martedì 11 febbraio 2025

Esiste la filosofia continentale?


 

 

 




 

1. Nel 1997[1] (ormai quasi trent’anni fa) Franca D’Agostini pubblicava un noto volume intitolato Analitici e continentali,[2] volto a fare il punto sullo stato globale della filosofia occidentale. Il titolo del volume evocava una costatazione: l’emersione di una spaccatura irriducibile tra due correnti filosofiche collocate approssimativamente sulle due sponde dell’Atlantico. Nella presentazione, l’Autrice preannunciava di voler spaziare nella sua ricerca più o meno a partire dal 1960, risalendo così a una quarantina di anni prima. Nel 1997 dunque, dopo la sbronza marxista e quella postmodernista, grazie alla D’Agostini la cultura italiana era invitata a prendere pubblicamente atto di un divide nella cultura filosofica, una spaccatura che altrove era già ben nota da un pezzo. Dal 1960 ad oggi son passati la bellezza di 65 anni. Un bilancio non guasterebbe.

2. Naturalmente chi si fosse allora appena interessato di filosofia conosceva benissimo l’esistenza degli analitici. La scuola analitica per giunta era nata proprio sul continente. Spesso tra i padri fondatori si indicano personaggi come Friedrich Ludwig Gottlob Frege (1848-1925), Bertrand Russell (1872-1970), George Edward Moore (1873-1958), Ludwig Wittgenstein (1889-1951) e Paul Rudolf Carnap (1891-1970). Alcuni analitici furono conosciuti anche come Circolo di Vienna o neopositivisti. Talvolta anche sono qualificati come neoempiristi (termine quest’ultimo più preciso di neopositivisti ma di minore fortuna). Anche in Italia si sviluppò una corrente analitica, che tuttavia rimase minoritaria, attorno al filosofo Ludovico Geymonat (1908-1991) e ad alcuni suoi numerosi allievi. A partire dalle sue origini continentali, l’orientamento analitico tese a diffondersi con successo nel mondo anglosassone, in America e in Australia. A lungo gli analitici furono considerati come un movimento tra gli altri, in un panorama punteggiato da orientamenti che erano considerati diversi, quando non antitetici tra loro: idealisti tedeschi, crociani, esistenzialisti, fenomenologi, marxisti, ermeneuti, nicciani, neokantiani, freudiani, francofortesi, neohegeliani vitalisti, strutturalisti e così via.

3. Come si è arrivati allora al divide? La colpa, in un certo senso, è degli storici della filosofia i quali, sul tipo della D’Agostini, ogni tanto vorrebbero fare delle sintesi. Vorrebbero individuare correnti e movimenti e dare loro un nome. Col passar del tempo, con l’invecchiare delle “novità” filosofiche che si erano susseguite a ritmo incessante, e anche con l’acume di rigorose indagini storiografiche, ci si è accorti che molte delle correnti che avevano albergato sul vecchio continente (e che peraltro si combattevano aspramente tra loro) avevano molto più in comune di quanto non sembrasse. O di quanto non volessero far sembrare. In sostanza, potevano facilmente essere ricondotte a uno o pochi progenitori. Insomma, il pentolone in cui si rimestavano le novità era sempre lo stesso. Le differenze tanto sbandierate ed esaltate apparivano sempre più dei dettagli, mentre le somiglianze diventavano sempre più evidenti. E così accadde che quelli che restarono maggiormente fuori dal pentolone erano proprio gli analitici, che intanto avevano colonizzato l’oltre Atlantico. Entrerò più avanti nel merito delle caratteristiche comuni del pentolone. Così avvenne che numerosi screzi, incidenti, incomprensioni che erano avvenuti da sempre tra gli esponenti delle due correnti[3] divennero non più solo curiosi aneddoti ma indicatori di una faglia che si stava sempre più allargando tra due antitetici modi di vedere il mondo.

4. Il volume della D’Agostini nel nostro Paese rimase tuttavia un unicum. Praticamente, tranne rare eccezioni, non diede seguito a ulteriori sviluppi e approfondimenti. Se si fa a tutt’oggi una ricerca su Google Libri si resterà sorpresi del fatto che la coppia di termini “analitici, continentali” non ricorra in alcun titolo rilevante nella pubblicistica filosofica nostrana. Vengono ritornate solo per lo più citazioni occasionali in volumi o articoli di terza categoria. Insomma, la ormai lontana provocazione della D’Agostini da noi non ha mosso i cuori e non ha scatenato alcuna presa di coscienza. I masticatori di filosofia nel nostro Paese si sono tenuti ben al di qua della questione. L’ipotesi cattiva è che complessivamente ognuno abbia continuato a fare quel che faceva prima, anche perché nel nostro Paese gli analitici sono sempre stati una minoranza del tutto trascurabile e ovunque si volga lo sguardo ci sono solo continentali.

5. Se si fa invece una simile ricerca usando come criterio la voce “continental philosophy” si otterranno decine e decine di riferimenti a titoli di buona o anche ottima qualità. Siamo così messi di fronte a un paradosso evidente. I continental ancora oggi non si riconoscono granché come tali, mentre ormai sono così riconosciuti e studiati, proprio con tale denominazione, dagli analitici. Mentre i continentali nostrani hanno proseguito imperterriti come se nulla fosse, in campo analitico si è invece sviluppato, ed è accresciuto negli ultimi decenni, un notevole interesse per la filosofia continentale. Oltretutto ciò ha dato vita a una storiografia filosofica, assolutamente degna di nota, che sta ribaltando alcune delle più diffuse mitologie continentali. Certo, come conseguenza concomitante nefasta di questo interesse c’è stata senz’altro anche l’esportazione oltre Atlantico della nostra peggiore merce filosofica scaduta. Mi riferisco ovviamente al post strutturalismo e al postmoderno. Non posso entrare qui nel merito di questi fenomeni.[4] Sulla paccottiglia continentale esportata oltre Atlantico, si può vedere il saggio di Sokal e Bricmont.[5]

I continentali, invece, a leggere e a studiare i materiali degli analitici non ci hanno provato nemmeno. Evidentemente il tutto è dovuto a un certo provincialismo, soprattutto da noi, e a residui di nazionalismo culturale assai diffusi nell’area franco-tedesca. E poi continua a persistere, nel DNA del pubblico continentale nostrano, l’aura del pensatore. I continentali credono fermamente di avere a che fare con dei pensatori. Gli analitici non sono considerati dei pensatori, bensì soltanto dei vili meccanici. Gli analitici, grazie ai loro esagerato commercio con la logica, avrebbero irrimediabilmente perduto l’aura del pensiero.

6. Non ho lo scopo qui di caratterizzare in dettaglio le due parti del divide. Ci vorrebbe uno studio approfondito. Tuttavia val la pena di fare ugualmente qualche considerazione, se non altro impressiva, circa le principali differenze. Spesso si cerca di render ragione del divide affermando che gli analitici sono più vicini alle istanze di tipo scientifico. Mentre i continentali sarebbero spesso più vicini alla letteratura. Avvicinare la filosofia alla letteratura per i primi sarebbe un degrado, mentre per i secondi sarebbe motivo di apprezzamento. C’è senz’altro del vero in questo ritratto. Ma non c’è solo l’antagonismo tra scienza e letteratura, c’è una divisione assai più marcata proprio sul rapporto da intrattenere con la scienza e con la tecnologia. Si tratta qui di una vera discriminante. Gli analitici tendono a convivere con la scienza senza alcuna difficoltà, mentre i continentali tendono ad opporvisi, tendono cioè a demonizzare la scienza e la tecnica.

Oppure si afferma che gli analitici sono abituati a lavorare per problemi, discutendoli in dettaglio, scrivendo e confrontandosi tra loro soprattutto attraverso articoli e saggi brevi. In tal modo possono facilmente cumulare i risultati. Mentre i continentali lavorano soprattutto sui “nomi”, cioè lavorano su singoli autori (definiti, appunto, pensatori) e sulle loro opere, che spesso hanno dimensioni voluminose e tendono a essere onnicomprensive (anche quando sono di fatto frammentarie). In tal modo non si cumula un gran ché e si assiste, più che altro, a una successione di autori e di mode. L’ultimo grido sopravanza sempre i precedenti. Un po’ come tra i romanzi.

Un’altra distinzione, spesso avanzata, è che i continentali, poco sensibili al rigore concettuale, tendano a usare un linguaggio contorto e involuto, sino ai limiti della comprensibilità, mentre gli analitici tenderebbero a un linguaggio chiaro e privo di ambiguità, fino alla riduzione elementare. In effetti, tra i continentali la illeggibilità è ammessa, quando non addirittura ricercata. Se si vuol fare un test di illeggibilità dei continentali, si provi con qualcosa a caso di Deleuze, oppure, avendo poco tempo a disposizione, ci si cimenti con un libretto che è proprio adatto al caso, come Sproni. Gli stili di Nietzsche[6] un celebre piccolo saggio di Derrida. Sarò grato a chi mi saprà fare un riassunto. La questione del linguaggio oscuro è vecchia quanto la filosofia. A proposito di chiarezza del linguaggio, si può vedere Massimo Baldini e il suo Contro il filosofese.[7]

7. Come ulteriore criterio di distinzione, direi di tipo caratteriale, ho già accennato alla presunzione del pensatore che spesso caratterizza i filosofi continentali e alla questione dell’aura, cioè di quel patrimonio immateriale del filosofo pensatore che si presume comunemente si mescoli ai suoi scritti e magicamente li accompagni. E si mescoli anche alla sua biografia nei minimi particolari, fino alle liste della spesa e alle ricevute della lavandaia. Norberto Bobbio, razionalizzando la questione, ha sottolineato la differenza tra i filosofi profeti e i filosofi sentinelle. Negli ultimi due secoli, poiché la filosofia ha anche delle conseguenze nell’al di qua, purtroppo certe profezie filosofiche hanno contribuito a realizzare degli effetti disastrosi. E le sentinelle, dal canto loro, non sempre hanno fatto bene il loro mestiere. Qui si potrebbe aprire un interessante dibattito sulla “utilità e il danno per la vita” delle due specie di filosofi sopra citati, ma la cosa esula dai nostri scopi immediati.

Basterebbero queste caratteristiche distintive, ancora assai impressive, per qualificare una situazione di contrapposizione, con orientamenti piuttosto diversi e difficilmente componibili. Evidentemente nella comunità filosofica un divide c’è e si tratta di prenderne atto. È stato osservato che la dicotomia analitici-continentali non reggerebbe perché uno dei due termini designa una corrente filosofica abbastanza precisa, mentre l’altro termine indica una designazione territoriale. Possiamo anche chiamarli Giacomo, Antonio o Maria Giovanna, ma la sostanza della classificazione resta. Gli scarsamente collocabili in questo panorama sono pochissimi. O forse non ce n’è neanche uno.

8. Ho affermato prima che i continentali, ben al di là delle loro risse e delle loro frammentazioni, provengono pressoché tutti dallo stesso calderone. E ora mi corre l’onere della prova. Il calderone di comune provenienza, a mio modesto avviso, è costituito dalla filosofia trascendentale kantiana o, se si preferisce, dall’idealismo trascendentale. Chi scrive sa benissimo che taluni aspetti di Kant possono anche essere tranquillamente posti alla base della corrente analitica. Oltretutto, negli ultimi trent’anni abbiamo assistito a un acceso dibattito intorno alla filosofia kantiana da parte di molti studiosi analitici nordamericani.[8] Tuttavia Kant ha fondamentalmente influito sui filosofi continentali. Il marchio di fabbrica è il suo. L’argomento è complesso e qui posso solo accennare. Se mai interesserà a qualcuno, potrei produrre un’analisi più articolata.

9. Kant, fondamentalmente, rompendo con le metafisiche del Seicento e del Settecento, ha messo l’a priori[9] dentro il soggetto e ha convinto un vasto pubblico che quella fosse una mossa geniale, un nuovo inizio della filosofia. Ancor peggio, ha creduto egli stesso di avere così realizzato per la prima volta una metafisica come scienza. Con questa sua astuta mossa, però, l’esperienza fenomenica è diventata mind-dependent, cioè dipendente dagli a priori del soggetto. Accade così che gli a priori del soggetto costituiscano l’esperienza, per cui, puntualmente, ritroviamo nell’esperienza esattamente quello che ci abbiamo appena messo come soggetti. Si tratta di un processo circolare per cui la realtà diventa per lo più soltanto una riflessione del soggetto o una sua rappresentazione. Propongo di chiamare questo tratto fondamentale del kantismo continentale il circolo vizioso dell’a priori.[10] In seguito a questo fallace escamotage, si sono avute nella filosofia successiva due principali disdicevoli e inopportune conseguenze, peraltro strettamente interconnesse tra loro.

In primis, si è aperto dopo Kant un dibattito, ormai plurisecolare, su quali fossero realmente gli a priori del soggetto. Poiché gli a priori kantiani erano evidentemente arbitrari,[11] ogni pensatore successivo si è così inventato i suoi e li ha contrapposti a quelli inventati dagli altri. Dando così peraltro l’impressione di una creatività filosofica da fare invidia. Tanto per capirci, ecco un elenco, puramente esemplificativo, di tentativi più o meno plausibili di porre degli a priori cui sottomettersi: l’Io, l’Idea, lo Spirito, l’Essere, l’atto puro, la volontà, la vita o vitalità, la libertà, la razza, la volontà di potenza, la storia, la dialettica materialistica della storia, la struttura, la materia economico sociale, l’evoluzione,[12] il progresso, l’alienazione, la merce, l’ego trascendentale, il testo o la testualità, il potere, il linguaggio, l’interpretazione o ermeneutica, l’esistenza o gli esistenziali, il nulla, la tecnica, il desiderio, la differenza, la libido, l’inconscio, la ragione strumentale. Come ognun vede, ci sta dentro praticamente tutta la filosofia continentale. Una domanda davvero seria è quanto a lungo potrà continuare questo gioco, nella ricerca di a priori sempre nuovi e nel loro repentino “superamento” e abbandono. L’opinione di chi scrive è che il cosiddetto pensiero postmoderno prefiguri di fatto ormai la rottura imminente del giocattolo.

Secondariamente, dall’idealismo trascendentale kantiano è derivata la perpetuazione di una vera e propria ossessione fondazionale, ovviamente un sottoprodotto legato alla necessaria collocazione degli a priori entro il soggetto. I quali a priori così diventano universali e necessari. Di qui derivano gli atteggiamenti opposti del dogmatismo (l’imposizione dell’a priori del momento al Mondo) e del nichilismo (la perdita luttuosa dell’a priori, il suo allontanamento dal soggetto e/o dal Mondo). Si tratta di due atteggiamenti perfettamente speculari che accompagnano da sempre il valoroso pensiero continentale. Evito di entrare nel dettaglio per spirito di carità.

10. Si può anche non condividere l’analisi qui succintamente presentata. Bisognerebbe però averne un’altra migliore. Comunque sul fatto che il continentalismo filosofico sia fatto decorrere a partire da Kant vi è un accordo ormai ampio tra gli studiosi. Almeno di quelli che hanno avuto la bontà di occuparsi della faccenda. La filosofia continentale è comunemente fatta decorrere dalla filosofia trascendentale kantiana e post-kantiana. L’ambito è quello della filosofia tedesca a partire dal Settecento. Questa cronologia è comunemente adottata nelle opere di documentazione e riferimento che sono state man mano realizzate, soprattutto nel mondo analitico. La grande opera The History of Continental Philosophy[13] in ben 8 volumi, uscita nel 2010, comincia appunto con la tradizione kantiana. Lo stesso criterio, seppure l’opera sia strutturata per problemi, è stato adottato dall’Oxford Handbook della filosofia continentale,[14] uscito nel 2007. La guida alla filosofia continentale di Continuum[15] comincia proprio con Kant. La guida di Blackwell[16] comincia con Hegel, ma la sostanza non è molto diversa. È anche il caso di segnalare la The Edinburg Encyclopedia of Continental Philosophy curata da Simon Glendinning, che segue lo stesso criterio cronologico.[17] La stessa redazione ha curato anche un Dictionary della filosofia continentale.

Evidentemente, magari anche per motivi diversi, uno stuolo consistente di filosofi e storici della filosofia, ritiene che, sul continente, dalle parti di Kant, debba esser successo qualcosa di abbastanza preciso e di abbastanza determinante, tale da caratterizzare i due secoli successivi e passa della filosofia europea. Qualcosa tale da influenzare profondamente la filosofia tedesca e poi quella francese. Anche se i due Paesi sono quasi sempre stati politicamente avversari. I tedeschi alla fine sono stati militarmente sconfitti, ma poi hanno esportato ai vincitori la loro filosofia, con i bachi annessi e connessi. Anche la filosofia italiana, pur nella sua miseria periferica, è vissuta di questi aurei riflessi.

11. Si può pensare che il divide non c’è mai stato. Oppure che c’era ed è stato ormai superato, o che ormai è in fase di superamento. A mio modesto avviso il divide resta ben saldo e sembra purtroppo destinato a essere superato solo con la sparizione di una delle due fazioni in lotta. Dico questo non certo per disfattismo o vandalismo. Il fatto è che le ipotesi di fondo intorno a cui hanno lavorato e lavorano le due correnti sembrano essere alquanto inconciliabili. E poi, come s’è visto, le ipotesi di fondo della filosofia continentale sono semplicemente sbagliate. Non basterà un gentlemen’s agreement.

D’altronde il degrado progressivo della filosofia continentale non va considerato necessariamente come una catastrofe. Semplicemente occorre prendere atto del fatto che la loro ipotesi di fondo è arrivata alla frutta. C’è un filosofo francese, François Laruelle, attivo nel giro dei decostruzionisti, che ha dato vita a una corrente filosofica che si chiama «Non-philosophie». È senz’altro uno che ha capito tutto. Chapeau! La filosofia di Kant, e tutto quel che ne è venuto dopo, a mio modesto avviso è un enorme monumento culturale, sebbene oggi un poco in rovina.[18] Posto che ormai la sua utilità diretta sta venendo meno, potrà servire come ottimo materiale da costruzione per portare avanti il discorso filosofico fuori dal circolo vizioso dell’a priori. Esattamente come stanno facendo gli analitici nord americani. E ciò comporterà, finalmente, anche la perdita dell’aura del pensatore. Benjamin e Adorno non ne saranno contenti. Ma forse è meglio così.

12. Se questa è la situazione, s’impone allora l’interrogativo circa il «Che fare?». In una simile situazione di trapasso continentale, ci sono due atteggiamenti estremi che andrebbero evitati: il feyerabendiano «Tutto va bene» da una parte e il fondamentalismo dall’altra. Sono tuttavia senz’altro i due atteggiamenti oggi in gran parte prevalenti nel nostro Paese. In mezzo, su una posizione dialogico – critica, restano ben pochi. Il fatto è che fare i fondamentalisti è molto facile. Chi non si è sentito dire: «Ah, questo <… titolo, autore, …> non me lo devi toccare!». Come pure è facile darsi al relativismo, per cui si suggerisce che ciascuno, a modo suo, ha ragione, che si può imparare da tutti, che non ci sono dunque cattivi maestri. Così il minimo è che si evita ogni confronto, si fa al più del sincretismo di bassa lega e ciascuno rimane della sua. Filosofia sì, ma possibilmente non disturbare.

13. L’alternativa positiva sarebbe gettare un ponte tra le due sponde del divide facendo in modo che si generi un interscambio produttivo. Facendo in modo che la nuova sintesi che si otterrà sia più della somma delle parti. Chi scrive si riconosce perfettamente in un simile progetto. Anche se chi scrive ha la sensazione che si tratti di un progetto che non interessa proprio a nessuno. Almeno dalle nostre parti. Il fatto è che assumere una posizione dialogico – critica in questa situazione è un compito davvero difficile. Anzitutto bisogna studiare. Chi è stato formato principalmente in una tradizione di solito non ha voglia di uscire dal guscio e investire tempo e denaro per studiare quello che hanno detto e pensato gli «altri». È disturbante prendere atto che ci sono mondi diversi dai nostri che funzionano con concetti e logiche diverse. È faticoso adeguarsi a stili che sono lontani dai nostri. Fare propri vocabolari astrusi e cervellotici. Se si comincia davvero a studiare, si può andare incontro a esperienze intellettualmente dolorose. Le nostre concezioni più beneamate possono sciogliersi come neve al sole, può accadere di dover smentire le proprie convinzioni. Certo può anche accadere, ogni tanto, di scoprire nuovi mondi.

Personalmente, in un passato ormai relativamente lontano, ho seguito con molta attenzione e cognizione di causa quello che mi sembra, a tutt’oggi, essere stato uno dei migliori tentativi di fondere metodi e concetti di entrambe le tradizioni. Si tratta del cosiddetto marxismo analitico. Ho avuto modo di imparare molto da Jon Elster. Il lodevole tentativo dei marxisti analitici sembra essersi tuttavia a tutt’oggi arenato, nonostante la pubblicazione di alcuni saggi decisamente interessanti. Chi scrive purtroppo non conosce una sola opera filosofica originale recente che sia stata prodotta utilizzando con successo metodi e concetti di entrambe le tradizioni. Se qualcuno vorrà segnalarmene una o qualcuna, lo ringrazierò sentitamente.

14. Non vorrei avere dato l’impressione che, secondo me, si debba fare la lista dei buoni e dei cattivi e stare ad aspettare, sulla riva del fiume, il tracollo della filosofia continentale. Le mie valutazioni pessimistiche circa la filosofia continentale si basano su questioni di teoria e su questioni di storiografia filosofica. Su tendenze oggettive che a mio modesto avviso sono ben visibili.

In generale, tutti i filosofi andranno sempre studiati, anche e soprattutto quelli più distanti dal nostro punto di vista. La storia della filosofia – come ho già suggerito – è un immenso deposito di splendidi materiali da costruzione, grazie ai quali potremo ancora fare molta strada. Purché lo vogliamo. Ma non si potrà sospendere il giudizio e restare in un empireo di anime salve dove tutti hanno ragione. Gli errori sono errori. E, peraltro, non si può far filosofia senza errori. Identificare gli errori fa progredire la filosofia stessa. Dobbiamo ben conoscere tutta la storia della filosofia ma non è vero che si possa utilmente e ugualmente imparare da tutti.

Giuseppe Rinaldi (10/02/2025)

 

OPERE CITATE

2004 Allison, Henry E., Kant’s Transcendental Idealism. An Interpretation and Defense, Yale University Press, New Haven and London.

2006 Allison, Henry E., “Kant’s Transcendental Idealism”, in Bird, Graham (a cura di), A Companion to Kant, Blackwell Publishing Ltd, Oxford.

1991 Baldini, Massimo, Contro il filosofese, Laterza, Bari.

1932 Carnap, Rudolf, “Überwindung der Metaphysik durch logische Analyse der Sprache”, in Erkenntnis, 1932, II pp.219-241. Tr. it.: “Il superamento della metafisica mediante l’analisi logica del linguaggio”, in Pasquinelli, Alberto (a cura di), Il neoempirismo, UTET, Torino, 1969.

1997 D’Agostini, Franca, Analitici e continentali. Guida alla filosofia degli ultimi trent’anni, Raffaello Cortina, Milano.

1978 Derrida, Jacques, Éperons. Les styles de Nietzsche, Flammarion, Paris. Tr. it.: Sproni. Gli stili di Nietzsche, Adelphi, Milano, 1991.

2004 Ferraris, Maurizio, Goodbye Kant! Cosa resta oggi della Critica della ragion pura, Bompiani, Milano.

2008 Ferraris, Maurizio (a cura di), Storia dell’ontologia, Bompiani, Milano.

1999 Glendinning, Simon (a cura di), The Edinburg Encyclopedia of Continental Philosophy, Fitzroy Dearborn Publishers, Chicago - London.

2017 Guyer, Paul, “Transcendental Idealism. What and Why”, in Altman, Mattew C. (a cura di), The Palgrave Kant Handbook, Palgrave Macmillan, New York.

2007 Leiter, Brian & Rosen, Michael, The Oxford Handbook of Continental Philosophy, Oxford University Press.

2009 Mullarkey, John & Lord, Beth, The Continuum Companion to Continental Philosophy, Continuum International Publishing Group Ltd.

2010 Schrift, Alan D., The History of Continental Philosophy (8 voll.), University of Chicago Press, Chicago.

1997 Sokal, Alan & Bricmont, Jean, Impostures intellectuelles, Odile Jacob, Paris. Tr. it.: Imposture intellettuali, Garzanti, Milano, 1999.

2003 Solomon, Robert C. & Sherman, David, The Blackwell Guide to Continental Philosophy, Blackwell Publishing Ltd, Oxford.

 

 

NOTE

[1] Nella scrittura di questo saggio non ho utilizzato alcuno strumento di intelligenza artificiale. Onde evitare elucubrazioni circa eventuali rapporti tra Kant e i peanut, specifico che la nocciolina contenuta nella illustrazione allude soltanto al carattere occasionale e divulgativo di questo scritto.

[2] Cfr. D’Agostini 1997.

[3] Celebre, ad esempio, fu la controversia che oppose Rudolf Carnap a Martin Heidegger, nei primi anni Trenta. Cfr. Carnap 1932. Sulle origini della conflittualità tra le due correnti, riporta la D’agostini: «Kevin Mulligan ha sostenuto che il primo documento dell’inimicizia tra analitici e continentali può essere considerata la stroncatura all’Introduzione alle scienze dello spirito di Dilthey scritta da un discepolo di Franz Brentano (o forse dallo stesso Brentano) dove viene rilevata l’oscurità dell’argomentazione diltheyana, e se ne condanna la mancanza di rigore, la pretesa di parlare della “vita” nella sua “totalità”». Cfr. D’Agostini 1997: 60. Per la cronaca il volume di Dilthey era uscito nel 1883.

[4] Sul postmoderno sono già intervenuto in più occasioni. I contributi si trovano sul mio sito.

[5] Cfr. Sokal & Bricmont 1997.

[6] Cfr. Derrida 1978.

[7] Cfr. Baldini 1991.

[8] Cfr. La questione è stata aperta da un noto saggio di Allison dal titolo indicativo: Kant’s Transcendental Idealism. An Interpretation and Defense (Allison 2004). Allison cerca di scagionare Kant dall’accusa di avere prefigurato due mondi (quello fenomenico e quello noumenico). Per far questo deve però adottare una teoria cosiddetta aspettuale che, a parer mio, è un po’ arzigogolata: noumeno e fenomeno sarebbero solo due aspetti della stessa cosa. Insomma, la distinzione tra i due mondi sarebbe solo epistemica e non ontologica). Non tutti gli studiosi hanno accolto la tesi di Allison. Chi voglia rendersi conto in breve della problematica, a parte l’ampia bibliografia disponibile ovunque, può ricorrere a due saggi introduttivi comparsi in altrettanti companion a Kant: uno è Allison 2006, l’altro è Guyer 2017.

[9] Gli a priori domiciliati nel soggetto da Kant sono anzitutto lo spazio e il tempo. Abbiamo poi le 12 categorie dell’Intelletto, di cui per comodità fornisco l’elenco qui di seguito. Le categorie sono raggruppate in quattro gruppi di tre ciascuno. Abbiamo il gruppo della quantità che contiene Unità, Pluralità e Totalità. Il gruppo della qualità che contiene Realtà, Negazione, Limitazione. Il gruppo della relazione che contiene Inerenza e sussistenza (substantia et accidens), Causalità e dipendenza (causa e effetto), Comunanza (azione reciproca fra agente e paziente). Infine, il gruppo della modalità che contiene Possibilità – impossibilità, Esistenza – inesistenza, Necessità – contingenza. Abbiamo poi ancora l’appercezione trascendentale, conosciuta anche come io penso. Son questi gli a priori che poi si troveranno fondazionalmente nella natura (=fenomeno) a garanzia della sua universalità e necessità (= conoscibilità). Come ognun vede, si tratta di un perfetto circolo vizioso. Nello stesso modo, il grande pensatore Heidegger pone l’Essere come un a priori e poi “scopre” che, anche se ci siamo dimenticati dell’Essere, dipendiamo proprio dall’Essere. Per cui non resterà che aspettare l’Essere.

[10] Anche se nessuno se ne rende conto, questo circolo vizioso è esattamente analogo al processo della alienazione religiosa denunciato da Fuerbach. Di solito Feuerbach è fatto valere contro Hegel, ma a maggior ragione dovrebbe essere fatto valere contro Kant. La vera fonte di Hegel in fondo era proprio Kant. La storia è sempre la stessa. Il soggetto crea un fantasma (= una rappresentazione) che considera come vero, al quale poi, bontà sua, si sottomette. Nella sintesi a priori kantiana c’è un residuo teologico essenzialistico che ha segnato una volta per tutte il destino del pensiero continentale. E che determinerà il suo decadimento.

[11] La Deduzione trascendentale, intorno alla quale sono stati versati fiumi di inchiostro, è unanimemente considerata dagli studiosi come scarsamente attendibile. Eppure su di essa si basa tutto l’impianto della Critica della Ragion pura.

[12] Non quella darwiniana, ovviamente.

[13] Cfr. Schrift 2010.

[14] Cfr. Leiter & Rosen 2007.

[15] Cfr. Mullarkey & Lord 2009.

[16] Cfr. Solomon 2003.

[17] Cfr. Glendinning 1999.

[18] Si veda, ovviamente, Ferraris 2004 e Ferraris 2008.





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