Definizioni
1. Linguaggio e
conoscenza: la significazione. La storiografia,[1] come tutte le altre
discipline scientifiche, utilizza oggi un linguaggio
specializzato. I linguaggi specializzati sono in genere più rigorosi
rispetto ai linguaggi naturali, implicano la definizione dei significati dei
termini, prevedono regole precise per il loro uso e per la creazione eventuale di
nuovi termini. I termini del linguaggio tuttavia non avrebbero alcuna efficacia
conoscitiva se non corrispondessero approssimativamente a dei contenuti
mentali. Siamo soliti denominare variamente questi contenuti mentali: idee,
concetti, pensieri, significati – queste varie espressioni possiamo per ora
considerale come sinonime). Ha senso allora domandarsi preliminarmente che
rapporto esista tra i termini del linguaggio e i contenuti mentali che
costituiscono le nostre conoscenze storiche e che rapporto sussista tra questi
contenuti mentali e la realtà effettiva delle cose che intendiamo ricostruire
attraverso di essi.
2. Nell’ambito della linguistica e della semiotica è stata
elaborata una teoria del significato
che riguarda tutti i processi di significazione e che va quindi ben oltre il
linguaggio naturale e i linguaggi specialistici delle scienze. Si è soliti
distinguere – all’interno di un unico processo
di significazione – tra significante,
significato e referente. Spesso la distinzione viene rappresentata secondo uno
schema triadico che risale a Ogden e Richards.[2] In particolare, il segno (o significazione, o funzione
segnica) viene definito come un rapporto instaurato tra un significante e un
significato, sulla base di una regola o codice.
Il significante è l’elemento che
veicola un significato. Nella maggior parte dei casi è sufficiente che sussista
un legame convenzionale tra il
significante e il significato. In generale, qualunque cosa può essere usata
convenzionalmente come veicolo di significazione (purché venga stabilita e
rispettata una regola di corrispondenza,
ovvero un codice).
3. Il significato è
quanto viene veicolato dal significante (ovvero, in termini rozzi, il contenuto
mentale veicolato). Ma in cosa consiste precisamente il significato? La
risposta più semplice – in accordo con Eco – è che il significato sia
definibile come un’unità culturale.[3]
In effetti il significante mette in moto in noi qualche processo mentale
complesso che ci induce a elaborare e individuare qualcosa di abbastanza
preciso (che comunemente chiamiamo significato, idea, concetto, pensiero...).
Questo elemento evocato è indubbiamente un’unità,
nel senso che si tratta di qualcosa di distinto da qualsiasi altro elemento (se
ho l’idea di un’automobile, non ho l’idea dei pattini a rotelle, o della
bicicletta, o di qualsiasi altra cosa). È una unità culturale perché tutti i nostri contenuti mentali sono in stretta
relazione, in ultima analisi, con la cultura che ci circonda e che abbiamo
appreso. Attraverso un’infinità di interazioni a contatto con la cultura della
nostra società impariamo a individuare (e a interiorizzare e memorizzare) moltissimi
segmenti di esperienza che per noi costituiscono elementi unitari, distinti da
tutti gli altri. Se tuttavia i significati interiorizzati fossero assai diversi
da individuo a individuo, questi non avrebbero alcun valore comunicativo e
conoscitivo comune. Allora, nella nostra vita comunicativa, continuiamo a contrattare con gli altri i significati
importanti che usiamo. In altri termini, ci mettiamo in qualche misura d’accordo.
A di là delle differenze individuali, che pur sussistono, identifichiamo un’area
comune di significato, che è quella che è codificata nella nostra cultura di
riferimento e che è quella che ci attendiamo che gli altri intendano.
4. In tal modo i termini del linguaggio acquistano un
significato abbastanza univoco e
diventano sufficientemente efficaci per la comunicazione. Ciò è più che
sufficiente per le esigenze della vita quotidiana. Possiamo tuttavia tentare di
precisare meglio, di esplicitare l’area del significato condiviso. In questo
caso siamo costretti a fornire un’interpretazione[4]
della nostra idea o concetto, o del nostro significato. Nell’ambito del
linguaggio verbale il modo più efficace di interpretare un’idea o un concetto è
quello di fornirne una definizione.[5] Possiamo dire di “conoscere”
effettivamente un’idea, un concetto, oppure un significato, quando siamo in
grado di esplicitarla, di fornirne un’interpretazione specifica, ovvero quando
riusciamo a darne una definizione, nell’ambito della cultura entro la quale
comunichiamo.
5. Il referente
dovrebbe essere quello “stato di cose” cui il significato si riferisce. Ciò
apparentemente sembra semplice e convincente, ma non è così. Il referente
rappresenta l’aspetto più problematico della significazione: in che senso il
concetto di uomo si riferisce a un uomo reale in carne ed ossa, oppure a tutti
gli uomini? A cosa si riferisce effettivamente il concetto di triangolo? Il
concetto di “Dio” ha un referente? A cosa si riferisce effettivamente il
concetto di giustizia o di bellezza? A cosa si riferisce il concetto di “dinosauro”,
ora che i dinosauri sono estinti? La soluzione più comunemente adottata fa
ricorso alla convenzionalità della significazione. Perché ci sia significazione,
il referente non è ritenuto particolarmente importante (può anche essere costituito
da una credenza o una superstizione). Osserva infatti U. Eco: «[…] ogni volta
che si manifesta una possibilità di mentire siamo in presenza di una funzione
segnica. Funzione segnica significa possibilità di significare (e dunque di
comunicare) qualcosa a cui non corrisponde alcuno stato reale dei fatti». E
ancora: «[...] la semiotica ha individuato a questo punto una nuova soglia,
quella tra condizioni di significazione e condizioni di verità».[6]
6. Se in generale per “significare” efficacemente il referente
non è fondamentale, quando tuttavia ci occupiamo di una disciplina scientifica
(come ad esempio la storiografia) diventa particolarmente importante che
sussista una corrispondenza (in termini di verità o falsità) tra il significante
e il referente. In altri termini, se affermo: “Garibaldi è nato a Brindisi”
tutti capiscono cosa ho voluto dire (cioè ho comunicato con successo), anche se,
storicamente, il contenuto della frase viene di solito ritenuto falso. Il
problema è che, per accertare la verità di una proposizione storiografica, devo
intraprendere una serie ulteriore di processi di significazione (devo
individuare dei documenti, devo leggerli, interpretarli, ecc.). Non incontrerò
mai Garibaldi in carne ed ossa, avrò sempre a che fare con dei processi di
significazione, seppure altamente interconnessi e sofisticati. In altri
termini, non incontrerò mai il referente,
bensì degli altri significati rigorosamente interconnessi. Nel proseguimento di
questo lavoro, poiché ci occuperemo della storiografia, seguendo la nostra
tradizione filosofica, chiameremo “concetti” i significati espressi dai termini
del linguaggio specialistico storiografico.
7. Intensione ed
estensione dei concetti e scala di astrazione. Per poter utilizzare consapevolmente i concetti del
linguaggio storiografico è utile ben comprendere cosa siano l’intensione e l’estensione. Si tratta di due proprietà
caratteristiche di ogni concetto. Il significato del concetto (ovvero l’unità culturale corrispondente) nella
letteratura specialistica viene anche detto “intensione”, volendo indicare con
ciò l’insieme delle sue proprietà
caratteristiche. L’intensione di “quadrato” sarà costituita da ciò che fa
di una figura un quadrato, cioè dalle sue proprietà caratteristiche. L’intensione
di “Fido” sarà costituita dalle varie caratteristiche del gatto Fido: che ha
una macchia nera sull’orecchio sinistro, che è pigro, che ieri è stato salvato
miracolosamente da uno scontro con un bull-dog, e così via. L’intensione di “bellezza”
saranno le proprietà (seppur difficili da individuare) di ciò che è bello.
L’estensione di un concetto è invece: «la
classe delle entità alle quali il termine può essere attribuito con verità» (Quine).
Il concetto di “Fido” ha come estensione un
solo gatto di nome Fido. “Uomo” ha come estensione la classe di tutti gli
uomini, cioè l’umanità. “Quadrato” ha come estensione la classe di tutti i quadrati.
“Bello” avrà come estensione tutto ciò che è qualificato come bello. È chiaro
che l’estensione è in qualche modo connessa con il riferimento del concetto
(anche se ciò costituisce un problema complesso dal punto di vista filosofico).
8. È abbastanza chiaro che intensione ed estensione sono inversamente proporzionali: se aumenta l’estensione,
l’intensione tende a concentrarsi su un numero ristretto di proprietà e
viceversa. Se questo è vero, allora i concetti che noi utilizziamo sono organizzabili,
anche se in maniera non rigorosissima,[7] lungo una scala di astrazione. Sicuramente “Garibaldi” (elevata intensione e
bassa estensione) è meno astratto di “cristianesimo”, l’“incontro di Teano” ha
una intensione ancora maggiore di Garibaldi, e così via. Tutto ciò si rivelerà
estremamente utile per comprendere la funzione dei concetti nella storiografia
e nell’insegnamento della storia.
L’uso dei concetti nella storiografia
9. La storiografia è una scienza
dell’uomo[8] che produce delle ricostruzioni
intersoggettive del passato, espresse attraverso un linguaggio
specialistico costituito di concetti. Tutti i concetti della storiografia
possono essere considerati delle unità
culturali nel senso che abbiamo definito. L’attività continua, intersoggettiva
e cumulativa, di definizione e ridefinizione dei concetti – che rappresenta il
cardine dell’attività storiografica – possiamo chiamarla in generale interpretazione o, più specificatamente
quando viene coinvolto il linguaggio, concettualizzazione.
Interpretare significherà per noi attribuire
a qualcosa un significato sulla base di una regola (o “codice”). Quindi il
termine “interpretazione” lo possiamo adoperare a proposito di una frase
scritta, oppure per un documento, fino a fatti storici complicatissimi come, ad
esempio, la Rivoluzione francese. Quando disponiamo di codici certi e ben precisi, l’interpretazione non pone problemi,
come quando leggiamo un testo in una lingua familiare. Quando tuttavia i codici
sono incerti, mal definiti, quando non sappiamo bene quali codici usare, allora
l’interpretazione diventa più difficoltosa, come ad esempio, quando siamo di
fronte a un’opera d’arte. Nel caso in cui non
esistano codici utili o condivisi, allora possiamo ridefinire i vecchi codici interpretativi oppure, addirittura, istituire dei nuovi codici. L’interpretazione
in altri termini risponde alla domanda: “Cos’è questo”? L’interpretazione serve
a individuare e a descrivere le cose, a trarle dal “continuum” indistinto.
Secondo i correnti orientamenti, buona parte della cultura è, nella sostanza,
interpretazione.
10. Un caso speciale di interpretazione si ha nella costruzione di nuovi concetti. Quando –
di fronte al compito di produrre una ricostruzione storiografica – il ricorso a
codici condivisi (ovvero al patrimonio concettuale già esistente) non si rivela
particolarmente utile, si tratta allora di costruire ex novo dei concetti adeguati (con relativi codici interpretativi).
Ad esempio, alla fine della seconda guerra mondiale, ci si rese conto dell’enormità
dei crimini perpetrati dai nazisti ai danni degli ebrei. A molti lo sterminio
degli ebrei non sembrò definibile (ovvero interpretabile) come un semplice crimine, si sentì il bisogno di
distinguere quel crimine dagli altri. Allora, al processo di Norimberga, si
definì un nuovo concetto giuridico, quello di “crimine contro l’umanità”. È
stato creato un nuovo concetto, che ha finito per diventare patrimonio comune e regola consolidata di interpretazione di taluni fatti storici. Gli
storici si trovano spesso nella condizione di creare nuovi concetti. Se questi nuovi concetti sono compatibili con i
documenti, se superano il vaglio della comunità scientifica, diventano concetti
consolidati della disciplina e possono aiutare la crescita della nostra
conoscenza storica.
11. I concetti – vecchi o nuovi che siano – vengono utilizzati
per produrre le ricostruzioni
storiografiche. Essi tendenzialmente vengono usati con intenti
prevalentemente descrittivi o con
intenti prevalentemente esplicativi. È
tuttavia importante comprendere che ci troviamo in presenza di due varianti
dell’interpretazione e non di due aspetti diversi del metodo storico. La
ricostruzione storiografica può avere per oggetto uno specifico fatto storico. In
tal caso si tratta di descriverlo, di “dire cos’è”. Così facendo occorre
utilizzare una catena di interpretazioni, dalla lettura dei documenti fino al
risultato finale. Ma i concetti descrittivi possono ulteriormente essere
connessi tra di loro per rispondere alla domanda “perché?”, ovvero per produrre
delle specifiche spiegazioni.
Tuttavia le spiegazioni in storia, non essendo possibile alcuna
generalizzazione, possono sempre essere ricondotte a meccanismi interpretativi e
non al meccanismo tipico della spiegazione
scientifica in base a leggi, come nelle scienze della natura. Non ci sono
leggi nella storia.
Tipologia dei concetti storiografici
12. Poiché particolari
tipi di concetti possono presentare dei problemi, per chi progetta l’insegnamento
può essere utile disporre di una tipologia (o più di una) dei concetti che si
possono utilizzare in ambito storiografico. Naturalmente qualsiasi
classificazione dei concetti è convenzionale e dipende dai criteri di
classificazione adottati. Si tratta come al solito di fare buon uso delle
nostre classificazioni mantenendo una sorveglianza critica, soprattutto nei
confronti della nostra naturale tendenza a conferire loro una realtà effettiva.
13. I concetti
storiografici si differenziano per le loro proprietà intensionali. Anzitutto
si può affermare – anche se risulta piuttosto banale – che i concetti
differiscano tra loro per le loro
proprietà intensionali caratteristiche: “Garibaldi” è diverso da “Napoleone”,
anche se potremmo considerali entrambi dei “condottieri”. “Galileo” e “Newton”
per alcune proprietà potranno anche sovrapporsi, ma per altre si
differenzieranno, e così via. A bassi livelli di astrazione, le proprietà che
potenzialmente possono venir considerate sono innumerevoli e quindi occorre
decidere quali prendere in considerazione e quali ignorare. Lo storico comunque
non è particolarmente interessato alla
generalizzazione. La disciplina storica è idiografica, si occupa delle accidentalità più che delle
generalità; occorre tuttavia tenere sotto controllo il gusto per le descrizioni
troppo particolareggiate per non finire nella mera erudizione.
14. Livello di astrazione
dei concetti storiografici. Come si è visto, i concetti – in base alla loro
estensione – si possono idealmente ordinare lungo una scala di astrazione, dal
meno astratto al più astratto. Tuttavia sono possibili diverse scale di astrazione, non esiste un ordinamento assoluto (di
ciò si era già accorto Aristotele nella sua teoria delle categorie). Se aumenta
l’astrazione è più facile (ma non necessario) che il concetto sia trans
temporale e trans spaziale o anche trans culturale, anche se la cosa va
accertata di volta in volta. Solitamente (ma non sempre) i concetti dotati di astrazione media (i cosiddetti concetti
di medio raggio – come sono stati
definiti dal sociologo R. K. Merton) sono considerati come i concetti più utili
e produttivi, perché possono più facilmente connettersi con i concetti di
livello di astrazione inferiore e perché, connettendosi a concetti più estesi, permettono
di operare sintesi più ampie. La teoria per cui i concetti di medio raggio
sarebbero i più utili non vede alcun accordo effettivo tra gli storici. Si
pensi a un erudito per il quale contino specialmente i dettagli minimi ed
elementari. Tuttavia la preferibilità dei concetti di medio raggio potrebbe
essere adottata come “regola dell’arte”, soprattutto in campo educativo.
15. I concetti della
storiografia si riferiscono a entità collocate nello spazio e nel tempo. Molti
concetti storiografici sono caratterizzati dal fatto di riferirsi a elementi
che sono collocati nel tempo e nello spazio. Un concetto come “guerra” si
riferisce a un’ampia classe di fenomeni tanto che sembra piuttosto indifferente allo spazio e al tempo
(sembra essere extra–storico). Se
però specifico il concetto, ad esempio, se parlo di “guerra atomica”, allora il
concetto diventerà più circostanziato. In altri termini, la collocazione nello
spazio e nel tempo fa parte delle proprietà intensionali dei concetti che
utilizziamo. L’uso di concetti spazio-temporali di ampia portata comporta
rischi di generalizzazioni indebite,
di sovrapposizioni, di arbitrarietà. Tuttavia l’uso di concetti di portata ampia
determina una maggiore forza interpretativa ricostruttiva, permette una
migliore comprensione degli eventi (comprendere significa anche sintetizzare). Affermare che lo
stalinismo è una forma di totalitarismo è assai più azzardato che dichiarare
che Stalin era georgiano, tuttavia si guadagna in ricchezza conoscitiva. L’unico
modo per non commettere abusi consiste nel dichiarare
sempre esplicitamente quale sia il livello di astrazione al quale ci pone.
Molti concetti usati nella storiografia sono
assolutamente gli stessi delle altre scienze sociali, anche se il loro uso non
è esattamente lo stesso. Nelle scienze sociali si desidera che i concetti siano
il più possibile validi universalmente,
non influenzati dallo spazio e dal tempo o da specifiche culture. Nella
storiografia questi concetti perdono la loro universalità e si devono necessariamente
arricchire delle connotazioni più specifiche, relative allo spazio e al tempo.
16. Classificazione dei
concetti in base alla loro storia e al loro uso. I concetti, essendo
radicati nelle culture (li abbiamo considerati come delle unità culturali) ed essendo le culture storiche, possiedono anch’essi
una storia: nascono, scompaiono, mutano le loro proprietà intensionali. Ogni
buon dizionario specialistico non fornisce solo la definizione del concetto, ma
ne ricostruisce anche la storia. È piuttosto utile allora distinguere i
concetti anche in base al loro uso e alla loro stessa genesi storica. Rispetto
a questa problematica possiamo distinguere tra: a) concetti usati dagli attori della storia per fare la storia
stessa; in questo caso il compito ricostruttivo si rivolge alle interpretazioni
che sono state storicamente date di vari concetti (cosa si intendeva nell’Inghilterra
del Seicento con “rivoluzione”, ecc...). b) concetti usati dagli storici per
interpretare la storia fatta dagli attori; in questo caso il compito
ricostruttivo si rivolge ai concetti prodotti dagli storici e che – nel tempo –
sono stati progressivamente criticati, ridefiniti, abbandonati o riesumati (un
esempio tipico è il concetto di “controriforma”). Nel circuito interattivo tra
i concetti usati dagli attori della storia e i concetti definiti e impiegati
nell’ambito del lavoro storiografico si può riconoscere l’interazione tra
storia e storiografia, nonché tutta la problematica dell’“uso pubblico” dei
risultati della storiografia. Una parte consistente della ricostruzione storica
del passato è costituita proprio dalla ricostruzione storica delle
interpretazioni che sono state date via via ai concetti.
17. Concetti che si
riferiscono a collettività (collocabili nel tempo e nello spazio). Un ampio
gruppo di concetti storiografici si riferisce a collettività (collocate
comunque nello spazio e nel tempo). Spesso i protagonisti del discorso storico
sono i barbari, i romani, l’uomo dell’età feudale, i greci, la classe operaia,
i borghesi, gli intellettuali. L’uso dei concetti che si riferiscono a
collettività presenta spesso notevoli difficoltà ed è strettamente connesso al
problema dell’individualismo metodologico.
L’individualismo metodologico è un principio secondo cui: «[...] nessuna
spiegazione nelle scienze sociali o nella storia può essere adeguata o fondata
se non è espressa in termini riferiti alle caratteristiche degli individui (le
loro proprietà, i loro fini, le loro credenze e le loro azioni). Le totalità
sociali, o gli schemi aggregati di comportamento, devono essere spiegati
sempre, almeno in ultima istanza, in termini di individui».[9] Secondo l’individualismo
metodologico, solo gli individui agiscono
in ultima analisi nella storia, dunque i protagonisti sono solo individui. Ciò
implica prestare particolarissima vigilanza critica nei confronti di tutti quei
concetti che si riferiscono a aggregati di individui: nazioni, stati, classi, organizzazioni
religiose, ecc. Indubbiamente gli aggregati individuali possono agire
unitariamente, ad esempio in quanto istituzioni. Quando si dice che l’Assemblea
costituente ha deliberato qualcosa, l’ha fatto indubbiamente in quanto
istituzione. Ma l’istituzione in quel momento era comunque composta di
individui che hanno votato con certe definite procedure e così hanno
deliberato.
18. Concetti che si
riferiscono a tipologie culturali. Un altro particolare gruppo di concetti
si riferisce a tipologie culturali
(feudalesimo, ellenismo, rivoluzione scientifica, uguaglianza, democrazia). In
generale questi concetti sono tanto più difficili da manipolare quanto più sono
di ampia estensione. Critici avveduti consigliano addirittura di evitare l’uso
di tali concetti. Sembra tuttavia difficile evitare questi concetti nell’insegnamento,
anche perché rappresentano comunque punti di riferimento tradizionali e
canonici della nostra cultura. Le grandi tipologie culturali si prestano
comunque piuttosto efficacemente a illustrare come un concetto possa essere
costruito e decostruito nei suoi tratti fondamentali e come siano possibili
varianti interpretative anche assai diverse.
Assai
problematica è anche la nozione di “civiltà” (nei nuovi programmi ministeriali
compare la dizione “quadri di civiltà”). Per quanto riguarda i “quadri di
civiltà”, è evidente che le “civiltà” sono dei costrutti. Tuttavia si può
facilmente essere tentati di scambiare il costrutto con la realtà. Finché ci
immaginiamo romanticamente “gli egizi” o i babilonesi la cosa può non avere
troppe conseguenze. Occorre non dimenticare tuttavia che le descrizioni che i
greci facevano dei barbari, la descrizione che i popoli colonizzatori hanno
fatto dei colonizzati, la descrizione nazista degli ebrei, sono anch’essi dei “quadri
di civiltà”. Per capire quanto siano difficoltosi ed equivoci i “quadri di
civiltà” basterebbe provare a tratteggiare il quadro della nostra attuale “civiltà
occidentale”.
19. Concetti che
individuano un periodo della storia. Un altro tipo di concetti spesso usati
nella storiografia scolastica si riferisce alle “epoche della storia”. Si
tratta di quei concetti che vengono usati per riferirsi ai fatti storici che
sono accaduti in un determinato periodo. Se parlo del “Novecento” con ciò
voglio riferirmi a tutto quanto è accaduto nel Novecento. Lo stesso vale per “età
ellenistica”, “medioevo”, “restaurazione”, e così via. È chiaro che questi
concetti – a causa della loro estensione piuttosto elevata (possono includere
qualsiasi cosa, purché databile in un certo ambito temporale) rischiano di
diventare delle marche arbitrarie sotto le quali si può mettere qualsiasi cosa.
È vero che uno dei compiti più complessi degli storici è quello della periodizzazione, ma la periodizzazione è
un risultato, viene realizzata dopo
avere analizzato il materiale documentario. Nell’insegnamento della storia ci
si limita spesso a prendere atto di periodizzazioni già realizzate.
Indubbiamente anche queste periodizzazioni sono utili riferimenti culturali canonici;
tuttavia è sempre possibile mostrare come le periodizzazioni siano dei
costrutti convenzionali, spesso oggetto di controversia tra gli stessi storici.
Insegnare la storia per concetti?
20. Nei paragrafi precedenti abbiamo cercato di definire in
cosa consista la struttura concettuale
della storiografia e di delineare un certo numero di problemi ad essa relativi
che influenzano anche l’ambito dell’insegnamento della storia. In quest’ultimo
paragrafo si cercherà di ricavare alcune conseguenze nel campo della
definizione dei curricoli di storia. L’argomento sembra quanto mai attuale,
poiché stanno per essere emanati i nuovi curricoli di storia compresi nella
riforma Moratti.[10] Dalle considerazioni sviluppate, emerge che la
storiografia incentra il proprio lavoro ricostruttivo intorno all’interpretazione
e, in particolare, alla concettualizzazione. La narrazione storica è
fondamentalmente costruita intorno ai concetti. Su questo punto di vista
possono concordare tutte le epistemologie.
In
particolare Veyne ha scritto pagine assai interessanti intorno alla centralità
della concettualizzazione nella storiografia. Imparare la storia significa
imparare i concetti della storiografia (dal lato dei contenuti cognitivi) e
imparare a “concettualizzare”, ovvero l’arte dell’interpretazione (dal lato
delle abilità). Purtroppo il materiale storico (compresi i manuali scolastici)
è costituito di narrazioni invero
piuttosto disordinate dove si mescolano definizioni teoriche, concetti
specifici, concetti generali, informazioni banali, ecc. Se vogliamo conferire
alla concettualizzazione un ruolo importante nell’insegnamento della storia, la
prima cosa è di mettere in ordine la materia che vogliamo insegnare.
21. Argomenti o concetti.
Nelle progettazioni didattiche spesso la materia da insegnare è ripartita
per titoli come “l’Illuminismo”o “il
Cristianesimo”. Queste espressioni fanno uso indubbiamente di concetti, ma non
assolvono la funzione di concetti: assolvono la funzione di etichettatura di
argomenti, di temi, ovvero di note narrazioni o spezzoni di narrazioni
condivise dalla nostra cultura. Se dico “Cappuccetto Rosso e il Lupo” tutti
capiscono che non mi sto riferendo a un copricapo e a un animale, ma che mi sto
riferendo a una nota narrazione condivisa nella nostra cultura. Se dico “Romolo
e Remo”, oppure se dico “La nascita dell’Islam e la sua espansione” mi
riferisco a pezzi di narrazione che più o meno tutti conoscono (che fanno parte
del “canone” dell’insegnamento della storia). I narratologi parlerebbero di “storia”, oppure di “fabula”. Ma una stessa
fabula può essere interpretata in modi assai diversi. La narrazione storica –
asseriamo noi – implica un’estrema sorveglianza nella costruzione e nell’uso
dei concetti (poiché si pretende che sia una “narrazione vera”). Quindi
raccontare un argomento (“affrontare un argomento”) non significa
necessariamente avere anche la conoscenza concettuale dei fatti storici che possono
essere rubricati sotto quell’argomento. La progettazione
didattica dovrebbe dunque andare ben oltre l’individuazione di generici
argomenti, come invece ci si limita a fare nei programmi scolastici. La nuova
riforma non fa eccezione).
22. Concetti
fondamentali? Alcuni anni or sono, si è discusso abbondantemente di “concetti
fondanti”, concetti organizzatori, saperi minimi, saperi di base, ecc. Il risultato
del dibattito era stato poi recepito nel famoso “documento dei saggi” che
andava nella direzione di uno sfoltimento dei programmi, che doveva essere attuato
tenendo conto delle strutture epistemologiche delle discipline. Sono possibili concetti fondamentali nella
storiografia?
Veyne credo
abbia chiarito definitivamente che la storiografia non possiede un nucleo di
concetti strutturati atti a venir impiegati nella formulazione di leggi (come nel caso della fisica, della
biologia o delle altre scienze della natura). Grazie alla concettualizzazione tuttavia
la ricostruzione storiografica cessa di essere una superficiale cronaca per diventare conoscenza approfondita e ricostruzione sempre più “vera”. I
concetti più utili allora sono quelli che ci permettono di andare maggiormente
in profondità, ci fanno intendere, migliorano la nostra comprensione, spiegano.
Invece di narrare per filo e per segno la cronaca dello scoppio e degli
sviluppi della Grande guerra, se ricorro a concetti come quello di
nazionalismo, imperialismo, guerra totale, diplomazia segreta, ecc. riuscirò a
guadagnare una maggior profondità e una maggior verità ricostruttiva. Per
questo motivo l’apparato concettuale non può essere fornito in astratto, ma dovrà
sempre essere legato all’elemento individuale oggetto di ricostruzione.
Allora nelle
prescrizioni curricolari e nella progettazione didattica degli insegnanti
occorre non solo limitarsi a enunciare vaghi argomenti (“la Rivoluzione
americana”) ma occorre specificare quali siano quei concetti che si ritiene
siano capaci di interpretare quanto si sta prendendo in considerazione. Non si
tratta allora di insegnare enciclopedicamente i concetti, bensì di insegnare la storia mediante i concetti.
23. La dimensione storica
dei concetti. Come si è visto, i concetti possiedono essi stessi una
dimensione storica almeno in due sensi: nel senso della ricostruzione della
storia della cultura e della mentalità e nel senso della ricostruzione della
stessa storia dei concetti della storiografia. Queste due dimensioni dovrebbero
essere significativamente tenute presenti ogniqualvolta si faccia uso dei
concetti interpretativi. Purtroppo nel nostro paese non c’è mai stata molta
attenzione per la storia dei concetti
e per la storia della storiografia e
quindi non disponiamo di una base di risultati immediatamente utilizzabili nell’insegnamento.
24. La sistematica dei
concetti e le scienze sociali. I concetti usati nell’insegnamento della
storia devono mirare alla generalizzazione, oppure mirare a evidenziare le
differenze per circoscrivere ambiti sempre più particolari? Studiamo vari casi
di “prestito a interesse” affinché gli allievi giungano a padroneggiare il
concetto astratto di “interesse”, oppure – dando per scontato (se possibile) la
conoscenza del concetto astratto di “interesse” – ci concentriamo sulle
differenze (e quindi ci domandiamo in cosa differisca ad esempio la zakat dall’elemosina cristiana?). Nel
nostro paese purtroppo – in assenza di un curricolo esplicito di scienza
sociale – l’insegnante di storia coscienzioso si vede continuamente costretto a
un’attività di supplenza, a introdurre anche i concetti di scienza sociale necessari a comprendere la storia. Ciò
comporta una continua tensione sui concetti che storiograficamente dovrebbero
essere circoscritti nello spazio e nel tempo, ma che poi si finisce per usare
in termini generalizzati. La dimensione storica dei concetti andrebbe comunque
sempre tenuta separata dalla dimensione più sistematica dei concetti che oggi è
propria delle scienze sociali.
25. Come scegliere gli argomenti? Nell’insegnamento della storia l’unica strada per operare davvero lo sfoltimento contenutistico tanto auspicato sta dunque nell’evitare di mantenere la narrazione in superficie, dove la dispersione regna sovrana e dove si usano concetti di bassissimo livello di astrazione. Si tratta di procedere oltre le accidentalità per collocare la narrazione al livello dei concetti di medio raggio. Occorrerà scegliere quei concetti che potenziano la nostra capacità interpretativa ed esplicativa, mantenendosi tuttavia aderenti alla materia storica, senza fare della generica scienza sociale. Nel patrimonio dell’insegnante dovrebbe essere presente, per ogni spezzone della narrazione canonica, un repertorio concettuale interpretativo e l’insegnante dovrebbe condurre le attività didattiche avendo sempre presente questa bussola concettuale. La scelta degli argomenti (che diventeranno le unità di lavoro) andrà realizzata sulla base di tutte le altre complesse motivazioni che guidano l’insegnamento della storia, ma sarà opportuno tenere anche conto della ricchezza concettuale offerta da ciascun argomento.
Giuseppe Rinaldi (2004) (Rev. 17/09/2025)
BIBLIOGRAFIA
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it.: Come si scrive la storia. Saggio di
epistemologia, Laterza, Bari, 1973.
1974 Veyne, Paul, L’histoire conceptualisante, in Le Goff, Jacques & Nora, Pierre (a cura di), Faire de l’histoire, Gallimard, Paris. Tr. it.: La storia concettualizzante, in Le Goff, Jacques & Nora, Pierre (a cura di), Fare storia. Temi e metodi della nuova storiografia, Einaudi, Torino, 1981.
NOTE
[1] Questo saggio è stato originariamente pubblicato sul n.
35/2004 dei Quaderni di Storia Contemporanea con il titolo
de I concetti nell’insegnamento della storia. Questo lavoro ha
avuto origine nell’ambito di un progetto di ricerca della Sezione Didattica
dell’ISRAL, mirante a elaborare una proposta curricolare per l’insegnamento
della storia. Esso aveva lo scopo di uniformare il linguaggio del gruppo di
lavoro e di fare un inventario di problemi che emergono nell’ambito della
progettazione delle unità di lavoro di storia. Chi conosce le recenti teorie
della semiotica o della narratologia potrà trovare questo lavoro privo di
sostanziali novità. Tuttavia il modesto tentativo di gettare un ponte tra le
scienze dell’educazione, la storiografia e le discipline che studiano la
narrazione e la significazione può avere tuttora qualche utilità nel nostro
contesto culturale, dove la confusione è piuttosto generalizzata.
[2]
Cfr. Ogden & Richards 1923.
[3]
Cfr. Eco (1975).
[4] Ci sono vari modi di fornire un’interpretazione di
un concetto, cioè di rispondere alla domanda: «Che cosa è il termine X?». Ad
esempio a chi mi chiede cos’è “automobile”, io posso indicare col dito un’automobile,
posso mostrare una foto, posso fornire una definizione verbale, oppure
ricorrere a un articolo enciclopedico, ecc.
[5] La pratica della definizione è assai antica e risale agli
inizi della logica occidentale. Platone e Aristotele si sono occupati dei
problemi relativi alle definizioni.
[6] Cfr. U. Eco (1975: 89)
[7] Di ciò si era già accorto Aristotele con la sua teoria
delle categorie.
[8] Do qui per scontata la definizione di ciò che s’intende
per scienze umane. Soprattutto, do per scontato che la storiografia
sia appunto una scienza, con i caratteri e limiti che competono alle scienze
umane.
[9]
Cfr. Outhwaite, William & Bottomore, Tom &
Gellner, Ernest & Al. (1997).
[10] Nel momento in cui scriviamo, sono noti i programmi per la
scuola primaria e per la scuola secondaria di primo grado.
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