lunedì 19 aprile 2004

I concetti nella storiografia e nell’insegnamento della storia (3.1)

 


Definizioni

1. Linguaggio e conoscenza: la significazione. La storiografia,[1] come tutte le altre discipline scientifiche, utilizza oggi un linguaggio specializzato. I linguaggi specializzati sono in genere più rigorosi rispetto ai linguaggi naturali, implicano la definizione dei significati dei termini, prevedono regole precise per il loro uso e per la creazione eventuale di nuovi termini. I termini del linguaggio tuttavia non avrebbero alcuna efficacia conoscitiva se non corrispondessero approssimativamente a dei contenuti mentali. Siamo soliti denominare variamente questi contenuti mentali: idee, concetti, pensieri, significati – queste varie espressioni possiamo per ora considerale come sinonime). Ha senso allora domandarsi preliminarmente che rapporto esista tra i termini del linguaggio e i contenuti mentali che costituiscono le nostre conoscenze storiche e che rapporto sussista tra questi contenuti mentali e la realtà effettiva delle cose che intendiamo ricostruire attraverso di essi.

2. Nell’ambito della linguistica e della semiotica è stata elaborata una teoria del significato che riguarda tutti i processi di significazione e che va quindi ben oltre il linguaggio naturale e i linguaggi specialistici delle scienze. Si è soliti distinguere – all’interno di un unico processo di significazione – tra significante, significato e referente. Spesso la distinzione viene rappresentata secondo uno schema triadico che risale a Ogden e Richards.[2] In particolare, il segno (o significazione, o funzione segnica) viene definito come un rapporto instaurato tra un significante e un significato, sulla base di una regola o codice. Il significante è l’elemento che veicola un significato. Nella maggior parte dei casi è sufficiente che sussista un legame convenzionale tra il significante e il significato. In generale, qualunque cosa può essere usata convenzionalmente come veicolo di significazione (purché venga stabilita e rispettata una regola di corrispondenza, ovvero un codice).

3. Il significato è quanto viene veicolato dal significante (ovvero, in termini rozzi, il contenuto mentale veicolato). Ma in cosa consiste precisamente il significato? La risposta più semplice – in accordo con Eco – è che il significato sia definibile come un’unità culturale.[3] In effetti il significante mette in moto in noi qualche processo mentale complesso che ci induce a elaborare e individuare qualcosa di abbastanza preciso (che comunemente chiamiamo significato, idea, concetto, pensiero...). Questo elemento evocato è indubbiamente un’unità, nel senso che si tratta di qualcosa di distinto da qualsiasi altro elemento (se ho l’idea di un’automobile, non ho l’idea dei pattini a rotelle, o della bicicletta, o di qualsiasi altra cosa). È una unità culturale perché tutti i nostri contenuti mentali sono in stretta relazione, in ultima analisi, con la cultura che ci circonda e che abbiamo appreso. Attraverso un’infinità di interazioni a contatto con la cultura della nostra società impariamo a individuare (e a interiorizzare e memorizzare) moltissimi segmenti di esperienza che per noi costituiscono elementi unitari, distinti da tutti gli altri. Se tuttavia i significati interiorizzati fossero assai diversi da individuo a individuo, questi non avrebbero alcun valore comunicativo e conoscitivo comune. Allora, nella nostra vita comunicativa, continuiamo a contrattare con gli altri i significati importanti che usiamo. In altri termini, ci mettiamo in qualche misura d’accordo. A di là delle differenze individuali, che pur sussistono, identifichiamo un’area comune di significato, che è quella che è codificata nella nostra cultura di riferimento e che è quella che ci attendiamo che gli altri intendano.

4. In tal modo i termini del linguaggio acquistano un significato abbastanza univoco e diventano sufficientemente efficaci per la comunicazione. Ciò è più che sufficiente per le esigenze della vita quotidiana. Possiamo tuttavia tentare di precisare meglio, di esplicitare l’area del significato condiviso. In questo caso siamo costretti a fornire un’interpretazione[4] della nostra idea o concetto, o del nostro significato. Nell’ambito del linguaggio verbale il modo più efficace di interpretare un’idea o un concetto è quello di fornirne una definizione.[5] Possiamo dire di “conoscere” effettivamente un’idea, un concetto, oppure un significato, quando siamo in grado di esplicitarla, di fornirne un’interpretazione specifica, ovvero quando riusciamo a darne una definizione, nell’ambito della cultura entro la quale comunichiamo.

 5. Il referente dovrebbe essere quello “stato di cose” cui il significato si riferisce. Ciò apparentemente sembra semplice e convincente, ma non è così. Il referente rappresenta l’aspetto più problematico della significazione: in che senso il concetto di uomo si riferisce a un uomo reale in carne ed ossa, oppure a tutti gli uomini? A cosa si riferisce effettivamente il concetto di triangolo? Il concetto di “Dio” ha un referente? A cosa si riferisce effettivamente il concetto di giustizia o di bellezza? A cosa si riferisce il concetto di “dinosauro”, ora che i dinosauri sono estinti? La soluzione più comunemente adottata fa ricorso alla convenzionalità della significazione. Perché ci sia significazione, il referente non è ritenuto particolarmente importante (può anche essere costituito da una credenza o una superstizione). Osserva infatti U. Eco: «[…] ogni volta che si manifesta una possibilità di mentire siamo in presenza di una funzione segnica. Funzione segnica significa possibilità di significare (e dunque di comunicare) qualcosa a cui non corrisponde alcuno stato reale dei fatti». E ancora: «[...] la semiotica ha individuato a questo punto una nuova soglia, quella tra condizioni di significazione e condizioni di verità».[6]

6. Se in generale per “significare” efficacemente il referente non è fondamentale, quando tuttavia ci occupiamo di una disciplina scientifica (come ad esempio la storiografia) diventa particolarmente importante che sussista una corrispondenza (in termini di verità o falsità) tra il significante e il referente. In altri termini, se affermo: “Garibaldi è nato a Brindisi” tutti capiscono cosa ho voluto dire (cioè ho comunicato con successo), anche se, storicamente, il contenuto della frase viene di solito ritenuto falso. Il problema è che, per accertare la verità di una proposizione storiografica, devo intraprendere una serie ulteriore di processi di significazione (devo individuare dei documenti, devo leggerli, interpretarli, ecc.). Non incontrerò mai Garibaldi in carne ed ossa, avrò sempre a che fare con dei processi di significazione, seppure altamente interconnessi e sofisticati. In altri termini, non incontrerò mai il referente, bensì degli altri significati rigorosamente interconnessi. Nel proseguimento di questo lavoro, poiché ci occuperemo della storiografia, seguendo la nostra tradizione filosofica, chiameremo “concetti” i significati espressi dai termini del linguaggio specialistico storiografico.

7. Intensione ed estensione dei concetti e scala di astrazione. Per poter utilizzare consapevolmente i concetti del linguaggio storiografico è utile ben comprendere cosa siano l’intensione e l’estensione. Si tratta di due proprietà caratteristiche di ogni concetto. Il significato del concetto (ovvero l’unità culturale corrispondente) nella letteratura specialistica viene anche detto “intensione”, volendo indicare con ciò l’insieme delle sue proprietà caratteristiche. L’intensione di “quadrato” sarà costituita da ciò che fa di una figura un quadrato, cioè dalle sue proprietà caratteristiche. L’intensione di “Fido” sarà costituita dalle varie caratteristiche del gatto Fido: che ha una macchia nera sull’orecchio sinistro, che è pigro, che ieri è stato salvato miracolosamente da uno scontro con un bull-dog, e così via. L’intensione di “bellezza” saranno le proprietà (seppur difficili da individuare) di ciò che è bello.

L’estensione di un concetto è invece: «la classe delle entità alle quali il termine può essere attribuito con verità» (Quine). Il concetto di “Fido” ha come estensione un solo gatto di nome Fido. “Uomo” ha come estensione la classe di tutti gli uomini, cioè l’umanità. “Quadrato” ha come estensione la classe di tutti i quadrati. “Bello” avrà come estensione tutto ciò che è qualificato come bello. È chiaro che l’estensione è in qualche modo connessa con il riferimento del concetto (anche se ciò costituisce un problema complesso dal punto di vista filosofico).

8. È abbastanza chiaro che intensione ed estensione sono inversamente proporzionali: se aumenta l’estensione, l’intensione tende a concentrarsi su un numero ristretto di proprietà e viceversa. Se questo è vero, allora i concetti che noi utilizziamo sono organizzabili, anche se in maniera non rigorosissima,[7] lungo una scala di astrazione. Sicuramente “Garibaldi” (elevata intensione e bassa estensione) è meno astratto di “cristianesimo”, l’“incontro di Teano” ha una intensione ancora maggiore di Garibaldi, e così via. Tutto ciò si rivelerà estremamente utile per comprendere la funzione dei concetti nella storiografia e nell’insegnamento della storia.

 

L’uso dei concetti nella storiografia

9. La storiografia è una scienza dell’uomo[8] che produce delle ricostruzioni intersoggettive del passato, espresse attraverso un linguaggio specialistico costituito di concetti. Tutti i concetti della storiografia possono essere considerati delle unità culturali nel senso che abbiamo definito. L’attività continua, intersoggettiva e cumulativa, di definizione e ridefinizione dei concetti – che rappresenta il cardine dell’attività storiografica – possiamo chiamarla in generale interpretazione o, più specificatamente quando viene coinvolto il linguaggio, concettualizzazione. Interpretare significherà per noi attribuire a qualcosa un significato sulla base di una regola (o “codice”). Quindi il termine “interpretazione” lo possiamo adoperare a proposito di una frase scritta, oppure per un documento, fino a fatti storici complicatissimi come, ad esempio, la Rivoluzione francese. Quando disponiamo di codici certi e ben precisi, l’interpretazione non pone problemi, come quando leggiamo un testo in una lingua familiare. Quando tuttavia i codici sono incerti, mal definiti, quando non sappiamo bene quali codici usare, allora l’interpretazione diventa più difficoltosa, come ad esempio, quando siamo di fronte a un’opera d’arte. Nel caso in cui non esistano codici utili o condivisi, allora possiamo ridefinire i vecchi codici interpretativi oppure, addirittura, istituire dei nuovi codici. L’interpretazione in altri termini risponde alla domanda: “Cos’è questo”? L’interpretazione serve a individuare e a descrivere le cose, a trarle dal “continuum” indistinto. Secondo i correnti orientamenti, buona parte della cultura è, nella sostanza, interpretazione.

10. Un caso speciale di interpretazione si ha nella costruzione di nuovi concetti. Quando – di fronte al compito di produrre una ricostruzione storiografica – il ricorso a codici condivisi (ovvero al patrimonio concettuale già esistente) non si rivela particolarmente utile, si tratta allora di costruire ex novo dei concetti adeguati (con relativi codici interpretativi). Ad esempio, alla fine della seconda guerra mondiale, ci si rese conto dell’enormità dei crimini perpetrati dai nazisti ai danni degli ebrei. A molti lo sterminio degli ebrei non sembrò definibile (ovvero interpretabile) come un semplice crimine, si sentì il bisogno di distinguere quel crimine dagli altri. Allora, al processo di Norimberga, si definì un nuovo concetto giuridico, quello di “crimine contro l’umanità”. È stato creato un nuovo concetto, che ha finito per diventare patrimonio comune e regola consolidata di interpretazione di taluni fatti storici. Gli storici si trovano spesso nella condizione di creare nuovi concetti. Se questi nuovi concetti sono compatibili con i documenti, se superano il vaglio della comunità scientifica, diventano concetti consolidati della disciplina e possono aiutare la crescita della nostra conoscenza storica.

11. I concetti – vecchi o nuovi che siano – vengono utilizzati per produrre le ricostruzioni storiografiche. Essi tendenzialmente vengono usati con intenti prevalentemente descrittivi o con intenti prevalentemente esplicativi. È tuttavia importante comprendere che ci troviamo in presenza di due varianti dell’interpretazione e non di due aspetti diversi del metodo storico. La ricostruzione storiografica può avere per oggetto uno specifico fatto storico. In tal caso si tratta di descriverlo, di “dire cos’è”. Così facendo occorre utilizzare una catena di interpretazioni, dalla lettura dei documenti fino al risultato finale. Ma i concetti descrittivi possono ulteriormente essere connessi tra di loro per rispondere alla domanda “perché?”, ovvero per produrre delle specifiche spiegazioni. Tuttavia le spiegazioni in storia, non essendo possibile alcuna generalizzazione, possono sempre essere ricondotte a meccanismi interpretativi e non al meccanismo tipico della spiegazione scientifica in base a leggi, come nelle scienze della natura. Non ci sono leggi nella storia.

 

Tipologia dei concetti storiografici

12.  Poiché particolari tipi di concetti possono presentare dei problemi, per chi progetta l’insegnamento può essere utile disporre di una tipologia (o più di una) dei concetti che si possono utilizzare in ambito storiografico. Naturalmente qualsiasi classificazione dei concetti è convenzionale e dipende dai criteri di classificazione adottati. Si tratta come al solito di fare buon uso delle nostre classificazioni mantenendo una sorveglianza critica, soprattutto nei confronti della nostra naturale tendenza a conferire loro una realtà effettiva.

13. I concetti storiografici si differenziano per le loro proprietà intensionali. Anzitutto si può affermare – anche se risulta piuttosto banale – che i concetti differiscano tra loro per le loro proprietà intensionali caratteristiche: “Garibaldi” è diverso da “Napoleone”, anche se potremmo considerali entrambi dei “condottieri”. “Galileo” e “Newton” per alcune proprietà potranno anche sovrapporsi, ma per altre si differenzieranno, e così via. A bassi livelli di astrazione, le proprietà che potenzialmente possono venir considerate sono innumerevoli e quindi occorre decidere quali prendere in considerazione e quali ignorare. Lo storico comunque non è particolarmente interessato alla generalizzazione. La disciplina storica è idiografica, si occupa delle accidentalità più che delle generalità; occorre tuttavia tenere sotto controllo il gusto per le descrizioni troppo particolareggiate per non finire nella mera erudizione.

14. Livello di astrazione dei concetti storiografici. Come si è visto, i concetti – in base alla loro estensione – si possono idealmente ordinare lungo una scala di astrazione, dal meno astratto al più astratto. Tuttavia sono possibili diverse scale di astrazione, non esiste un ordinamento assoluto (di ciò si era già accorto Aristotele nella sua teoria delle categorie). Se aumenta l’astrazione è più facile (ma non necessario) che il concetto sia trans temporale e trans spaziale o anche trans culturale, anche se la cosa va accertata di volta in volta. Solitamente (ma non sempre) i concetti dotati di astrazione media (i cosiddetti concetti di medio raggio – come sono stati definiti dal sociologo R. K. Merton) sono considerati come i concetti più utili e produttivi, perché possono più facilmente connettersi con i concetti di livello di astrazione inferiore e perché, connettendosi a concetti più estesi, permettono di operare sintesi più ampie. La teoria per cui i concetti di medio raggio sarebbero i più utili non vede alcun accordo effettivo tra gli storici. Si pensi a un erudito per il quale contino specialmente i dettagli minimi ed elementari. Tuttavia la preferibilità dei concetti di medio raggio potrebbe essere adottata come “regola dell’arte”, soprattutto in campo educativo.

15. I concetti della storiografia si riferiscono a entità collocate nello spazio e nel tempo. Molti concetti storiografici sono caratterizzati dal fatto di riferirsi a elementi che sono collocati nel tempo e nello spazio. Un concetto come “guerra” si riferisce a un’ampia classe di fenomeni tanto che sembra piuttosto indifferente allo spazio e al tempo (sembra essere extra–storico). Se però specifico il concetto, ad esempio, se parlo di “guerra atomica”, allora il concetto diventerà più circostanziato. In altri termini, la collocazione nello spazio e nel tempo fa parte delle proprietà intensionali dei concetti che utilizziamo. L’uso di concetti spazio-temporali di ampia portata comporta rischi di generalizzazioni indebite, di sovrapposizioni, di arbitrarietà. Tuttavia l’uso di concetti di portata ampia determina una maggiore forza interpretativa ricostruttiva, permette una migliore comprensione degli eventi (comprendere significa anche sintetizzare). Affermare che lo stalinismo è una forma di totalitarismo è assai più azzardato che dichiarare che Stalin era georgiano, tuttavia si guadagna in ricchezza conoscitiva. L’unico modo per non commettere abusi consiste nel dichiarare sempre esplicitamente quale sia il livello di astrazione al quale ci pone.

 Molti concetti usati nella storiografia sono assolutamente gli stessi delle altre scienze sociali, anche se il loro uso non è esattamente lo stesso. Nelle scienze sociali si desidera che i concetti siano il più possibile validi universalmente, non influenzati dallo spazio e dal tempo o da specifiche culture. Nella storiografia questi concetti perdono la loro universalità e si devono necessariamente arricchire delle connotazioni più specifiche, relative allo spazio e al tempo.

16. Classificazione dei concetti in base alla loro storia e al loro uso. I concetti, essendo radicati nelle culture (li abbiamo considerati come delle unità culturali) ed essendo le culture storiche, possiedono anch’essi una storia: nascono, scompaiono, mutano le loro proprietà intensionali. Ogni buon dizionario specialistico non fornisce solo la definizione del concetto, ma ne ricostruisce anche la storia. È piuttosto utile allora distinguere i concetti anche in base al loro uso e alla loro stessa genesi storica. Rispetto a questa problematica possiamo distinguere tra: a) concetti usati dagli attori della storia per fare la storia stessa; in questo caso il compito ricostruttivo si rivolge alle interpretazioni che sono state storicamente date di vari concetti (cosa si intendeva nell’Inghilterra del Seicento con “rivoluzione”, ecc...). b) concetti usati dagli storici per interpretare la storia fatta dagli attori; in questo caso il compito ricostruttivo si rivolge ai concetti prodotti dagli storici e che – nel tempo – sono stati progressivamente criticati, ridefiniti, abbandonati o riesumati (un esempio tipico è il concetto di “controriforma”). Nel circuito interattivo tra i concetti usati dagli attori della storia e i concetti definiti e impiegati nell’ambito del lavoro storiografico si può riconoscere l’interazione tra storia e storiografia, nonché tutta la problematica dell’“uso pubblico” dei risultati della storiografia. Una parte consistente della ricostruzione storica del passato è costituita proprio dalla ricostruzione storica delle interpretazioni che sono state date via via ai concetti.

17. Concetti che si riferiscono a collettività (collocabili nel tempo e nello spazio). Un ampio gruppo di concetti storiografici si riferisce a collettività (collocate comunque nello spazio e nel tempo). Spesso i protagonisti del discorso storico sono i barbari, i romani, l’uomo dell’età feudale, i greci, la classe operaia, i borghesi, gli intellettuali. L’uso dei concetti che si riferiscono a collettività presenta spesso notevoli difficoltà ed è strettamente connesso al problema dell’individualismo metodologico. L’individualismo metodologico è un principio secondo cui: «[...] nessuna spiegazione nelle scienze sociali o nella storia può essere adeguata o fondata se non è espressa in termini riferiti alle caratteristiche degli individui (le loro proprietà, i loro fini, le loro credenze e le loro azioni). Le totalità sociali, o gli schemi aggregati di comportamento, devono essere spiegati sempre, almeno in ultima istanza, in termini di individui».[9] Secondo l’individualismo metodologico, solo gli individui agiscono in ultima analisi nella storia, dunque i protagonisti sono solo individui. Ciò implica prestare particolarissima vigilanza critica nei confronti di tutti quei concetti che si riferiscono a aggregati di individui: nazioni, stati, classi, organizzazioni religiose, ecc. Indubbiamente gli aggregati individuali possono agire unitariamente, ad esempio in quanto istituzioni. Quando si dice che l’Assemblea costituente ha deliberato qualcosa, l’ha fatto indubbiamente in quanto istituzione. Ma l’istituzione in quel momento era comunque composta di individui che hanno votato con certe definite procedure e così hanno deliberato.

18. Concetti che si riferiscono a tipologie culturali. Un altro particolare gruppo di concetti si riferisce a tipologie culturali (feudalesimo, ellenismo, rivoluzione scientifica, uguaglianza, democrazia). In generale questi concetti sono tanto più difficili da manipolare quanto più sono di ampia estensione. Critici avveduti consigliano addirittura di evitare l’uso di tali concetti. Sembra tuttavia difficile evitare questi concetti nell’insegnamento, anche perché rappresentano comunque punti di riferimento tradizionali e canonici della nostra cultura. Le grandi tipologie culturali si prestano comunque piuttosto efficacemente a illustrare come un concetto possa essere costruito e decostruito nei suoi tratti fondamentali e come siano possibili varianti interpretative anche assai diverse.

Assai problematica è anche la nozione di “civiltà” (nei nuovi programmi ministeriali compare la dizione “quadri di civiltà”). Per quanto riguarda i “quadri di civiltà”, è evidente che le “civiltà” sono dei costrutti. Tuttavia si può facilmente essere tentati di scambiare il costrutto con la realtà. Finché ci immaginiamo romanticamente “gli egizi” o i babilonesi la cosa può non avere troppe conseguenze. Occorre non dimenticare tuttavia che le descrizioni che i greci facevano dei barbari, la descrizione che i popoli colonizzatori hanno fatto dei colonizzati, la descrizione nazista degli ebrei, sono anch’essi dei “quadri di civiltà”. Per capire quanto siano difficoltosi ed equivoci i “quadri di civiltà” basterebbe provare a tratteggiare il quadro della nostra attuale “civiltà occidentale”.

19. Concetti che individuano un periodo della storia. Un altro tipo di concetti spesso usati nella storiografia scolastica si riferisce alle “epoche della storia”. Si tratta di quei concetti che vengono usati per riferirsi ai fatti storici che sono accaduti in un determinato periodo. Se parlo del “Novecento” con ciò voglio riferirmi a tutto quanto è accaduto nel Novecento. Lo stesso vale per “età ellenistica”, “medioevo”, “restaurazione”, e così via. È chiaro che questi concetti – a causa della loro estensione piuttosto elevata (possono includere qualsiasi cosa, purché databile in un certo ambito temporale) rischiano di diventare delle marche arbitrarie sotto le quali si può mettere qualsiasi cosa. È vero che uno dei compiti più complessi degli storici è quello della periodizzazione, ma la periodizzazione è un risultato, viene realizzata dopo avere analizzato il materiale documentario. Nell’insegnamento della storia ci si limita spesso a prendere atto di periodizzazioni già realizzate. Indubbiamente anche queste periodizzazioni sono utili riferimenti culturali canonici; tuttavia è sempre possibile mostrare come le periodizzazioni siano dei costrutti convenzionali, spesso oggetto di controversia tra gli stessi storici.

 

Insegnare la storia per concetti?

20. Nei paragrafi precedenti abbiamo cercato di definire in cosa consista la struttura concettuale della storiografia e di delineare un certo numero di problemi ad essa relativi che influenzano anche l’ambito dell’insegnamento della storia. In quest’ultimo paragrafo si cercherà di ricavare alcune conseguenze nel campo della definizione dei curricoli di storia. L’argomento sembra quanto mai attuale, poiché stanno per essere emanati i nuovi curricoli di storia compresi nella riforma Moratti.[10] Dalle considerazioni sviluppate, emerge che la storiografia incentra il proprio lavoro ricostruttivo intorno all’interpretazione e, in particolare, alla concettualizzazione. La narrazione storica è fondamentalmente costruita intorno ai concetti. Su questo punto di vista possono concordare tutte le epistemologie.

In particolare Veyne ha scritto pagine assai interessanti intorno alla centralità della concettualizzazione nella storiografia. Imparare la storia significa imparare i concetti della storiografia (dal lato dei contenuti cognitivi) e imparare a “concettualizzare”, ovvero l’arte dell’interpretazione (dal lato delle abilità). Purtroppo il materiale storico (compresi i manuali scolastici) è costituito di narrazioni invero piuttosto disordinate dove si mescolano definizioni teoriche, concetti specifici, concetti generali, informazioni banali, ecc. Se vogliamo conferire alla concettualizzazione un ruolo importante nell’insegnamento della storia, la prima cosa è di mettere in ordine la materia che vogliamo insegnare.

21. Argomenti o concetti. Nelle progettazioni didattiche spesso la materia da insegnare è ripartita per titoli come “l’Illuminismo”o “il Cristianesimo”. Queste espressioni fanno uso indubbiamente di concetti, ma non assolvono la funzione di concetti: assolvono la funzione di etichettatura di argomenti, di temi, ovvero di note narrazioni o spezzoni di narrazioni condivise dalla nostra cultura. Se dico “Cappuccetto Rosso e il Lupo” tutti capiscono che non mi sto riferendo a un copricapo e a un animale, ma che mi sto riferendo a una nota narrazione condivisa nella nostra cultura. Se dico “Romolo e Remo”, oppure se dico “La nascita dell’Islam e la sua espansione” mi riferisco a pezzi di narrazione che più o meno tutti conoscono (che fanno parte del “canone” dell’insegnamento della storia). I narratologi parlerebbero di “storia”, oppure di “fabula”. Ma una stessa fabula può essere interpretata in modi assai diversi. La narrazione storica – asseriamo noi – implica un’estrema sorveglianza nella costruzione e nell’uso dei concetti (poiché si pretende che sia una “narrazione vera”). Quindi raccontare un argomento (“affrontare un argomento”) non significa necessariamente avere anche la conoscenza concettuale dei fatti storici che possono essere rubricati sotto quell’argomento. La progettazione didattica dovrebbe dunque andare ben oltre l’individuazione di generici argomenti, come invece ci si limita a fare nei programmi scolastici. La nuova riforma non fa eccezione).

 22. Concetti fondamentali? Alcuni anni or sono, si è discusso abbondantemente di “concetti fondanti”, concetti organizzatori, saperi minimi, saperi di base, ecc. Il risultato del dibattito era stato poi recepito nel famoso “documento dei saggi” che andava nella direzione di uno sfoltimento dei programmi, che doveva essere attuato tenendo conto delle strutture epistemologiche delle discipline. Sono possibili concetti fondamentali nella storiografia?

Veyne credo abbia chiarito definitivamente che la storiografia non possiede un nucleo di concetti strutturati atti a venir impiegati nella formulazione di leggi (come nel caso della fisica, della biologia o delle altre scienze della natura). Grazie alla concettualizzazione tuttavia la ricostruzione storiografica cessa di essere una superficiale cronaca per diventare conoscenza approfondita e ricostruzione sempre più “vera”. I concetti più utili allora sono quelli che ci permettono di andare maggiormente in profondità, ci fanno intendere, migliorano la nostra comprensione, spiegano. Invece di narrare per filo e per segno la cronaca dello scoppio e degli sviluppi della Grande guerra, se ricorro a concetti come quello di nazionalismo, imperialismo, guerra totale, diplomazia segreta, ecc. riuscirò a guadagnare una maggior profondità e una maggior verità ricostruttiva. Per questo motivo l’apparato concettuale non può essere fornito in astratto, ma dovrà sempre essere legato all’elemento individuale oggetto di ricostruzione.

Allora nelle prescrizioni curricolari e nella progettazione didattica degli insegnanti occorre non solo limitarsi a enunciare vaghi argomenti (“la Rivoluzione americana”) ma occorre specificare quali siano quei concetti che si ritiene siano capaci di interpretare quanto si sta prendendo in considerazione. Non si tratta allora di insegnare enciclopedicamente i concetti, bensì di insegnare la storia mediante i concetti.

23. La dimensione storica dei concetti. Come si è visto, i concetti possiedono essi stessi una dimensione storica almeno in due sensi: nel senso della ricostruzione della storia della cultura e della mentalità e nel senso della ricostruzione della stessa storia dei concetti della storiografia. Queste due dimensioni dovrebbero essere significativamente tenute presenti ogniqualvolta si faccia uso dei concetti interpretativi. Purtroppo nel nostro paese non c’è mai stata molta attenzione per la storia dei concetti e per la storia della storiografia e quindi non disponiamo di una base di risultati immediatamente utilizzabili nell’insegnamento.

24. La sistematica dei concetti e le scienze sociali. I concetti usati nell’insegnamento della storia devono mirare alla generalizzazione, oppure mirare a evidenziare le differenze per circoscrivere ambiti sempre più particolari? Studiamo vari casi di “prestito a interesse” affinché gli allievi giungano a padroneggiare il concetto astratto di “interesse”, oppure – dando per scontato (se possibile) la conoscenza del concetto astratto di “interesse” – ci concentriamo sulle differenze (e quindi ci domandiamo in cosa differisca ad esempio la zakat dall’elemosina cristiana?). Nel nostro paese purtroppo – in assenza di un curricolo esplicito di scienza sociale – l’insegnante di storia coscienzioso si vede continuamente costretto a un’attività di supplenza, a introdurre anche i concetti di scienza sociale necessari a comprendere la storia. Ciò comporta una continua tensione sui concetti che storiograficamente dovrebbero essere circoscritti nello spazio e nel tempo, ma che poi si finisce per usare in termini generalizzati. La dimensione storica dei concetti andrebbe comunque sempre tenuta separata dalla dimensione più sistematica dei concetti che oggi è propria delle scienze sociali.

25. Come scegliere gli argomenti? Nell’insegnamento della storia l’unica strada per operare davvero lo sfoltimento contenutistico tanto auspicato sta dunque nell’evitare di mantenere la narrazione in superficie, dove la dispersione regna sovrana e dove si usano concetti di bassissimo livello di astrazione. Si tratta di procedere oltre le accidentalità per collocare la narrazione al livello dei concetti di medio raggio. Occorrerà scegliere quei concetti che potenziano la nostra capacità interpretativa ed esplicativa, mantenendosi tuttavia aderenti alla materia storica, senza fare della generica scienza sociale. Nel patrimonio dell’insegnante dovrebbe essere presente, per ogni spezzone della narrazione canonica, un repertorio concettuale interpretativo e l’insegnante dovrebbe condurre le attività didattiche avendo sempre presente questa bussola concettuale. La scelta degli argomenti (che diventeranno le unità di lavoro) andrà realizzata sulla base di tutte le altre complesse motivazioni che guidano l’insegnamento della storia, ma sarà opportuno tenere anche conto della ricchezza concettuale offerta da ciascun argomento. 

Giuseppe Rinaldi (2004) (Rev. 17/09/2025)

 

 

BIBLIOGRAFIA

1975  Eco, Umberto, A theory of Semiotics, Indiana University Press. Tr. it.: Trattato di semiotica generale, Bompiani, Milano, 1975.

2000         Ginzburg, Carlo, Rapporti di forza. Storia, retorica, prova, Feltrinelli, Milano.

1923 Ogden, C. K.  &  Richards, I. A., The Meaning of Meaning, Routledge & Kegan Paul Ltd, London.  Tr. it.: Il significato del significato, Garzanti, Milano, 1966.

1993 Outhwaite, William & Bottomore, Tom & Gellner, Ernest & Al. (a cura di), The Blackwell Dictionary of Twentieth Century Social Thought, Basil Blackwell, Oxford. Tr. it.: Dizionario delle scienze sociali, Il Saggiatore, Milano, 1997.

1971  Veyne, Paul, Comment on écrit l’histoire, Editions du Seuil, Paris. Tr. it.: Come si scrive la storia. Saggio di epistemologia, Laterza, Bari, 1973.

1974 Veyne, Paul, L’histoire conceptualisante, in Le Goff, Jacques & Nora, Pierre (a cura di), Faire de l’histoire, Gallimard, Paris. Tr. it.: La storia concettualizzante, in Le Goff, Jacques & Nora, Pierre (a cura di), Fare storia. Temi e metodi della nuova storiografia, Einaudi, Torino, 1981.

 

NOTE

[1] Questo saggio è stato originariamente pubblicato sul n. 35/2004 dei Quaderni di Storia Contemporanea con il titolo de I concetti nell’insegnamento della storia. Questo lavoro ha avuto origine nell’ambito di un progetto di ricerca della Sezione Didattica dell’ISRAL, mirante a elaborare una proposta curricolare per l’insegnamento della storia. Esso aveva lo scopo di uniformare il linguaggio del gruppo di lavoro e di fare un inventario di problemi che emergono nell’ambito della progettazione delle unità di lavoro di storia. Chi conosce le recenti teorie della semiotica o della narratologia potrà trovare questo lavoro privo di sostanziali novità. Tuttavia il modesto tentativo di gettare un ponte tra le scienze dell’educazione, la storiografia e le discipline che studiano la narrazione e la significazione può avere tuttora qualche utilità nel nostro contesto culturale, dove la confusione è piuttosto generalizzata.

[2] Cfr. Ogden & Richards 1923.

[3] Cfr. Eco (1975).

[4] Ci sono vari modi di fornire un’interpretazione di un concetto, cioè di rispondere alla domanda: «Che cosa è il termine X?». Ad esempio a chi mi chiede cos’è “automobile”, io posso indicare col dito un’automobile, posso mostrare una foto, posso fornire una definizione verbale, oppure ricorrere a un articolo enciclopedico, ecc.

[5] La pratica della definizione è assai antica e risale agli inizi della logica occidentale. Platone e Aristotele si sono occupati dei problemi relativi alle definizioni.

[6] Cfr. U. Eco (1975: 89)

[7] Di ciò si era già accorto Aristotele con la sua teoria delle categorie.

[8] Do qui per scontata la definizione di ciò che s’intende per scienze umane. Soprattutto, do per scontato che la storiografia sia appunto una scienza, con i caratteri e limiti che competono alle scienze umane.

[9] Cfr. Outhwaite, William  &  Bottomore, Tom  &  Gellner, Ernest  &  Al. (1997).

[10] Nel momento in cui scriviamo, sono noti i programmi per la scuola primaria e per la scuola secondaria di primo grado.

 

 

 

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