i suoi derivati. Intorno a quest’auto rispecchiamento del soggetto e alle varie analitiche del soggetto ruoteranno, ahimè, i successivi due secoli della storia della filosofia continentale. Tuttavia, a differenza della logica tradizionale, che ha trovato una sua precisa sistemazione disciplinare, la logica trascendentale ha prodotto una serie di narrazioni, non diverse dai sogni della metafisica, che si sono intrecciate, superate, combattute, ma che non hanno trovato alcuna base comune, neanche metodologica. Una situazione peggiore della metaphysica specialis, tanto criticata al suo tempo da Kant.
 
Giuseppe Rinaldi
27/11/2015
30/12/2015 (rev.)
 
 
ABBREVIAZIONI
 
CRP = Critica della Ragion Pura
 
 
OPERE CITATE
 
2004   Ferraris, Maurizio
Goodbye Kant! Cosa resta oggi della Critica della ragion pura, Bompiani, Milano.
 
2008   Ferraris, Maurizio   (a cura di)
Storia dell'ontologia, Bompiani, Milano.
 
1972 Plantinga, Theodore
The Real Meaning of Kant, http://www.plantinga.ca/p/YAM.HTM
 
1999   Wolff, Christian
Metafisica tedesca (a cura di raffaele Ciafardone), Rusconi Libri, Milano. [1719]
 
 
NOTE
 
[1] Quest’articolo è nato in seguito all’esigenza di mettere in discussione alcuni assunti di base della cosiddetta filosofia continentale che solitamente sono dati per scontati, soprattutto nelle vulgate circolanti nel nostro Paese. L’ipotesi che è stata assunta è che l’intera filosofia continentale altro non sia se non una variegata filiazione della filosofia trascendentale inaugurata da Kant con la CRP. A ciò si sono aggiunte alcune fondamentali sollecitazioni contenute in Ferraris 2004 e Ferraris 2008. L’articolo si chiama Trascendentalia I perché (forse) potrebbe avere un seguito.
[2] Cfr. Plantinga 1972.
[3] La pubblicazione del Discorso di Cartesio è del 1637. La pubblicazione dei Saggi lockiani è del 1690. Hume aveva pubblicato nel 1739 il Trattato sulla natura umana senza molto successo e poi, una decina di anni dopo, le Ricerche sull’intelletto umano nel 1748. Kant progetta la CRP nel decennio precedente al 1781. La seconda edizione è del 1787. La questione della possibilità e dei limiti della conoscenza umana era ormai dibattuta da più di un secolo.
[4] Tale ad esempio era il programma che stava già dietro al Discorso sul metodo di Descartes. Dovrebbe essere subito evidente che un simile progetto andava ben oltre i limiti oggi comunemente imposti a qualsiasi epistemologia.
[5] L’ontologia era all’epoca una disciplina di nuovo conio, sebbene legata a tutti gli sviluppi filosofici precedenti nell’ambito della scolastica. Vedi Ferraris 2008.
[6] La cosa è evidente anche nel titolo dei suoi Prolegomeni. I filosofi trascendentali successivi a Kant continueranno a usare l’epiteto di scienza per indicare la metafisica.
[7] Su questo punto si veda Ferraris 2008.
[8] Uso questo termine al posto del troppo consumato e ormai inutile “essere”.  In inglese sarebbe un banale being.
[9] Si ricordi che, dal punto di vista del contesto storico – sociale, la filosofia di Locke è figlia indiretta della Gloriosa rivoluzione, sviluppatosi con successo un secolo prima della Rivoluzione francese.
[10] Nel dibattito odierno sulla modernità ci si è pronunciati spesso pro o contro l’illuminismo, senza tener conto che nell’illuminismo si sono combattute (almeno) due concezioni decisamente opposte della ragione.
[11] Su queste trasformazioni di campo, vedi Ferraris 2004.
[12] Sarà proprio quest’ambizione fondazionale a produrre quello sviluppo delle filosofie trascendentali che condurrà, un secolo dopo, alla costatazione del fallimento e dunque a tutte le problematiche legate al nichilismo. Chi piange sull’assenza di fondamento è perché non ha fatto altro che cercare fondamenti. Il difetto sta nel manico.
[13] Kant, nelle sue Lezioni di logica distingue accuratamente i due concetti della logica formale e della logica trascendentale.
[14] In effetti, se si considera Kant soprattutto come filosofo della conoscenza, ogni suo riferimento ai trascendentali medievali non può che suonare come estraneo e incomprensibile.
[15] Non perché avessero a che fare con la trascendenza divina. L’ens era il primo conosciuto, proprio perché era immediato ed elementare. Si poteva anche non sapere nulla di Dio, ma la mente umana poteva accedere alla conoscenza solo attraverso i trascendentali.
[16] Tipico è in questo senso Wolff 1999.
[17] Si parla di “forme pure” per sottolineare che non si trattava di nulla di sostanziale. Come se “trascendentale” avesse a che fare con qualcosa di non esistente. In effetti, nella CRP la esistenza sembra sparita del tutto: le forme pure trascendentali di per sé non hanno alcuna esistenza separata, l’esperienza è una rappresentazione, cioè una esistenza indebolita, mentre del noumeno si può solo presumere.
[18] Un’altra bufala della vulgata storiografica che va per la maggiore dipinge Hume come un nichilista e Kant come un salvatore dal tracollo scettico. In realtà Hume era colui che effettivamente aveva preso sul serio il discorso sui limiti della ragione. Il nichilismo invece sarà il tardo e amaro frutto proprio dei nipotini di Kant.
[19] I giudizi sintetici erano quelli che allargavano le nostre conoscenze con elementi nuovi.
[20] Detto più seriamente, tecnicamente la vecchia nozione della sostanza era diventata del tutto inutilizzabile.
[21] Lo spostamento del centro di gravità dall’oggetto al soggetto era stato un effetto delle teorie di Locke e Hume sulla sensibilità. Ma i due empiristi si erano ben guardati dal fare del soggetto il centro del mondo. Kant accetta lo spostamento d’accento verso il soggetto (non c’era altro da fare) e però fa del soggetto il centro del mondo (il co-produttore di tutte le rappresentazioni) riempendolo di intuizioni pure e di concetti puri.
[22] Uso questo termine per riassumere gli elementi trascendentali che compaiono nella CRP. Segnatamente le intuizioni, gli schemi, le categorie, l’Io penso, i principi e le idee. Va ricordato che Kant usa il termine “trascendentale” almeno in due modi diversi, riferendosi alla disciplina che studia un determinato oggetto e all’oggetto studiato.
[23] Che era, guarda caso, anch’esso un procedimento intriso di filosofia scolastica.
[24] È decisamente curioso che Tommaso d’Aquino definisse come analitico il procedimento di individuazione dei suoi trascendentali.
[25] Assai analoga a quella già tentata da Leibniz.
[26] In Italia, soprattutto per effetto del neokantismo, ma anche per mettere in evidenza una supposta novità radicale dell’idealismo tedesco, si preferisce chiamare criticismo la filosofia di Kant. In realtà la sua corretta definizione è quella di idealismo trascendentale. L’idealismo distanziandosi da Kant ha cercato così in un certo senso di occultare il suo peccato originale.
[27] Nella metodologia sperimentale si ritiene che quando lo strumento di osservazione altera l’oggetto osservato non si possa avere alcun tipo di conoscenza valida (si finisce per conoscere quello che lo strumento immette nell’oggetto). Per chi voglia divertirsi, si può fare un parallelo con i dibattiti – assai più seri – che hanno avuto luogo in fisica nella prima metà del secolo scorso a proposito del principio d’indeterminazione.
[28] Il tema dei limiti del soggetto è stato spesso richiamato nell’attuale dibattito intorno alla crisi del postmoderno e al nuovo realismo.
[29] Il mondo esterno o il mondo interno potranno così essere magari considerati come delle proiezioni inconsce del soggetto.
[30] Basti pensare alle molteplici analitiche che si sono succedute: le analitiche esistenziali, l’analitica freudiana, l’analitica fenomenologica. Neanche Foucault sfugge all’ombra dell’analitica. Neanche Marx. La stessa Fenomenologia dello Spirito di Hegel può essere configurata come un’analitica.