mercoledì 3 marzo 2010

I barbari saccheggiati. Come l’Italia è diventata finalmente un paese comunista

 

Il recente volume di Luca Ricolfi “Il sacco del Nord” (*) rappresenta un importante punto di svolta nel dibattito intorno alla cosiddetta “questione meridionale”. L’argomento potrebbe sembrare vagamente demodé, legato a fumose e ottocentesche diatribe, invece si colloca con prepotenza al centro delle più importanti questioni di attualità. Il sottotitolo del volume “Saggio sulla giustizia territoriale” contribuisce a illuminare circa il rilievo delle questioni trattate. Il volume non intende fornire nuove spiegazioni circa gli squilibri territoriali presenti nel nostro Paese e neppure elaborare nuove proposte di riforma. Intende, come afferma in apertura l’Autore, “semplicemente offrire al lettore uno strumento nuovo di osservazione, un paio di lenti che permettono di vedere cose che, con gli strumenti di osservazione tradizionali, proprio non si vedono”. In sostanza si tratta di un volume il cui scopo principale è quello di descrivere nella maniera più obiettiva possibile le differenze territoriali presenti nel nostro paese.


Per descrivere gli squilibri territoriali, l’Autore è stato costretto a un lungo tour de force che lo ha portato a rivedere sostanzialmente i criteri con cui viene comunemente elaborata la contabilità nazionale. L’Autore dimostra con solide argomentazioni come la nostra contabilità nazionale nasconda sistematicamente una serie di grandezze che sarebbe invece necessario prendere in considerazione ogni qualvolta si ragioni intorno alle politiche pubbliche. La contabilità nazionale, nel nostro Paese, non permette di calcolare l’efficienza della pubblica amministrazione, non permette di calcolare l’effettivo funzionamento del fisco e le vere dimensioni dello stato sociale, non permette di scoprire un’immensa sacca di parassitismo e, soprattutto, nasconde i sistematici sotterranei trasferimenti di risorse dalle regioni più produttive verso le regioni meno produttive. Il volume è denso di considerazioni metodologiche (che tuttavia risultano a una lettura attenta perfettamente comprensibili anche ai profani della scienza economica) attraverso le quali vengono ricalcolate tutte le grandezze necessarie.


I risultati sono piuttosto sconcertanti. Vengono identificati e messi in luce i processi che, indipendentemente dai retaggi storici profondi, riproducono costantemente e anzi accentuano il divario tra le regioni più sviluppate (collocate prevalentemente al Nord) e le regioni meno sviluppate (collocate prevalentemente al Sud). Ma il risultato più rilevante è la quantificazione dettagliata dei meccanismi perversi attraverso i quali una quota rilevante di risorse prodotte nelle regioni del Nord è incanalata e distribuita nelle regioni meno produttive del Sud: circa 50 miliardi all’anno, l’equivalente di due o tre finanziarie.  Si tratta di meccanismi che vanno ben al di là della solidarietà nei confronti delle regioni più povere del Paese e che appaiono, a lungo andare, in grado di strangolare lo stesso sviluppo economico delle regioni più sviluppate.


L’autore non trae conclusioni politiche specifiche dalla sua indagine, che è prettamente descrittiva e accuratamente non valutativa, ma alcune conclusioni sono del tutto evidenti, anche a una lettura frettolosa. Mi proverò esplicitarne alcune. Una prima conclusione che si trae inevitabilmente dalla descrizione presentata è il fallimento totale delle politiche meridionalistiche che sono state seguite dal dopoguerra fino ad oggi (propugnate da tutti i governi sia di destra sia di sinistra). Addirittura si può trarre la conclusione che le politiche meridionalistiche messe in atto abbiano ottenuto dei risultati del tutto opposti alle intenzioni; abbiano cioè contribuito ad aggravare più che a sanare la condizione delle regioni meno sviluppate.


In secondo luogo, la descrizione di Ricolfi permette di comprendere appieno quali siano le profonde radici economiche dell’emergere progressivo della Lega Nord e perchè questo partito sia riuscito a egemonizzare una parte dei ceti produttivi del Nord e una parte della classe operaia. Ben al di là degli intendimenti soggettivi dei leghisti, il sacco del Nord è dunque una realtà strutturale latente che, oltre a danni intrinseci di natura economica, ha determinato come sottoprodotto politico e sociale la disgregazione della sinistra al Nord, lo sviluppo della cosiddetta “questione settentrionale” e ha contemporaneamente gettato diverse regioni del Sud nelle mani del malgoverno, della criminalità organizzata o in quelle dei faccendieri e procacciatori di voti.


In terzo luogo, la descrizione di Ricolfi fornisce tutti gli elementi per comprendere la diffusione nel nostro Paese – sempre per opera della Lega Nord - della cosiddetta tematica federalista. Quello della Lega non è un vero federalismo (basta consultare un qualunque manuale di scienza della politica per capire che il federalismo è aggregativo e non disgregativo), ma piuttosto una forma di autonomismo o di secessionismo, espressione del disagio e del rancore del Nord. Dietro ai miti delle ampolle e del dio Po, la Lega, in assenza di altre voci meglio qualificate, è riuscita a porre al pubblico il problema della giustizia territoriale. E lo ha posto tanto che il federalismo fiscale, l’obiettivo culminante della sua azione politica, è sul punto di essere realizzato (bisogna dire, nella quasi totale indifferenza dell’opinione pubblica). Peccato che il federalismo fiscale, per com’è stato impostato dalla riforma sostenuta dalla maggioranza, non riuscirà con ogni probabilità a risolvere nessuno dei problemi strutturali evidenziati dalla ricerca di Ricolfi.


In quarto luogo, la descrizione di Ricolfi fa risaltare la totale inconsistenza della politica della sinistra italiana intorno alla questione meridionale (che, come abbiamo visto, significa soprattutto “questione settentrionale”). Il partito democratico, come al solito, sulla giustizia territoriale non sa cosa dire. Da un lato, in più occasioni, ha continuato a farsi portavoce della redistribuzione verso il Sud in nome di un’indiscriminata solidarietà, guadagnando così peraltro sempre maggiori diffidenze da parte dell’elettorato; dall’altro lato si è fatto portatore di un federalismo fiscale gelatinoso, imposto in sostanza dalla concorrenza, poco sentito e dibattuto,  e che nessuno ha capito bene di che cosa si tratti. Le varie frange che si collocano alla sinistra del partito democratico altro non sanno se non chiedere a viva voce la reiterazione della tradizionale politica di assistenzialismo e trasferimento di risorse verso il Sud, ignari dei 50 miliardi che ogni hanno le regioni del Nord pagano in un modo o nell’altro a favore di quelle del Sud. Nessuno sembra essersene accorto, ma in Italia il comunismo è stato realizzato già da un pezzo.

L’attuale blocco di potere trova il suo fondamento (e la sua base elettorale) proprio nel rancore nordista per la spoliazione e nel parassitismo sudista spoliatore: questa unificazione di opposti interessi è stato senz’altro il capolavoro politico dell’attuale Capo del governo. Ma ciò è stato possibile mistificando e nascondendo la vera natura dei rapporti economici tra le due aree del Paese, non senza la complicità della miopia buonista dell’opposizione. Tra l’altro, va anche considerato che un trasferimento colossale da 50 miliardi all’anno non può che avvenire grazie all’intermediazione della burocrazia e della classe politica, che proprio su questa intermediazione fonda la propria perpetuazione e i propri privilegi. Ciò contribuisce a creare e a mantenere in vita un ceto politico inefficace, inefficiente e parassita, quando non malavitoso che non ha nessun interesse a modificare questa situazione.


Così il problema della giustizia territoriale non potrà che aggravarsi. Invece di continuare a proporre la distribuzione di risorse inesistenti per ottenere qualche voto in più, l’opposizione dovrebbe comprendere che la soluzione della questione meridionale non può che passare prioritariamente attraverso la soluzione della questione settentrionale. Ma questo significa cominciare seriamente e convintamente a cavalcare l’obiettivo della giustizia territoriale, anche perché, in caso contrario, tra un po’ non ci saranno più risorse per nessuno, né per i settentrionali né per i meridionali. Il partito che si dice democratico, proprio per il suo dirsi democratico, dovrebbe essere primariamente interessato ai problemi della giustizia territoriale e dovrebbe essere in prima linea a combattere per realizzarla (e non dovrebbe lasciare questo campo all’avversario). Dovrebbe capire che giustizia territoriale non significa oggi, nel nostro paese, principalmente distribuzione senza contropartite. Dovrebbe combattere apertamente le sacche di improduttività, di inefficienza, di parassitismo. La questione settentrionale costituisce oggi l’autentico e radicale problema politico per la sinistra italiana: si tratta di mettere da parte definitivamente il vecchio meridionalismo, la politica degli aiuti infiniti, per riscoprire il rigore - come sostiene Ricolfi - della vecchia contabilità liberale, quella grazie a cui perlomeno si riesce facilmente a capire chi produce cosa, chi consuma cosa e chi fa il furbo. Ciò implica una profonda rivoluzione che metta urgentemente nell’armadio una serie di schemi di pensiero che sono risultati disastrosi alla prova dei fatti. Per tutti quelli che, stufi dei luoghi comuni, sentissero l’esigenza di cambiare idea su tutte queste questioni, il libro di Luca Ricolfi può rappresentare davvero un buon punto di partenza.

 

Giuseppe Rinaldi (3 marzo 2010)

 

  

(*) Cfr. Luca Ricolfi, Il sacco del Nord. Saggio sulla giustizia territoriale. Guerini e Associati, Milano, 2010