1. Nonostante il sindaco sia un mestiere difficile, la lista
degli aspiranti è sempre lunga, come del resto sta accadendo nella nostra città.
Si pone dunque il problema della scelta
e, prioritariamente, dei criteri in
base ai quali scegliere. Cosa ci aspettiamo da un sindaco? La risposta ha a che
fare sia con l’immagine che abbiamo del mestiere di sindaco, sia con l’immagine
che abbiamo della situazione attuale della nostra città.
2. Il sindaco[1] come lo conosciamo oggi è il frutto di un’appena
decente legge elettorale che ha, come
elementi qualificanti, il doppio turno, la possibilità da parte del sindaco di
scegliere e revocare gli assessori e una certa indipendenza nei confronti della
coalizione che lo appoggia (il che viene realizzato con il voto disgiunto). In
virtù di tutto ciò, la legge elettorale locale è stata solitamente considerata
come capace di assicurare una certa governabilità, conferendo ampi poteri a una
persona eletta direttamente, ben riconoscibile e, soprattutto, responsabile di
fronte agli elettori. A partire da queste regole, in effetti i partiti sono
stati costretti a fare sforzi per sostenere la candidatura di persone mediamente
presentabili, dotate di capacità e competenze. Ciò ha finito così anche per alimentare
un certo consenso verso un’estensione dei poteri da affidare ai sindaci, cosa
che è in parte stata recepita in diverse occasioni dal Legislatore. Più
recentemente sembra anche essere aumentata l’indipendenza delle politiche locali
nei confronti della politica nazionale. Non di rado infatti i sindaci (da soli
o organizzati) si sono schierati contro le deliberazioni dei governi nazionali,
portando in primo piano le istanze più sentite dei vari territori.
3. La “luna di miele” tra sindaci e cittadini è tuttavia
durata poco. Con il maggior potere e la maggior visibilità dei sindaci si è
intensificata la lotta tra i partiti per l’occupazione delle varie poltrone, così
come si è anche intensificata la pressione sulla politica locale delle lobby e
delle bande di M&P&A. Si sono così succeduti parecchi scandali, sono diventate
sempre più evidenti varie forme di malgoverno locale che sono giunte a mettere
a repentaglio i beni pubblici, la salute e la sicurezza delle popolazioni. Ciò
ha gettato qualche ombra sullo stesso meccanismo dell’elezione diretta. Pur
avendo il potere di scegliere, in talune occasioni gli elettori hanno
innegabilmente effettuato le scelte peggiori e più dannose per loro stessi,
avallando l’antico pregiudizio sulla democrazia intesa come il “governo dei
peggiori”.
4. Per tutti questi motivi, a livello nazionale si sta oggi facendo
strada una domanda politica relativamente nuova che mira, nello stesso tempo, a
valorizzare il ruolo dei sindaci e a combatterne le possibili degenerazioni.
Gli elettori, attraverso le loro preferenze, sembrano sempre più scartare il
tipo del sindaco politico di professione, amministratore e passacarte, eletto
attraverso un complesso mercato elettorale, per preferire un tipo di sindaco relativamente
estraneo alla politica, dotato di qualità personali e di manifesti requisiti morali,
capace di risolvere i problemi con efficacia e di difendere gli interessi
locali, capace di costruire una sua ampia maggioranza andando oltre gli schieramenti
precostituiti. Indiscutibilmente, negli ultimi tempi, i sindaci più benvoluti,
oltre che essere considerati buoni amministratori, sono stati valutati positivamente
perché capaci di impersonare (in termini etici e politici) i valori e gli obiettivi
della stessa comunità locale. Ciò vale per i sindaci di tutti gli orientamenti
politici, da Tosi a Renzi, da Fassino ad Alemanno, da De Magistris a Pisapia.
Ciò vale anche per i sindaci della Val di Susa, indipendentemente dalla
validità o meno delle loro posizioni. Per dirla in termini sintetici, i sindaci carismatici sembrano essere oggi
di gran lunga preferiti rispetto ai sindaci
burocratici.
5. Ma che cos’è il carisma?
L’antitesi tra carisma e burocrazia è un classico del pensiero sociologico. Per
quel che ci interessa qui, secondo una distinzione che risale a Max Weber, l’autorità
può avere un fondamento carismatico, oppure un fondamento razionale.[2] “Il carisma
è una certa qualità di una personalità individuale per virtù della quale l’individuo
è considerato diverso dagli altri esseri umani ordinari e trattato come dotato
di poteri eccezionali”.[3] Il fondamento razionale dell’autorità ha invece a
che fare con la legalità delle procedure
impiegate. Il tipico caso è quello della moderna burocrazia, dove sono particolarmente apprezzate la formalità dei
procedimenti, la capacità di controllo e di elaborazione delle informazioni, la
competenza acquisita attraverso esami e concorsi.
6. Un’altra distinzione, assai nota all’interno delle discipline
organizzative e che può essere utile al nostro ragionamento, è quella tra leadership e management. Generalmente i leader
sono in grado di innovare, ispirano nuove idee, mostrano nuove direzioni,
sviluppano nuove strategie. I manager,
dal canto loro, amministrano, seguono routine predefinite, mantengono l’ordine,
controllano i vari apparati. È chiaro che, seguendo il filo del nostro
discorso, il leader è principalmente
carismatico, mentre il manager è prevalentemente
burocratico.
In generale si ritiene
che l’autorità carismatica dei leader sia soprattutto necessaria nelle fasi in
cui c’è bisogno di un cambiamento; si
ritiene invece che l’autorità legale – razionale del management sia
particolarmente utile dopo il cambiamento,
quando bisogna far funzionare bene le
innovazioni che sono state introdotte. Alcuni studiosi hanno addirittura sostenuto
la complementarietà delle due forme di autorità, in senso ciclico: a una fase
di cambiamento, dove è per sua natura prevalente il ruolo dei leader, segue, prima o poi, una fase di
amministrazione,[4] dove è bene confidare nei manager. Tuttavia la conduzione manageriale può andare a sua volta
incontro a varie forme di degrado, per motivi endogeni o esogeni (imprevisti
gravi problemi da risolvere, assuefazione alla routine, corruzione,… ), e può
quindi rendere nuovamente necessario l’apporto di leader riformatori e trasformatori.
7. Se ripensiamo alle recenti vicende elettorali
amministrative del nostro Paese, questo modello calza piuttosto a pennello. Il
caso di Milano è sintomatico: per voltar pagina, una città che è stata berlusconiana
per eccellenza ha scelto un sindaco leader,
capace, da solo, d’impersonare un nuovo stile, un’etica politica alternativa,
un programma radicalmente diverso da quelli delle amministrazioni precedenti.
La stessa cosa vale per Napoli, una città sull’orlo del tracollo che aveva un
bisogno urgente di cambiamento, e che, contro ogni aspettativa, ha scelto un outsider come De Magistris. Il nostro
modello interpretativo sembra valere anche all’interno dello schieramento del centro
sinistra. Se consideriamo le primarie più recenti, anche a Genova, con la
vittoria di Doria, un professore estraneo alla politica di professione, sembra
che abbia prevalso la domanda di leadership.
Alle primarie di Palermo, anche la vittoria inattesa di Fabrizio Ferrandelli
può essere stata determinata dalla ricerca, da parte degli elettori, di un candidato
nuovo, dotato di un qualche carisma ed estraneo ai giochi del mercato politico.
8. Siamo ora in grado di trarre alcune conclusioni dalla
nostra analisi. Possiamo identificare, semplificando alquanto i termini della
questione, quattro principali situazioni, com’è illustrato nella tabella
acclusa. Se in generale le cose vanno
bene (se i cambiamenti introdotti sono alle spalle, se c’è una situazione
di stabilità o di crescita) allora il manager
competente può essere la scelta migliore, per custodire e consolidare l’esistente.
In tal caso, la scelta di un leader
carismatico può essere superflua, anche se potrebbe costituire un ulteriore valore
aggiunto: una città stabile e già florida che voglia competere e crescere
ancora di più può fare la scelta lungimirante di un leader carismatico anche in situazione di stabilità.
|
Manager
burocratico |
Leader
carismatico |
Bisogno di amministrazione (perché le cose vanno bene) |
X |
(x) |
Bisogno di cambiamento (perché le cose vanno male) |
|
X |
Se in generale però le cose vanno male, se urgono
cambiamenti radicali (sempre promessi e mai realizzati), se c’è declino e
disgregazione sociale, dovrebbe essere abbastanza evidente che mettere un manager burocratico, per quanto
competente, a governare il cambiamento sia la cosa più sconsiderata che si
possa fare. Quanto più la crisi è grave, tanto meno essa è risolvibile con
mezzi ordinari, tanto più il compito può essere risolto solo da una leadership. Il motivo è presto detto.
Nelle situazioni di crisi spesso non si sa cosa fare e dove andare, occorrono
scelte coraggiose, talvolta impopolari. Inoltre la crisi produce disgregazione sociale
e il cambiamento spaventa. Per andare oltre la crisi non basta barcamenarsi a governare
l’esistente, aspettando che cambi il vento. Occorre una leadership dotata di fantasia, immaginazione, occorrono capacità di
sintesi, progetti ambiziosi e capacità di realizzarli. Ma soprattutto occorre
andare oltre alla frantumazione sociale, alla contrapposizione dei piccoli e
grandi egoismi. Soltanto una leadership
riconosciuta è in grado di unire il tessuto sociale, di raccogliere fiducia
oltre alle barriere e agli interessi contrapposti dei vari gruppi.[5] C’è insomma
bisogno di qualcuno cui affidarsi, cui sia attribuita la capacità di
rappresentare davvero la maggior parte
e di traghettare la città dalla situazione negativa in cui si trova verso una
nuova situazione di risanamento, di stabilità e di crescita.
9. Come si traduce tutto ciò nella specifica situazione di
Alessandria? Se ne ricava che, nella scelta di un sindaco, non abbiamo bisogno
solo di qualcuno che sappia far quadrare i conti in dissesto (per questo basta
un’amministrazione controllata). In una situazione di grave declino e di smarrimento
di un progetto collettivo, c’è bisogno di qualcuno che sia in grado di scuotere
gli abitanti di questa città, di mobilitare gli sforzi, di fare delle scelte. C’è
bisogno dell’esperienza di una rinnovata partecipazione, di un’effervescenza
collettiva: una situazione cioè in cui persone appartenenti a mondi diversi
mettano da parte le loro barriere per unire i loro sforzi e per realizzare un’idea
condivisa. Si badi bene, non è il sogno di un visionario, è ciò che è realmente
avvenuto a Milano, ben descritto dal maestro Limonta, lo straordinario
personaggio che è stato il consigliere e l’artefice principale della vittoria
di Pisapia. Oltretutto, con l’elevato numero di candidati e il serio rischio di
dispersione, senza la capacità di parlare a tutti, senza un progetto condiviso
e partecipato ben al di là dei bilancini degli schieramenti politici, in
Alessandria non si riuscirà neppure a ottenere la maggioranza necessaria per
passare il turno. Nella scelta del candidato alla carica di sindaco per la nostra
città faremo dunque decisamente bene ad andare alla ricerca di una leadership. Bisogna però essere avvertiti. Il
carisma può essere anche pericoloso. Quando
il carisma è solo apparente, non corrispondente a un effettivo contenuto, ma è solo
esteriorità e superficie, chiacchiera e propaganda, allora può trascinare nel
baratro. Una città che vada dietro a sedicenti/seducenti leader chiacchieroni, vuoti e incapaci avrà solo da pentirsene. Del
resto è già successo.
Giuseppe
Rinaldi
(13/03/2012)
NOTE
[1] Userò “sindaco” per riferirmi alla carica,
indipendentemente dal fatto che a ricoprirla siano uomini o donne. Considero ridicolo
l’epiteto di sindachessa o sindaca per marcare il genere, nel disperato
tentativo di ottemperare a un malinteso politically
correct.
[2] Secondo la tipologia di Weber, tralascio il
fondamento tradizionale
dell’autorità, che qui non ci interessa.
[3]
AA, VV, The Encyclopedia of Political
Science, CQ Press, Washington, 2011. Pag. 211.
[4] Si ha, insomma, una routinizzazione del carisma.
[5] Di fatto, negli ultimi tempi, hanno vinto le
elezioni locali i candidati che hanno saputo unire, che hanno saputo parlare a
un ampio elettorato, molto al di là dei soliti affezionati già schierati.